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Spirito

A Calcutta il ricordo di Madre Teresa a 25 anni dalla morte

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

 

 

 

L’arcivescovo D’Souza ha celebrato la Messa con le Missionarie della Carità. «In questi anni le sfide e la povertà sono aumentate ma la risposta è sempre stata il primato della carità». Avviato oggi a Park Street un nuovo centro per i bambini che vivono sulla strada senza poter andare a scuola.

 

 

 

Nel giorno della sua festa liturgica sono stati ricordati oggi a Calcutta i 25 anni dalla morte di Madre Teresa, avvenuta il 5 settembre 1997.

 

Come annunciato dalla superiora suor Mary Joseph le suore hanno ricordato la loro fondatrice con una giornata dedicata interamente al servizio ai poveri, come nello stile della santa degli ultimi. Ma come accade ogni giorno il primo momento per le Missionarie della Carità è stato la celebrazione dell’Eucaristia.

 

Per l’occasione a presiederla nella cappella della loro Casa madre è stato l’arcivescovo di Calcutta, mons. Thomas D’Souza, che al termine della celebrazione – insieme alle suore – ha pregato sulla tomba di Madre Teresa.

 

«È cambiato qualcosa – si è chiesto mons. D’Souza nell’omelia – per le Missionarie della Carità dal 1997 a oggi? La risposta è no. Il primato della carità continua ad essere il principio guida. Nella nostra arcidiocesi, e specialmente nella città di Calcutta, il loro servizio gratuito e di tutto cuore ai più poveri tra i poveri continua a Kalighat o Premdaan, Shantidaan o Dayadaan, Jeevandaan o Shishubhavan, come nelle case dei fratelli Missionari della Carità di Nabojivan a Howrah, o al Gandhi Ashram a Titagarh, e in quelle dei padri e delle suore contemplativi. Lo stesso modello è presente in tutto il mondo. Le sfide e la povertà sono aumentate ma la risposta è sempre stata il primato della carità o dell’amore».

 

L’arcivescovo ha invitato a guardare anche alla concomitanza con la Giornata degli insegnanti, che si celebra proprio oggi in India. Anche santa Teresa di Calcutta – ha ricordato – «è stata una maestra, e le parole che provengono dal cuore amorevole di una Madre hanno toccato e trasformato i cuori e le vite di persone di ogni estrazione sociale, soprattutto dei poveri».

 

«In questo giorno – ha concluso D’Souza – ringraziamo Dio che è amore, che ha mandato nel mondo il suo unigenito Figlio, che ci ha insegnato ad amarci gli uni gli altri. Ringraziamo Gesù per la sua presenza amorevole nell’Eucaristia, che ci dà la forza di vivere questo amore al servizio dei poveri. Ringraziamo lo Spirito Santo per la sua costante guida e ispirazione che ci fa vivere il primato della carità.  Ringraziamo santa Teresa di Calcutta per il suo esempio unico di un amore fino alla fine per i poveri e coloro che sono rifiutati dalla nostra società. Ringraziamo suor Mary Joseph e le sue Missionarie della Carità per mantenere acceso il fuoco della carità attraverso il servizio ai più poveri tra i poveri».

 

L’arcivescovo D’Souza ha anche deposto una ghirlanda di fiori sulla statua di santa Teresa di Calcutta che si trova nel cortile dell’arcivescovado.

 

Proprio oggi a Calcutta le Missionarie della Carità hanno avviato a Park Street un nuovo centro per i bambini che vivono sulla strada senza poter andare a scuola.

 

«Offriremo loro un bagno, il ricambio dei vestiti, un bicchiere di latte, dei biscotti e insegneremo loro a disegnare e a scrivere», hanno spiegato.

 

 

 

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

 

 

Immagine di Rajasekharan Parameswaran via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 4.0 International (CC BY-SA 4.0)

 

 

 

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Intelligenza Artificiale

Sacerdozio virtuale, errore reale

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«Father Justin» è stato «ridotto allo stato laicale» pochi giorni dopo l’inizio del suo ministero. Non per una storia di abusi, perché «Father Justin» è l’avatar digitale dato a un algoritmo. La vicenda d’oltreoceano potrebbe sembrare aneddotica se non mostrasse, implicitamente, i limiti dell’uso dell’intelligenza artificiale (IA) negli ambiti della fede e della pastorale cristiana.

