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Spirito

Io difendo Ambrogio. Perché Ambrogio difende me

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Anche quest’anno, nella festa si Sant’Ambrogio, Renovatio 21 ripubblica un articolo sull’importanza del Santo di Milano, e della devozione in generale. L’attualità di questo santo, specie nel presente disastro geopolitico e religioso, è indiscutibile. Molti lettori lo avranno già letto, molti altri, nuovi in questo sito, non lo hanno mai letto. Preghiamo Ambrogio di difenderci nell’ora oscura in cui viviamo. A tutti i nostri lettori, milanesi e non, auguriamo: Buon Sant’Ambroeus!

 

Fu Penelope, una ragazza greca, a mostrarmelo per la prima volta.

 

In realtà mi porse una cartolina. La foto di un mosaico: un uomo dell’antichità, con la barba i baffi e i capelli corti. Un volto semplice, immerso in paramenti che invece parevan importanti. Sopra questa figura c’era scritto solo «AMBROSIVS».

 

«È Ambrogio. È il protettore di Milano. Tenete questa foto con voi».

 

Ciò accadeva, a Milano, quasi una ventina di anni fa. Per me, più di un’era geologica. Un altro pianeta, un’altra vita.

 

Si era, appunto, nei giorni di Sant’Ambrogio. Vivevo a Milano da un anno ma io mai avevo sentito il bisogno di sapere chi fosse Ambrogio. Mai avevo avvertito la necessità di guardarlo in faccia. Del resto, una faccia non poteva averla. Sant’Ambrogio era una festa, non una persona.

 

Eppure, pure in quella passata incarnazione del mio essere in cui la Fede era remota, avevo compreso che il gesto di Penelope aveva un valore inusuale. Non mi aveva passato un disco (allora c’erano) e neppure un libro (di quelli che non leggi e non restituisci). Sentivo che voleva trasmettermi qualcosa di speciale. Quasi un oggetto magico, un talismano: all’epoca le mie categorie cerebrali erano quelle.

 

Penelope aveva studiato negli anni Novanta con quella che allora era la mia fidanzata, una ragazza tedesco-americana.

 

Avevano studiato quella cosa che si chiama «design», che allora era quasi una cosa seria. Lo avevano fatto a Londra, al tempo centro di rimescolamento della intraprendenza giovanile mondiale, quel tipo di frullatore dove gli ingredienti erano americani, giapponesi, libanesi, russi, austriaci, coreani, fiamminghi, croati, i cui schizzi ormai apolidi si riversavano ad ondate nelle case di moda o negli studi pubblicitari di Milano. Erano giorni corruschi e distratti.

 

Niente di quel mondo poteva portarmi a pensare a quella inspiegabile scintilla che vedevo negli occhi di Penelope, un qualcosa che allora non potevo sapere come chiamare, ma ora sì: devozione. Penelope aveva ritrovato la Fede proprio in quel bailamme di colore e nichilismo che immergeva la nostra giovinezza.

 

Era cristiana ortodossa, anche questo scuoteva la mia ignoranza. Ma come, una ortodossa che mi parla di un santo cattolico?

 

«I santi venuti prima dello scisma sono santi per tutti» mi edusse con quell’accento soave. Io mica lo sapevo.

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Devozione

Fu con quella cartolina in tasca che un pomeriggio d’inverno, senza saper neanche bene perché, entrai per la prima volta nella Basilica di Sant’Ambrogio.

 

Vagai per la navata, che rispetto a quella del Duomo, notai, era più luminosa, e non so quanto la cosa mi piacesse. Osservai quella colonna stranissima che si erge a metà chiesa, che sopra monta un serpente di bronzo. Ero confuso.

 

C’era pace. Quello, sì, lo sentivo distintamente. Non passò molto prima di venir magnetizzato verso il fondo della Basilica. E di lì, giù per quella mezza manciata di scalini.

 

Ero entrato nella cripta.

 

Non ero preparato: non mi aspettavo di trovare, in quel cunicolo buio sotto l’altare, tre scheletri — gli unici punti illuminati — e una grande cancellata di metallo a dividermi da essi.

 

Di quella prima volta, conservo il ricordo nitido di una sola figura umana che stava dinanzi a me. Una ragazzina, che non arrivava ai vent’anni. Composta, nel suo cappottino elegante, stivali alti, gli occhi azzurri, che potevo scorgere con un bagliore proveniente dall’esterno, trasmettevano fierezza, ma non solo quella. Era in ginocchio davanti alla cancellata, rivolta verso i Santi. Le mani erano giunte in preghiera. Con le stesse, poi si aggrappava alle barre di metallo. Come se fossero le inferriate di un carcere, come se ardesse per liberare se stessa o qualcos’altro, tenuto appena oltre quelle sbarre.

 

Cosa stava facendo? Perché una ragazza così — una ragazza di buona famiglia, che trovavo anche carina — aveva bisogno di fare una cosa simile? Pregare con tutto lo spirito uno scheletro?

 

La risposta è in qualcosa che imparai a comprendere tempo dopo: devozione.

 

La devozione era, in realtà, quella fierezza che avevo fugacemente letto negli occhi di Penelope, e che ora veniva irradiata da questa ragazzina. Una devozione speciale, personale, locale: quella fanciulla stava pregando il protettore della città. Il difensore proprio di quella città specifica.

