Il risultato delle elezioni statunitensi non segna il trionfo dei Democratici e di un vecchio senatore, ma della corrente repubblicana sui jacksoniani; lungi dal riflettere le opinioni politiche dei cittadini, cela la crisi di civiltà che affonda il Paese.
Politica
Elezioni presidenziali USA: aprite gli occhi!

Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire.
Le elezioni presidenziali del 2020 confermano la tendenza generale, in atto dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica: la popolazione statunitense attraversa una crisi di civiltà e si sta inesorabilmente avviando verso una nuova guerra civile che, secondo logica, dovrebbe sfociare nella divisione del Paese. Quest’instabilità dovrebbe concludersi con la fine dell’Occidente come iperpotenza.
La popolazione statunitense attraversa una crisi di civiltà e si sta inesorabilmente avviando verso una nuova guerra civile che, secondo logica, dovrebbe sfociare nella divisione del Paese
Per capire quanto accade è necessario ignorare il terrore che suscita nelle élite europee la prossima sparizione della potenza che le protegge da tre quarti di secolo e guardare con onestà intellettuale alla storia mondiale degli ultimi trent’anni.
Occorre altresì reimmergersi nella storia degli Stati Uniti e rileggerne la Costituzione.
L’ipotesi della dissoluzione di NATO e Stati Uniti d’America
Quando, dopo tre quarti di secolo di dittatura assoluta, l’Unione Sovietica crollò, quanti se lo auguravano da tempo vennero tuttavia colti di sorpresa. Per anni la CIA aveva organizzato il sistematico sabotaggio della sua economia e denigrato ogni sua realizzazione; ma non aveva previsto che il regime sarebbero stato rovesciato dalle popolazioni sovietiche, in nome degli stessi ideali.
Tutto cominciò con una catastrofe che lo Stato non seppe evitare: l’esplosione nel 1986 della centrale nucleare di Chernobyl. Circa 250 mila persone dovettero lasciare definitivamente la propria terra. L’incompetenza all’origine della catastrofe mise fine alla legittimità della dittatura.
Nei successivi cinque anni gli alleati del Patto di Varsavia riacquistarono l’indipendenza e l’URSS si smembrò. Il processo, condotto dal principio alla fine dalla Gioventù comunista in ogni Paese satellite, fu all’ultimo momento strumentalizzato dal sindaco di Mosca Boris Eltsin e dalla sua équipe, formatasi a Washington. Il saccheggio dei beni collettivi che ne seguì e il conseguente crollo economico fecero regredire di un secolo la nuova Russia.
Il crollo sarà preceduto dalla perdita della forza centripeta e dall’abbandono dei vassalli. Chi avrà lasciato la nave prima del naufragio avrà più possibilità di riportare danni minori
Gli Stati Uniti dovrebbero dissolversi allo stesso modo: il crollo sarà preceduto dalla perdita della forza centripeta e dall’abbandono dei vassalli. Chi avrà lasciato la nave prima del naufragio avrà più possibilità di riportare danni minori. La NATO dovrebbe estinguersi prima degli USA, così come il Patto di Varsavia morì prima dell’URSS.
La forza centrifuga degli Stati Uniti
Gli Stati Uniti sono un Paese molto giovane, con una storia di soli duecent’anni. Ancora oggi la popolazione si forma con ondate successive di migranti provenienti da ogni parte del mondo.
Secondo il modello britannico, ogni comunità conserva la propria cultura e non si mescola con le altre. Il concetto di «crogiuolo» (melting pot) si è concretizzato solo dopo il ritorno dei soldati neri dalla seconda guerra mondiale e con l’abolizione della segregazione razziale che ne seguì sotto Eisenhower e Kennedy, per poi scomparire di nuovo.
Per una ventina d’anni la popolazione si è cristallizzata. E dal crollo dell’Unione Sovietica a oggi si sta di nuovo ghettizzando, non più secondo differenze razziali, ma culturali. Il Paese è di fatto già diviso
La popolazione statunitense si sposta molto da uno Stato all’altro. Dalla prima guerra mondiale, fino alla fine della guerra del Vietnam, le sue componenti hanno tentato di coabitare in alcuni quartieri. Per una ventina d’anni la popolazione si è cristallizzata. E dal crollo dell’Unione Sovietica a oggi si sta di nuovo ghettizzando, non più secondo differenze razziali, ma culturali. Il Paese è di fatto già diviso.
Già ora gli Stati Uniti non sono più un’unica nazione, bensì 11 distinte.