 

Catholic Answers è un’associazione dedicata alla difesa della fede cattolica, con sede a El Cajon, California. Gli apologeti che la gestiscono hanno subito capito il vantaggio di investire nell’universo digitale, utilizzando le inesauribili risorse dell’intelligenza artificiale.

 

È così che è stato sviluppato un algoritmo chiamato Father Justin, ornato da un’immagine generata al computer, che lo rappresenta come un prete barbuto che indossa una talare, in altre parole una sequenza matematica adatta a rispondere alle domande degli internauti sulla fede e sull’insegnamento della Chiesa.

 

Ma il prete virtuale – o meglio i suoi ideatori, l’IA non produce, in termini di qualità dell’informazione, nulla che non sia in linea con il suo database – non ha seguito un percorso teologico tradizionale: così, Father Justin non vede nessun problema nel battezzare con «Gatorade», una bevanda energetica, quando solo l’acqua costituisce la materia valida per questo sacramento.

 

Quando un utente chiede la forma del sacramento della penitenza, il robot propone online una formula per l’assoluzione dei peccati, che sarebbe totalmente invalida, poiché l’assoluzione richiede la presenza fisica di un sacerdote validamente ordinato e con giurisdizione per compiere questo atto.

 

Tuttavia, a una richiesta diretta di essere ascoltato in confessione e assolto, Father Justin spiega: «anche se vorrei aiutarti, non sono in grado di amministrare il sacramento della riconciliazione con questo mezzo. È un sacramento che richiede un incontro personale. Ti incoraggio a trovare una chiesa cattolica e a parlare con un prete».

 

Di fronte allo scalpore suscitato da questa vicenda, Catholic Answers ha fatto marcia indietro rivestendo il buon Father Justin da laico e promettendo di correggere il suo «chatbot» – il programma informatico che simula ed elabora una conversazione umana, permettendo di interagire con gli utenti – in un senso più coerente con la fede e la moralità cattolica.

 

Catholic Answers avrà presto un bot affidabile? Possiamo dubitarne, perché un progetto del genere pone un problema: immaginare che un «chatbot» possa svolgere a pieno titolo il ruolo di catechista o di missionario non rivela forse una profonda incomprensione del modo in cui si trasmette la fede?

 

Se l’Intelligenza Artificiale può rendere accessibile una quantità impressionante di informazioni in tempi record, la nozione di «chatbot» nasconde un’ambiguità: quella di far credere alle persone in una reale interazione personale.

 

Quando un fedele, o una persona che cerca la verità, si avvicina alla Chiesa, ha diritto di ascoltare delle risposte trasmesse in un vero spirito di fede teologale e di prudenza soprannaturale che supera le capacità numeriche di un algoritmo, anche il più elaborato.

 

Di fronte alle critiche, Catholic Answers si è difesa in modo poco convincente: «Comprendiamo che alcuni non si sentano a proprio agio con l’intelligenza artificiale. Ma dato che esiste, ci sforziamo di metterlo al servizio del Regno di Dio». Un modo per evitare la radice del problema.

 

Perché gli strumenti fabbricati dall’uomo hanno uno scopo solo nella misura in cui facilitano la vita veramente umana, permettendo così di risparmiare tempo, non per essere pigri, ma per esercitare le nostre facoltà di conoscenza e le nostre virtù, ed elevare la nostra umanità.

 

In questo contesto, vogliamo affidare le capacità umane, come la comprensione, il giudizio, le relazioni umane e l’autonomia d’azione, ai software di Intelligenza Artificiale senza conoscere il valore reale di questi sistemi che pretendono di essere intelligenti e cognitivi?

 

Questa è la sfida etica dei prossimi anni riguardo all’Intelligenza Artificiale, e di cui Father Justin, questa volta, ha pagato il prezzo.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Pensiero

Sterminio e «matrice satanica del piano globalista»: Mons. Viganò invita a «guardare oltre» la farsa psicopandemica

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Monsignor Carlo Maria Viganò ha inviato un suo intervento al convegno «La morte negata», svoltosi il 10 Maggio 2024 presso l’Auditorium Gavirate (Varese).   «Uno degli effetti più immediati dell’infernale operazione manipolatoria psicopandemica è costituito dal rifiuto delle masse di riconoscere di essere state oggetto di una colossale frode» dice l’arcivescovo nel suo messaggio.   Sotto pretesto di impedire la diffusione di un virus, presentato come mortale e incurabile «si sono costretti miliardi di persone a subire l’inoculazione con un farmaco sperimentale che si sapeva essere inefficace per lo scopo dichiarato. E per fare ciò, le autorità preposte non hanno esitato a screditare le cure esistenti, che di quel siero genico avrebbero reso impossibile l’autorizzazione al commercio».