 

Passarono gli anni, passarono le fidanzate, le fortune, le sventure, gli studi, i lavori, le gioie, le disgrazie, i sindaci e i governi: eppure mi ritrovai sempre, e sempre più spesso, immerso in quella cripta. Con il tempo, mi ritrovai ad emulare quella ragazzina che non vidi mai più: in ginocchio, le mani a stringere forte quella grata, di cui anche ora che scrivo percepisco il freddo del metallo mentre tocca i miei palmi.

 

A volte, su quella grata appoggio anche la testa, così, tra una sbarra e l’altra, nell’impossibilità di fare passare attraverso il mio cranio, così, in quello che è anche un appoggio di sollievo, sempre con il ferro gelido a toccarmi fino alle ossa. In ginocchio, a parlare con il Patrono. A chiedergli di proteggermi, e di proteggere tutta la città dove vivevo. Proteggere Milano, perché a Milano, talvolta a distanza talvolta no, avevo visto ogni sorta di cosa.

 

Avevo visto la gente brutalizzarsi nel modo più abietto; avevo visto la cattiveria dei potenti; avevo visto la cattiveria degli impotenti; avevo visto uomini combattersi e ammalarsi; avevo visto amici accumulare danari perdendo l’umanità e anche la famiglia; avevo visto un uomo spararsi davanti all’ex fidanzata nel bar sottocasa; avevo visto coetanei inghiottiti da abissi notturni per non riemergere più; avevo visto la droga (sia quella illegale che quella legale) consumare le menti di una o due generazioni per non lasciare niente; avevo visto una bella conterranea fucilata dal convivente impasticcato psichiatricamente, un’altra fu squartata dal rampollo suo convivente; avevo visto luoghi di perdizione vera, che ancora oggi mi chiedo come facciano ad esistere; avevo visto il crimine convivere tranquillo con la quotidianità; avevo visto l’ambizione delle persone renderle squallide, mostruose, deformi; avevo visto tradimenti, adulterii, ogni sorta di sovversione sessuale e morale; avevo visto ragazze rifiutare i propri figli, e ucciderli; altre ne avevo viste uccidere in provetta quantità indefinite di bambini per alla fine averne uno solo in braccio.

 

Perversione, decadenza, morte. Milano è davvero una metropoli.

 

Come non invocare la protezione di Ambrogio? La cosa mi era impensabile.

 

Come non immaginare, mentre stringo quelle sbarre, che egli stenda un manto santo sopra la città?

 

Che blocchi il Male che correva libero per quelle strade?

 

Finii col credere fermamente che Ambrogio fosse ciò che tratteneva Milano dallo sprofondare in quell’Inferno di fuoco che avrebbe inghiottito quell’inferno umano che registravo con i miei occhi.

 

Per questo, la preghiera in quella cripta divenne per me assidua.

 

Tales ambio defensores

Non posso enumerare le volte in cui sono finito davanti alle spoglie mortali di Ambrogio, Gervaso e Protaso. Per dei periodi, è stato un affare quotidiano.

 

Mi sono aggrappato a quelle sbarre migliaia di volte; spesso sono stato mandato via dal solerte signore filippino (credo) che arriva con l’enorme, tintinnante mazzo di chiavi per chiudere tutta la basilica.

 

Ho fatto ogni sorta di meravigliosi incontri in quel luogo santo.

 

Ricordo quando, inciampandole addosso, dissi «izvinite» («mi scusi») a una anziana signora velata. Si faceva multipli segni della croce ed era, chiaramente, una delle tante signore ortodosse — per lo più immagino badanti, ma vi sono talvolta anche veri e propri gruppi di pellegrini — che vanno ad omaggiare Ambrogio.

 

La signora, usciti dalla cripta, volle scambiare quattro chiacchiere con me, entusiasta del misero russo che stavo studiando. Pretese che salissi immediatamente con lei in metropolitana fino al Duomo, dove mi schiuse le porte di una chiesa ortodossa, che prima di allora mai avevo saputo esistere, appena dietro la cattedrale. La visita ad Ambrogio era una fermata che ella faceva prima di andare nella sua chiesa. C’erano tante signore (moldave, ucraine, bielorusse, russe, kazake…), alcune ho pensato fossero impiegate nell’assistenza di malati o anziani, altre, più giovani ed eleganti, lavoravano chiaramente nella moda; altre ancora, più formose e appariscenti, probabilmente si occupavano di altro – tutte, però, portavano il velo. C’erano i pope con barbe e vesti scure e lunghissime, le candele, l’iconostasi immensa con i suoi bagliori dorati. Tutto sembrava solenne anche se non vi era una funzione in corso. Anche la signora moldava, come Penelope, mi passò una cartolina, e cioè quel che poteva donarmi di più vicino ad una icona.

 

Capii di essere finito un’altra volta in un circuito invisibile il cui termine era sempre e comunque Ambrogio. La devozione.

 

Sì, il circuito della devozione, la cui fermata principale era quella cripta, in cui sono finito non perché ho letto un libro (ignoravo, e tuttora ignoro tutto del Santo!) ma perché sospinto da questo flusso intangibile che scorreva a Milano attraverso perfino i cuori degli stranieri.

 

In quella cripta ho portato tutto: dalle gioie dei primi (piccoli) incassi per i lavori compiuti alla morte di un genitore, dalla speranza di prosperità alla frantumazione del mio essere che a volte gli eventi milanesi potevano cagionare.

