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Geopolitica

Hillary Clinton: Putin ci odia. Spieghiamo invece il vero motivo per cui lei odia Putin

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L’ex candidata presidenziale americana Hillary Clinton ha detto all’ex portavoce della Casa Bianca Jennifer Psaki che il presidente russo Vladimir Putin «odia» gli Stati Uniti. L’ex candidata presidente battuta da Donald Trump ha inoltre affermato che Mosca interferirà nelle elezioni del 2024, ripetendo accuse mai provate del 2016 e del 2020.

 

«I russi hanno dimostrato di essere piuttosto abili nell’interferire e se [Putin] avrà una possibilità, lo farà di nuovo», ha insistito Clinton durante l’intervista di domenica alla MSNBC, sottolineando che il leader russo, che la sua campagna ha notoriamente accusato di sostenere il suo rivale repubblicano, Donald Trump, nel 2016, «odia la democrazia».

 

«Odia particolarmente l’Occidente, e odia soprattutto noi», ha detto, sostenendo che Putin era dietro una strategia deliberata per «danneggiare e dividere» gli Stati Uniti. Il candidato, due volte bocciato, ha invitato gli americani a resistere alla presunta tirannia del «dittatore autoritario» della Russia, così come ai suoi «apologisti e facilitatori».

 

«Dobbiamo respingere una sorta di fascismo strisciante di persone che sono veramente pronte a cedere il loro pensiero, i loro voti ad aspiranti dittatori», ha aggiunto Clinton.

 

Psaki, conduttore di MSNBC da quando ha lasciato la Casa Bianca l’anno scorso, ha rivelato tristemente al pubblico che l’amministrazione del presidente Joe Biden stava tentando di controllare la narrativa del COVID-19 sui social media nel 2021, ammettendo che il governo stava «segnalando i post problematici per Facebook». Successivamente è emerso che diversi enti governativi avevano rappresentanti che si incontravano regolarmente con le piattaforme di social media per richiedere la rimozione dei contenuti, il divieto degli utenti e la promozione di contenuti considerati più favorevoli a Washington.

 

All’Eastern Economic Forum all’inizio di questo mese, Putin ha denunciato l’amministrazione Biden come irrimediabilmente corrotta e impegnata nella persecuzione politica del predecessore repubblicano del presidente, sostenendo che la campagna legale contro Trump ha messo in luce «il marciume del sistema politico americano, che non può pretendere di insegnare altri democrazia», scrive RT.

 

Il presidente russo ha ricordato al pubblico che le accuse di collusione russa mosse contro Trump da Clinton e altri – in seguito rivelate essere basate su mandati di sorveglianza illegali, informazioni fasulle e prove falsificate – erano «assolute sciocchezze».

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Il procuratore speciale del Dipartimento di Giustizia John Durham ha ritenuto che le indagini dell’FBI sui presunti legami di Trump con la Russia fossero enormemente viziate, concludendo in un rapporto pubblicato all’inizio di quest’anno che l’agenzia «non è riuscita a sostenere la propria missione di rigorosa fedeltà alla legge» basandosi su informazioni di dubbia provenienza.

 

Le agenzie di Intelligence statunitensi hanno ribadito le loro accuse di ingerenza elettorale del 2016 con un rapporto in cui insistevano sul fatto che Mosca aveva manipolato il voto del 2020 a favore di Trump. Tuttavia, non è mai stata condotta alcuna indagine ufficiale su tali accuse e lo stesso rapporto alla fine ha ammesso che non era stato effettivamente fatto alcuno sforzo per interferire con i totali dei voti.

 

La ruggine fra la Clinton e Putin è antica, e più profonda di quanto non si creda, perché non riguarda la sola Hillary ma la matrice di potere da cui proviene.

