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Protesta

Bolsonaro guida una manifestazione massiva per la libertà di parola in Brasile

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Migliaia di brasiliani hanno inondato le strade delle città sabato per protestare contro la crociata di censura del governo contro la piattaforma X di Elon Musk e la libertà di parola.

 

La manifestazione, tenutasi sabato nel giorno dell’Indipendenza, è stata guidata dall’ex presidente brasiliano Jair Messias Bolsonaro, che ha dichiarato, rispondendo al giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes: «spero che il Senato federale ponga un freno ad Alexandre de Moraes, questo dittatore che fa più danni al Brasile dello stesso Luiz Inacio Lula da Silva».

 

 

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Diversi account X di rilievo, tra cui il giornalista Michael Shellenberger, stanno riportando dal viale principale di San Paolo, dove decine di migliaia si sono radunate oggi per opporsi a Lula e de Moraes che hanno recentemente bloccato X a livello nazionale.

 

«Il presidente brasiliano Lula e il giudice della Corte Suprema Alexandre de Moraes affermano che devono bloccare X per proteggere l’indipendenza del Brasile. X è una piattaforma per parole pericolose, false e odiose, affermano, e molte di queste parole violano le leggi e la Costituzione del Brasile» scrive lo Shellenberger, già noto per i cosiddetti «Twitter Files».

 

«Ma la loro censura va ben oltre quanto consentito dalla costituzione brasiliana. Il governo ha chiesto che X e altri social network censurino e bandiscano singole persone, tra cui giornalisti e politici. Tali divieti sono immorali, illegali e incostituzionali. Costituiscono un’interferenza elettorale e minano la democrazia impedendo ai candidati di far circolare la parola».

 

«Sono d’accordo che mentire è sbagliato, l’incitamento all’odio è brutto e ci sono limiti alla libertà di parola. Non dobbiamo permettere alle persone di usare parole che causano direttamente violenza fisica».

 


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«Ma tutti mentono, tutti si impegnano in discorsi d’odio, e i limiti alla libertà di parola non devono mai includere le elezioni. Immagina cosa succederebbe se fosse illegale mentire: tutti dovrebbero andare in prigione a partire dai giornalisti e dai politici. Quanto ai discorsi d’odio, Lula ha espresso odio quando ha elogiato Adolf Hitler? Non esprime odio ogni volta che parla di Elon Musk e Jair Bolsonaro?»

 

«La gente incolpa il discorso per il caos del 6 gennaio negli Stati Uniti e dell’8 gennaio in Brasile. Ma gli eventi di quei giorni sono stati il ​​risultato di una sicurezza inadeguata, non di qualcosa che qualcuno ha detto online. E se il governo può censurare informazioni elettorali sfavorevoli, come potrebbe qualcuno sapere se il governo ha rubato un’elezione?» continua lo Shellenbergherro.

 

«La democrazia e le elezioni sicure dipendono dalla libertà di parola. L’idea che dobbiamo censurare la parola per proteggere la democrazia è in linea con altre idee orwelliane come “La guerra è pace” e “La schiavitù è libertà”. Per migliaia di anni, democrazia e libertà hanno camminato mano nella mano, così come censura e dittatura».

 

«Tutti sanno nel profondo del loro cuore che la censura è sbagliata. Sappiamo tutti di essere imperfetti e di non sapere tutto. Sappiamo di fare affidamento sugli altri per scoprire la verità. Perché, allora, così tante persone vogliono la censura?»

 

 

 

Come riportato da Renovatio 21, X e in generale le aziende di Musk sono sotto attacco da parte di quello che è oramai considerato come il sovrano de facto del Brasile, il giudice supremo Alexandre de Moraes, che ha chiuso il social, multato con cifre folli chiunque vi acceda tramite VPN (a parte gli account del presidente Lula, che continuano a postarvi fischiettosamente) e perfino messo sotto attacco giudiziario Starlink, un’altra società di Musk ma totalmente separata da X, in una mossa unica che incute timore a qualsiasi investitore estero.

 

Starlink, peraltro, era stata premiata solo un anno fa perché tramite i suoi satelliti fornisce connessione alle scuole brasiliane dell’entroterra amazzonico.