 

Soprattutto, ho portato la mia pochezza. Il mio bisogno di essere protetto, difeso.

 

«Tales ambio defensores» disse Ambrogio quando rinvenne i corpi dei due martiri Gervaso e Protaso che ora giacciono con lui (fu l’esito di uno scavo che egli volle commissionare guidato da un presagio interiore; l’evento gli permise di vincere definitivamente il cuore di Milano, che all’epoca contava molti eretici ariani).

 

Me lo sono ripetuto anche io tante volte: «Tali difensori io desidero».

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Nemici di Ambrogio

Al contempo, mi sento in dovere di difendere Ambrogio. Perché, per quanto possa sembrare incredibile, Ambrogio ha dei nemici.

 

Forze che bramano la distruzione di Ambrogio e di quel fiume invisibile che mi ha portato da lui.

 

Nel 1799 i napoleonici della Repubblica Cisalpina vollero che la Basilica venisse trasformata in un ospedale militare.

 

Altre forze figlie della Rivoluzione — i nostri «liberatori» angloamericani — bombardarono vigliaccamente dal cielo Sant’Ambrogio nel 1943.

 

Poi, il 28 giugno 2000 il Male e la sua manovalanza terrena passano all’attacco diretto, penetrando sino al cuore ambrosiano. Nascondono in un inginocchiatoio della nostra cripta uno zaino con due bottiglie contenenti benzina, collegate a un innesco chimico alimentato da una pila. Una bomba incendiaria. (Bruciare Ambrogio e il suo tempio, lo dirò più sotto, potrebbe avere un suo significato di nemesi precisa). L’ordigno è trovato dalla Digos, perché un quotidiano riceve un volantino di rivendicazione. Gli esecutori dovrebbero essere gli anarchici della sigla «Solidarietà Internazionale»; protesterebbero per una cerimonia della polizia penitenziaria.

 

Io in realtà so che, da secoli, vogliono colpire qualcosa di più grande, qualcosa di fondamentale per l’equilibrio di tutta la città – e della mia vita.

 

Vogliono colpire Ambrogio.

 

Vogliono colpire la sua devozione.

 

Perché so tutto questo, non mi son sorpreso quando qualche anno fa uscì sotto forma di libro un attacco ad Ambrogio.

 

Il libro, incensato dall’intero arco delle gazzette nazionali, da Il Sole 24 ore a Il Manifesto, portava la firma di una vecchia conoscenza, diciamo così, tale Franco Cardini.

 

Il titolo non è molto sibillino: Contro Ambrogio.

 

Don Ricossa mi ricorda, con tanto di documentazione, «che Cardini è stato membro del comitato scientifico della rivista massonica Ars Regia; che Cardini ha ricevuto e accettato un’onorificenza dal Grand’Oriente d’Italia; che Cardini ha scritto la prefazione ad un libro sui Templari del figlio dell’allora Gran Maestro della Massoneria Raffi, con i proventi del libro che vanno all’opera massonica degli Asili notturni; che Cardini ha partecipato a un convegno della Gran Loggia d’Italia, obbedienza di piazza del Gesù;  che Cardini si riconosce nella Leggenda medioevale dei tre anelli, ripresa dal massone Lessing, e nell’idea di cristiani, ebrei e musulmani “fratelli in Abramo”; che per Cardini ha ragione Gad Lerner nel dire che Gesù Cristo non è cristiano ma ebreo, essendo il Cristianesimo una invenzione di Saulo di Tarso; che per Cardini non è neppure storicamente certo che Gesù Cristo sia esistito; che per Cardini il film su Ipazia, martire pagana vittima dei cristiani, è storicamente ineccepibile, e che d’altronde il Cristianesimo si è imposto con la violenza ben più che l’Islam. Per cui non stupiamoci se le preferenze di Cardini vadano a preti come don Gallo: “posso attestare che pochi come lui nella storia del cristianesimo sono stati altrettanto fedeli al messaggio del Cristo e alla missione della Chiesa nel mondo”».

 

«Quando ero vice presidente del CNR — mi dice Roberto de Mattei — organizzai a Roma un seminario internazionale sulle Crociate, ma ritenni di non invitare il professor Cardini, perché il suo è un lavoro di decostruzione dell’idea di Crociata, incompatibile con i risultati della più recente e accreditata letteratura scientifica. Cardini mi telefonò furioso e lo giudicai una mancanza di stile».

 

Lo stesso lavoro demolitorio e desacralizzante il Cardini lo porta su Ambrogio.

 

L’episodio che dà l’avvio all’elezione di Ambrogio all’episcopato, e cioè il bambino che urla in Chiesa «Ambrogio Vescovo!» trascinando con sé tutta Milano, è per Cardini una «messinscena», un «ben architettato episodio di organizzazione del consenso», un evento da spin doctor in cui la «spontaneità popolare è accuratamente pilotata».

 

Tuttavia è la sottomissione di Teodosio che infastidisce di più il professore, «l’Augusto, da principe aureolato di autorità sacrale qual era sempre stato, da vicario del Cristo in terra, era sceso al livello di un semplice fedele, pronto ad umiliarsi per ricevere il perdono».

