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«Il coraggio di scendere in strada a gridare che Dio è vivo e che Cristo è Re». Intervista a Cristiano Lugli sulla processione di riparazione a Carpi

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I lettori conoscono Cristiano Lugli, per anni portavoce e organizzatore inarrestabile di tanti eventi di Renovatio 21. Cristiano è anche uno dei fondatori del Comitato Beata Giovanna Scopelli, un gruppo di fedeli cattolici nato nell’anno 2017 a Reggio Emilia. In questi anni il Comitato ha organizzato diverse azioni di riparazione, in particolare agli scandali pubblici dei vari gay Pride.

 

Quest’anno il Comitato si è occupato particolarmente dell’organizzazione di una processione di riparazione avvenuta a Carpi sabato 11 maggio scorso, a seguito dell’allestimento, all’interno di una chiesa, di una mostra con opere che sono state definite da alcuni come «blasfeme». Cristiano è stato uno degli organizzatori di questa processione.

 

Cristiano, facciamo un recap per quanti non conoscono questa storia. Cosa è successo a Carpi?

Succede che il 2 marzo 2024, nella chiesa di Sant’Ignazio, chiesa del museo diocesano di Carpi, l’artista locale Andrea Saltini apre la mostra «Gratia Plena». Dopo nemmeno due giorni dalla data inaugurale, sono arrivate le reazioni indignate di molti fedeli cattolici che ravvisavano blasfemia nei quadri dove veniva rappresentato Gesù Cristo, la Madonna e Maria Maddalena.

 

La notizia si è poi allargata anche nell’ambiente dell’informazione cattolica e, di conseguenza, in pochissime ore è diventata già un caso non solo locale ma anche nazionale.

 

Si ha idea di come si sia arrivati ad esibire, in luoghi della Curia, opere del genere?

Le prime spiegazioni, da parte della Curia, sono state le classicissime arrampicate sugli specchi: il vescovo Erio Castellucci, ad esempio, ha dichiarato di aver visto le opere solo ad installazione già compiuta e a mostra già inaugurata. Certamente l’iniziativa è stata tutta locale, con il parroco di riferimento che ha aperto le porte all’artista locale, con tanto di approvazione del museo diocesano di Carpi.

 

 

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Quali sono state le prime rimostranze?

La casella di posta elettronica della segreteria vescovile è stata inondata di mail, con fedeli da tutta Italia che domandavano la chiusura immediata della mostra.

 

Nel mentre, l’avvocato Francesco Minutillo di Forlì ha depositato una denuncia nei confronti dell’artista Saltini, del vescovo Castellucci e dei curatori della mostra, facendo riferimento al reato di cui all’art. 403 del Codice Penale [«Offese a una confessione religiosa mediante vilipendio di persone: Chiunque pubblicamente offende una confessione religiosa, mediante vilipendio di chi la professa, è punito con la multa da euro 1.000 a euro 5.000», ndr].

 

La Procura, con una certa velocità, ha deciso di chiedere l’archiviazione dicendo che «la notizia di reato si ritiene del tutto infondata». L’avvocato Minutillo si è opposto alla decisione promettendo di portare nuove prove davanti al GIP.

 

Qual è stato l’atteggiamento del vescovo?

Come dicevo, inizialmente ha dichiarato di aver visto le opere solo dopo; poi ha iniziato a difendere la mostra a spada tratta, arrivando persino a dire che il male non è nella mostra, ma la malizia è piuttosto negli occhi di chi la guarda.

 

Parole poco diplomatiche e con alla base, forse, una visione che ritengo totalmente relativista. Riflettere, ragionare con noi fedeli offesi non è stato quindi possibile per la gerarchia della chiesa moderna.

 

 

Spiegaci meglio…

In tutta questa faccenda il ruolo del vescovo Castellucci è stato centrale. Sarei anche propenso a credere al fatto che Castellucci abbia visto le opere a fatti compiuti: d’altronde oggi funziona così, i vescovi non comandano più, e sono presi da mille altre faccende di carattere prettamente burocratico. Certo, i vescovi sono sempre stati impegnati, ma il loro primo dovere è quello di vigilare e di essere pastori di anime. Il fatto che oggi il governo di un vescovo sia visto come un parlamento democratico in cui tutti hanno libertà di fare ciò che vogliono porta a questi risultati.