 

La battaglia è proseguita con la pubblicazione da parte di X dei cosiddetti «Alexandre Files», in cui si dà conto delle richieste di censura di De Moraes su X, che quest’ultimo ritiene illegali ed incostituzionali secondo l’ordinamento brasiliano. In almeno un caso, era richiesta la censura di un senatore dell’opposizione.

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Come riportato da Renovatio 21, potenti manifestazioni pro-Bolsonaro si erano viste anche sei mesi fa.

 

Il governo Lula ha quindi avviato un’indagine su Bolsonaro, gli ha sequestrato il passaporto e successivamente gli è stato impedito di candidarsi fino al 2030 dal tribunale elettorale.

 

L’ex presidente è stato incriminato per falsificazione dello status vaccinale (con il rischio di sentenza da 12 anni di carcere); sul vaccino il Lula è particolarmente attento, partecipando appena eletto a campagne di vaccinazione di massa a base di grotteschi balletti con siringhe giganti.

 

Da quando ha lasciato la presidenza, Bolsonaro ha dovuto affrontare diverse indagini contro di lui, inclusa l’accusa di un «tentato colpo di Stato» per i moti del gennaio di quest’anno. A giugno gli è stato vietato di candidarsi alle elezioni fino al 2030.

 

Tra le accuse mossegli pubblicamente, anche quella di aver molestato una balena.

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Protesta

Violenza e caos mortale in Nepal. In fiamme il palazzo del governo

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Il Primo Ministro nepalese KP Sharma Oli si è dimesso martedì, mentre le furiose proteste contro il governo si intensificavano nella capitale della nazione himalayana, Kathmandu.   L’esercito nepalese ha confermato che Oli e sei ministri del governo sono stati trasferiti in una località segreta dopo che i manifestanti hanno appiccato il fuoco alle residenze del Primo Ministro e del Vicepresidente.   Le proteste antigovernative e anti-corruzione sono diventate violente dopo che diverse importanti piattaforme di social media, tra cui Facebook, YouTube e X, sono state vietate lunedì. Questi siti sono tra i 26 che sono stati bloccati per non essersi registrati in base alle nuove normative, che secondo i media locali censurano la libertà di parola. Il divieto è stato revocato martedì.   Immagini da Kathmandu mostrano il fumo che si alza dal parlamento del Paese, incendiato dai manifestanti. I media locali hanno anche riferito che le case dei ministri sono state saccheggiate da gruppi numerosi.   Su internet circolano video non verificati in cui politici nepalesi sarebbero cacciati, picchiati e denudati.    

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Le proteste, guidate per lo più da persone tra la fine dell’adolescenza e i primi vent’anni, sono scoppiate lunedì, innescate dal divieto dei social media. Le autorità hanno confermato 19 morti nella sola Kathmandu, con circa 400 feriti, tra cui oltre 100 agenti di polizia.   «Mi sono unito a una protesta pacifica, ma il governo ha risposto con la violenza», ha dichiarato un ventenne, citato dall’agenzia di stampa AFP.   I disordini di questa settimana sono i peggiori degli ultimi decenni nella nazione himalayana, che ha dovuto affrontare periodicamente instabilità politica e difficoltà economiche da quando la monarchia indù è stata abolita nel 2008.   L’ente del turismo e la polizia nepalese hanno attivato tre servizi navetta per gli stranieri con autobus diretti all’aeroporto. Voli da destinazioni internazionali sono stati visti librarsi su Kathmandu da quando l’aeroporto è stato chiuso martedì mattina.   Dopo la sommossa, il governo nepalese ha revocato la decisione di vietare i siti di social media, in seguito alle violente proteste che hanno provocato 19 morti e oltre 400 feriti.   Secondo un articolo dell‘Hindustan Times, gli scontri si sono intensificati quando i dimostranti hanno sfondato le barriere di filo spinato e hanno tentato di entrare in una zona riservata vicino al parlamento, spingendo la polizia a sparare proiettili veri e gas lacrimogeni, nonché a utilizzare idranti e manganelli.    