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«Il motivo di questo istintivo rifiuto delle masse di riconoscersi vittima di un vero e proprio crimine contro l’umanità non toglie però l’evidenza delle intenzioni degli autori di questo crimine. Queste intenzioni, dichiarate da decenni sulla base di una grottesca falsificazione della realtà, si concretizzano in un’azione sistematica volta a favorire la depopolazione del Pianeta mediante pandemie, carestie, guerre e scontri tra diverse fasce della popolazione, impoverimento delle classi più deboli e drastica riduzione di quei servizi pubblici – tra i quali la Sanità e la Previdenza sociale – che lo Stato dovrebbe garantire ai propri cittadini».       «Ma se una lobby di personaggi ricchissimi dichiara di voler ridurre la popolazione mondiale mediante vaccinazioni di massa che provochino sterilità, malattie e morte; e se queste vaccinazioni provocano effettivamente sterilità, malattie e morte in milioni di inoculati, credo dovremmo noi tutti – e rivolgo il mio appello agli illustri giuristi e intellettuali, oltre che ai medici e agli scienziati – alzare lo sguardo e non limitarci ad un’indagine che abbia come unico oggetto gli effetti avversi e mortali del siero sperimentale» dice il prelato.   «Se non inquadriamo la gestione della psicopandemia nel contesto più vasto del piano criminale che l’ha progettata, ci precludiamo la possibilità non solo di comprendere la premeditazione del crimine, ma anche di vedere su quali altri fronti siamo o saremo oggetto di nuovi attacchi, che però hanno in comune con questa l’obiettivo finale, ossia l’eliminazione fisica di miliardi di persone».   «Le falle del capillare sistema di censura che va instaurandosi in quasi tutti gli Stati occidentali – o meglio: di quelli che soggiacciono ai diktat dell’OMS e della cupola eversiva del World Economic Forum – hanno consentito a molti di noi di vedere dimostrato un dato incontestabile: questi sieri, prodotti da enti governativi usando virus geneticamente modificati con il Gain of Function e sottoposti al segreto militare, non solo non servono a curare la fantomatica malattia da COVID-19, ma inducono gravi effetti avversi e anche la morte; e questo non è dovuto soltanto alla nuova tecnologia mRNA con cui vengono prodotti, ma alla presenza di sostanze che non hanno alcuna attinenza con la dichiarata finalità di combattere il virus» dichiara Viganò.   Sostanze, sostiene monsignore, «che guarda caso sono oggetto di brevetti a dir poco inquietanti, depositati ben prima del lancio dell’operazione pandemica».