 

Il famoso episodio in cui il vescovo Ambrogio piega l’Imperatore inducendolo alla penitenza rappresenta per l’autore qualcosa di intollerabile, perché emblema perfetto di un «progetto di delegittimazione totale e irreversibile dei ceti diversi da quello cristiano niceno in tutto l’impero».

 

In breve, quel che il Cardini non può sopportare è il primato della Chiesa sul mondo. Teodosio costretto alla penitenza dal vescovo Ambrogio per la strage di Tessalonica (Salonicco, in Grecia…) è per il vecchio studioso la base «di un lungo e complesso itinerario che in vario modo, attraverso l’agostinismo politico, la riforma della Chiesa dell’XI secolo e il monarchismo pontificio» ha delineato quella Tradizione «che in ambito cattolico — una volta battute le eresie e isolati come eretici o comunque pericolosi molti movimenti “non conformisti” medievali — solo il conciliarismo quattrocentesco, in una certa misura il Vaticano II e, oggi, le scelte innovatrici di Papa Francesco, hanno teso in qualche modo a limitare e a correggere».

 

Comprendete? Papa Francesco — in effetti, il Papa più sottomesso all’Impero, l’Impero del Male — come antidoto ai danni provocati da Ambrogio.

 

La Chiesa non deve demandare al potere la penitenza se questo commette ingiuste stragi: capite l’attualità di questa richiesta?

 

Una Chiesa assoggettata al potere (come quella che stiamo vedendo oggi) è per il toscano la condizione giusta per la sposa di Cristo: «il liberare e il mantener libero il clero dai controlli e dai condizionamenti di qualunque autorità terrena — ben al di là se non al contrario di quanto Gesù dichiara esplicitamente a Pilato — sarebbe stata condizione necessaria e sufficiente per salvarlo dalle tentazioni terrene», tuttavia «l’intera storia della Chiesa dimostra l’opposto»

 

Insomma, «forse senza di lui non avremmo avuto un conflitto tra mondo cattolico e modernità».

 

Tradotto: senza Ambrogio il cattolicesimo sarebbe naturaliter modernista.

 

Prendo questi virgolettati, che in me sortiscono l’effetto di amar ancora di più il mio Santo, da un articolone celebrativo che al libercolo in questione dedicò il Paolo Mieli sul primo quotidiano nazionale.

 

Una di quelle doppie paginate, sempre dense ed interessantissime a dire il vero, che una volta alla settimana consentono al pluri-ex-direttore del Corrierone di recensire qualche testo più o meno revisionista.

 

Il Mieli, a dire il vero, potrebbe aver qualche cavallo coinvolto nella corsa. Egli è figlio dell’ex agente del Psychological Warfare Branch dei servizi segreti britannici Ralph Merrill (all’anagrafe egiziana Renato Mieli) poi direttore dell’ANSA e de L’Unità finito però, poco dopo, ad esaltare l’ultraliberismo di Hayek e Von Mises (e per questo i fondi di Confindustria non gli sono mancati); soprattutto, possiamo dire che il Mieli Paolo è, come il padre, di origine ebraica.

 

Mai vorrei che vi fosse, in questo petardino editoriale contro Ambrogio, l’antico pregiudizio che vede il Santo come antisemita. Perché Ambrogio affrontò a testa alta l’Imperatore Teodosio anche un’altra volta.

 

Nel 388, a Callinicum (ora Raqqa, l’ex-capitale dell’ISIS), una sinagoga fu data alle fiamme. Il governatore romano locale, sostenuto da Teodosio, decise che a pagare la ricostruzione dovesse essere il vescovo locale, ritenuto sobillatore degli incendiari.

 

Ambrogio scrisse all’Imperatore il suo dissenso:

 

«Il luogo che ospita l’incredulità giudaica sarà ricostruito con le spoglie della Chiesa? (…) Questa iscrizione porranno i giudei sul frontone della loro sinagoga: Tempio dell’empietà ricostruito col bottino dei cristiani (…) Il popolo giudeo introdurrà questa solennità fra i suoi giorni festivi?»

 

Ambrogio aveva centrato già allora tutta la questione dell’incompatibilità tra Stato e Chiesa quando per lettera chiese a Teodosio: «che cosa dunque è più importante, l’idea di disciplina [cioè, del mantenimento dell’ordine pubblico, ndr] o il motivo della religione?».

 

È la medesima domande che si pose Andreotti quando capì che se non votava la legge sul libero aborto in Italia il suo governo sarebbe caduto. Sappiamo come si rispose. Lo sanno anche i 6 milioni di bambini ammazzati da quella legge, più aggiungiamo magari qualche milionata di vittime della conseguente pratica genocida della fecondazione assistita, che per ogni bambino sintetico nato ne ammazza almeno una ventina — quindi, altri milioni, molti di più, seguiranno.

 

Ambrogio, a differenza dei democristiani e dei loro patti con le potenze infernali, non faceva compromessi.

 

«Io dichiaro di aver dato alle fiamme la sinagoga — scrisse in un’altra epistola all’Imperatore — sì, sono stato io che ho dato l’incarico, perché non ci sia più nessun luogo dove Cristo venga negato».

 

Rileggete: «perché non ci sia più nessun luogo dove Cristo venga negato».

 

Anche a secoli di distanza, come pensate che lo possano perdonare ebrei, falsi cristiani, servi degli dèi della morte?

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Tradidi quod et accepi

 

Voglio concludere.

