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«Mondo alla rovescia dell’infernale tirannide massonica»: meditazione del Venerdì Santo di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica la meditazione per il Venerdì Santo dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò.

 

 

OBEDIENS USQUE AD MORTEM

Meditazione nel Venerdì di Parasceve in Passione et Morte Domini

 

 

Christus factus est pro nobis
obediens usque ad mortem, mortem autem crucis:
propter quod et Deus exaltavit illum,
et dedit illi nomen, quod est super omne nomen;
ut in nomine Jesu omne genu flectatur
cœlestium, terrestrium et infernorum:
et omnis lingua confiteatur,
quia Dominus Jesus Christus
in gloria est Dei Patris.

Fil 2, 8-11

 

Ecce lignum Crucis, in quo salus mundi pependit. Un’antichissima melodia accompagna, in tre tonalità crescenti, lo svelamento della Santa Croce durante i riti del Venerdì Santo. È un grido, un monito, un invito alla conversione e alla penitenza: Ecco il legno della Croce, alla quale fu appesa la salvezza del mondo.

 

Ma il mondo non vuole la salvezza da Cristo. Non vuole la Croce. Non vuole riconoscersi peccatore, nel suo folle orgoglio di poter prescindere da Dio e dalla Sua santa Legge. Per il mondo non vi è peccato, se non nel compiere il bene; non vi è vizio, se non nel praticare la virtù; non vi è paradiso, se non in terra e in vendita per chi se lo può permettere; non vi è inferno, se non per i rigidi e gli indietristi.

 

In questo mondo alla rovescia, nel quale spadroneggia l’infernale tirannide massonica, la sovranità non appartiene a Dio né ai Suoi vicari temporali e spirituali, perché sulle corone dei Re e dei Papi svetta l’odiato simbolo della Redenzione, la Croce su cui Gesù Cristo, Re e Pontefice, ha ricapitolato in Sé tutte le cose.

 

La splendida antifona che cantiamo durante il Triduo alla fine delle Ore canoniche, ci ricorda con San Paolo che questa Redenzione si è compiuta nell’obbedienza: nell’obbedienza fino alla morte, e alla morte di Croce. Ma ci ammonisce anche che l’obbedienza della Seconda Persona della Santissima Trinità all’eterno Padre merita al Figlio di essere esaltato, perché nel Suo Nome ogni ginocchio si pieghi in cielo, sulla terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre (Fil 2, 10-11).

 

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Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani (1Cor 1, 23). Perché è nell’umiliazione di sé e nell’obbedienza alla divina Volontà che noi otteniamo la corona della vittoria. E non vi è Resurrezione senza Passione, non vi è ricompensa senza prova, né premio senza competizione. Non dimentichiamo che la Croce è destino di ciascuno di noi e della Chiesa nel suo insieme. Essa, come Corpo Mistico, deve seguire il Maestro nella passio Ecclesiæ.

 

Noi, come membra vive della Chiesa, dobbiamo fare lo stesso nella quotidiana abnegazione e nella sequela Christi.

 

Alter alterius onera portate (Gal 6, 2), ci esorta San Paolo: portate ognuno i pesi dell’altro, e così adempirete la legge di Cristo. Ed è appunto Nostro Signore che ci dà l’esempio: nell’aver portato la Croce che avrebbe mille volte meritato ciascuno di noi; e nel portare la nostra croce con noi, quando vorremmo essere noi a sceglierla.

 

Semmai ci illudessimo di poter decidere quale deve essere la croce con cui meritiamo il Cielo, saremmo ben presto consapevoli di non essere capaci, con le nostre miserabili forze, nemmeno di affrontare la più insignificante molestia, e certamente non le prove che potrebbero attenderci in questi tempi travagliati.

 

Al contrario, la croce che il Signore ha scelto per noi, per quanto onerosa e difficile da portare, vedrà sempre al nostro fianco il divino Cireneo ad aiutarci con la Sua Grazia.

 

L’ora delle tenebre che si approssima ci sproni a considerare le tribolazioni e le prove che dovremo affrontare come un crogiolo, dal quale l’oro della nostra santità ne uscirà purificato e nel quale le macchie della nostra miseria verranno consumate.

