Spirito
Betlemme, un Natale nel silenzio e nella paura
I leader delle diverse comunità cristiane presenti a Betlemme e in Terra Santa invitano i loro fedeli a limitarsi rigorosamente agli eventi religiosi previsti per il Natale, rinunciando alla dimensione festosa di questo Tempo liturgico. Il conflitto tra Israele e Hamas mette a rischio l’esistenza stessa dei cristiani, nell’indifferenza quasi generale.
L’atmosfera è cupa il 15 novembre 2023. Il cardinale Pierbattista Pizzaballa celebra la messa che tradizionalmente segna la fine della raccolta delle olive: «nonostante le difficoltà che sta attraversando il Paese, quelle delle persecuzioni e della guerra, ci uniamo tutti Cristo per i frutti della terra che ci ha donato», ha dichiarato il Patriarca latino di Gerusalemme.
Ma quest’anno il cuore è lungi dall’essere in festa. Pochi giorni prima, i leader delle diverse confessioni cristiane presenti in Terra Santa avevano invitato i fedeli a rinunciare a “tutte le attività festive non necessarie” durante il periodo natalizio.
Per la prima volta dal ritorno ai tempi moderni delle celebrazioni della nascita di Cristo, l’albero di Natale non decorerà la piazza della Mangiatoia di Betlemme, né le luci illumineranno il luogo natale del Salvatore.
Una decisione presa a causa della guerra tra Israele e l’organizzazione islamista Hamas, di cui i cristiani di Terra Santa pagano ormai da più di un mese, nell’indifferenza generale dei media stranieri.
«Incoraggiamo i nostri sacerdoti e fedeli a concentrarsi maggiormente sul significato spirituale del Natale nelle loro attività pastorali e nelle celebrazioni liturgiche durante questo periodo, con l’accento sul tenere i nostri fratelli nei nostri pensieri. Suore e fratelli religiosi colpiti da questa guerra e dalle sue conseguenze, e con ferventi preghiere per una pace giusta e duratura per la nostra amata Terra Santa», hanno scritto i funzionari in una lettera datata 10 novembre.
Secondo il collettivo Churches for Peace in the Middle East, l’intervento militare nella Striscia di Gaza minaccia l’esistenza stessa della comunità cristiana. Il 19 ottobre la chiesa di San Porfirio, situata nella Striscia di Gaza, è stata bombardata e distrutta dall’esercito israeliano, uccidendo diciotto persone. La chiesa apparteneva agli «ortodossi».
Centinaia di cristiani si sono rifugiati nella parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza, ma mancano acqua e cibo. Anche l’ospedale anglicano Al Ahli, uno degli ultimi ospedali funzionanti nella città di Gaza, è stato circondato da veicoli blindati israeliani il 16 novembre.
Cristiani minacciati non solo a Gaza ma anche in altre parti della Terra Santa: così, i coloni ebrei – ben rappresentati nell’attuale governo presieduto da Benjamin Netanyahu – hanno minacciato di attaccare il quartiere armeno della città vecchia di Gerusalemme.
«Imploriamo tutte le comunità cristiane di Gerusalemme di stare al nostro fianco in questi tempi senza precedenti, perché è in gioco la presenza cristiana a Gerusalemme e in Terra Santa», hanno avvertito i leader della religione armena.
Quest’anno a Betlemme non ci sarà un albero gigante, né cori, né luci , né decorazioni. Il corteo – vecchio di più di un secolo – formato da fanfare, cornamuse e impreziosito dalla presenza degli scout, è stato annullato.
Insomma, il mese di dicembre 2023 sembrerà il primo Natale di 2000 anni fa. Solo un neonato in una profonda notte d’inverno, dove brillerà solo la stella della fede dei fedeli.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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Spirito
Il Vaticano riforma il suo sistema giudiziario
Attraverso un nuovo motu proprio reso pubblico il 19 aprile 2024, il Sommo Pontefice ha modificato molte leggi che regolano l’ordinamento giudiziario della Santa Sede, armonizzandolo con il vicino ordinamento italiano. È questo un modo per trarre insegnamento da numerose questioni nate all’indomani del «processo del secolo», la cui onda d’urto continua a scuotere le mura del recinto leonino.
69 è il numero delle Lettere apostoliche in forma di motu proprio promulgate sotto l’attuale pontificato.
Questo atto giuridico è un motu proprio che, in sei articoli, modifica le norme giudiziarie dello Stato Pontificio. Il documento riguarda in parte l’attività dei magistrati ordinari fino ai 75 anni, e fino agli 80 anni per i giudici cardinali. Resta inoltre aperta la possibilità da parte del Sommo Pontefice di prolungare caso per caso il mandato dei magistrati, fissando modalità di remunerazione, di fine rapporto e di pensioni.
Altri provvedimenti hanno suscitato una reazione più forte da parte dei giuristi italiani, come quelli riguardanti la responsabilità civile dei magistrati o il potere conferito al Papa di intervenire nel corso di un processo nominando un vicepresidente o cessando dal servizio di un magistrato il quale, «per comprovata incapacità», non sarebbe più in grado di esercitare le sue funzioni.
D’ora in poi chi ritiene di aver subito un danno potrà avviare un procedimento giudiziario contro lo Stato della Città del Vaticano, che potrà a sua volta rivolgersi a un magistrato se sarà dimostrato che ha causato un danno.
Questo è un modo per allineare il sistema del microStato a quanto avviene in Italia, dove la responsabilità del magistrato è indiretta, per far sì che un cittadino non possa agire direttamente contro un giudice che gli ha fatto torto nel corso di un processo. Si tratta di una misura intesa a garantire la libertà, l’indipendenza e la tutela dei magistrati contro eventuali pressioni esterne.
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Per motivare questa evoluzione, Francesco evoca «gli anni di esperienza che hanno fatto sentire la necessità di una serie di cambiamenti». È difficile non vedere in ciò una scossa di terremoto provocata dal processo del secolo conclusosi provvisoriamente nel dicembre 2023. Provvisoriamente, perché, oltre alla Segreteria di Stato e all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica (APSA), tutti gli altri attori, imputati e parti civili, hanno impugnato la decisione dei giudici.
Molti giuristi italiani sottolineano che l’attuale pontificato ha riscritto le regole quattro volte durante la fase istruttoria del recente grande processo, sia come modo per colmare un vuoto normativo per alcuni, sia come modo per il Romano Pontefice di mantenere il controllo sullo svolgimento del processo.
Inoltre, il Tribunale vaticano – che è stato teatro di diverse riforme negli ultimi anni – resta composto prevalentemente da avvocati e pubblici ministeri che hanno ricoperto o ricoprono incarichi in Italia e che, di conseguenza, non sempre hanno una perfetta conoscenza della normativa usi e consuetudini della Santa Sede, né del diritto della Chiesa.
In un contributo scritto dopo la sentenza, uno dei legali degli imputati nel processo del secolo, Cataldo Intrieri, ha denunciato le «contraddizioni» del sistema giudiziario vaticano e gli «esorbitanti poteri» concessi ai pubblici ministeri che, a suo dire, aveva portato ad una procedura giudiziaria «molto lontana dai criteri adottati in uno Stato di diritto».
È una critica che il nuovo motu proprio tenta forse di disarmare, anche se non è realistico pretendere dal papato – che resta nella sua essenza monarchico – una separazione assoluta dei poteri.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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Immagine di Jorge Valenzuela A via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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