Economia
ONG accusa le banche europee di alimentare la violenza in Sud Sudan
Sessanta tra le principali banche e investitori dell’UE sono stati accusati di alimentare la violenza in Sud Sudan, dove l’ONU ha ripetutamente denunciato omicidi diffusi, stupri sistematici e sfollamenti forzati di civili. Lo denuncia il rapporto di una ONG, uscito oramai una decine di giorni fa, ma passato sotto silenzio dalla stampa.
Le banche, tra cui le tedesche Allianz e Deutsche Bank, nonché l’italiana Intesa Sanpaolo, avrebbero investito oltre 700 milioni di euro in due società legate a violazioni dei i diritti umani nel paese africano senza sbocco sul mare, ha affermato in un rapporto l’organizzazione internazionale no-profit Global Witness.
La ONG ha inoltre elencato la società bancaria internazionale francese Crédit Agricole Group tra i principali finanziatori accusati.
Global Witness sostiene che, nonostante le sanzioni statunitensi, le due maggiori compagnie petrolifere internazionali che operano in Sud Sudan, la China National Petroleum Corporation (CNPC) e la società statale malese Petronas, continuano a essere finanziate da investitori dell’UE.
«I creditori europei hanno inoltre fornito alle due società oltre 4 miliardi di euro di prestiti e servizi di sottoscrizione in meno di sette anni», afferma Global Witness nel suo rapporto.
Washington ha imposto sanzioni a 15 operatori petroliferi sudsudanesi nel 2018, tra cui Dar Petroleum Operating Company, un consorzio di petrolio e gas guidato da CNPC e Petronas. Il Dipartimento di Stato americano ha affermato che il governo del Sud Sudan stava utilizzando le entrate delle aziende per acquistare armi e finanziare milizie irregolari che minacciavano la pace, la sicurezza e la stabilità del paese.
🔴BREAKING: Investments by European banks are tied to ongoing violence and atrocities in #SouthSudan.
We found @DeutscheBank @CreditAgricole @Intesasanpaolo & others hold over €700 million in oil companies linked to conflict 👇 https://t.co/qCQfp8N2yC
— Global Witness (@Global_Witness) November 14, 2023
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Nel 2013 il Sud Sudan è stato coinvolto in una guerra civile, scatenata da una disputa politica tra il presidente Salva Kiir Mayardit e il suo ex vicepresidente, Riek Machar. Il conflitto causò la morte di centinaia di migliaia di persone, ridusse la produzione di petrolio e costrinse circa un terzo della popolazione di 12 milioni di abitanti ad abbandonare le proprie case.
Le fazioni in guerra hanno raggiunto un accordo di condivisione del potere nell’agosto 2018, che ha posto fine alla guerra civile. Tuttavia, l’ONU ha riferito che continuano a commettersi gravi violazioni dei diritti umani, con 714 episodi di violenza che hanno colpito 3.469 civili lo scorso anno. Circa 1.600 sud sudanesi sono stati uccisi, 988 feriti e 501 rapiti.
Global Witness ha insistito nel suo rapporto che gli attuali investimenti delle banche dell’UE nel settore petrolifero del Sud Sudan, da cui hanno tratto profitto dall’inizio del conflitto quasi dieci anni fa, contraddicono gli impegni sui diritti umani.
«Deutsche Bank, Allianz, Intesa Sanpaolo e gli altri finanziano da anni società legate a indicibili aggressioni contro i civili in Sud Sudan, eppure non hanno fatto altro che sedersi e guardare il denaro che arrivava», Aurelie Skrobik, attivista per la responsabilità aziendale presso Global Witness, ha affermato in un comunicato.
«Abbiamo urgentemente bisogno che i governi europei sostengano una nuova legge che impedisca alle banche e agli investitori di finanziare aziende legate ai diritti umani e agli abusi ambientali», ha aggiunto la Skrobik.
Mentre in Francia ne ha parlato Le Monde, non siamo riusciti a trovare traccia della notizia in Italia, con l’eccezione della testata missionaria Nigrizia.
«A partire dallo scoppio della guerra civile nel 2013, ricorda il report, la popolazione sudsudanese subisce “orribili violenze”», scrive la rivista dei comboniani. «Abusi che si sono solo parzialmente ridotti con la firma della pace nel 2018, in quanto le forze governative, le milizie alleate e i servizi di sicurezza continuano ancora oggi a perpetrare violenze contro la popolazione. Violenze denunciate, tra l’altro, dalle indagini della Commissione per i diritti umani in Sud Sudan che ha chiesto, finora senza risultati, che i responsabili siano indagati per crimini contro l’umanità e crimini di guerra».