 

Abbracciamo dunque questa santa Croce, perché sia il nostro unico punto di riferimento, mentre il mondo sprofonda sotto le macerie dei suoi inganni. Stat Crux, dum volvitur orbis.

 

E così sia.

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

18 Aprile 2025
Feria VI in Parasceve

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Immagine: Raffaello (17483-1520), Deposizione Altare Baglioni (1507), Galleria Borghese, Roma.

Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia

 

 

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Quarant’anni fa, l’arcivescovo Lefebvre diceva la verità

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Nel 1985, l’arcivescovo Lefebvre pubblicò la sua Lettera aperta ai cattolici perplessi.   Quarant’anni dopo, nel 2025, il sito web americano The Remnant ha pubblicato, sotto la penna di Robert Morrison, un articolo intitolato «La sacra saggezza dell’arcivescovo Marcel Lefebvre sulla crisi della Chiesa cattolica», in cui citava ampi estratti di questa lettera aperta, riconoscendo che «le citazioni dell’arcivescovo Lefebvre suonano più vere oggi di quando le scrisse decenni fa, e illuminano il cammino da seguire per rimanere fedeli cattolici».   Due anni dopo, nel 1987, l’arcivescovo Lefebvre avevaa pubblicato Lo hanno detronizzato: dal liberalismo all’apostasia, la tragedia conciliare. Nel 2025, sullo stesso sito, The Remnant , apparve un articolo di Andrew Pollard intitolato «Cristo Re deve essere re-incoronatoper salvare il mondo».   Quarant’anni fa, agli occhi dei «moderati» impenitenti, l’arcivescovo Lefebvre poteva sembrare uno di quei «profeti di sventura» che Giovanni XXIII non voleva più sentire quando aprì il Concilio Vaticano II, con un ottimismo la cui ingenuità oggi fa sorridere… o piangere.

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Vediamo lo stato attuale della Chiesa: pratica religiosa al suo punto più basso, seminari deserti, conventi vuoti, chiese distrutte o trasformate in sale espositive. Oggi non siamo più «perplessi», ma convinti che la diagnosi di Monsignor Lefebvre fosse corretta.   I fatti gli danno ragione in modo inconfutabile e i rimedi da lui proposti sono più che mai attuali, proprio perché non sono suoi, ma quelli della Tradizione bimillenaria: «Ho trasmesso ciò che ho ricevuto».   Quarant’anni è il tempo impiegato dagli Ebrei ad attraversare il deserto verso la Terra Promessa. Non osiamo affermare che presto raggiungeremo la terra «dove scorre latte e miele», ma adottiamo l’atteggiamento coraggioso dei veri pellegrini.   Nel deserto spirituale in cui viviamo, non costruiamoci idoli a nostra immagine e somiglianza e non rimpiangiamo le “cipolle d’Egitto”: questa sazietà di beni materiali offerta dal progresso tecnico, in cambio della servitù all’ideologia consumistica promossa dai nuovi faraoni.   Andiamo avanti! Non seguendo idoli moderni, ma dietro l’icona della Santissima Vergine. Andiamo avanti! Non sazi delle cipolle appassite di un edonismo ampiamente biodegradato, ma ben fortificati dalla manna della Santa Eucaristia. Andiamo avanti! Con l’inossidabile certezza che alla fine di questa lunga marcia si trova il trionfo dei Cuori uniti di Gesù e Maria.   Smettiamo di lamentarci dell’aridità del deserto spirituale che ci circonda, con i suoi tanti accessori a buon mercato. Con la grazia di Dio, scaviamo dentro di noi un’avidità spirituale : la fame e la sete dell’Unico necessario.   Abate Alain Lorans   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Immagine di Fotocollectie Elsevier Nationaal Archief via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0); immagine modificata
         
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Papa Leone incontra le vittime di abuso poco dopo aver lodato don Milani

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Papa Leone XIV ha incontrato gli attivisti di ECA (Ending Clergy Abuse), rete costituita da vittime di abusi del clero particolarmente attiva negli Stati Uniti. I giornali mainstream riportano la notizia sottolineando come si tratterebbe di una «prima volta».

