Persecuzioni
Ancora casi di blasfemia in Pakistan. Abolita pena di morte per alcuni crimini

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
A Lahore, Amir Masih è stato accusato e denunciato ai sensi dell’art. 295-C. La polizia ha agito senza verifiche, basandosi solo sul rapporto informativo. Intanto l’ONG Dignity First plaude all’approvazione di una parziale abolizione della pena capitale, primo passo verso una riforma del sistema giudiziario.
Le false accuse di blasfemia non accennano a diminuire in Pakistan, diffondendo tra la popolazione insicurezza a causa delle continue minacce. Un altro caso si è verificato il 17 luglio 2025. Il signor Sanor Ali, che gestisce un negozio di generi alimentari chiamato Rana General Store a Nishat Colony, Lahore Cantonment, ha denunciato l’atto di blasfemia di un uomo cristiano.
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Secondo Sanor Ali, il signor Amir Masih è arrivato nel suo negozio e ha iniziato a parlargli dicendo che al giorno d’oggi sta diventando difficile vivere in Pakistan e che vuole lasciare il Paese. Quindi, ha suggerito al negoziante di lasciare il Pakistan per un futuro migliore. Secondo il rapporto informativo, Amir ha iniziato a parlare di argomenti religiosi, inveendo contro l’Islam e pronunciando parole offensive contro il profeta Maometto.
Sanor Ali, nel suo primo rapporto informativo (FIR n. 2916/25), ha dichiarato di aver chiamato suo fratello Muhammad Sarwar e che con il suo aiuto ha bloccato Amir Masih per le sue parole, dandolo alla fuga. La polizia ha presentato l’atto di accusa senza alcuna indagine, basandosi solo sulle dichiarazioni di Sanor Ali.
Il rapporto si conclude con la richiesta di arrestare l’uomo cristiano. la polizia ha formulato l’accusa sulla base dell’articolo 295-C del Codice penale, che riguarda il reato di profanazione del nome di Maometto. Il Codice prevede la pena di morte o l’ergastolo, oltre a una multa, per chiunque usi parole, rappresentazioni esplicite o qualsiasi esternazione che diffami il profeta.
Intanto, l’organizzazione Dignity First ha accolto con favore l’approvazione da parte del Senato dell’“Abolizione della pena di morte per alcuni crimini”, avvenuta durante una riunione il 19 luglio 2025.
In particolare, la pena di morte sarà commutata in ergastolo per i reati previsti dall’articolo 354-A (aggressione contro una donna con l’intento di spogliarla) e 402-C (favoreggiamento di sequestratori).
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Yousaf Benjamin, direttore esecutivo di Dignity First nel suo comunicato ricorda che l’ONG «ha sempre sostenuto che la pena di morte è una violazione crudele, disumana e indegna del diritto alla vita».
«Ci congratuliamo con i membri del Senato» ha aggiunto «in particolare con il ministro della legge Azam Nazeer Tarar, per questa decisione coraggiosa e realistica. Pene più severe non portano necessariamente a una riduzione del tasso di criminalità».
Anche se l’iniziativa del Senato non abolisce completamente la pena di morte, rappresenta un passo significativo. Dignity First esorta il governo del Pakistan a promulgare rapidamente questa legge e ad attuare in futuro ulteriori riforme che aprano la strada alla completa abolizione della pena di morte nel Paese.
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Immagine di DR onco via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Persecuzioni
Cristiani siriani in pericolo: l’ECLJ allerta l’ONU

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Le forze governative massacrano alawiti e drusi
Il caos non colpisce solo i cristiani. Nel marzo 2025, oltre 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili alawiti, sono state uccise negli scontri nelle province di Latakia e Tartus. A luglio, la comunità drusa è stata presa di mira a Sweida, dove milizie beduine sunnite, supportate dalle forze governative, hanno attaccato e saccheggiato la città. Il bilancio delle vittime di questi scontri a Sweida supera le 1.000 vittime e sarebbe stato probabilmente molto più alto se Israele non fosse intervenuto con la forza per rassicurare i drusi che vivevano sul suo territorio. La chiesa greco-melchita di San Michele nel villaggio di Al-Sura è stata data alle fiamme e decine di case cristiane sono state saccheggiate e bruciate.La graduale islamizzazione della Siria
Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim, cerca di imporre al Paese il modello di Idlib, governato dal 2017 dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS): governo centralizzato, rigorosa applicazione della Sharia, un’economia deregolamentata nelle mani di reti vicine al governo e tolleranza minima per le minoranze, mantenute in uno stato quasi di dhimmi. Così, le scuole cristiane sono costrette a insegnare la Sharia, ad assumere presidi con lauree in diritto islamico e a separare i ragazzi dalle ragazze. «Questo contraddice l’intera tradizione educativa cristiana siriana. È inaccettabile», protesta un vescovo siriano. La polizia religiosa confisca gli alcolici, chiude i negozi che li vendono e monitora le relazioni tra uomini e donne. Tutto ciò che non è arabo sunnita viene emarginato: cristiani, alawiti, drusi, curdi.Aiuta Renovatio 21
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Persecuzioni
Siria, uomini armati assaltano e derubano presule siro-cattolico

