Cina
Biden ha venduto 1 milione di barili dalla riserva di petrolio strategica USA all’azienda cinese in cui ha investito suo figlio Hunter

Biden ha pubblicamente annunciato che gli USA stanno utilizzando le loro riserve nazionali di petrolio.
Tuttavia, mercoledì, l’agenzia Reuters ha rivelato che più di cinque milioni di barili di greggio che avrebbero dovuto essere utilizzati negli Stati Uniti per far scendere i prezzi alla pompa di benzina sono stati invece inviati alle nazioni europee, all’India e perfino alla Cina.
Ad aprile, l’amministrazione Biden ha annunciato che 950.000 barili della Strategic Petroleum Reserve sarebbero stati venduti a Unipec, il braccio commerciale della China Petrochemical Corporation. Precedentemente conosciuta come Sinopec, questa società è interamente di proprietà del governo cinese, secondo la testata americana Washington Free Beacon.
Il Beacon ha quindi sentito una fonte che «ha osservato che la decisione di vendere a Unipec mette in evidenza il “rapporto della famiglia Biden con la Cina»: nel 2015, una società di Private Equity cofondata da Hunter Biden ha acquistato una partecipazione in Sinopec Marketing per un valore di 1,7 miliardi di dollari.
La storia si infittisce quando si apprende che «Sinopec ha avviato le trattative per l’acquisto di Gazprom a marzo, un mese dopo che l’amministrazione Biden aveva sanzionato il gigante russo del gas».
Inoltre, Unipec aveva dichiarato che «non acquisterà più petrolio russo in futuro» una volta evase «le spedizioni che sono arrivate a marzo e dovrebbero arrivare ad aprile», ma è stato rivelato che a maggio la società «ha aumentato significativamente il numero di petroliere noleggiate per spedire un greggio chiave dalla Russia orientale», secondo Bloomberg.
È oramai incredibile il livello di teflon che ricopre il clan Biden.
Come riportato da Renovatio 21, gli scandali drogastici e sessuali (fino all’ombra di tabù sempre più innominabili) dei Biden non sembrano attaccare sui giornali, né le dichiarate pressioni improprie di Biden sul governo ucraino affinché licenziasse un giudice che investigava sull’azienda del figlio, né il coinvolgimento di quest’ultimo nell’incredibile caso dei biolaboratori ucraini finanziati dagli USA.
È pazzesco, e molto indicativo, che Hunter, nonostante gestisse miliardi di dollari di investimenti, dovesse chiedere bonifici da 20 mila dollari al padre per pagarsi la disintossicazione (ma poi escono immagini di lui che in una vasca di isolamento fuma quella che sembra essere una pipa per il crack).
I Biden ha diversi interessi con la Cina, con un libro – Red-Handed: How American Elites Get Rich Helping China Win – che sostiene che avrebbero guadagnato diecine di milioni di dollari da personaggi «con legami diretti con gli apparati cinesi di spionaggio». Vi sarebbero, secondo alcuni, affari diretti con il giro del presidente cinese Xi Jinpingo. Secondo certuni dissidenti cinesi che hanno lanciato accuse prima delle elezioni 2020, l’uomo del Delaware sarebbe un pupazzo di Pechino.
Come riportato da Renovatio 21, Hunter Biden ha pure investimenti in Cina nel settore nucleare, con impianti atomici che sono stati sull’orlo della catastrofe ambientale.
Cina
Trump: «gli Stati Uniti sono in guerra commerciale con la Cina». E spinge l’UE a imporre dazi del 500% su Pechino