 

L’insulto più noto risale ad anni fa. La Clinton, in un incontro pubblico, se la prese con George W. Bush – un teatrino di facciata, certo, perché sappiamo come lui la consideri un membro della famiglia Bush, e abbia operato appena eletto a elargire grazie ai collaboratori di Clinton che potevano scoperchiare certi vasetti di Pandora lasciati dal Bill – accusandolo di  ingenuità. Quest’ultimo aveva dichiarato che aveva guardato negli occhi di Putin, dicendo poi di averne visto l’anima e quindi di potersene fidare. La Clinton disse, facendo ridere il suo pubblico idiota, che era impossibile, perché Putin è una spia del KGB, quindi «Putin non ha un’anima». (La Clinton, ricordiamo, è moglie del grande amico di Jeffrey Epstein Bill Clinton; la coppia è omonima di quel Clinton Body Count che è sicuramente una teoria cospirazionista per malati di mente diffusori di fake news).

 

Putin di suo nel 2014 aveva affermato in un’intervista che Hillary è «debole», aggiungendo che l’ex segretario di Stato «non è mai stata troppo aggraziata nelle sue dichiarazioni».

 

La realtà è che la Clinton non può che essere una continuazione del mondo da cui proviene il marito Bill, che è quello descritto dal professor Carrol Quigley, che di Bill fu professore a Georgetown, nel suo libro Tragedy and Hope, un libro volume di oltre 1000 pagine che per anni fu tolto dal commercio.

 

Quigley aveva ottenuto il permesso di lavorare agli archivi del Council for Foreign Relations, think tank rockefelleriano che dirige le scelte di politica estera (e quindi di guerra) degli USA. L’accademico se ne era uscito con questo enorme saggio sulla storia del gruppo che, a suo dire, davvero controlla la storia, che lui chiama «l’establishment anglo-americano». Tale gruppo di potere, che rappresenta una continuazione della strategia dell’impero britannico, vorrebbe sottomettere l’intero globo al dominio anglo-americano e del suo oligarcato – e quindi del neoliberismo, e più avanti, di un socialismo capitalista («fabiano») di cui vediamo i prodromi in Cina e nelle allucinazioni del World Economic Forum.

 

Di qui la necessità di eliminare chiunque, difendendo sovranità di qualsiasi tipo davanti al progetto mondialista, possa rappresentare un ostacolo all’attuazione del piano di omogeneizzazione mondiale dell’establishment di cui parla Quigley, il quale vedeva pure il fenomeno sotto una luce positiva.

 

È noto che Clinton citò almeno una volta direttamente Quigley in un suo discorso.

 

Questa storia che vi stiamo raccontando è in qualche modo specchiata nel libro di Robert Harris, poi divenuto film di Roman Polansky, Ghost Writer (), che si pensa sia ispirato a Tony Blair e a suoi moglie (secondo la finzione, il vero collegamento con il gruppo dell’establishment) ma che si può trasporre anche al caso dell’omologo americano Bill Clinton, protagonista con lo scozzese del cosiddetto «Ulivo mondiale» di fine anni Novanta che ha devastato i Balcani, di fatto iniziando a far retrocedere gli alleati di Mosca e avanzare la NATO.

 

La creazione stessa dell’Ucraina, una realizzazione dei Clinton, va in questa direzione.

 

L’odio di Hillary per Putin non è quindi una questione ideologica, né personale: è molto di più, è un odio metapolitico, metastorico, legato ad antichi progetti di immane portata per il destino del mondo.

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0)

 

 

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La Spagna si è rifiutata di attraccare una nave che trasportava armi verso Israele

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Il 16 maggio la Spagna ha rifiutato la richiesta di una nave che trasportava armi destinate a Israele di attraccare nel porto di Cartagena, ha riferito la rete spagnola EFE, secondo la testata israeliana Ynet.   La nave Marianne Danica sarebbe partita dalla città di Chennai (un tempo conosciuta come Madras) in India con un carico di circa 27 tonnellate di esplosivo.   La notizia è stata confermata dal ministro degli Esteri spagnolo José Manuel Albares, il quale ha affermato che alla nave era stato rifiutato l’ingresso dopo che aveva chiesto il permesso di fare scalo a Cartagena il 21 maggio.   Secondo il sito di localizzazione navale Vessel Finder, la Marianne Danica è una piccola nave da carico secco che naviga sotto bandiera danese.