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«Premesso dunque che questi sieri non fanno quanto dichiarato in sede di approvazione da parte delle agenzie sanitarie, ma che al contrario si dimostrano efficacissimi nell’indurre patologie anche gravissime, nel provocare la morte e nel determinare la sterilizzazione degli inoculati, occorre compiere il passo successivo – che è quello maggiormente temuto dal Sistema che li ha imposti – e dunque denunciare il dolo e la premeditazione – la mens rea, direbbero gli esperti di diritto – di chi ha deliberatamente usato una falsa pandemia per sterminare la popolazione, coerentemente ad una visione folle e antiumana che considera l’umanità come il cancro del Pianeta».   «Ecco perché vi invito a compiere il passo successivo, in questa meritoria operazione di verità e di denuncia nella quale siete coraggiosamente impegnati».   «Non fate le domande sbagliate, perché ne avrete risposte sbagliate. Se partite dal presupposto che le Autorità sanitarie abbiano agito con scopi leciti e che gli errori commessi siano dovuti ad imperizia o alla pressione dell’emergenza; se date per scontato che i produttori del siero genico abbiano come finalità la cura delle malattie e non il più cinico profitto e la creazione di malati cronici, finite col falsificare la realtà e le conclusioni cui giungerete saranno necessariamente fuorvianti».   «Abbiate piuttosto un approccio forense, per così dire, in modo che appaia evidente la perfetta coerenza tra gli strumenti adottati e i risultati ottenuti, a prescindere dagli scopi dichiarati; sapendo che le vere motivazioni, proprio per la loro intrinseca volontà di nuocere, non potevano che essere dissimulate e negate. Chi mai ammetterebbe, prima di imporre fraudolentemente una terapia genica di massa, che l’obiettivo che intende raggiungere è far ammalare, uccidere o rendere sterile una vastissima fascia della popolazione mondiale?»   «Ma se questo è ciò che l’ideologia neomalthusiana si prefigge; se vi sono prove che dolosamente sono stati nascosti gli effetti avversi dei sieri; se nei differenti lotti sono presenti sostanze che non hanno alcuna giustificazione profilattica ma che al contrario inducono patologie e consentono manomissioni del DNA umano, le conclusioni logiche non possono non evidenziare la volontà criminale, e quindi la complicità colpevole di Istituzioni pubbliche, enti privati, addirittura dei vertici della Gerarchia cattolica, dei media (…) della intera classe medica (…) in un’operazione di sterminio di massa» dice ancora Monsignore.   «La domanda che ora dobbiamo porci – e che dobbiamo porre a chi pretende di governarci e di imporci norme e comportamenti che influiscono direttamente sulla nostra vita quotidiana e sulla nostra salute – non è perché i sieri siano stati imposti ancorché dimostratamente dannosi e mortali, ma per quale motivo nessun organo dello Stato – il cui fine ultimo è il bene comune, la salute e il benessere dei cittadini – abbia posto fine a questo crimine, ed anzi se ne sia reso complice giungendo a violare i diritti fondamentali e a calpestare la Costituzione» continua il prelato.   «Quis custodiet ipsos custodes? chiede Giovenale (Satire, VI, 48-49). Se un sistema di governo giunge a strutturarsi in modo tale che chi è costituito in autorità possa nuocere a coloro che devono obbedirgli; se forze non legittimate da alcun mandato politico o sociale riescono a manovrare interi governi e istituzioni sovranazionali con l’intento di appropriarsi del potere e di concentrare nelle proprie mani ogni strumento di controllo e ogni risorsa – finanza, salute, giustizia, trasporti, commercio, alimentazione, istruzione, informazione; se una cupola eversiva può vantarsi pubblicamente di avere premier, ministri e funzionari al proprio servizio, dobbiamo aprire gli occhi e denunciare il venir meno di quel patto sociale che sta alla base della convivenza civile e che legittima la delega dell’autorità da parte del popolo ai propri rappresentanti».

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«Da qui, inevitabilmente, dovrà scaturire la consapevolezza che la pandemia – così come l’emergenza climatica e tutte le altre pseudocatastrofi prospettate a scopo intimidatorio dalla medesima lobby – costituisce un tassello fondamentale nel quadro di un più vasto colpo di Stato globale cui occorre opporsi, che è imprescindibile denunciare e i cui responsabili – tanto ai vertici di queste organizzazioni eversive quanto nei Governi, nelle Istituzioni pubbliche e nella Chiesa Cattolica – andranno inesorabilmente processati e condannati per alto tradimento e per crimini contro l’umanità» sostiene il religioso.   «Ma per fare questo – dovrete darmene atto, dopo quattro anni – è indispensabile comprendere che questa lobby criminale agisce per il Male, serve il Male, persegue la morte non solo del corpo ma anche dell’anima di ciascuno di noi; che i suoi emissari sono servi di Satana, votati alla distruzione di tutto ciò che ricorda anche lontanamente l’opera perfetta della Creazione, che rimanda all’atto generoso e gratuito con cui il Creatore infonde la vita. Satana è omicida sin dal principio (Gv 8, 44) e chi lo serve non può che volere la morte, qualsiasi sia il mezzo con cui infliggerla».   «Fingere di aver a che fare con dei vili mercanti interessati solo al denaro e non vedere la matrice satanica del piano globalista costituisce un imperdonabile errore che nessuno di noi può compiere, se vogliamo davvero fermare la minaccia incombente sull’umanità intera» conclude monsignor Viganò.  