 

Sarebbe stato impensabile in anni di cattolicesimo si fosse allestita, in una chiesa consacrata – e sottolineo, consacrata – una simile mostra, che da cattolico reputo abbia evidenti tratti provocatori e contenuti blasfemi. Una mostra, penso, portata a destare scandalo fin da subito.

 

Un tempo sarebbe stato impensabile e qualora fosse pure successo, i responsabili religiosi non sarebbero certo rimasti scevri da conseguenze. Qui, invece, ci troviamo al capovolgimento: il vescovo non solo non corregge, ma addirittura difende la mostra, l’artista, i curatori, e se la prende con coloro i quali sono rimasti indignati, offesi dai quadri in mostra.

 

A mio giudizio, nello scandalo Castellucci non ha saputo agire diplomaticamente, magari cercando di sedare gli animi e tenere in considerazione la sensibilità dei fedeli scandalizzati, che hanno sentito vilipesa la religione cattolica perfino all’interno di una chiesa, di un loro luogo di culto.

 

C’è stato un attacco fisico al quadro e all’artista…

Tutti hanno potuto vedere l’opera danneggiata; nessuno, almeno che io sappia anche in base a ciò che è trapelato dai media, ha visto cosa sia realmente accaduto. Le versioni sono state discordanti fin da subito, e la procura sta indagando. Non mi risulta, per lo meno al momento, che ci siano video, né veri e propri testimoni oculari. Pare che il presunto aggressore avesse una parrucca ed una mascherina chirurgica, che avrebbe poi lasciato cadere durante la presunta fuga. La notizia è finita sui principali quotidiani internazionali, ma senza prove vere e proprie capaci di offrire una piena ricostruzione quanto accaduto. Almeno per adesso.

 

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L’attacco è avvenuto dopo che avevate segnalato la volontà di fare attività di riparazione?

No, il nostro comitato non aveva ancora speso alcuna parola rispetto agli intenti poi concretizzatisi l’11 maggio scorso. Alcuni gruppi autonomi, però, avevano iniziato a pregare al sabato pomeriggio davanti alla chiesa di Sant’Ignazio dentro la quale era allestita la mostra, tuttavia in maniera totalmente pacifica e senza mai disturbare, con nessun intento provocatorio e nessun atto per surriscaldare ulteriormente il clima.

 

Il colpevole è stato preso? Si sa qualcosa di come stanno procedendo le indagini?

Ad oggi non si sa nulla. Nessun colpevole è stato preso e non vi è nemmeno un presunto indagato, stando a quanto è emerso. Le indagini proseguono, ma a quanto so non ci sono aggiornamenti rilevanti.

 

La mostra quando si è conclusa?

A dire il vero, la mostra, così come era stata pensata inizialmente, si sarebbe dovuta concludere il prossimo 2 giugno. L’artista, accusando il presunto clima di tensione venutosi a creare, ha deciso di chiudere anticipatamente il 18 aprile. Anche in questo caso si può notare come non sia stata la Curia a chiederne la chiusura, ma il pittore stesso. Non sappiamo, e forse non potremo mai saperlo, se la Curia possa aver mosso qualche pressione per la chiusura, ma certo è che, anche se fosse, nessuno pare aver avuto il coraggio di metterci la faccia.

 

Veniamo alla processione di riparazione. Quanti hanno partecipato?

Noi abbiamo stimato, durante il percorso, circa 400 persone. Sono numeri davvero importanti se si pensa, appunto, che la mostra era già stata chiusa anticipatamente e questo poteva tentare molti a credere di aver già sistemato le cose. Invece è stata colta l’importanza di una pubblica riparazione, che avrebbe avuto ragion d’essere anche solo per un giorno di installazione di mostra.

 

 

Come si è svolta?

Come nelle precedenti edizioni organizzate dal nostro Comitato, è stata a tutti gli effetti una funzione liturgica, una vera e propria processione religiosa, con un sacerdote a presiederla, vestito con cotta, piviale viola – il colore penitenziale – e berretta, croce da processione, accoliti e tutto ciò che riguarda il servizio liturgico.