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Amnesty International riferisce che è gestito dalla H. Folmer & Co., che a quanto pare è specializzata nel trasporto di munizioni.   Lo scorso novembre il primo ministro Pedro Sanchez aveva dichiarato che la Spagna è disposta ad andare avanti da sola sulla questione del riconoscimento dello Stato palestinese, anche se preferirebbe agire insieme ad altri membri dell’UE.   Come riportato da Renovatio 21, lo scorso ottobre il ministro spagnuolo per i diritti sociali Ione Belarra ha esortato i leader europei a intraprendere azioni immediate contro Israele, paventando la possibilità che altrimenti la UE diventi «complice del genocidio».   A marzo parlamentari spagnuoli avevano firmato – assieme ad altri circa 200 colleghi di Australia, Belgio, Brasile, Canada, Francia, Germania, Irlanda, Paesi Bassi, Portogallo, Turchia, Regno Unito e Stati Uniti – un appello intitolato «Non saremo complici della grave violazione del diritto internazionale da parte di Israele» per esprimere opposizione ai «Paesi esportatori di armi verso Israele», chiedendo un embargo immediato sulle armi spedite da Paesi partner militari dello Stato Ebraico.   All’appello non pare abbia partecipato alcun parlamentare italiano.

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Immagine di Øyvind Holmstad via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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L’operazione israeliana a Rafah si espande. Con conseguenze disastrose

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Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha annunciato ieri che l’esercito invierà più truppe per «intensificare» l’invasione. Gallant si è ventato che «stiamo logorando Hamas». Israele sostiene che ci sono sei battaglioni di Hamas ora a Rafah insieme agli ostaggi presi il 7 ottobre, e altri due battaglioni sarebbero nel centro di Gaza.

 

Nel suo ultimo articolo intitolato «Bibi va a Rafah», il reporter indipendente premio Pulitzer Seymour Hersh riferisce che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno allagato 5 dei 12 tunnel di Hamas sotto Rafah, e «alcuni battaglioni israeliani agguerriti, i cui ranghi includono molti ingegneri di combattimento esperti in demolizione, si stanno facendo strada nei tunnel bui e pieni di trappole esplosive verso Yahya Sinwar, il leader di Hamas che è l’obiettivo finale di Netanyahu».

 

Secondo un informato funzionario americano citato da Hersh, Netanyahu ha promesso che «moriranno tutti nei tunnel».

 

Si stima che circa 730.000 palestinesi siano fuggiti da Rafah. L’Ufficio del Coordinatore degli Affari Umanitari (OCHA) delle Nazioni Unite riferisce che un totale di 285 kmq, ovvero circa il 78% della Striscia di Gaza, sono ora soggetti agli ordini di evacuazione dell’IDF. Viene riferito di continui bombardamenti «dall’aria, dalla terra e dal mare… su gran parte della Striscia di Gaza».

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Nel Nord ci sono state incursioni di terra dell’IDF e pesanti combattimenti nel campo profughi di Jabalia e anche a Deir al Balah, nel centro di Gaza. I carri armati israeliani si sono spinti nel centro stesso di Jabalia, affrontando i razzi anticarro e i colpi di mortaio dei militanti di Hamas. Al Jazeera riferisce che ci sono vittime da entrambe le parti e che i carri armati e gli aerei israeliani hanno spazzato via «quasi tutto» a Jabalia.

 

Secondo il Times of Israel, l’IDF riferisce di aver ucciso qui 200 uomini armati di Hamas. Anche se Jabalia era stata precedentemente «autorizzata» dall’IDF, a quanto pare non era andata abbastanza in profondità nel campo per trovare i militanti di Hamas che vi avevano sede.

 

Il valico di Rafah resta chiuso. Israele chiede che l’Egitto si unisca a lui nella supervisione del valico di Rafah, ma l’Egitto rifiuta, insistendo sul fatto che solo i palestinesi dovrebbero farlo.

 

Il Programma Alimentare Mondiale, nel frattempo, avverte che «sono necessari più punti di ingresso per gli aiuti per invertire sei mesi di condizioni di quasi fame ed evitare una carestia». È necessario un flusso costante di scorte di cibo ogni giorno, ogni settimana, avverte. «La minaccia della carestia a Gaza non è mai stata così grande».

 

Come riportato da Renovatio 21, il ministro israeliano Itamar Ben Gvir aveva minacciato di far cascare il governo Netanyahu, di cui è membro con il suo partito ultrasionista Otzma Yehudit («Potere ebraico») qualora l’esercito israeliano non fosse entrato a Rafah.

