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Lavrov promette un’Eurovision russa «senza perversioni». E Sanremo?

Il concorso canoro russo Intervision, recentemente ripreso, un’alternativa all’Eurovision, sarà libero da «censure» e «perversioni», ha affermato il ministro degli Esteri Sergej Lavrov.
L’alto diplomatico moscovita ha rilasciato il commento mercoledì mentre estendeva un invito all’evento ai rappresentanti delle missioni diplomatiche straniere a Mosca.
Lunedì il presidente Vladimir Putin ha ordinato la ripresa di Intervision, un concorso musicale dell’era sovietica, con l’obiettivo di «sviluppare la cooperazione culturale e umanitaria internazionale». L’evento è programmato per svolgersi a Mosca questo autunno.
«L’esposizione musicale unica» «offrirà un’opportunità a tutti i Paesi, senza alcuna censura, di mostrare le loro migliori tradizioni musicali… Garantisco che non ci saranno perversioni e abusi della natura umana come abbiamo visto alle Olimpiadi di Parigi», ha affermato Lavrov durante una tavola rotonda diplomatica a Mosca.
Il Lavrov si riferiva a una parte della cerimonia di apertura delle Olimpiadi estive del 2024, in cui erano coinvolti artisti travestiti ed è stata percepita da molti come una parodia dell’«Ultima Cena» di Leonardo da Vinci e irrispettosa delle tradizioni cristiane.
La Russia è stata espulsa dall’Eurovision nel 2022 a seguito dell’escalation del conflitto in Ucraina. In risposta, Mosca ha accusato gli organizzatori del concorso di aver a lungo favorito i partecipanti occidentali e di aver promosso un sentimento anti-russo.
Negli ultimi anni l’Eurovision Song Contest è stato coinvolto in numerosi scandali, in particolare a causa di esibizioni e temi ritenuti apertamente sessuali o politicamente connotati.
Nel 2014, il transessuale austriaco Conchita Wurst ha vinto il concorso, in quello che è stato celebrato come un epocale trionfo dell’ideologia omotransessualista, allora in procinto di essere legalizzata in tutto l’Occidente. Tuttavia, la vittoria ha anche suscitato un’ampia reazione negativa in varie parti del mondo, tra cui la Russia.
Il concorso Intervision sarà «un’opportunità per promuovere la vera musica» e «non falsi valori estranei a qualsiasi persona normale», ha affermato la senatrice russa Liliya Gumerova, a capo della Commissione per la cultura nella camera alta del Parlamento russo.
L’Eurovision ha dovuto affrontare accuse di parzialità politica da parte di vari Paesi nel corso degli anni. I critici sostengono che i modelli di voto spesso riflettono alleanze politiche, somiglianze culturali o relazioni storiche piuttosto che la qualità musicale delle candidature.
La passione della Russia per i festival canori è visibile, come noto, sin dal 1983, quando all’apice delle tensioni tra URSS e Occidente (in cui mesi l’esercitazione NATO «Able archer» portò il mondo ad un passo dalla distruzione termonucleare) la TV russa scelse di mandare in onda il Festival della canzone italiana di Sanremo, ottenendo un successo senza pari fra la popolazione, con effetti palesemente perduranti: ancora oggi, le canzoni di Al Bano e Romina, Adriano Celentano, Pupo (con la popolazione russa che probabilmente ignora l’origine del testo di «Gelato al cioccolato»), Toto Cotugno, etc. Fu un segno di disgelo incongruo ed impressionante, tenero e decisamente storico. L’amore dei russi per i nostri cantanti popolari fu tale che alcuni di loro sono stati inseriti nelle liste della morte ucraina.
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L’Eurovision è da considerarsi un’imitazione di Sanremo, il Festival della canzone un tempo, per qualche ragione, ammirato in tutto il mondo. Gli altri Paesi, incapaci di aver un evento intenso come quello che dal 1951 si ripete nella cittadina ligure, si erano fatti il loro Sanremo, per anni sfottuto per la scarsissima qualità e gli elementi kitch. Il degrado progressivo di Sanremo – che ha cause artistiche, morali, politiche – lo ha portato, infine, ad essere inferiore per prestigio e portata all’euroepigono.
Le volgarità, come le accuse di manovre pubblicitarie indebite, hanno accompagnato gli ultimi anni del Festival italiano, sino a renderlo una visione totalmente tossica per le famiglie: sembra, anzi, che vari cantanti vengano invitati per indottrinare i bambini alla sozzura e al nichilismo, in attesa che i trapper maranza non divengano puri diffusori dell’estremismo wahabita e finanche del fondamentalismo terrorista islamico (è un momento che, sappiamo, arriverà: le rivolte della gioventù immigrata lo indicano chiaramente).
Un reset di Sanremo è più che mai necessario: un governo che vuole presiedere alla rimoralizzazione dell’Italia – ossia alla sua ricostruzione, ossia alla sua salvezza – dovrebbe proibire per anni Sanremo, per riaprire, se del caso, solo una volta stabilito l’imperativo di un’arte che non vuole degradare se stessa e l’essere umano, come invece sembrano fare i cantanti degenerati dell’ora presente.
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Immagine di Albin Olsson via Wikimedia pubblicata su licenza CC BY-SA 3.0
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Piero Pelù dal rock ribelle agli appelli sociali per pioggia e vaccini

Piero Pelù a Sesto Fiorentino: “Attenzione ai tombini saltati ma invisibili” #ANSA pic.twitter.com/p2m4azreod
— Agenzia ANSA (@Agenzia_Ansa) March 14, 2025
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E Bill Murray disse: hanno incastrato Nixon