«L’organismo delle Nazioni Unite – così come denunciano da diversi anni autorevoli studi – afferma che le aziende che operano nel settore petrolifero sono complici di questi crimini, in quanto legate da partnership alle forze governative» continua Nigrizia. «Aziende che sono finanziate da banche europee, tedesche, francesi e italiane in particolare».
Nel rapporto di Global Witness si legge che «le banche e gli investitori europei stanno ancora investendo milioni nelle due società internazionali che detengono la quota maggiore nel settore petrolifero del Sud Sudan, e avrebbero continuato a concedere loro prestiti da quando è scoppiato il conflitto.
È interessante notare, come evidenziato dal documento di Global Witness, che l’84% del bilancio statale proviene dalle entrate petrolifere, e la maggior parte di tale budget è destinata ai servizi militari e di sicurezza. In altre parole, secondo la ONG quei fondi vanno a sostenere le istituzioni responsabili delle violenze.
La ONG internazionale che muove le pesanti accuse è stata fondata nel 1993 e sostiene di lavorare per spezzare i legami tra sfruttamento delle risorse naturali, conflitti, povertà, corruzione e violazioni dei diritti umani in tutto il mondo. L’organizzazione ha uffici a Londra e Washington, e dichiara di non avere alcuna affiliazione politica.
Nel 2009 Global Witness aveva lanciato una campagna sul ruolo delle banche nel facilitare la corruzione. Il suo rapporto, intitolato «Undue Diligence», nomina alcune delle principali banche che hanno fatto affari con regimi corrotti. Ne documento si sosteneva che «accettando questi clienti, le banche aiutano coloro che utilizzano i beni statali per arricchirsi o brutalizzare la propria gente» e che «questa corruzione nega alle persone più povere del mondo la possibilità di uscire dalla povertà e le lascia dipendenti dell’aiuto umanitario».
Già nel primo decennio degli anni 2000 la ONG aveva condotto una campagna per la trasparenza nell’industria petrolifera del Sudan, pubblicando nel giugno 2009 il rapporto Fueling Mistrust, dove dettagliava discrepanze fino al 26% tra i dati di produzione pubblicati dal governo sudanese e quelli pubblicati dalla principale compagnia petrolifera operante nella regione, la CNPC. Un accordo di pace tra il Nord e il Sud si basava su un accordo per la condivisione dei proventi del petrolio.
È riportato che uno dei principali benefattori di Global Witness è l’Open Society Institute di George Soros. Riceve inoltre danari dal governo britannico e norvegese.
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Immagine di Steve Evans via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Economia
Le Filippine approvano una nuova criptovaluta per agevolare le rimesse dall’estero
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Alimentazione
La sinistra tedesca vuole un tetto massimo per il prezzo del kebab
Die Linke, il partito della sinistra tedesca ha proposto allo Stato di sovvenzionare i kebab con quasi 4 miliardi di euro all’anno. Negli ultimi anni l’inflazione e l’aumento dei costi energetici hanno quasi raddoppiato il prezzo dello popolare panino turco. Sono i grandi temi della sinistra moderna.
In un documento politico visionato dal tabloid tedesco Bild e riportato domenica, Die Linke ha proposto di limitare il prezzo di un doner kebab a 4,90 euro o 2,50 euro per studenti, giovani e persone a basso reddito. Con un costo medio di un kebabbo pari a 7,90 euro, il resto del conto sarà a carico del governo, si legge nel documento.
«Un limite di prezzo per il kebab aiuta i consumatori e i proprietari dei negozi di kebab. Se lo Stato aggiungesse tre euro per ogni kebab, il prezzo massimo del kebab costerebbe quasi quattro miliardi», scrive il partito sul giornale, spiegando che ogni anno in Germania si consumano circa 1,3 miliardi di kebabbi.
«Quando i giovani chiedono: Olaf, riduci il kebab, non è uno scherzo su Internet, ma un serio grido d’aiuto», ha detto alla Bild la dirigente del partito di sinistra Kathi Gebel, riferendosi al cancelliere tedesco Olaf Scholz. «Lo Stato deve intervenire affinché il cibo non diventi un bene di lusso».
Introdotto in Germania dagli immigrati turchi negli anni ’70, il doner kebab è diventato in pratica la forma di fast food preferito dalla nazione già teutonica, tracimando anche nel resto d’Europa, come in Italia, dove più che turchi i kebabbari sono nordafricani o talvolta pakistani.
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Tuttavia, mentre Die Linke descrive il panino con l’agnello carico di salsa come un alimento base quotidiano per alcune famiglie, la maggior parte dei medici e dei nutrizionisti ne consiglierebbe il consumo solo come spuntino occasionale.