 

Molto ci sarebbe da dire, come per esempio il mio disgusto per i ciellini (e il loro vescovoni trombati e infelici) che cianciano di «libertà religiosa» quando il Santo della loro capitale ne è stato il più acerrimo nemico, e su di essa — in ispecie contro i pagani — ha combattuto una guerra infuocata, e l’ha vinta.

 

Qualcuno mi accuserà: perché parli, sei uno storico? Un teologo? Un sapiente?

 

No, non lo sono. Sono un uomo ignorante, e l’unica storia che conosco davvero, riguardo Ambrogio, è quella che mi ha portato a lui. Sono solo una persona che riesce ancora a struggersi davanti alla devozione; qualcuno di così ottuso da stupirsi del fatto che esiste ancora; qualcuno di così scemo da credere che la devozione sia non solo necessaria, ma perfino «efficace».

 

Sono un peccatore: sono uno che ad Ambrogio chiede aiuto. Non ci ho scritto libri, non ho studiato a fondo la sua vita e le sue opere.

 

Una cosa però l’ho fatta.

 

Ho portato ad Ambrogio una ragazza, S., tedesca, come Ambrogio.

 

S. aveva un problema, non riusciva più ad entrare in chiesa senza avere un attacco di pianto. Il motivo, ho ipotizzato, era legato a delle vicende personali. La sua famiglia ha attraversato momenti bui, in parte irrisolti, in parte risolti, che hanno lasciato un segno sul suo spirito. In chiesa, mi ha poi spiegato, non riusciva ad entrare perché «non mi sentivo pura a sufficienza», anche se S. è una delle persone più pure che conosco a Milano.

 

Ho fatto fatica. Le prime volte, trascinarla era un vero esercizio di violenza psicologica. «Io vado dentro, devi proprio fare queste scene?». Seguivano occhi sgranati, afasie, imbarazzi paralizzanti, lacrime.

 

Ho iniziato così pian piano a portarla alla messa della domenica sera. Nella pratica, è vero che qualche volta è svenuta, subito soccorsa da fedeli circostanti. Ma ora è tutto alle spalle. Mi esprime, anche troppo spesso, la sua gratitudine per la mia ostinazione. È amica dei sacerdoti come degli altri fedeli, è assidua.

 

Si chiede spesso perché io abbia spinto tanto: il perché lo sa Ambrogio, io sono solo la nanometrica parte del suo circuito invisibile.

 

Qualche giorno fa, S. ha ricevuto finalmente la Cresima, che le mancava. Voleva che facessi da padrino, ma lontano come sono oggi dalla Chiesa conciliare, non per un secondo ho pensato che potessi essere io a sigillare la fine di questa minuscola storia ambrosiana.

 

Nonostante lo stato di aberrazione in cui versa la Chiesa, posso dire che questo è il mio microscopico contributo alla Tradizione: ho tramandato la devozione che ho ricevuto, ho mandato ad Ambrogio qualcuno, come vi ero stato mandato io.

 

Ho conservato, e tramandato, la devozione al cuore di Milano e della vera Cristianità.

 

Io difendo Ambrogio perché Ambrogio difende me.

 

 

Roberto Dal Bosco

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Immagine di Guido Zuccaro, Sanctus Ambrosius. Cartone per vetrata (circa 1920)

Immagine di Fondazione Cariplo via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported; immagine modificata

Spirito

«Imperet illi Deus». Omelia di mons. Viganò nell’Apparizione di San Michele Arcangelo

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Renovatio 21 pubblica l’omelia di monsignor Carlo Maria Viganò nell’anniversario dell’apparizione dell’Arcangelo Michele sul Gargano.    

Salve, tu che nel tempo opportuno meravigliosamente poni i servi fedeli di Dio ai posti elevati. Salve, tu che invisibilmente deponi dall’altezza del potere e della gloria quanti sono indegni e malvagi.

Inno acatisto a San Michele

  Celebriamo oggi la festa dell’Apparizione di San Michele, a ricordo della manifestazione dell’Arcangelo sul monte Gargano in Puglia, l’8 Maggio nell’anno 490, sotto il Pontificato di Gelasio I. Ed è in questo giorno, dopo 1534 anni, che vorrei soffermarmi con voi per una breve meditazione su colui che la Chiesa d’Oriente chiama glorioso Archistratega, e che la Chiesa universale venera come Patrono della Chiesa e delle Milizie celesti.   Quando San Michele apparve sul Gargano, affermò che la cima del monte era un luogo posto sotto la sua protezione e che voleva vi fosse costruita e consacrata una chiesa in onore suo e dei Santi Angeli. Esistono dunque – e lo sappiamo dalle molteplici apparizioni – e vi sono delle località che beneficiano della presenza dell’Arcangelo e che sono protetti dal potere nefasto di Satana.   In quella stessa epoca in Frigia – l’antica Colossi, oggi Konya in Turchia – egli aveva protetto dalla distruzione per mano dei pagani un santuario a lui dedicato. E molte altre volte l’intervento del Principe delle schiere angeliche ha manifestato la propria potenza, sia in luoghi specifici, sia su particolari comunità: prima fra tutte, la Santa Chiesa; ma anche gruppi di fedeli a lui devoti. Possiamo sperare, con la fiduciosa umiltà di chi confida nell’aiuto divino, che anche questa nostra piccola familia tradizionale e i suoi membri possano godere dell’efficace patrocinio di San Michele e della sua speciale protezione contra nequitiam et insidias diaboli.   Ed è di grande consolazione che questo grande protettore sia stato prescelto tra i puri spiriti per sprofondare nell’abisso Lucifero, il più bello ma anche il più orgoglioso degli angeli apostati, ribelle alla volontà di Dio.   Quis ut Deus? Questo significa in ebraico il nome Michele: chi è come Dio? Un nome che suona come un’umile e coraggiosa risposta all’arrogante Non serviam di Satana, e che ci porta ancora una volta – assieme al fulgido esempio di Maria Santissima – a vedere premiata l’umiltà e punito l’orgoglio: Deposuit potentes de sede, et exaltavit humiles.

