Bioetica
Arabia Saudita, inconsistente la riforma della giustizia: ancora pena capitale per i minorenni
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di Asianews.
Ad aprile il re Salman aveva cancellato la condanna a morte per gli under 18. Ma i procuratori sauditi continuano ad armare la mano del boia. Human Rights Watch: la monarchia wahhabita usa «spin doctor» per uno sbandierato progresso che appare inesistente. Uno degli imputati aveva nove anni all’epoca dei fatti.
Riyadh ha chiesto di recente l’esecuzione di otto giovani, accusati di reati di pensiero e di aver promosso proteste. In un caso la persona aveva solo nove anni all’epoca dei fatti
I procuratori sauditi nei processi a carico di minorenni continuano a chiedere la condanna a morte dell’imputato, nonostante il recente annuncio della cancellazione della pena capitale per quanti hanno meno di 18 anni al momento in cui è avvenuto il reato. A confermarlo sono gli attivisti di Human Rights Watch (HRW), secondo cui Riyadh ha chiesto di recente l’esecuzione di otto giovani, accusati di reati di pensiero e di aver promosso proteste. In un caso la persona aveva solo nove anni all’epoca dei fatti.
Ad aprile re Salman aveva emanato un decreto, che metteva fine alle condanne a morte per i crimini commessi da minori e commutando la pena a un massimo di 10 anni di prigione in un carcere minorile. Tuttavia, al momento della pubblicazione dell’atto non veniva indicata la data di entrata in vigore della riforma mentre gruppi attivisti hanno avvertito che la pena capitale resta sempre valida.
Peraltro la convenzione Onu per i diritti dell’infanzia, che Riyadh ha sottoscritto, afferma che la pena capitale non va applicata per reati commessi da minorenni. Una prassi comune nel regno wahhabita, fra le nazioni al mondo con il maggior numero di repressioni ai diritti umani, perpetrati anche e soprattutto da apparati dello Stato.
La monarchia wahhabita usa «spin doctor» per uno sbandierato progresso che appare inesistente
Di recente Human Rights Watch ha ottenuto e analizzato le denunce relative a due processi di gruppo, uno dei quali include otto uomini alla sbarra dal 2019. I reati ascritti sarebbero stati commessi fra i 14 e i 17 anni; uno di essi, che ora ha 18 anni, è accusato di un crimine non violento che avrebbe commesso all’età di nove anni. Tutti gli imputati sono stati sottoposti a custodia cautelare in carcere per due anni.
Michael Page, vice-direttore HRW per il Medio oriente, parla di «spin doctor sauditi» che usano le riforme della magistratura come «marketing» per uno sbandierato progresso che, alla prova dei fatti, appare inesistente. I pubblici ministeri, infatti, «ignorano in modo palese» le disposizioni in chiave riformista e «proseguono come se nulla fosse».
Se Riyadh, conclude l’esperto, fosse seria nel cammino di riforma «del sistema penale, dovrebbe iniziare mettendo al bando la pena di morte per gli imputati minorenni» a prescindere dal reato ascritto.
Nel caso degli otto minor condannati a morte tutti provengono dalla provincia orientale, dove vive gran parte della minoranza sciita spesso oggetto di attacchi e persecuzioni nel regno wahhabita
Nel caso degli otto minori il pubblico ministero, che fa riferimento in modo diretto al monarca, ha avanzato diversi capi di imputazione che non sembrano affatto reati. Fra questi cercare di «destabilizzare il tessuto sociale partecipando a proteste e cerimonie funebri», oltre a «cantare slogan ostili al regime» e «cercare di fomentare discordia e divisioni». Tutti provengono dalla provincia orientale, dove vive gran parte della minoranza sciita spesso oggetto di attacchi e persecuzioni nel regno wahhabita.
In realtà il decreto non troverebbe applicazione per i reati qisas (nei casi di omicidio) o hudud, quelli riguardanti l’interpretazione che l’Arabia Saudita dà della fede islamica e che prevede pene specifiche. Fonti di HRW riferiscono che due degli imputati, al-Nimr e al-Faraj, hanno subito entrambi torture durante gli interrogatori e nella fase iniziale della detenzione, oltre a non aver potuto beneficiare dell’assistenza di un legale.
Lo scorso anno Riyadh ha giustiziato 37 persone, nel contesto di una esecuzione di massa. Una di queste era minorenne all’epoca dei fatti.
Lo scorso anno Riyadh ha giustiziato 37 persone, nel contesto di una esecuzione di massa. Una di queste era minorenne all’epoca dei fatti.