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Prelevati la croce d’oro, chiavi, telefono e altri effetti personali al vicario generale Naaman. Due uomini hanno detto di appartenere alla «sicurezza» e lo hanno colpito, ferendolo. Attivisti contro i nuovi leader del Paese, incapaci di tutelare le minoranze. A Idlib dopo 14 anni riapre la chiesa di Sant’Anna.
Un nuovo episodio di violenza anti-cristiana alimenta le preoccupazioni della comunità ancora scossa dalla strage alla chiesa di Damasco e che fatica a «guarire le ferite» provocate dagli anni di guerra, dalla bomba della povertà e dall’ascesa al potere di una fazione islamica radicale HTS.
Nella serata del 2 settembre scorso (ma le informazioni stanno emergendo solo in queste ore), il corepiscopo Michel Naaman, vicario generale dell’arcidiocesi siro-cattolica di Homs, Hama e Al-Nabek, è stato derubato con pistole puntate alla tempia all’esterno della propria abitazione. Il religioso vive nel villaggio a maggioranza cristiana di Zaidal, a circa 7 km dalla città di Homs, dove è avvenuto l’attacco che secondo alcune testimonianze «gli è quasi costato la vita».
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Fonti locali raccontano che due uomini «armati e mascherati» lo hanno sorpreso, bloccandolo, sostenendo di essere membri di una milizia che auto-proclama della «Sicurezza generale». Lo hanno minacciato «con armi», prosegue il racconto, derubato «della sua croce d’oro assieme ad altri effetti personali», per poi abbandonarlo e fuggendo indisturbati.
Lo stesso corepiscopo Naaman ha confermato la violenza, raccontando di essere stato «sorpreso da uomini armati al rientro a casa» che «mi hanno minacciato con una pistola» premendolo contro il muro dell’abitazione per poi «sfilargli la croce d’oro» che conservava da oltre 50 anni. Assieme al simbolo religioso lo hanno derubato «di altri effetti personali», per poi abbandonarlo «in preda al panico e al tremore, da solo e senza chiavi di casa e portando via anche il telefono». «Sono un uomo di Dio» ha detto loro «non porto armi e non farò resistenza. Ma uomini preposti alla sicurezza non agiscono in questo modo».
Riguardo l’assalto il sacerdote siro-cattolico, che ha riportato ferite alla spalla strattonata dagli assalitori, ha poi aggiunto «di non aver temuto per me stesso, perché il mio pensiero andava alle vittime di simili aggressioni» e la sopravvivenza «era nelle mani di Dio». Egli ha infine ringraziato gli abitanti del villaggio e i sacerdoti che lo hanno soccorso dopo l’assalto.
Fra i primi a rilanciare, condannandolo, l’ennesimo episodio di violenze anti-cristiane nella Siria di Ahmed al-Sharaa e di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), nuovi leader del Paese dopo il crollo repentino nei mesi scorsi del regime di Bashar al-Assad, vi è l’Assyrian Human Rights Monitor. «Questo doloroso incidente, che avrebbe potuto costargli la vita, non è semplicemente un crimine isolato, ma piuttosto» afferma il gruppo in una nota «un nuovo anello in una crescente catena di aggressioni contro cittadini innocenti, scuotendo la sicurezza e la stabilità della società». Padre Michel Naaman è stato «terrorizzato con il pretesto della “sicurezza”» che non risulta garantita a larghe fasce della popolazione siriana, a partire delle minoranze cristiana, alawita, fino ai drusi.
Il movimento attivista assiro punta il dito contro i nuovi leader legati ad HTS ritenendoli «direttamente responsabili» per due motivi: l’incapacità di garantire sicurezza e protezione ai cittadini, un compito che spetta allo Stato; la continua facilità con cui il personale preposto in linea teorica alla sicurezza ricorre a maschere e travestimenti per attaccare, colpire, incutere timore o coprire singoli o gruppi di malintenzionati. Invocando una «indagine immediata e trasparente» sull’incidente che ha coinvolto il corepiscopo, il gruppo invoca «misure rigorose ed efficaci per porre fine a tali pratiche criminali ricorrenti e ricostruire la fiducia tra cittadini e forze di sicurezza».
Infine, dalla Siria giungono anche notizie fonte di speranza per il futuro, in particolare nell’area dove a lungo hanno dominato gruppi jihadisti ed estremisti islamici anche quando nel resto del Paese era ancora presente il regime di Assad.
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Dal villaggio di al-Yaqoubiya, a ovest di Idlib, nella provincia settentrionale confinante con la Turchia e zona di origine degli attuali leader di HTS, arrivano immagini di festa per la riapertura della chiesa di sant’Anna. Nel fine settimana scorso l’arcivescovo armeno-ortodosso di Aleppo Makar Ashkarian ha celebrato la funzione che ha segnato l’inaugurazione del luogo di culto distrutto e abbandonato nel tempo.
La celebrazione di Sant’Anna si tiene tradizionalmente ogni anno nell’ultima settimana di agosto ed è una delle festività religiose più importanti per i membri della comunità ortodossa armena in Siria; dopo 14 anni si è potuta celebrare di nuovo una messa a Idlib, cui ha partecipato un consistente numero di pellegrini provenienti da Aleppo, Latakia, Hasakah, Damasco e altre ancora.
L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 2020 dopo il terremoto che ha colpito la regione su iniziativa del monachesimo francescano, spiega una fonte cristiana locale, per essere un simbolo di fermezza, radicamento e fede.
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Immagine da AsiaNews
Persecuzioni
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