L’iconico attore cinetelevisivo Bill Murray ha rilasciato una pesante dichiarazione durante il podcast di Joe Rogan di cui era ospite: il presidente americano Richard Nixon, che si è dimesso l’8 agosto 1974, è stato «incastrato».
L’affermazione ha una sua grande portata nel contesto americano, specie per la generazione dei boomer che indicava in Nixon un concentrato di malvagità, quasi fosse l’incarnazione di tutto ciò che non andava nella precedente generazione e nella società USA tout court.
L’attore comico – amatissimo da plurime generazioni, che lo hanno visto in Ghostbuster (1984) e in Lost in Translation (2004) – ha detto di aver realizzato con orrore la manovra occulta contro il presidente Nixon dopo aver letto circa cinque pagine del libro di Bob Woodward – cioè il giornalista principale accusatore di Nixon, autore dello scoop che avrebbe portato allo scandalo Watergate – Wired (in italiano John Belushi: Chi tocca muore), basato sulla vita dell’attore comico John Belushi, suo compagno di set e grande amico.
«Ho letto circa cinque pagine di Wired e ho pensato, “Oh mio Dio. Hanno incastrato Nixon”», ha detto Murray.
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«Se questo è ciò che scrive del mio amico che conosco, sai, da metà della mia vita adulta, il che è completamente inaccurato, parlando con le persone della cerchia esterna, ottenendo la storia – cosa diavolo hanno potuto fare a Nixon? Ho solo pensato che se avesse fatto questo al mio amico in questo modo, e riconosco di aver letto solo cinque pagine, ma le cinque pagine che ho letto mi hanno fatto venire voglia di dare fuoco a tutta la faccenda».
Il Murray lamenta che le fonti utilizzate da Woodward per il suo libro – la cui tesi riguarda la vita di eccessi di Belushi – sono inattendibili, lontanissime dalla vita di John, dipinto quindi in maniera non veritiera.
«Ho pensato, “se ha fatto questo a Belushi, quello che anche ha fatto in Nixon è probabilmente sporco per me”. Non posso, non posso sopportarlo», ha detto Murray. «E so che dici, beh, “Potresti avere due fonti e tutto il resto”, ma le due fonti che aveva, se le aveva per il libro di Wired, erano così lontane dalla cerchia ristretta che era, era criminale».
Murray dice quindi che le storie di droghe su Belushi sono riportate in modo errato, in quanto non era in grado di reggere più di qualche bicchiere di birra e la morte è avvenuta la prima volta che ha assunto lo «speedball», una mistura di eroina o morfica con cocaina o crack.
Il libro del 1974 di Woodward, All the President’s Men, scritto in collaborazione con il collega propagandista del WaPo Carl Bernstein, descriveva in dettaglio il resoconto dello scandalo Watergate, che ebbe un ruolo chiave negli eventi che portarono alle dimissioni del presidente Nixon. Nel 2020 Woodward ha pubblicato Fear, un libro di retroscena sulla Casa Bianca di Trump, ostile al presidente.
Negli ultimi anni una sorta di grande revisionismo sta crescendo intorno al caso di Nixon e, di riflesso, al lavoro di Woodward, fino a ieri venerato come un dio del giornalismo verso il quale tutti devono avere devozione e riverenza. Tucker Carlson ha più volte ricordato di essere stato sconvolto dall’aver appreso che Woodward aveva lavorato nell’Intelligence della Marina prima di arrivare come cronista novellino al Washington Post, il giornale più importante del Paese con il New York Times, dove epperò gli viene affidato subito il caso del secolo, quello spiattellato dalla fonte «gola profonda» con i dettagli sugli illeciti commessi dal presidente.
L’idea è quella che Nixon, che aveva una visione precisa del Paese e che si dice volesse addirittura desecretare qualcosa sull’assassinio del suo vecchio rivale JFK, sia stato fatto fuori politicamente dal Deep State, lo stesso che ora tenta di fermare Donaldo Trump.
Potrebbe esserci, dice l’iconico-comico, un motivo personale dietro l’odio del Woodward per il Belushi: il giornalista potrebbe essere risentito di essere solo «la terza persona più famosa di Wheaton, Illinois», il paesino che ha dato i natali anche al giocatore di football professionista Red Grange e, guarda caso, John Belushi.
Durante il podcast Murray ha spaziato su vari temi, dalle gioie e i dolori della vita da attore, al ricordo di colleghi scomparsi, alla sua amicizia con lo scrittore di culto Hunter S. Thompson, quello di Paura e delirio a Las Vegas, di cui era intimo.
Bill Murray in passato ha speso parole di peso anche per quanto riguarda la Santa Messa e i suoi cambiamenti dopo il Concilio Vaticano II. «Non sono sicuro che tutti quei cambiamenti siano stati giusti. Tendo a discordare con quella che viene definita la nuova Messa» aveva dichiarato nel 2019. «Penso che abbandonando il latino abbiamo perso qualcosa. Ora se si va a una Messa cattolica ad Harlem può essere in spagnolo, in etiope, in tutta una serie di lingue. La forma, le immagini, sono le stesse, ma le parole no».
Murray rimarrà noto alla posterità anche per il film Groundhog’s Day (1993), in italiano tradotto per qualche ragione con il titolo Ricomincio da capo, incentrato sul bizzarro rituale americano di previsioni metereologiche di fine inverno basato sul comportamento della marmotta Punxsutawney Phil.
Come riportato da Renovatio 21, l’oracolare roditore statunitense a inizio febbraio ha predetto per quest’anno altre sei settimane di inverno.
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