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Bioetica
La Bioetica torna a parlare delle atrocità di Gaza
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
La guerra tra Israele e Hamas a Gaza sta creando tensioni all’interno della comunità bioetica. In un articolo sul blog canadese Impact Ethics, tre bioeticisti hanno chiesto alla loro professione di pronunciarsi contro la violenza e la sofferenza.
Fanno presente che alcune importanti associazioni mediche e di bioetica si sono rifiutate di commentare, pur avendo preso posizione nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina.
«Noi, come bioeticisti, rifiutiamo una posizione di silenzio perché crediamo nella responsabilità disciplinare di dimostrare coraggio morale e promuovere la giustizia».
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«L’American Public Health Association è la nostra unica grande organizzazione professionale negli Stati Uniti ad aver chiesto un cessate il fuoco umanitario a Gaza, attingendo alla sua politica del 2009 sul ruolo degli operatori sanitari, degli accademici e dei sostenitori della sanità pubblica in relazione ai conflitti armati e alla guerra».
«In netto contrasto, i delegati interni dell’American Medical Association (AMA) hanno votato contro una risoluzione di novembre a sostegno di un cessate il fuoco a Gaza, citando che la questione non soddisfaceva i criteri di advocacy, urgenza o considerazione etica. L’American Society for Bioethics and Humanities è rimasta silenziosa, nonostante la sua forte politica sulla libertà accademica».
Concludono:
«Come possiamo definirci esperti di etica e testimoniare silenziosamente migliaia di morti civili, sanzioni crescenti, privazione di beni di prima necessità, crimini di guerra, rapimenti di ostaggi, aggressioni sessuali e disumanità? Cosa stiamo insegnando ai nostri studenti se non siamo disposti a riconoscere i nostri pregiudizi e a parlare apertamente?»
Michael Cook
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
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Bioetica
Polonia, l’aborto avanza in Parlamento
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Bioetica
Bioeticiste contro la genitorialità genetica: «usare liberamente gli embrioni congelati»
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Alcuni bioeticisti mettono in dubbio l’importanza di una relazione genetica tra genitori e figli. Ciò che conta, sostengono, è un ambiente familiare favorevole, non i geni.
Nel Journal of Medical Ethics, una bioeticista svedese, Daniela Cutas, e una collega norvegese, Anna Smajdor, affermano che la riproduzione assistita apre le porte a nuove relazioni tra generazioni. Ma, purtroppo, l’aspettativa è che le persone imitino una famiglia nucleare convenzionale e una struttura genitore-figlio. C’è pochissima varietà o creatività.
Ad esempio, dopo la donazione di sperma postumo, una madre o una nonna portano in grembo il bambino in modo da mantenere una relazione genetica. Ma perché la genitorialità genetica e quella sociale dovrebbero coincidere?
Cutas e Smajdor sono realiste. Nel mondo di oggi, è improbabile che le persone abbandonino il loro attaccamento alle relazioni genetiche. Nel frattempo, ciò che propongono è una maggiore creatività nell’uso degli embrioni fecondati in eccedenza.
«Considerando la crescente prevalenza di infertilità in combinazione con una scarsità di gameti donati, qualcuno potrebbe, ad esempio, scegliere di utilizzare gli embrioni di propri zii. Oppure potrebbero desiderare di avere gli embrioni rimanenti dei loro fratelli. Se la preferenza delle persone ad avere una prole geneticamente imparentata è importante nei servizi di fertilità, allora ha importanza quale sia l’esatta relazione genetica?»
Esaminano più in dettaglio il caso di una donna i cui genitori hanno creato embrioni IVF. Se sono ancora disponibili, perché non dovrebbe dare alla luce i suoi fratelli? In un certo senso, questo potrebbe essere migliore di una relazione eterosessuale convenzionale:
«Innanzitutto perché gli embrioni sono già creati: non è necessario sottoporsi alla stimolazione ovarica per raccogliere e fecondare gli ovociti. In secondo luogo, le relazioni genitore-figlio sono piene di tensioni, alcune delle quali derivano da una lunga tradizione di non riconoscimento completo dello status morale dei bambini e di vederli come parte dei loro genitori in modo quasi proprietario».
Sembra un peccato sprecare tutti quegli embrioni congelati. Concludono con questo pensiero:
«In un mondo in cui i tassi di infertilità sono in aumento e i costi sociali, medici e sanitari dei trattamenti per la fertilità sono elevati, suggeriamo che ci siano motivi per ampliare le nostre prospettive su chi dovrebbe avere accesso ai materiali riproduttivi conservati».
Michael Cook
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