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Gruppi Montagnard USA nella «lista nera» dei terroristi del Vietnam

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Nel mirino del governo Montagnard Support Group INC e Montagnard Stand for Justice, con sede negli Stati Uniti. Entrambi sono accusati di responsabilità negli attacchi contro sedi del Partito comunista nell’area di Dak Lak. La questione irrisolta della minoranza (cristiana) vittima di persecuzioni a dispetto delle «aperture».
A conferma che la «questione» dei Montagnard persiste e che ancora rappresenta una spina nel fianco del governo, altre due organizzazioni con sede negli Stati Uniti impegnate a sostenere la memoria e i diritti umani delle popolazioni minoritarie degli Altopiani centrali del Vietnam sono state inserite nelle «lista nera» del terrorismo di Hanoi.
Il Gruppo di sostegno ai Montagnard (Montagnard Support Group INC) e Montagnard attivi per la giustizia (Montagnard Stand for Justice) sono accusati di responsabilità negli attacchi contro sedi del Partito comunista che a giugno dello scorso anno nell’area di Dak Lak costarono la vita a nove persone, di cui quattro poliziotti e funzionari locali del partito.
Incentivati dalle autorità centrali i mass media vietnamiti hanno da subito collegato i fatti di Dak Lak con gruppi «terroristici» all’estero fra cui Boat People SOS e, appunto, Montagnard attivi per la giustizia (Montagnard Stand for Justice), scatenando una campagna d’odio verso la popolazione minoritaria. «I media governativi hanno in Vietnam una lunga storia di atteggiamento discriminatorio e di creazione di una falsa narrativa riguardo le minoranze etniche» ha segnalato di recente Phil Robertson vice-direttore Asia di Human Rights Watch (HRW).
I due gruppi hanno negato l’accusa del servizio di Intelligence vietnamita – riportata nel provvedimento ministeriale – di avere orchestrato gli attacchi e di avere un’agenda secessionista. Accuse lanciate senza fornire ulteriori prove a sostegno e che prendono ancora una volta di mira gruppi ed esponenti della diaspora dei Montagnard, considerati nella loro generalità «reazionari».
Diversi sono stati inseriti nella lista di organizzazioni ritenute responsabili, come le ultime due, di reclutare e addestrare per «attività terroristiche, incitamento alle proteste, uccisione di funzionari e di civili, sabotaggio di beni dello Stato e per cercare di fondare propri Stati». Accusa soggetta a pesanti conseguenze ed estesa anche a chiunque riceva finanziamenti da questi gruppi, basati all’estero.
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Anche in questo caso, associato all’accusa di terrorismo vi è la pubblicazione di un elenco di individui coinvolti nella tutela dei diritti umani, soprattutto con base negli Stati Uniti o in Thailandia. Il governo di Hanoi ha minacciato di colpire chiunque abbia con essi rapporti considerati rischiosi per la sicurezza nazionale.
I Montagnard, per avere sostenuto il governo sud-vietnamita durante il conflitto finito il 30 aprile 1975, sono considerati con sospetto dalle autorità anche per la propria fede, in maggioranza cristiana, che hanno conservato come elemento identitario nonostante decenni di pressioni e di persecuzione.
Tuttavia il loro trattamento da parte di Hanoi ricalca quello destinato ad attivisti e organizzazioni che cercano di garantire libertà civili, diritti e partecipazione in un Paese che ha visto uno spettacolare progresso sul piano economico e alcune aperture alle richieste di maggiore libertà e sul piano della pratica religiosa.
Tuttavia, il Vietnam resta ancora oggi sottoposto al potere indiscusso del Partito comunista e mostra al suo interno significative differenze di progresso sociale e culturale.
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Immagine di prayitno via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Il Congresso USA pubblica la prima serie di file su Epstein

There must be maximum transparency about the horrific crimes committed by Epstein and Maxwell. We will continue to follow the facts and seek justice for these survivors. pic.twitter.com/qNYXYMgl3p
— Oversight Committee (@GOPoversight) September 2, 2025
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Il presidente del Portogallo afferma che Trump è un «asset russo»