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Geopolitica

La polifonia vaticana sulla guerra in Ucraina

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Mentre il conflitto tra Ucraina e Russia entra nel suo terzo anno, nelle dichiarazioni ufficiali della Santa Sede sono emersi diversi punti di vista, sia da parte del Santo Padre che dei servizi diplomatici della Segreteria di Stato.

 

Sinfonia? Cacofonia? Dissonanza intenzionale? Che si sia entusiasti o meno dell’attuale pontificato, varia notevolmente l’apprezzamento delle differenze di tono che si osservano al di là del Tevere nella trattazione del conflitto russo-ucraino.

 

Da parte del Papa, Papa Francesco ripete da mesi costantemente i suoi appelli alla pace per la ragione che «la guerra è sempre una sconfitta» e che coloro che vincono sono i “fabbricanti di armi”. È una posizione che ha il merito di restare immutata.

 

In un’intervista alla televisione svizzera RTS del 2 febbraio 2024, andata in onda a marzo, il Papa ha invitato l’Ucraina ad avere «il coraggio di negoziare»: «credo che il più forte sia chi vede la situazione, chi pensa del popolo, che ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare», ha dichiarato, chiedendo che la mediazione venga effettuata da un paese che lo ha offerto, come la Turchia.

 

Sarà un negoziato necessario per evitare il «suicidio» del Paese. Il Papa ha poi risposto a una domanda sul tema del «bianco», parlando delle virtù del bianco ma anche della «bandiera bianca». Le sue dichiarazioni hanno innescato una crisi diplomatica tra Santa Sede e Ucraina, ma che avrebbero lo scopo di sottolineare la posizione pacifista di un Papa che mette la sacralità della vita al di sopra di ogni altra cosa.

 

Per il capo della diplomazia ucraina, a cui si uniscono le voci più critiche all’interno della Chiesa nei confronti dell’attuale Romano Pontefice, si tratterebbe di un atteggiamento che evoca la «neutralità osservata da Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale».

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Il Vaticano ha tentato di chiudere la polemica: «il Papa usa il termine bandiera bianca, e risponde riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare una cessazione delle ostilità, una tregua raggiunta con il coraggio del negoziato», ha spiegato il direttore della Lo ha affermato la Sala Stampa della Santa Sede.

 

Il 24 aprile Francesco insisteva e affermava in una nuova intervista concessa al canale americano CBS: «cercate di negoziare. Cerca la pace. Una pace negoziata è meglio di una guerra senza fine», sottolinea il Sommo Pontefice, alludendo sia alla guerra in Ucraina che alla situazione a Gaza.

 

Da parte della Segreteria di Stato i toni non sono esattamente gli stessi. Dall’inizio del conflitto, la diplomazia vaticana non ha mai difeso una capitolazione dell’Ucraina. In più occasioni, i suoi due più alti funzionari, il cardinale Pietro Parolin e l’arcivescovo Paul Gallagher, hanno ammesso pubblicamente la legittimità di una guerra difensiva, inviando anche armi per realizzarla.

 

In una recente intervista con la rivista America del 25 marzo 2024, l’arcivescovo Gallagher ha affermato di ritenere che «la Russia non stabilisce le condizioni necessarie [per negoziare]. Le condizioni necessarie, che sono nelle mani della Russia, sono fermare gli attacchi, fermare i missili». Afferma anche della Santa Sede che «non sosteniamo che i confini dei paesi debbano essere modificati con la forza».

 

I gesuiti della Civiltà Cattolica – rivista influente in Italia, e teoricamente vidimata dalla Santa Sede prima della pubblicazione – hanno difeso una posizione diversa da quella di Papa Francesco e della Segreteria di Stato, sostenendo una futura controffensiva ucraina e un sostegno più forte dall’Europa e dalla NATO per l’Ucraina. Cosa si può dire di questo concerto a più voci?

 

Un funzionario vaticano, citato in condizione di anonimato da La Croix, riassume la situazione dipingendo un quadro sfumato della più antica diplomazia del mondo: «Siamo neutrali ma senza indifferenza etica. La storia è più complessa di un mondo in bianco e nero. Per noi Ucraina e Russia non sono due realtà sociopolitiche completamente separate…»

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic

 

 

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