Uno studio scozzese del 2009 ha rilevato che il doner kebab medio conteneva il 98% dell’assunzione giornaliera raccomandata di sale di un adulto e il 150% dell’assunzione raccomandata di grassi saturi, scrive RT.
Per anni in Germania il prezzo di un doner kebab si è aggirato intorno ai 4 euro. Tuttavia, l’aumento dei costi energetici e l’inflazione che hanno seguito la decisione di Scholz di mettere l’embargo sui combustibili fossili russi hanno costretto i venditori ad aumentare i prezzi.
«Siamo stati costretti ad aumentare i prezzi a causa dell’esplosione dei prezzi degli affitti, dell’energia e dei prodotti alimentari», ha detto al giornale britannico Guardian un gestore di uno stand di kebabbi a Berlino. «La gente ci parla continuamente di “Donerflazione”, come se li stessimo prendendo in giro, ma è completamente fuori dal nostro controllo».
Molti tedeschi accusano lo Scholz di averli privati della kebbaberia a buon mercato, una catastrofe che li spinge verso prospettive di pacifismo sul fronte russo. «Pago otto euro per un doner», ha urlato un manifestante a Scholz nel 2022, prima di implorare il cancelliere di «parlare con Putin, vorrei pagare quattro euro per un doner, per favore».
«È sorprendente che ovunque vada, soprattutto tra i giovani, mi venga chiesto se non dovrebbe esserci un limite di prezzo per il doner», ha osservato lo Scholzo in un recente video su Instagram. Tuttavia, il cancelliere ha escluso una simile mossa, elogiando invece il «buon lavoro della Banca Centrale Europea» nel presumibilmente tenere l’inflazione sotto controllo.
Kebabbari, kebabbani e kebabbati non sono gli unici tedeschi a soffrire sotto Scholz. Il mese scorso, il più grande produttore di acciaio tedesco, Thyssenkrupp, ha annunciato «una sostanziale riduzione della produzione» nel suo stabilimento di Duisburg, licenziando 13.000 dipendenti. L’azienda ha attribuito il calo di produttività agli «alti costi energetici e alle rigide norme sulla riduzione delle emissioni».
Meno di una settimana dopo l’annuncio dei tagli da parte della Thyssenkrupp, il Fondo monetario internazionale ha rivisto le prospettive di crescita economica della Germania dallo 0,5% allo 0,2% quest’anno. Secondo i dati, nel 2024 la Germania dovrebbe registrare la crescita più debole tra tutti gli stati appartenenti al gruppo G7 dei paesi industrializzati.
Riguardo al kebab, da decenni circola tra i giovani tedeschi la leggenda metropolitana secondo la quale in un singolo panino kebap sarebbe stata rivenuta una quantità di sperma da uomini differenti, a indicazione, secondo il significato certamente xenofobo della storia, del disprezzo degli immigrati per i cittadini tedeschi.
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Economia
La Turchia sospende ogni commercio con Israele
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Come riportato da Renovatio 21 il leader turco ha effettuato in questi mesi molteplici attacchi con «reductio ad Hitlerum» dei vertici israeliani, paragonando più volte il primo ministro Beniamino Netanyahu ad Adolfo Hitler e ha condannato l’operazione militare a Gaza, arrivando a dichiarare che Israele è uno «Stato terrorista» che sta commettendo un «genocidio» a Gaza, apostrofando il Netanyahu come «il macellaio di Gaza». Il presidente lo scorso novembre aveva accusato lo Stato Ebraico di «crimini di guerra» per poi attaccare l’intero mondo Occidentale (di cui Erdogan sarebbe di fatto parte, essendo la Turchia aderente alla NATO e aspirante alla UE) a Gaza «ha fallito ancora una volta la prova dell’umanità». Un ulteriore nodo arrivato al pettine di Erdogan è quello relativo alle bombe atomiche dello Stato Ebraico. Parlando ai giornalisti durante il suo volo di ritorno dalla Germania, il vertice dello Stato turco ha osservato che Israele è tra i pochi Paesi che non hanno aderito al Trattato di non proliferazione delle armi nucleari del 1968. Il mese scorso Erdogan ha accusato lo Stato Ebraico di aver superato il leader nazista uccidendo 14.000 bambini a Gaza. Israele, nel frattempo, ha affermato che il presidente turco è tra i peggiori antisemiti della storia, a causa della sua posizione sul conflitto e del suo sostegno a Hamas..@RTErdogan is breaking agreements by blocking ports for Israeli imports and exports. This is how a dictator behaves, disregarding the interests of the Turkish people and businessmen, and ignoring international trade agreements. I have instructed the Director General of the…
— ישראל כ”ץ Israel Katz (@Israel_katz) May 2, 2024
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