 

Sono state cantate le litanie ai Santi, recitato il Santo Rosario, le litanie al Sacro Cuore, la preghiera di riparazione al Sacro Cuore di Gesù e, infine, il Te Deum di ringraziamento per la chiusura anticipata della mostra.

 

La processione è partita dal cimitero di Carpi, attraversando poi le principali vie della città, in particolare soffermandosi davanti alla grande Cattedrale di Carpi, in piazza Martiri, per concludere poi con la preghiera di riparazione sul sagrato della chiesa di Sant’Ignazio, dove si è consumato lo scandalo della mostra «Gratia Plena».

 

Il tutto è stato accompagnato da un servizio d’ordine interno al Comitato e, ovviamente, dall’ottimo servizio della questura di Carpi, che ha garantito la massima sicurezza durante tutto il percorso. Tanti giovani, tante famiglie.

 

 

Come hanno reagito i carpigiani?

C’è stata una compostezza esemplare. E dico di più, un rispetto davvero inaspettato. Diverse persone, anche sedute al bar per consumare un aperitivo, si sono alzate al passaggio della processione facendosi il segno della Croce. È stato davvero commovente. Nessun commento, nessuna provocazione, ma tanto silenzio e rispetto.

 

La stampa vi ha dato contro?

Ormai credo che la stampa abbia capito che dar contro equivale a fare pubblicità, quindi molte testate scelgono piuttosto il silenzio. Altre, invece, con un po’ di serietà, hanno capito che non poteva essere ignorato un simile evento, e quindi si sono attenute a riportare ciò che noi abbiamo dichiarato — sia rispetto al numero di partecipanti, sia rispetto allo svolgimento della funzione.

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Bisogna ricordare che la prima processione di riparazione – in quel caso, per il Gay Pride di Reggio Emilia – fu organizzata da te nel 2017. In Italia non se ne vedevano da decenni. Grazie ai tuoi sforzi, molte altre sono seguite. Che bilancio fare di questi 7 anni, includendo il disgraziato biennio pandemico?

Effettivamente il disgraziato biennio pandemico non aiuta a stabilire un bilancio di questi anni, ma ciò che posso dire è che, sorprendentemente, la fiammella, nonostante tutto, non si è mai spenta. Il nostro timore è sempre stato quello di non riuscire a tenere alta l’attenzione e la tensione dopo la grande e prima processione del 2017: la novità, una volta vissuta, sé ripetuta rischia sempre di non avere più il sapore di novità e, quindi, di essere meno partecipata. In questo caso dobbiamo invece constatare che non è stato così, e la processione di Carpi ne è la prova.

 

Quanto è importante fare una processione oggi?

Direi che è una delle cose più importanti che ci possa essere, il segno della militanza più vero e più tangibile, ciò che ci distingue dai cattolici da tastiera che parlano, denunciano, sbraitano ma poi non hanno il coraggio di scendere in strada a gridare che Dio è vivo e che Cristo è Re. Purtroppo questo è ciò che tanto del conservatorismo bussolotico e provitico italiano non riesce a dimostrare. Non può esserci cattolicesimo senza militanza, e la militanza non può essere legata solo ed esclusivamente all’informazione, che certo è utile, ma non è tutto.

 

 

Quanti si rendono conto che si tratta di una riconquista dello spazio pubblico da parte dei cattolici, secondo riti che hanno abitato i nostri borghi per millenni? È per questo che la chiesa moderna, votata alla liquidazione della cristianità, combatte le processioni?

Non a sufficienza. 400 persone alla processione di Carpi è un buon numero, certo, ma è ridicolo se si pensa a quanti realmente saremmo potuti essere. Siamo una minoranza, questo è fuor di discussione, ma temo che ci si riduca sempre ad essere la minoranza di una minoranza. Come giustamente dici, la chiesa moderna combatte le processioni e continuerà a farlo perché ha capito che è proprio da questo che la Cristianità potrebbe ripartire. Lo hanno capito loro, ma purtroppo non noi. O almeno non tutti e non del tutto.