Il presidente Donald Trump ha dichiarato che Stati Uniti e Cina sono già immersi in una guerra commerciale, definendo i dazi sulle importazioni da Pechino essenziali per la sicurezza nazionale.
Mercoledì, rispondendo ai giornalisti che gli chiedevano se l’assenza di un accordo con Xi Jinping avrebbe prolungato lo scontro commerciale, Trump ha affermato: «Beh, ora ci siete dentro… Abbiamo tariffe doganali del 100%. Se non avessimo tariffe, saremmo considerati una nullità… Le tariffe sono uno strumento molto importante per la nostra difesa, per la nostra sicurezza nazionale».
Riguardo al confronto con gli Stati Uniti, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha ribadito che «le guerre tariffarie e commerciali non hanno vincitori» e ha invitato a risolvere le divergenze «attraverso consultazioni basate su uguaglianza, rispetto e reciproco vantaggio».
La settimana scorsa Trump ha minacciato di applicare un ulteriore dazio del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre, segnando un netto inasprimento delle tensioni dopo che Pechino ha introdotto restrizioni più stringenti sulle esportazioni di terre rare.
Anche se la misura non punta esplicitamente agli Stati Uniti, le imprese high-tech americane dipendono in misura rilevante dalle forniture cinesi di questi minerali.
All’inizio dell’anno, Trump ha elevato drasticamente i «dazi reciproci» sulla Cina, portandoli in alcuni casi oltre il 100%, ma ha poi sospeso l’aumento per favorire i negoziati commerciali, con la proroga ora valida fino al 10 novembre. La tariffa base attuale per la Cina è al 10%, sebbene certi beni siano gravati da aliquote superiori.
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Il leader statunitense ha inoltre esercitato pressione su Pechino affinché tagliasse gli acquisti di petrolio russo, sostenendo che tali importazioni aiutino a finanziare l’esercito di Mosca. La Cina ha respinto le dichiarazioni come «intimidatorie», mentre Mosca ha rimarcato che i Paesi sovrani hanno il diritto di selezionare i propri partner economici.
Nel frattempo, in un ulteriore indizio di attriti crescenti, Trump ha annunciato martedì che gli Stati Uniti cesseranno di importare olio da cucina dalla Cina, presentandolo come ritorsione alla diminuzione degli acquisti di soia da parte di Pechino.
Ciononostante, nonostante i continui alti e bassi, il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent ha confermato all’inizio della settimana che Trump e Xi si incontreranno ancora al forum della Cooperazione economica Asia-Pacifico (APEC) in Corea del Sud alla fine di ottobre.
L’amministrazione del presidente statunitense Donald Trump sta inoltre sollecitando i Paesi dell’UE che appoggiano Kiev a imporre dazi del 500% sulle importazioni dalla Cina, destinando i ricavi al finanziamento dell’impegno bellico ucraino, ha riferito mercoledì il Telegraph.
Secondo il Telegraph, i dazi proposti confluiranno in un meccanismo denominato «Fondo per la vittoria dell’Ucraina». Il rapporto indica che il Segretario al Tesoro statunitense Scott Bessent è stato incaricato di promuovere l’iniziativa presso i governi europei in vista della visita a Washington del presidente ucraino Vladimir Zelensky fissata per venerdì.
Kiev sta cercando di ottenere missili da crociera Tomahawk di produzione americana: una richiesta che l’amministrazione Trump ha detto di poter autorizzare, purché gli alleati europei ne sostengano i costi.
Il ministro della Difesa degli Stati Uniti, Pete Hegseth, che ha preso parte mercoledì alla riunione dei ministri della Difesa della NATO a Bruxelles, ha ribadito che Washington pretende dai partner europei «donazioni ancora maggiori» per l’acquisto di armamenti americani destinati all’Ucraina.
Mosca ha sostenuto che gli aiuti militari occidentali non possono influenzare l’esito del conflitto, che considera una guerra per procura orchestrata dalla NATO contro la Russia e una minaccia esistenziale.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Cina
Pechino dichiara guerra al fumo

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Cina
La Cina impone controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare

Il ministero del Commercio cinese, ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali. Lo riporta il quotidiano del Partito Comunista Cinese in lingua inglese Global Times.
Questi controlli riguardano «l’estrazione, la fusione e la separazione delle terre rare, la produzione di materiali magnetici e il riciclaggio delle risorse secondarie delle terre rare». Le aziende potranno richiedere esenzioni per casi specifici. In assenza di esenzioni, il ministero della Repubblica Popolare obbligherà gli esportatori a ottenere licenze per prodotti a duplice uso non inclusi in queste categorie, qualora sappiano che i loro prodotti saranno utilizzati in attività connesse alle categorie elencate.
Il precedente tentativo del presidente statunitense Donald Trump di avviare una guerra tariffaria con la Cina si è rivelato un fallimento, principalmente a causa del dominio preponderante della Cina nell’estrazione e nella lavorazione dei minerali delle terre rare. Delle 390.000 tonnellate di ossidi di terre rare estratti nel 2024, la Cina ne ha prodotte circa 270.000, rispetto alle 45.000 tonnellate degli Stati Uniti, e detiene circa l’85% della capacità di raffinazione globale.
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La decisione odierna della Cina avrà certamente un impatto a Washington, soprattutto in vista dell’incontro tra i presidenti Donald Trump e Xi Jinping previsto per fine mese. Oggi si è registrata una corsa all’acquisto delle azioni di MP Materials, il principale concorrente statunitense della Cina nella produzione di terre rare.
All’inizio dell’anno, il dipartimento della Difesa statunitense aveva investito in MP Materials, dopo che Trump aveva evidenziato il divario tra Stati Uniti e Cina. Tuttavia, tale investimento è stato considerato insufficiente e tardivo.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.
Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.
Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.
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Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
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