 

I carrarmati entrati a Rafah, dove hanno distrutto perfino le scritte «I LOVE GAZA», avrebbero la benedizione degli USA. Atroci filmati sono usciti già nelle prime ore dell’invasione di Rafah da parte dei soldati dello Stato degli ebrei.

 

L’Egitto ha avvertito Israele che l’invasione di Rafah potrebbe porre fine al trattato di pace siglato nel 1979. Il Cairo ha inoltre segnalato di voler partecipare al processo per «genocidio» della Corte Internazionale di Giustizia.

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Geopolitica

Orban collega la sparatoria di Fico ai preparativi di guerra dell’Occidente

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Il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha collegato l’uccisione di ieri del primo ministro slovacco Robert Fico con i preparativi attivi dei Paesi occidentali per partecipare direttamente al conflitto in Ucraina.   I vicini Ungheria e Slovacchia, sia membri dell’UE che della NATO, confinanti con l’Ucraina, ed entrambi i paesi hanno cercato che il paese si impegnasse in negoziati di pace.   L’attentato al Fico «ha coinciso con altri eventi che indicavano preparativi di guerra», ha detto Orbán in un programma mattutino su Radio Kossuth, facendo quindi riferimento alla visita del Segretario di Stato americano Antony Blinken a Kiev il 14 e 15 maggio, ai piani degli Stati Uniti di organizzare 100 miliardi di dollari in aiuti all’Ucraina nei prossimi cinque anni e ai dibattiti sull’invio di truppe occidentali sul territorio.   Questo mi fa venire i brividi», ha detto Orban secondo la TASS, per poi rivelare che il segretario generale della NATO Jens Stoltenberg ha intenzione di visitare l’Ungheria in vista delle elezioni per il Parlamento europeo.

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«I grandi attori globali stanno cercando di trascinare l’Ungheria nella guerra», come è già successo più volte nel corso della storia, ma questo non accadrà ora, ha detto l’Orbano.   Per quanto riguarda l’Ucraina, ha insistito sul fatto che «il proseguimento delle ostilità significherebbe continua sofferenza, poiché il conflitto può essere risolto solo al tavolo dei negoziati, e non sul campo di battaglia».   Orban ha sottolineato che Fico era determinato a negoziare la pace in Ucraina, offrendo «grande sostegno» all’Ungheria, che ha costantemente favorito la risoluzione del conflitto ucraino attraverso i colloqui.   In Europa occidentale, ha proseguito il premier magiaro, solo il Vaticano promuove la pace, ma la Santa Sede «non vota per risolvere le questioni politiche» negli incontri dell’UE. «Ciò significa che dovremmo raddoppiare gli sforzi, e il mio lavoro diventa sempre più difficile a Bruxelles, dove devo discutere con i politici del campo della guerra».   Un sondaggio della Fondazione ungherese Szazadveg rivela che Orbán esprime solo la volontà della stragrande maggioranza degli ungheresi di opporsi all’invio di truppe NATO in Ucraina. Nel sondaggio Project Europe, Szazadveg ha scoperto che il 91% degli ungheresi intervistati è contrario all’invio di truppe in Ucraina.   Per quanto riguarda la media dei 27 paesi dell’UE, il 69% sarebbe contrario alla partecipazione dei soldati dell’UE in Ucraina.   Come riportato da Renovatio 21, una ridda di leader europei sta ricevendo in queste ore minacce di morte, sia che si tratti di filorussi che di antirussi.   La storia si ripete: anche nel 1914 spararono ad un regnante mitteleuropeo per innescare un’infame Guerra Mondiale – l’inutile strage, come disse il papa Benedetto XV nella sua lettera ai capi dei popoli belligeranti il 1° agosto 1917 – che nessuno in realtà voleva. Qui abbiamo l’impressione che la storia si ripete, più che per imperscrutabili leggi cosmiche, per la mancanza di originalità dei padroni del mondo, che tirano avanti sempre con la stessa sceneggiatura – la quale prevede il sacrificio di milioni di vite umane, fiumi di sangue in cui potrebbe andare a finire anche il vostro.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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