 

Il modernismo vuole che Dio rimanga nel privato, nella sfera intima delle persone – e non sappiamo nemmeno per quanto ancora intendano lasciarcelo almeno lì. La chiesa moderna è il nemico più grande del Regno Sociale di Nostro Signore Gesù Cristo, e per questo detesta le processioni, perché esse, oltre all’intento riparatorio che hanno rappresentato sin qui, sono ciò che di più semplice, naturale e concreto possa esserci per ristabilire il Regno Sociale di Gesù Cristo, portandolo a regnare laddove Egli deve regnare: nei crocicchi delle strade, nelle piazze, nei borghi e nella società intera.

 

Vi sono altre iniziative da seguire? L’impressione è che spesso si tratti di eventi improvvisati creati da sigle e personaggi improbabili, ancorché sconosciuti. Quanto può nuocere il dilettantismo degli ingenui rispetto alla battaglia?

Il Comitato Beata Giovanna Scopelli, dall’inizio della sua fondazione, ha deciso di dedicarsi solo ed esclusivamente ad iniziative di riparazione, questo per non mescolarsi ad altre realtà già esistenti, certamente importanti ma aventi altri ruoli. A motivo di questo, abbiamo sempre cercato di mantenerci autonomi nelle nostre iniziative. Questo non per sfiducia o vanto, ma perché sappiamo per esperienza che questo genere di organizzazioni richiedono davvero tanto tempo, impegno e concentrazione.

 

Organizzare una processione di riparazione o un qualsivoglia atto di riparazione non può essere visto come una cosa semplice o fattibile a prescindere da ogni condizione. Dobbiamo tenere presente che, se è vero che ciò che conta è l’azione e la proporzione soprannaturale di una riparazione pubblica che fa da contraccolpo ad uno scandalo pubblico, è altrettanto vero la dimensione naturale e quindi sociale dell’evento non può essere ignorata. In altre parole, bisogna rendere culto e la dovuta lode a Dio anche organizzando qualcosa che, numericamente parlando, renda questi onori.

 

Potrà sembrare strano ma non lo è affatto, perché non ci si può permettere in alcun modo che un evento pubblico possa essere deriso a causa di una presenza scarsa di fedeli. Questo, ad onor del vero, non è mai successo nelle riparazioni organizzate dal nostro Comitato. Non perché siamo più bravi o più intelligenti, ma perché sappiamo come, quando e dove muoverci. Cosa che, mi si creda, è davvero importante.

 

Del resto non abbiamo mai detto e mai diremo a nessuno di non organizzare atti di riparazione: non siamo nessuno e non possediamo alcuna autorità per poterlo fare, ma certo consigliamo a tutti di stare attenti a non essere precipitosi, rischiando di voler fare a tutti costi, per un proprio desiderio individualista, qualcosa che non si riesce a strutturare nel migliore dei modi.

 

A quanti in passato ci hanno chiesto aiuto e collaborazione, l’abbiamo sempre prestata cercando di mettere a disposizione la nostra umile esperienza raccolta in questi anni. Anni in cui, effettivamente, la società ha dovuto fare i conti con un nuovo ma pur vecchio fenomeno, cioè quello dei cattolici militanti che ancora conoscono il latino, sanno pregare e cercano di amare Dio.

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Da Nasser a Sting e i Police: il mistero di Miles Copeland, musicista e spia della CIA

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La I.R.S. Records venne fondata nel 1979 da Miles Copeland III. L’etichetta produsse alcuni tra i più rappresentativi artisti musicali degli anni Ottanta. L’influenza che esercitò nel punk inglese e nella new wave fu fondamentale producendo prodigi come i Police, i R.E.M., i Dead Kennedys. Il logo della casa discografica statunitense ritraeva un uomo in primo piano con un cappello anni ’50 stilizzato in bianco e nero e chiamato spy guy   Un altro fratello Copeland, Ian (1949-2006), fondò la Frontier Booking International, in acronimo F.B.I., una agenzia di talenti specializzata nella musica e che rappresentò tra gli altri anche i R.E.M., Jane’s Addiction, Snoop Dog, Sting.    Il terzo fratello Copeland, Steward invece era il batterista dei Police e quindi proprio di Sting. Entrato di diritto nella Rock and Roll Hall of Fame come membro dei Police, venne aggiunto anche nella Modern Drummer Hall of Fame e nella Classic Drummer Hall of Fame. Ha avuto poi una carriera come compositore di colonne sonore per il cinema, musicando pellicole rimaste nella storia come il capolavoro di Francis Ford Coppola Rusty il selvaggio (1983), Wall Street (1987) e Talk Radio (1988) di Oliver Stone, Riff-Raff (1991) e Piovono pietre (1993) di Ken Loach e pure il videogioco Alone in the Dark.