Il presidente portoghese Marcelo Rebelo de Sousa ha accusato il presidente degli Stati Uniti Donald Trump di fingere di agire come mediatore imparziale nel conflitto ucraino, mentre in realtà serve gli interessi di Mosca e funge da «asset russo».
Nel gergo dei servizi segreti, un asset, o «risorsa», è una persona, un’organizzazione, una risorsa o un’informazione che viene utilizzata o reclutata da un’agenzia di intelligence per supportare le sue operazioni. In pratica il presidente americano viene accusato ancora una volta di essere un pupazzo di Mosca e delle sue agenzie di spionaggio. Le due presidenze Trump sarebbero quindi delle operazioni clandestine dei servizi russi.
La gravità delle parole del presidente lusitano è sconcertante, così come la sua poca originalità.
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Intervenendo mercoledì all’Università estiva del Partito Socialdemocratico a Castelo de Vide, Rebelo de Sousa ha criticato Trump per essersi allontanato dalla politica del suo predecessore di sostegno incondizionato a Kiev.
«Il leader della più grande superpotenza mondiale è, oggettivamente, una risorsa sovietica o russa. Funziona come una risorsa», ha affermato Rebelo de Sousa, citato dalla CNN Portogallo.
Il presidente portoghese ha inoltre affermato che Trump è più un «arbitro che negozia solo con una delle due squadre che un vero mediatore», sostenendo che Kiev e i suoi sostenitori dell’UE hanno dovuto «farsi strada» per prendere parte ai recenti colloqui a Washington.
Le dichiarazioni riecheggiavano la bufala del Russiagate lanciata per la prima volta contro Trump nel 2016, quando i suoi oppositori sostenevano che la sua campagna elettorale avesse colluso con il Cremlino. Questa narrazione ha dominato il suo primo mandato, nonostante l’inchiesta Mueller del 2019 non avesse trovato prove di collusione e il Rapporto Durham del 2023 avesse concluso che la vicenda era stata in gran parte orchestrata da operatori politici.
Trump ha definito il Russiagate «il più grande scandalo nella storia americana», sostenendo che fosse stato concepito per sabotare la sua presidenza e giustificare politiche ostili nei confronti di Mosca.
Da quando è tornato in carica a gennaio, Trump ha cercato di presentarsi come un mediatore neutrale nel conflitto ucraino, alternando accuse alla Russia e all’Ucraina per la mancanza di progressi, comunicando regolarmente sia con il presidente russo Vladimir Putin che con il leader ucraino Volodymyro Zelens’kyj. A volte ha minacciato Mosca di «sanzioni massicce», mentre in altre occasioni ha accusato Kiev di «mancanza di flessibilità» e di non essere «pronta» per la pace.
All’inizio di questo mese, Trump ha avvertito di essere «molto, molto insoddisfatto» di Putin e ha minacciato di imporre dazi secondari ai partner commerciali della Russia, minaccia che incombe ancora dopo lo storico vertice in Alaska. Il leader portoghese, tuttavia, ha affermato che, a differenza dell’UE, che ha proceduto con le sanzioni, «Washington ha solo lanciato minacce vuote, dando alla Russia il tempo di avanzare sul terreno».
Trump ha sostenuto che «tutti sono da biasimare» per il conflitto, che egli insiste non essere «la sua guerra», e ha promesso di prendere una «decisione molto importante» sul futuro della politica statunitense entro poche settimane, a seconda che Mosca e Kiev si impegnino o meno in colloqui di pace.
Come testimonia la foto a corredo di questo articolo, il De Sousa e Trump si erano incontrati nello Studio Ovale della Casa Bianca di Washington il 27 giugno 2018, durante la prima presidenza dell’attuale comandante in capo USA.
Today, it was my great honor to welcome President Marcelo Rebelo de Sousa of Portugal to the @WhiteHouse!🇺🇸🇵🇹 pic.twitter.com/yd37K4Ei8R
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) June 27, 2018
Ci chiediamo ora come saranno i prossimi incontri, che, da qui alla scadenza del secondo mandato del presidente portoghese (2026) potrebbero essere inevitabili.
Questo è lo stato in cui versano i vertici europei. Russofobia furiosa, forsennata al punto da compromettere i rapporti non solo con Mosca, ma con gli stessi USA.
Ciò risulta incredibile solo per chi non ha capito il disegno in atto, e la mediocrità assoluta, malvagia della classe politica continentale.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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L’FBI fa irruzione nella casa di Bolton. È iniziata la purga dello Stato profondo?

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Non si tratta solo del presidente. Robert F. Kennedy jr., il suo segretario alla Salute, è un anti-neocon sfrenato – nonostante l’essersi trovato con un figlio turlupinato ad andare a combattere in Ucraina in una guerra che Kennedy ritiene fomentata dagli stessi USA. Quando raccontò del suo ingresso nel team Trump – il momento che ha messo fine alla sua campagna presidenziale, lanciandolo come stella del MAGA-MAHA –RFK rivelò pure di essere rimasto colpito dai primi colloqui con Don junior, il primogenito Trump. Il quale, racconta Kennedy, era apertis verbis in opposizione ai neocon, con nomi e cognomi. Di recente Kennedy ha fatto di sfuggita un’ulteriore rivelazione sul gabinetto Trump: dice che va d’accordo con gli altri segretari, in particolare la Bondi, che è diventata amica sua e di sua moglie, ma quello più simpatico, che fa ridere tutti, dice, è Marco Rubio: qui Kennedy dice che dapprima provava freddezza nei suoi confronti, in quanto riconosciuto come neocon estremista, ma ha avuto una «conversione», mollando completamente il campo dei falchi antirussi.Donald Trump’s comments about “nation builders, neocons, and Western interventionists” in Saudi Arabia:
“Before our eyes, a new generation of leaders is transcending the ancient conflicts of tired divisions of the past and forging a future where the Middle East is defined by… pic.twitter.com/jDEKlNMFk4 — Liam McCollum (@MLiamMcCollum) May 13, 2025
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