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«Come amici e vicini di casa, speriamo che tutti gli interessati esercitino moderazione e affrontino qualsiasi problema con mezzi pacifici e attraverso il dialogo», ha affermato martedì il ministero degli Esteri indiano in una nota. Il ministero ha aggiunto che sta monitorando attentamente gli sviluppi in Nepal ed è «profondamente rattristato» per la «perdita di molte giovani vite».   Dopo le proteste, il ministro degli Interni nepalese si è dimesso durante una riunione di gabinetto lunedì sera. Secondo quanto riportato da fonti locali, i manifestanti hanno dato fuoco alla residenza privata del ministro dell’Informazione e della Comunicazione.   Nonostante il governo abbia revocato il divieto sui social media, martedì a Kathmandu sono continuate le manifestazioni, dove la gente si è radunata fuori dal parlamento chiedendo la rimozione o lo scioglimento del governo. Alcuni manifestanti hanno dichiarato ai giornalisti che le loro preoccupazioni principali sono la disoccupazione e la corruzione.   Un enorme incendio ha devastato il palazzo Singha Durbar del Nepal, nel centro di Kathmandu, il principale complesso amministrativo del Paese, dopo che violente proteste hanno travolto la capitale della nazione himalayana.   Le immagini che circolano online mostrano l’edificio divorato dalle fiamme. Il palazzo, costruito nel 1908, è la sede del governo nepalese e ospita diversi ministeri e altre istituzioni chiave.  

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Martedì, i manifestanti avrebbero sfondato i cancelli occidentali del Singha Durbar, facendosi strada nell’area riservata e incendiando alcune parti dell’ingresso. Testimoni hanno riferito di pesanti scontri con le forze di sicurezza mentre la folla avanzava all’interno, secondo diversi organi di stampa.   Altri filmati condivisi online mostrano anche l’edificio del Parlamento nepalese in fiamme, con muri carbonizzati, fumo che si levava verso il cielo e incendi ancora accesi, mentre all’esterno si radunava una grande folla.   Nel settembre 2025, il governo del Nepal era guidato dal premier KP Sharma Oli, leader del Partito Comunista del Nepal (UML), in carica dal 15 luglio 2024 fino alla sua dimissione il 9 settembre 2025, a seguito delle violente proteste popolari. Ilministro degli Interni Ramesh Lekhak si è dimesso il 8 settembre 2025, assumendo la responsabilità morale per la violenta repressione delle proteste, che ha causato almeno 19 morti e centinaia di feriti. Dopo la dimissione di Oli, il Presidente Ram Chandra Paudel ha accettato la rinuncia e ha avviato il processo per nominare un nuovo primo ministro.   In Nepal dal 1996 al 2006 si è vissuta una guerra civile portata avanti soprattutto dal Partito Comunista del Nepal di fede maoista, noto anche come CPN o successivamente come CPN Maoist Centre.   La fine della monarchia in Nepal è un evento storico strettamente legato alla strage reale del 1° giugno 2001 e agli sviluppi politici successivi, culminati nell’abolizione della monarchia nel 2008. La notte del 1° giugno 2001, al palazzo reale di Narayanhiti a Kathmandu, avvenne una strage che sconvolse il paese. Secondo la versione ufficiale, il principe ereditario Dipendra Bir Bikram Shah aprì il fuoco durante una riunione familiare, uccidendo il re Birendra, la regina Aishwarya, altri membri della famiglia reale e infine se stesso. In totale, 10 persone persero la vita, tra cui il re, la regina, i loro figli e altri parenti stretti.

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I manifestanti a Parigi chiedono le dimissioni di Macron

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Sabato migliaia di persone hanno marciato per le vie di Parigi, chiedendo le dimissioni del presidente Emmanuel Macron e l’uscita della Francia dall’UE.

 

Il tasso di approvazione di Macron è sceso al livello più basso da quando ha assunto l’incarico nel 2017, in un contesto di deficit di bilancio in rapida crescita e di crescente malcontento nei confronti delle politiche finanziarie del suo governo.

 

Secondo un sondaggio condotto per Le Figaro e pubblicato mercoledì, circa l’80% dei francesi afferma di non fidarsi di Macron.

 

Anche la fiducia nel premier François Bayrou, il quinto a ricoprire l’incarico in meno di due anni, è scesa a minimi storici.

 

I manifestanti portavano cartelli con la scritta «Fermiamo Macron, fermiamo la guerra» e «Frexit».