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Se i tre fratelli denotano una esagerata presenza di talento scorrere nelle loro vene quello che sorprende ancora di più è la fonte da cui questi tre fenomeni derivano. Il loro padre, di nome Miles Copeland, fu uno dei fondatori della CIA nonché musicista e personaggio eccezionale nel panorama politico dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti.    Prima della guerra, ancora in Alabama provò a seguire le orme del padre iscrivendosi alla locale università con l’intenzione di diventare medico. Folgorato dal jazz, invece, comprò una tromba e si diede totalmente allo swing. Nel giro di poco si ritrovò a suonare e comporre con giganti come Glenn Miller, Benny Goodman, Buddy Rich, racconta lo storico John Simkin in un suo articolo.   Arrivò però Pearl Harbour e la direzione della sua vita cambiò completamente. Entrò a far parte dell’ufficio finanziario della guardia nazionale. Racconta proprio il sito della CIA che un giorno gli venne chiesto di ripetere un test d’intelligenza perché, dal risultato ottenuto, erano tutti convinti che avesse utilizzato un trucco. Una volta ripetuto guadagnò un risultato se possibile ancora maggiore.    L’esito del test attirò l’attenzione del generale William «Wild Bill» Donovan, direttore di una nuova agenzia chiamata Office of Strategic Service (OSS), la prima agenzia americana che fungeva da servizio segreto. Donovan, che stava formando la base della nuova agenzia, era sempre alla ricerca dei migliori prospetti e con le migliori connessioni. Miles aveva senza dubbio colpito il generale anche per quello che il figlio Stewart chiamava il gift of gab, il dono della chiacchiera. Era un abile oratore e una persona di grande spirito per cui creare empatia non era mai stato un problema.   Amava giocare, si considerava un giocatore, prendeva parte con entusiasmo alle simulazioni di guerra. Nel dopo guerra creò un gioco da tavola cult basato sul suo fondamentale libro, pieno di rivelazioni, Games of Nation, anche questo diventato introvabile oggetto di culto.   Mentre era Londra Copeland divenne amico di Boris Pash, capo della sicurezza del Manhattan Project e anche di Ernest Hemingway. Venne assegnato a dirigere la scuola di controspionaggio, la Corps of Intelligence Police, che divenne nel 1942 la Counterintelligence Corps, CIC, partecipazione che gli valse la Legione di Merito. Copeland partecipò attraverso la CIC all’operazione Overlord, lo sbarco in Normandia ed era parte della BIGOT list, acronimo per British Invasion of German Occupied Territory, un ristrettissimo gruppo di persone con un passato inattaccabile e degne di ottenere i documenti più protetti e riservati.    La CIC, oltre ad impegnarsi nel più famoso Manhattan Project si occupò anche di altri progetti di spicco per l’epoca. Uno di questi, la missione ALSOS, diretta da Boris Pash, era il tentativo da parte degli alleati di raccogliere quante più informazioni possibili sugli sviluppi scientifici nazisti in ambito nucleare; quindi l’operazione Paperclip che cooptò oltre 1600 scienziati, ingegneri e tecnici vari dalla Germania nazista per reinserirli in ambito per lo più scientifico militare statunitense; l’operazione TICOM che aveva come scopo l’impadronirsi di risorse riguardanti la crittografia e le ultime vette della ricerca scientifica sulle telecomunicazioni, ambito in cui i tedeschi eccellevano. Alla fine della guerra Copeland venne anche incaricato di redigere la cronaca del controspionaggio del periodo appena trascorso, intervistando decine di spie e scienziati nazisti.    In seguito alla trasformazione dell’OSS in CIA, Copeland partecipò alla messa a punto del progetto fino alla sua realizzazione nel 1947, anno di nascita della più grande agenzia spionistica americana. Dopodiché ottenne la gestione dell’ufficio dell’agenzia a Damasco in Siria e divenne l’uomo in Medio Oriente per i servizi statunitensi. Nel marzo del 1949 supportò il colpo di stato in Siria in cui venne deposto il governo legalmente eletto in favore del potere militare. Nel 1953 prese parte all’operazione Ajax incaricata di destituire il primo ministro iraniano, Mohammed Mossadegh, reintegrando Reza Pahlavi, assicurando così l’accesso statunitense al petrolio iraniano e contemporaneamente istituendo un avamposto del primo mondo contro i sovietici.    Fluente in almeno dieci lingue, divenne amico personale del presidente egiziano Nasser. Nonostante il cammino tra USA e Egitto avesse preso due strade differenti e i servizi americani avessero preso in considerazione operazioni estreme verso il presidente africano Copeland rimase genuinamente al suo fianco e un ammiratore dell’opera politica di Nasser.    Mantenne ufficialmente questo ruolo per dieci anni costruendo la posizione dell’Intelligence americana nel territorio attraverso il reclutamento di agenti in loco e la costruzione delle reti informative necessarie.