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Nell’antichissimo inno della liturgia orientale, l’akatisthos in onore di San Michele, il cantore si rivolge all’Arcangelo con una serie di salutazioni che celebrano le sue glorie. Tra esse, ne riporto due che considero particolarmente appropriate per questi tempi di crisi.  

Salve, tu che nel tempo opportuno meravigliosamente poni i servi fedeli di Dio ai posti elevati.

  San Michele viene elogiato per il suo ruolo al servizio della Provvidenza nel determinare l’ascesa ai posti elevati dei servi fedeli di Dio. Egli è dunque lo strumento mediante il quale la Signoria di Cristo Re e Pontefice si trova rappresentata, nella sfera civile e religiosa, da coloro che con la propria fedeltà e con spirito di servizio meritano di esercitare in forma vicaria l’autorità di Dio in terra. E questa azione «politica», per così dire, avviene nel tempo opportuno, ossia quando ciò è conforme alla sovrana volontà del Signore.   La seconda salutazione è ancora più esplicita, ed echeggia la Sacra Scrittura:   Salve, tu che invisibilmente deponi dall’altezza del potere e della gloria quanti sono indegni e malvagi.   Anche in questo caso l’Arcangelo è celebrato come ministro dell’Altissimo, grazie al cui ministero gli indegni e i malvagi sono deposti dai ruoli di comando e di potere; e questa azione viene indicata come invisibile perché opera seguendo percorsi spesso ignoti e senza ostentazione, ma con indefettibile efficacia.   Se guardiamo a ciò che avviene nella società e nella Chiesa, possiamo vedere governanti e prelati corrotti e indegni, che si sono appropriati del potere e dell’autorità per scopi opposti a quelli che invece dovrebbero perseguire. Servi del demonio, costoro vogliono procurare la morte fisica e spirituale per strappare anime a Dio, illudendosi di offuscare la vittoria che il Signore ha ottenuto sul Golgota. Non vediamo però i servi fedeli di Dio posti in ruoli di comando, anzi tutto ci induce a credere che umanamente il trionfo del Male sia ormai ineluttabile.   Ma proprio alla luce delle parole dell’inno acatisto, dobbiamo ricordarci di quel tempo opportuno in cui i buoni meriteranno di riappropriarsi dell’autorità oggi usurpata dai malvagi; e di quell’invisibilmente, riferito alla caduta degli indegni e corrotti usurpatori.   Sono parole consolanti, che riaffermano quanto il Magistero ci insegna e quanto la divina Liturgia ripete, ossia che ogni potestà viene da Dio, e che il Salvatore Gesù Cristo è realmente l’unico Signore, nel Quale inizia e finisce ogni autorità in cielo, sulla terra e sotto terra (Fil 2, 10), supremo Garante di quella medesima autorità che è concessa ai governanti e ai prelati come a luogotenenti di Cristo.   La potenza dell’intervento di San Michele si dispiega in virtù della benedetta umiltà dell’Arcangelo, e quanto più la creatura è umile e incorporata in Cristo, tanto più potente è la forza che il Signore le concede, perché la Maestà divina si compiace di manifestarSi proprio in chi riconosce il proprio nulla e si inchina adorante al tutto che gli viene da Dio.

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Per questo Nostra Signora, la più sublime e perfetta di tutte le creature, è onnipotente per Grazia: perché la Grazia divina e la potenza dello Spirito Santo trovano in Lei l’ancilla e ne fanno la Regina del Cielo, la Sposa del Paraclito, la Madre di Dio, il tabernacolo dell’Altissimo. In questa mirabile economia soprannaturale, invisibilmente cadono i potenti malvagi, perché nel tempo opportuno siano gli eletti, i fedeli servi di Dio, a ricapitolare in Cristo tutte le cose, instaurare omnia in Christo, secondo le parole dell’Apostolo (Ef 1, 10).   Queste considerazioni ci devono portare a meditare due grandi verità.   La prima è che, essendo l’autorità terrena un riflesso della sovrana Signoria di Cristo, essa non può che tornare necessariamente a quella armonia universale stabilita da Dio. Le alterne vicissitudini della Storia non inficiano minimamente questa Signoria, conquistata una volta per tutte dalla Passione redentrice del Salvatore.   La seconda è che questo ritorno dell’ordine divino avverrà nel tempo opportuno, e cioè quando vi saranno persone degne – per santità di vita e soprattutto per umiltà – degne di ricoprire quei posti di cui i malvagi si sono impadroniti. E questo accadrà solo quando i fedeli comprenderanno che le sorti del mondo e della Chiesa non possono essere mutate secondo la mentalità del mondo o ricorrendo a mezzi umani, ma piuttosto nel riconoscere Gesù Cristo come Pantocratore, Sovrano universale, Dio vivo e vero, unico Signore onnipotente.