 

Si tratta del primo tra Papa Leone XIV e un gruppo di vittime, nonché il primo con un’associazione dedicata alla lotta contro gli abusi. I suoi predecessori, da Benedetto XVI a Francesco I, avevano incontrato gruppi di vittime, ma mai organizzazioni strutturate come ECA, che ha seguito molti viaggi di papa Francesco con proteste, specialmente nei Paesi più colpiti dagli abusi, senza però essere mai ricevuta. Oggi, invece, l’associazione ha varcato le porte del Vaticano.

 

Pochi giorni fa, la Pontificia Commissione per la tutela dei minori aveva pubblicato il Rapporto annuale, evidenziando la lentezza di alcune diocesi nel contrastare gli abusi. Tra i casi critici è stato citato l’Italia, con la CEI che ha replicato sottolineando gli sforzi compiuti in formazione e prevenzione.

 

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«È stata una conversazione profondamente significativa», ha dichiarato Gemma Hickey, presidente di ECA e sopravvissuta agli abusi in Canada. «Riflette un impegno comune per la giustizia, la guarigione e un cambiamento autentico. I sopravvissuti hanno a lungo cercato un posto al tavolo, e oggi ci siamo sentiti ascoltati». ECA definisce l’incontro «un passo storico e pieno di speranza verso una maggiore cooperazione».

 

Non è chiaro se tale organizzazione di vittime, premiata con l’udienza papale a favore di telecamere, abbia presente che solo pochi giorni fa il papa ha lodato, per la seconda volta, un sacerdote, diciamo così, controverso, definendolo perfino ripetutamente «profeta».

 

Il quadretto edificante avviene infatti a poche ore da un riferimento entusiastico fatto nei confronti di Don Milani. L’11 ottobre, parlando ai pellegrini delle diocesi toscane, Prevost ha citato in modo molto benevolo il controverso prete-maestro della Barbiana: «Don Lorenzo Milani, profeta della Chiesa toscana, che Papa Francesco ha definito “testimone e interprete della trasformazione sociale ed economica”, aveva come motto “I care“, cioè “mi importa”, mi interessa, mi sta a cuore».

 

Non è la prima volta. Il 12 giugno all’incontro con il clero della diocesi di Roma aveva definito di Don Lorenzo Milani come di «un profeta di pace e giustizia».

 

Scandali vari – il più grosso esploso sui giornali nel 2017, all’altezza dell’uscita del romanzo di Walter Siti Bruciare tutto, che faceva a partire dalla sua dedica un pesante ammiccamento – hanno portato alla luce lettere scritta da Don Milani dal contenuto fortemente inquietante.

 

In un lettera di Don Milani a Giorgio Pecorini, contenuta nel libro di quest’ultimo Don Milani! Chi era Costui? (Baldini&Castoldi, 1996, pp. 386-391), il presbitero autore del celebre Lettera ad una professoressa scriveva:

 

«… Come facevo a spiegare che amo i miei parrocchiani più che la Chiesa e il Papa? E che se un rischio corro per l’anima mia non è certo quello di aver poco amato, ma piuttosto di amare troppo (cioè di portarmeli anche a letto!) (…) E chi potrà mai amare i ragazzi fino all’osso senza finire col metterglielo anche in culo se non un maestro che insieme a loro ami anche Dio e tema l’Inferno e desideri il Paradiso?». Il corsivo è nostro.

 

In un’altra lettera ad un amico vi sarebbe scritto «Vita spirituale? Ma sai in che consiste oggi per me? Nel tenere le mani a posto».

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Nonostante questi fatti, e voci ricorrenti sul personaggio che non circuitavano solo nei circoli tradizionalisti a lui ostili, negli anni scorsi la chiesa toscana sembrava indirizzata a tentare il processo di beatificazione del Milani, processo che, con evidenza, davanti a questi macigni subì una battuta d’arresto.

 

Ciononostante, il 20 giugno 2017 Bergoglio – che aveva avuto pure i suoi scandali con il caso della «Casita de Dios», ma anche col presbitero cileno Karadima, col prete ciellino don Inzoli etc. – effettuò un «pellegrinaggio» (sic – proprio come per i viaggi presso santuari e luoghi sacri) a Barbiana, per onorare don Milani. Un segnale che per molti è apparso chiaro, e terrificante.