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In seguito, dopo aver rassegnato le dimissioni perché in totale disaccordo con le politiche di Eisenhower, continuò a lavorare privatamente nel solco dell’Intelligence a stelle e strisce fino agli anni Settanta quando si distaccò completamente dando vita a una nuova carriera di autore. I vari articoli e libri che scrisse ottennero un notevole successo ma ebbero anche la conseguenza di esacerbare definitivamente i rapporti con l’agenzia governativa. Nel 1988, scrisse un articolo «Spooks for Bush» in cui dichiarò il totale supporto del mondo dell’Intelligence verso la candidatura di G. W. Bush all’elezione come presidente del 1994.   E. Micheal Burke, ex ufficiale OSS, CIA, e in seguito con una importante carriera nel mondo dello spettacolo, scrisse nell’agosto 1974 una recensione su uno dei suoi testi più famosi Without cloak or dagger (1974). Copeland nel suo libro descriveva la CIA come il demonio di cui ignoriamo l’esistenza, gestita da una cricca di vecchi commilitoni abbastanza potenti da buttare giù un direttore non particolarmente apprezzato come James Schlesinger.   La CIA è un organo interno più potente dei vari governi succedutosi sullo sfondo che ha come grande dilemma trovare il modo per restare potenti, anonimi, silenziosi ma allo stesso vincere la confidenza del pubblico. Come scrive Copeland nel libro: «conosciamo il nemico, sappiamo come gestirlo, siamo incorruttibili. Anche se non ci conoscete, potete implicitamente fidarvi di noi».   Marco Dolcetta Capuzzo  

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Amazon Prime Video rimuove tutte le armi e le Bond Girls dai poster dei film di 007. Poi ci ripensa

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La piattaforma streaming di Amazon Prime Video ha recentemente rimosso tutte le armi e le Bond girl dalle locandine dei film di James Bond. Poi nelle ultime ore, sembra aver ripristinato la versione originale.

 

L’amata serie di pellicole di spionaggio 007, dove le pistole giuocavano un ruolo grafico sin dalle locandine, si trova ancora sotto il tallone della cultura woke, e quindi della censura e dell’orwelliana cancellazione della storia.

 

È ridicolo, e antistorico, vedere il comandante Bond a braccia conserte senza la sua arma (che è variata, dagli anni, da una Walther PPK a una Beretta forse di modello 418 o 950) impugnata disinvoltamente – un elemento che è parte fondamentale dello stesso personaggio, elegante e pericoloso, come il mondo in cui la spy-story promette di immergere lo spettatore.