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In questo giorno i nostri carissimi amici, i Conti Giuseppe e Cristina, festeggiano il venticinquesimo anniversario delle loro Nozze. Cinque lustri sono trascorsi dal giorno in cui le vostre promesse solenni hanno suggellato la vostra unione nel Matrimonio. Anche voi, come ogni coppia di sposi cattolici, avete posto ogni vostra speranza nelle mani di Dio, fiduciosi di potervi conservare nella fedeltà non per le vostre forze, ma in virtù della Grazia santificante. La Provvidenza, che opera per vie insondabili, vi consola oggi – nel tempo opportuno – con una figliolanza spirituale, perché il vostro impegno per la Fondazione Exsurge Domine e per il Collegium Traditionis consentirà di formare santi sacerdoti che in qualche modo potranno considerarsi legati a voi da un vincolo più forte e duraturo di quello della carne e del sangue. Se questo ambizioso progetto è oggi possibile, lo dobbiamo anche al Conte Giovanni Vannicelli, che tanto si è adoperato per la rinascita della Tradizione, nei grigi anni del Vaticano II: la sua eredità spirituale rivive nel figlio Giuseppe, nato e cresciuto in una famiglia solidamente cattolica.   Centoquarantotto anni fa, l’8 Maggio 1876, iniziava la costruzione della Basilica di Pompei, dedicata alla Regina del Santo Rosario. Al termine della Santa Messa ripeteremo le care parole della Supplica:   Dal Trono di clemenza, dove sedete Regina, volgete, o Maria, il vostro sguardo pietoso su di noi, sulle nostre famiglie, sull’Italia, sull’Europa, sul mondo, […] in questo giorno solennissimo della festa dei novelli vostri trionfi sulla terra degl’idoli e dei demoni.   Possa Nostra Signora, assistita dal Suo Scudiero San Michele, rinnovare quelle glorie: Ai prischi allori della vostra Corona, agli antichi trionfi del vostro Rosario, onde siete chiamata Regina delle vittorie, deh! aggiungete ancor questo, o Madre: concedete il trionfo alla Religione e la pace alla umana società.   E così sia.   + Carlo Maria Viganò Arcivescovo   8 Maggio 2024 In apparitione S.cti Michaëlis Archangeli

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    Immagine: Luca Giordano, La caduta degli angeli ribelli (circa 1666), Kunsthistorisches Museum, Vienna. Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia  
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Gender

Celebrato in chiesa un «quasi matrimonio» omosessuale

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Il sito della Catholic News Agency, ripreso dal National Catholic Register e da altri media, riporta una cerimonia celebrata da un sacerdote dell’arcidiocesi di Chicago, padre Joseph Williams, responsabile della parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli, amministrata dai sacerdoti della Congregazione della Missione (CM) o Lazzaristi.

 

I fatti

Un video, disponibile su un account Instagram, mostra una cerimonia che sembra un matrimonio, ma le due persone coinvolte sono donne: K. B. e M. K., quest’ultima per 14 anni pastore delle comunità metodiste unite intorno a Chicago.

 

Contattato da OSV News, il sacerdote ha ammesso di essere il celebrante visibile nel video e che la benedizione, che ha detto di aver impartito su richiesta delle interessate, si è svolta nella parrocchia di San Vincenzo de’ Paoli. La scena è stata girata utilizzando un cellulare. La chiesa sembra vuota, ma il sacerdote indossa camice e stola.

 

Il sacerdote si rivolge alle due donne e chiede loro: «vi impegnate di nuovo liberamente ad amarvi come santi sposi e a vivere insieme in pace e concordia per sempre?» – «Noi lo facciamo, io lo faccio», rispondono. Padre Williams continua: «Dio d’amore, aumenta e consacra l’amore che Kelli e Myah nutrono l’una per l’altra».

 

Anche se non c’è scambio di anelli, il sacerdote dice: «Possano gli anelli che si sono scambiati essere un segno della loro lealtà e del loro impegno. Possano continuare a prosperare nella tua grazia e benedizione. Questo te lo chiediamo per Cristo nostro Signore». Conclude facendo il segno della croce, dicendo: «Scenda su di voi la benedizione di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo».

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Spiegazioni confuse e contraddittorie

Nella sua risposta a OSV News, padre Williams ha giustificato l’uso del camice e della stola: «Io lo faccio così. Quando vado a casa di qualcuno per benedire la sua casa, indosso il camice e la stola. (…) Questo è quello che faccio come prete. Fa parte del mio abbigliamento».

 

Quanto a Fiducia Supplicans, ha spiegato che il suo agire derivava dalla sua «comprensione del testo». Aggiunge che «il Santo Padre ha detto che le coppie dello stesso sesso possono essere benedette purché non rifletta una situazione matrimoniale (…) purché sia ​​chiaro che non si tratta di un matrimonio».

 

Si difende in ogni caso. Quando la signora K. aveva chiesto la benedizione, padre Williams le aveva detto: «Per favore, capisca che questo non è in alcun modo un matrimonio, un matrimonio vero e proprio, o qualcosa del genere. È semplicemente una benedizione delle persone».