Il conflitto interno della cultura anglosassone
La mitologia delle origini degli Stati Uniti collega la nascita del Paese ai 67 «Padri Pellegrini», gl’immigrati del Mayflower, un gruppo di cristiani fanatici inglesi che vivevano in «comunità» nei Paesi Bassi. Ottennero dalla Corona l’incarico di insediarsi nel Nuovo Mondo per combattere l’impero spagnolo. Alcuni di loro sbarcarono nel Massachusetts, dove edificarono una società settaria, la colonia di Plymouth (1620). Facevano indossare il velo alle donne e punivano con duri castighi corporali chi aveva peccato, così allontanandosi dalla «Via Pura», da qui il loro nome: i Puritani.
Gli statunitensi non conoscono quale fosse la missione politica dei Padri Pellegrini né il loro settarismo
Gli statunitensi non conoscono quale fosse la missione politica dei Padri Pellegrini né il loro settarismo, tuttavia li celebrano con la festa del Thanksgiving. Questi 67 fanatici ebbero notevole influenza su un Paese che oggi conta 328 milioni di abitanti. Otto dei 46 presidenti degli Stati Uniti – tra cui Franklin Roosevelt e i due Bush – ne sono diretti discendenti.
I Puritani organizzarono in Inghilterra una rivoluzione imperniata su Lord Oliver Cromwell. Decapitarono il re, fondarono una repubblica intollerante, il Commonwealth, massacrarono gli eretici irlandesi (papisti). Avvenimenti chiamati dagli storici Prima Guerra Civile (1642-1651).
Oltre un secolo dopo i puritani del Nuovo Mondo si ribellarono allo schiacciante peso delle tasse imposte dalla monarchia britannica, dando inizio a quella che gli storici statunitensi chiamano Guerra d’Indipendenza (1775-1783).
Gli storici britannici la considerano invece «Seconda Guerra Civile». Infatti, se i coloni che la combatterono erano povera gente che lavorava duro, a organizzarli erano i discendenti dei Padri Pellegrini, bramosi di affermare il proprio ideale settario di fronte alla monarchia britannica restaurata.
Ottant’anni dopo gli Stati Uniti si lacerarono con la Guerra di Secessione (1861-1865) – che alcuni storici chiamano «Terza Guerra Civile» anglosassone – in cui gli Stati fedeli alla Costituzione originaria, che volevano mantenere i dazi interni, si scontrarono con gli Stati che volevano invece instaurare dazi a livello federale, sì da creare un unico grande mercato interno. Ma questa guerra opponeva anche le élite puritane del Nord alle élite cattoliche del Sud, riverberando le divergenze delle due precedenti guerre.
Anche la «Quarta Guerra Civile» anglosassone che si sta delineando è ordita dalle élite puritane
Anche la «Quarta Guerra Civile» anglosassone che si sta delineando è ordita dalle élite puritane. La continuità è mascherata dalla trasformazione di queste élite, che ora non credono più in Dio ma sono animate dallo stesso fanatismo. Sono le classi dirigenti dedite oggi alla riscrittura della storia del Paese; secondo loro, gli Stati Uniti sono un progetto razzista degli europei, che i Padri Pellegrini non sono riusciti a correggere.
Sono convinti che bisogni ripristinare la «Via Pura» distruggendo i simboli del Male, come le statue dei monarchi, degli inglesi e dei confederati. Usano un linguaggio «politicamente corretto», affermano che esistono diverse «razze» umane, scrivono «Nero» in maiuscolo e «bianco» minuscolo, e si avventano sugli astrusi supplementi del New York Times.
La storia recente degli Stati Uniti
Ogni Paese ha i propri demoni. Il presidente Richard Nixon era convinto che il primo pericolo da cui gli Stati Uniti dovessero difendersi non fosse la guerra nucleare con l’URSS, ma una possibile «Quarta Guerra Civile» anglosassone. Si avvaleva della consulenza di uno specialista in materia, lo storico Kevin Phillips, il consigliere elettorale che gli consentì di accedere due volte alla presidenza. Ma gli eredi dei Padri Pellegrini non condividevano la sua preoccupazione e lo fecero precipitare nello scandalo Watergate (1972), ordito all’indomani della sua rielezione, dal vice e successore di J. Edgar Hoover.