 

 

 

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In particolare, tutte le armi sembravano essere state rimosse da immagini già note, tra cui un ritratto di Sean Connery con una pistola Walther PPK tra le braccia incrociate, utilizzato come foto pubblicitaria per la pellicola Dr. No e ora esposto alla National Portrait Gallery di Londra. Un poster teaser ampiamente visto per il film Spectre con Daniel Craig è stato apparentemente modificato per eliminare la pistola che tiene al fianco (sebbene la fondina ascellare indossata da Craig sia ancora visibile).

 

Un ritocco simile sembrava essere stato effettuato su un’immagine pubblicitaria di Roger Moore in Agente 007 Vivi e lascia morire, in cui Moore impugna una .44 Magnum, un allontanamento dalla tradizione di Bond di pistole relativamente piccole.

 

Le immagini modificate digitalmente dei poster originali dei film sono un insulto agli artisti che le hanno create e ai fan che le hanno guardate negli ultimi 63 anni – oltre che all’idea stessa che sta alla base del racconto di James Bond.

 

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L’establishment progressista cerca di cancellare le armi dall’immaginario cinematografico classico, mentre il transgenderismo e i temi satanici vengono promossi in film e cartoni pensati per bambini.

 

Notizia delle ultime ore, Amazon si averci ripensato: dopo il pubblico clamore, le pistole sono tornate sulle locandine.

 

La mossa era arrivata dopo che Amazon ha acquisito i diritti del film acquistando gli studi MGM per un miliardo di dollari all’inizio di quest’anno e si appresta a lanciare un nuovo film diretto da Denis Villeneuve (il regista di The Arrival, Blade Runner 2049, e del recente, noiosissimo, Dune), scritto e diretto da Steven Knight, il cui nuovo attore di Bond deve ancora essere annunciato.

 

In passato si è speculato sull’arrivo di un Bond negro (si è fatto il nome del divo anglo-nigeriano Idris Elba) o di una Bonda. In realtà, una potente anticipazione era nell’ultimo film No Time to Die con Daniel Craig – la cui scelta come protagonista della seria, una ventina di anni fa, fu contestata da un gruppo di fan: è biondo – dove saltava fuori una agente MI6 nera e statuaria (tipo Grace Jones, per intenderci), seduttiva e letale anche più del Bond stesso.

 

No Time to Die sconvolse gli aficionados perché mostrava un atto incomprensibile per chi conosce la saga: la morte di James Bond, un fatto narratologicamente, archetipicamente inconcepibile, in quanto il tema profondo della serie è, senza dubbio alcuno, il mito dell’eroe invincibile.

 

La castrazione del carattere di 007 era presente nei film dell’era Craig anche in precedenza: il filosofo ratzingeriano coreano Byung-chul Han nel suo saggio La società della stanchezza indicava la stranezza di vedere in Skyfall (2012) un James Bond affaticato e depresso, con traumi psicanalitici che riemergono.

 

Il codice «007» è in realtà un riferimento preciso che il romanziere (e vero agente segreto) britannico Ian Fleming faceva agli intrecci tra l’occultismo e la storia di Albione, in particolare nel momento in cui Londra si separò dalla Chiesa cattolica e cioè dall’Europa.

 

Il primo «oo7» fu infatti John Dee (1527-1608), matematico, geografo, alchimista, astrologo, astronomo ed occultista inglese che organizzo i servizi segreti britannici nella sua visione di un nuovo mondo fatto di colonie dell’«Impero britannico», un’espressione che alcuni dicono sia stata coniata proprio da lui stesso.

 

Nei messaggi cifrati riservati alla regina Elisabetta I Dee apponeva la sigla «007» in cui gli zeri erano due occhi, il sette un numero fortunato.

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I sauditi e il genero ebreo di Trump comprono l’Electronic Arts

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Electronic Arts, tra i maggiori produttori di videogiochi al mondo, ha annunciato lunedì di aver raggiunto un accordo per essere acquisita da un consorzio guidato dall’Arabia Saudita, per un valore di circa 55 miliardi di dollari.   Il consorzio include il Public Investment Fund (PIF) saudita, la società di private equity Silver Lake e Affinity Partners, controllata da Jared Kushner, genero del presidente statunitense Donald Trump.   Secondo EA, il PIF rafforzerà la sua attuale partecipazione del 9,9% nella società, con l’operazione finanziata da 36 miliardi di dollari di capitale proprio e 20 miliardi di dollari di debito.   Il portfolio di EA comprende franchise di videogiochi celebri a livello globale, tra cui il giuoco calcistico FIFA, lo sparatutto militare in prima persona Battlefield, Apex Legends, The Sims, Plants vs. Zombies e Need for Speed.