 

Ora, papa Prevost si rivela, come in tanti altri temi, dalla sin0dalità all’omotransessualismo alla farsa climatica – totalmente in linea con il predecessore, lasciando intendere un papato di continuità totale con la catastrofe conciliare in generale e la catastrofe bergogliana in particolare.

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«Persecuzione feroce e genocida contro i cattolici» e «vile e cortigiana complicità». Mons. Viganò contro Parolin sulle persecuzioni in Nigeria

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha pubblicato su X una dura accusa alle parole del cardinale segretario di Stato vaticano Pietro Parolin che sembrano sminuire la persecuzione anticristiana che sta insanguinando da anni la Nigeria.   «Conosco bene e porto quotidianamente nel cuore la situazione di sofferenza e di persecuzione dei Cattolici nigeriani, essendo vissuto in Nigeria per sei anni, dal 1992 al 1998, come Nunzio Apostolico» scrive Viganò ricordando la sua esperienza diplomatica.   «Le parole vergognose del cardinale segretario di Stato Pietro Parolin sul presunto “conflitto sociale” in Nigeria mistificano la realtà di una persecuzione feroce e genocida contro i Cattolici, martirizzati mentre Roma vaneggia di sinodalità e inclusività».   «Mentre la Gerarchia si schiera apertamente in favore dell’islamizzazione dell’Europa cristiana e osa definire “diritto umano” la libertà religiosa del Vaticano II, migliaia di fedeli continuano a testimoniare eroicamente il Vangelo di Cristo, e il loro sangue grida vendetta al Cielo» tuona il prelato lombardo.  

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«No, Eminenza: i Cattolici nigeriani sono uccisi in odio alla Fede che essi professano, da parte di mussulmani e in obbedienza al Corano. Quegli stessi mussulmani che stanno trasformando le vostre chiese in moschee, con la vostra vile e cortigiana complicità, e che presto rovesceranno i governi per imporre la sharia agli “infedeli”» continua l’arcivescovo.   «La responsabilità della chiesa bergogliana e post-bergogliana in questo crimine contro Dio e contro l’uomo rimarrà a perenne esecrazione del tradimento dei Pastori».   La persecuzione anticristiana in Nigeria si è aggravata dopo il 1999, quando 12 stati del Nord hanno adottato la sharia. L’ascesa di Boko Haram nel 2009 ha segnato un’ulteriore escalation, con il gruppo noto per il rapimento di centinaia di studentesse nel 2014, di cui 87 risultano ancora disperse.   Recentemente, attacchi nel Paese hanno incluso rapimenti e omicidi di sacerdoti e seminaristi cattolici. A luglio, la diocesi di Auchi, nello Stato di Edo, ha riferito che uomini armati hanno attaccato il Seminario Minore dell’Immacolata Concezione, uccidendo una guardia e rapendo tre seminaristi.   Come riportato da Renovatio 21rapporto pubblicato quest’estate dalla Commissione statunitense per la libertà religiosa internazionale (USCIRF) ha evidenziato numerosi attacchi sponsorizzati dallo Stato contro i cristiani in Nigeria.   La situazione è deteriorata al punto che il rapporto 2025 della Lista Rossa di Global Christian Relief (GCR) ha indicato la Nigeria come uno dei luoghi più pericolosi per i cristiani. Nella primavera del 2023, la Società Internazionale per le Libertà Civili e lo Stato di Diritto ha riferito che oltre 50.000 persone sono state uccise nel Paese per la loro fede cristiana dal 2009.

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Nel suo rapporto del 2025, l’USCIRF ha esortato il governo statunitense a designare la Nigeria come «paese di particolare preoccupazione», esprimendo delusione per la lentezza, e a volte apparente riluttanza, del governo nigeriano nel rispondere a questa violenza, creando un clima di impunità per gli aggressori.   Come riportato da Renovatio 21, gli ultras della nazionale romena, a quanto pare più cristiani di Parolin, durante una recente partita di qualificazione ai mondiali a Bucarest hanno esposto un grande striscione con la scritta «DIFENDETE I CRISTIANI NIGERIANI».     SOSTIENI RENOVATIO 21
 
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