Il presidente Richard Nixon era convinto che il primo pericolo da cui gli Stati Uniti dovessero difendersi non fosse la guerra nucleare con l’URSS, ma una possibile «Quarta Guerra Civile» anglosassone
Quando la potenza USA cominciò a perdere slancio, la lobby imperialista, dominata dai Puritani, issò al potere un diretto discendente dei 67 Padri Pellegrini, il repubblicano George Bush figlio che, sotto lo sguardo attonito dei concittadini, organizzò uno choc emozionale (gli attentati dell’11 settembre 2001) e adattò le forze armate alle esigenze del nuovo capitalismo finanziario.
L’opera fu continuata dal successore, il democratico Barack Obama, che vi adattò l’economia. A tale scopo scelse i suoi più importanti collaboratori tra i membri della Pilgrim’s Society.
Nel 2016 accadde un fatto dirompente. Un conduttore televisivo, che aveva contestato la trasformazione del capitalismo e la versione sugli attentati dell’11 settembre, Donald Trump, si candidò alla presidenza. Conquistò dapprima il Partito Repubblicano, poi la Casa Bianca.
Gli stessi che si erano liberati di Nixon cominciarono ad attaccare Trump ancor prima dell’investitura. Adesso sono riusciti a sventare il pericolo di una sua rielezione stipando maldestramente le urne. Ma quel che importa è che durante il mandato di Trump sono emersi secoli di malumori inespressi. Grazie ai Puritani, gli statunitensi sono di nuovo divisi.
Quando la potenza USA cominciò a perdere slancio, la lobby imperialista, dominata dai Puritani, issò al potere un diretto discendente dei 67 Padri Pellegrini, il repubblicano George Bush figlio che, sotto lo sguardo attonito dei concittadini, organizzò uno choc emozionale (gli attentati dell’11 settembre 2001) e adattò le forze armate alle esigenze del nuovo capitalismo finanziario.
Per questa ragione, sebbene sia evidente che la maggior parte degli statunitensi non abbia votato con entusiasmo un vecchio senatore, mi sembra sbagliato affermare che quest’elezione 2020 sia stata un referendum pro o contro Trump. Si è trattato invece di un referendum pro o contro i Puritani.
Un risultato utile al progetto dei Padri Pellegrini
Quando finì la Guerra d’indipendenza – o, se si preferisce, la Seconda Guerra Civile anglosassone – i successori dei Padri Pellegrini redassero la Costituzione. Non fecero mistero di voler creare un sistema aristocratico sul modello inglese, né nascosero il loro disprezzo per il popolo: la Costituzione degli Stati Uniti non riconosce infatti la sovranità popolare, ma quella dei governatori.
Il popolo, che aveva fatto e vinto la guerra, accettò, ma impose dieci emendamenti: la Dichiarazione dei Diritti (Bill of Right), che stabilisce che la classe dirigente non può in alcun caso calpestare i diritti dei cittadini in nome di una supposta «ragione di Stato». La Costituzione così emendata vige ancora oggi.
Quel che importa è che durante il mandato di Trump sono emersi secoli di malumori inespressi. Grazie ai Puritani, gli statunitensi sono di nuovo divisi
Se si prende atto che gli Stati Uniti costituzionalmente non sono, e mai sono stati, una democrazia, il risultato delle elezioni non può indignare. Nel corso di due secoli nelle elezioni presidenziali il voto popolare, benché non previsto dalla Costituzione, si è progressivamente imposto in tutti gli Stati federati. Nella designazione dei 538 delegati al Collegio elettorale presidenziale, i governatori devono seguirne le indicazioni.
Per questa ragione alcuni governatori hanno con poca abilità stipato le urne: in oltre una contea su dieci il numero dei votanti è stato superiore a quello della popolazione maggiorenne. Non se ne dispiacciano i commentatori: è impossibile stabilire quanti elettori abbiano realmente votato e per chi.
Un cupo avvenire
In simili circostanze, il presidente eletto, Joe Biden, non potrà ignorare la giustificata furia dei partigiani dell’avversario. Non potrà unire il popolo. Quattro anni fa ho scritto che Trump sarebbe stato il Gorbaciov degli Stati Uniti. Mi sbagliavo: ha saputo ridare nuovo slancio al Paese. Alla fin fine sarà Joe Biden che non riuscirà a preservare l’unità territoriale degli Stati Uniti.
Alla fin fine sarà Joe Biden che non riuscirà a preservare l’unità territoriale degli Stati Uniti
Gli Alleati che non vedono avvicinarsi la catastrofe ne pagheranno pesanti conseguenze.
Politica
Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.
Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».
«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».
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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.
«Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.
Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.
Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.
Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

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Politica
Il governo francese collassa

Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.
Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.
Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.
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Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.
Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.
La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.
Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.
Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni
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