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Descritto come «il più grande accordo di privatizzazione di uno sponsor interamente in contanti della storia», l’operazione dovrebbe velocizzare i processi decisionali e aprire nuove opportunità, specialmente nei mercati internazionali, ha dichiarato la società.   L’accordo ha già ottenuto l’approvazione del consiglio di amministrazione di EA e dovrebbe concludersi nel primo trimestre dell’anno fiscale 2027. Una volta completata, EA cesserà di essere quotata in borsa e opererà come società privata.   L’industria videoludica sta attraversando una fase di ristrutturazione dopo il boom durante la pandemia. Negli ultimi cinque anni, le azioni di EA hanno registrato performance nettamente inferiori rispetto all’indice S&P 500. All’inizio del 2025, il titolo della società è crollato del 17% in un solo giorno, a causa delle vendite deludenti dell’ultima edizione del gioco di simulazione calcistica EA FC25.   I videogiochi negli scorsi anni sono stati ritenuti un ambito dello spionaggio, in quanto si è pensato che le chat interne potessero facilitare attività criminali o terroristiche. Negli anni scorsi sono emersi casi di censura e delazione, con grandi case produttrici di videogames indicate come in collaborazione con la polizia britannica per affrontare i discorsi ritenuti «tossici» dei giocatori online.   Jared è figlio del grande sostenitore del Partito Democratico USA Charles Kushnerm che è altresì uno dei primi donatori dell’eterno premier sionista Benjamin Netanyahu, il quale, si racconta, quando era a New York dormiva nella stanza dello stesso Jareddo. Kushner senior è ora il controverso ambasciatore americano a Parigi.   Arrivato nella stanza dei bottoni nel 2016 con il ruolo di consigliere della Casa Bianca, il figlio Jared – il genero presidenziale accusato da altri famigliari di Trump di essere persino la talpa del raid a Mar-a-Lago – si mosse subito ingraziandosi l’uomo forte saudita Mohammed bin Salman; il rapporto ha condotto a quella sorta di armistizio tra Israele e le monarchie del Golfo persico chiamato «accordi di Abramo». Tuttavia, è emerso come Mohammed bin Salman e il suo mentore e confidente omologo emiratino Mohammed bin Zayed al Nahyan fra loro scherzassero dicendo che se lo tengono nel taschino.

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Giornali americani hanno dettagliato la ricerca di danari islamici da parte di Kushner durante la suo incarico alla Casa Bianca, insistendo anche presso il Qatar. I Kushner avevano bisogno di investimenti per ripianare il grande disastro della famiglia, l’acquisto del colossale – e inquietante – palazzo Fifth Avenue 666: il numero civico 666 sulla celeberrima Quinta Strada di Nuova York. Un affare immane andato malamente: l’edificio, una volta acquistato dai ricchi palazzinari ebrei del New Jersey, rimase a lungo mezzo vuoto.   I Kushner, ebrei ortodossi (con conversione al giudaismo anche di Ivanka), hanno poi pudicamente cambiato il nome del palazzo da Fifth Avenue 666 a Fifth Avenue 660.   Come riportato da Renovatio 21, gli interessi immobiliari di Kushner sembrano ora abbracciare anche l’Est Europa, con il progetto di fare hotel di lusso al posto degli edifizi bombardati dalla NATO in Kosovo.   Il Kushner si è distinto nei mesi del conflitto in Palestina per i suoi commenti su Gaza, del cui lungomare ha elogiato il futuro valore immobiliare, per poi dire che i Paesi europei dovrebbero accogliere più rifugiati palestinesi in fuga dalla Striscia ora martoriata catastroficamente dallo Stato Ebraico.

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Immagine di The Pop Geek Culture Network via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0
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