 

Tuttavia, ha spiegato ulteriormente a OSV News che l’uso del termine «santi sposi» nella benedizione da lui scritta intendeva significare «coppia». – Deve essere uno scherzo… «santi sposi» per persone in situazione di peccato oggettivamente grave!

 

OSV News è stata piuttosto aggressiva nell’inviare un collegamento al video all’arcidiocesi di Chicago per un commento; nonché al cardinale Victor Manuel Fernández, prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF) che ha prodotto Fiducia supplicans, per un parere su questo atto.

 

Una deriva prevedibile e inevitabile

Non c’era bisogno di essere profeti per dire che questa situazione si sarebbe verificata prima o poi, una volta pubblicata Fiducia supplicans. E questa probabilmente è solo la punta dell’iceberg. La situazione continuerà a peggiorare e le cerimonie diventeranno esplicitamente «matrimoni».

 

Non esistono trentasei modi per fermare questa deriva mostruosa: eliminare la deriva iniziale, cioè la dichiarazione stessa. Intanto il responsabile in primis di questa cerimonia di Chicago è il prefetto del DDF. È lui che dovrà rispondere innanzitutto a Dio.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Richie D. via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Spirito

Il mese di Maria: la sua storia

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La dedicazione di un mese a una particolare devozione è una forma relativamente recente di pietà popolare, che non trova riscontro nella pratica generale fino al XVIII secolo.   Così il mese di San Giuseppe (marzo), iniziato a Viterbo, fu approvato da Pio IX il 12 giugno 1855; il mese del Rosario (ottobre), nato in Spagna, fu approvato da Pio IX il 28 luglio 1868 e raccomandato da Leone XIII (1883); il mese del Sacro Cuore (giugno), nato nel Convento di Notre Dame des Oiseaux di Parigi nel 1833 e promosso da Mons. de Quelen, fu approvato da Pio IX l’8 maggio 1873.   Il mese del SS. Nome di Gesù fu approvato da Leone XIII nel 1902 (gennaio), e il mese del Preziosissimo Sangue approvato da Pio IX nel 1850 (luglio); il mese dell’Addolorata fu approvato da Pio IX nel 1857 (settembre), il mese delle Anime del Purgatorio approvato da Leone XIII nel 1888 (novembre).  

Il mese di Maria

Già nel XIII secolo ne troviamo menzione nei poemi a Maria (Cantigas de Santa Maria) del re Alfonso X di Castiglia, detto il Saggio (1252-1284). Paragona la bellezza di Maria a quella del mese di maggio. Nel secolo successivo, il beato domenicano Henri Suso aveva, nel tempo dei fiori, l’abitudine di intrecciare corone per offrirle, il primo giorno di maggio, alla Vergine.   Nel 1549 un benedettino, V. Seidl, pubblicò un libro intitolato Il mese spirituale di maggio, quando già san Filippo Neri esortava i giovani a mostrare speciale culto a Maria durante il mese di maggio, in cui radunava i fanciulli intorno all’altare della beata Vergine per offrirle, con i fiori di primavera, le virtù che aveva fatto sbocciare nelle loro giovani anime.

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La diffusione del «mese di Maria» deve molto ai gesuiti italiani che, all’inizio del XVIII secolo, pubblicarono numerose opere sull’argomento. Così il padre gesuita Alfonso Muzzarelli pubblicò nel 1785 a Ferrara (Italia) Il mese di Maria, osìa di Maggio consacrato a Maria SS., che ebbe larga diffusione. Offre meditazioni sulle virtù della Vergine per ogni giorno del mese di maggio.   I Camilliani rivendicano l’onore di aver inaugurato il mese mariano nella sua forma attuale, nel 1784. I Gesuiti ne sottolinearono l’aspetto familiare raccomandando che, alla vigilia del primo maggio, in ogni casa fosse eretto un altare a Maria, ornato di fiori, davanti al quale la famiglia si riuniva per recitare preghiere in onore della Beata Vergine ogni giorno del mese, prima di estrarre a sorte un biglietto che indicasse la virtù da praticare il giorno successivo.   Queste pratiche caddero in disuso negli anni ’70.  

Il mese di Maria in Francia

Grazie all’opera dei Gesuiti, il «mese di Maria» giunse in Francia alla vigilia della Rivoluzione. La venerabile Luisa di Francia, figlia di Luigi XV e priora del Carmelo di Saint-Denis, ne fu una zelante propagatrice. Questa pratica ebbe un carattere generale solo con le missioni popolari della Restaurazione, e la sua approvazione ufficiale da parte della Santa Sede (21 novembre 1815).   Dopo i giansenisti, il clero costituzionale si oppose ferocemente a questa devozione e sappiamo che mons.Belmas, vescovo concordatario di Cambrai, già vescovo costituzionale dell’Aude, ne fu risoluto oppositore. Ma grazie all’approvazione di Pio VII, la devozione finì per trionfare.   Ricordiamo infine che, dal 10 febbraio 1638, la Francia è stata ufficialmente consacrata alla Beata Vergine in seguito al voto pronunciato dal re Luigi XIII.   Approfittiamo di questo mese a Lei dedicato per chiedere alla Madre del Salvatore la sua potente protezione su di noi, sulla nostra Patria e sulle nostre famiglie, e per pregarla di affrettare il trionfo del suo Cuore Immacolato.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine: Gerard David (circa 1450/1460–1523), La vergine tra le vergini, Musée des Beaux-Arts, Rouen Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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