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La manifestazione è stata organizzata dall’ex politico del Raggruppamento Nazionale Florian Philippot e dal suo partito euroscettico, i Patrioti, che si oppone alle forniture di armi all’Ucraina e mette in guardia contro un’ulteriore escalation con la Russia.

 

 

Mercoledì attivisti di sinistra e sindacati stanno pianificando scioperi e proteste separati, con lo slogan «Blocchiamo tutto».

 

Lunedì Bayrou dovrà affrontare un voto di sfiducia mentre cerca sostegno per la sua proposta di bilancio, con la Francia alle prese con un deficit fiscale del 5,8% del PIL, quasi il doppio del limite UE del 3%.

 

Il suo piano include tagli al lavoro nel settore pubblico, ai programmi di welfare e alle pensioni, misure che l’opposizione ha denunciato come misure che privilegiano la spesa militare rispetto al sostegno sociale.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Francia nei prossimi giorni potrebbe attraversare un collasso finanziario che ne travolgerebbe il governo.

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La polizia tedesca contro la protesta per la ri-militarizzazione

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Una marcia pacifista inizialmente pacifica a Colonia è sfociata in violenza sabato dopo gli scontri tra attivisti e polizia. I manifestanti protestavano contro i piani di Berlino di aumentare la spesa militare e gli aiuti a Ucraina e Israele.   La manifestazione, che secondo quanto riferito ha attirato quasi 3.000 persone, è stata organizzata dal gruppo pacifista «Disarma Rheinmetall». Rheinmetall principale produttore tedesco di armi.   Il gruppo ha organizzato diverse manifestazioni questa settimana, tra cui il blocco dell’accesso a un edificio della Bundeswehr mercoledì e una protesta davanti all’abitazione del CEO di Rheinmetall, Armin Papperger, a Meerbusch, vicino a Düsseldorf.  

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Gli attivisti hanno affermato di opporsi ai piani del governo di aumentare la spesa per la difesa, di espandere l’esercito attraverso la coscrizione obbligatoria e di fornire supporto militare all’Ucraina e a Israele.   Le immagini della protesta di sabato mostravano striscioni con la scritta «deponete le armi» e «Non moriremo nelle vostre guerre».   Secondo quanto riportato dalle autorità locali, il corteo è stato ripetutamente interrotto dopo che la polizia ha segnalato di aver visto manifestanti mascherarsi e far esplodere fumogeni.   La Polizei ha anche affermato di aver intercettato un veicolo di scorta che trasportava pirotecnici, alcol denaturato e bombole di gas, affermando di essere stata infine costretta a disperdere la folla dopo che alcuni manifestanti hanno attaccato gli agenti.    

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I video pubblicati online mostrano la polizia usare pugni, manganelli e gas lacrimogeni, con diversi attivisti visibilmente feriti. Diversi manifestanti sarebbero stati arrestati, anche se non è stato fornito alcun dato.   Un portavoce dei dimostranti ha accusato la polizia di aver attaccato gli attivisti, sostenendo che tra le 40 e le 60 persone sono rimaste ferite.   Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha sospeso i limiti all’indebitamento per incrementare la spesa per la difesa, impegnandosi ad aumentarla al 3,5% del PIL entro il 2029, annunciando l’intenzione di espandere la Bundeswehr da circa 182.000 a 240.000 soldati attivi entro il 2031 e ha introdotto la registrazione obbligatoria per i diciottenni in preparazione di un potenziale ritorno alla coscrizione obbligatoria.   Il Merz ha inoltre suggerito che le truppe tedesche potrebbero essere dispiegate in Ucraina come parte di una forza di pace europea, nonostante il rifiuto della Russia di qualsiasi presenza di truppe occidentali in Ucraina sotto qualsiasi forma.   Su internet circolano immagini riguardanti anche le manifestazioni pro-Palestina svoltesi in questi giorni in Germania. Colpisce il video della signora in protesta centrata in pieno volto da un pugno da un agente della Polizei.     Come riportato ripetutamente negli anni pandemici da Renovatio 21, chi protestava in Germania subì una repressione brutale e disumanizzante da parte della Polizei e degli apparati di sicurezza dello Stato tedesco, che calpestò impunemente la Grundgesetz, la Costituzione tedesca, che dichiara al primo articolo la dignità umana come fondamento della Repubblica.  

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