Economia
Il Brasile parla della valuta dei BRICS al vertice sudafricano
L’ambasciatore Eduardo Paes Saboia, segretario per l’Asia e il Pacifico del Ministero degli Esteri brasiliano, ha riferito in una conferenza stampa pre-vertice del Ministero degli Esteri del 16 agosto che l’uso delle valute locali per le transazioni tra i paesi BRICS e la possibilità di istituire una moneta BRICS sono all’ordine del giorno degli incontri a porte chiuse dei leader al vertice BRICS in Sud Africa questa settimana.
Il Brasile, per esempio, solleverà l’idea, ha osservato, ed è «probabile che ci sarà un risultato in questo settore». Secondo un resoconto di Jamil Chade, giornalista del CanalUOL, il presidente brasiliano Lula da Silva avanzerà l’idea di avviare degli studi per stabilire se e come istituire una tale unità di conto tra le monete del Paese e i cinque membri dei BRICS.
«L’obiettivo è che, una volta terminato il lavoro, l’alleanza possa determinare se c’è spazio per stabilire una valuta che consenta il commercio senza l’uso del dollaro (…) Il primo passo, tuttavia, sarebbe quello di stabilire una sorta di unità di conto per il valore. Il progetto ha già il sostegno esplicito dei russi ed è visto con simpatia dalla Cina» scrive il giornalista brasiliano.
Il calendario previsto dalle sue fonti per realizzare tutto ciò è tutt’altro che immediato: suggeriscono che gli studi di fattibilità saranno completati entro il 2025, quando il Brasile assumerà la presidenza dei BRICS, e solo successivamente entreranno in vigore.
Immediatamente dopo il suo rapporto sui piani del Ministero degli Esteri, Chade ha poi dettagliato dettagliatamente la presentazione dell’economista brasiliano Paulo Nogueira Batista Jr. al seminario in Sud Africa.
L’ambasciatore Saboia ha riferito nel suo briefing che dal vertice usciranno due documenti: uno che delinea i principi e i criteri per l’espansione dei BRICS, l’altro una dichiarazione finale.
Il contenuto di nessuno dei due è ancora noto, perché è ciò che verrà discusso tra i leader nel loro «ritiro» a porte chiuse. Egli ha tuttavia assicurato ai giornalisti che il dibattito in quel «ritiro» sarà «molto più ricco» di quello che apparirà nella dichiarazione finale.
L’idea che in questo Summit si sarebbe discussa una valuta BRICS è stata ripetuta, ma anche talvolta smentita, per mesi.
Due settimane fa il presidente del Messico Andres Manuel Lopez Obrador (AMLO, per i giornali) ha dichiarato che il suo Paese non intende entrare nei BRICS.
La rinuncia ai BRICS suona in controtendenza rispetto ad un mondo che chiede di far parte in qualche modo del club. Il presidente francese Macron aveva chiesto, un po’ a sorpresa, di partecipare alla riunione dei BRICS di questo agosto, ma gli è stata chiusa la porta.
Oltre a Bolivia e Argentina, anche Algeria, Egitto, oltre all’Arabia Saudita hanno significato il loro interesse ad entrare nei BRICS. Secondo alcuni calcoli, nel 2022 il PIL dei BRICS sarebbe divenuto maggiore di quello dei Paesi G7.
Immagine di Press Information Bureau / Prime Minister’s Office via Wikimedia pubblicata su licenza Government Open Data License – India (GODL)
Economia
La Spagna è uno dei principali importatori di gas russo
La Spagna ha intensificato gli acquisti di gas naturale russo nel 2023, con le importazioni che dovrebbero raggiungere il massimo storico entro la fine dell’anno, ha riferito venerdì il quotidiano El Mundo, citando i dati dell’operatore della rete di gas del Paese Enagas.
Secondo il rapporto, quest’anno la Spagna ha finora acquistato l’equivalente di 60.770 gigawatt di gas naturale liquefatto (GNL) dalla Russia, con un aumento del 43% rispetto allo stesso periodo del 2022.
Da gennaio a ottobre, la Russia è stata il terzo maggiore esportatore di GNL verso la Spagna, fornendo il 18,1% delle importazioni complessive di gas del paese, superata solo dall’Algeria (28,8%) e dagli Stati Uniti (20,1%). Dal 2018, quando il gas russo rappresentava solo il 2,4% delle importazioni di gas della Spagna, la dipendenza del Paese dall’energia russa è aumentata di sei volte.
Il GNL russo non è soggetto alle sanzioni imposte dall’UE a Mosca dallo scorso anno in risposta al conflitto in Ucraina, nonostante i ripetuti appelli di alcuni funzionari dell’UE a vietarne l’importazione. La Spagna ha sei impianti di rigassificazione ed è uno dei principali porti di ingresso per le navi metaniere nel blocco.
Oltre alla Spagna, Francia e Belgio sono stati tra i paesi che quest’anno hanno incrementato i loro acquisti di GNL russo, come mostrano i dati di localizzazione delle navi.
Secondo un precedente rapporto del Financial Times, l’UE ha rivenduto più di un quinto delle sue importazioni di GNL russo, tramite trasbordo nei suoi porti, a paesi come Cina, Giappone e Bangladesh.
Nel frattempo, le sanzioni hanno visto la maggior parte delle importazioni di gasdotto dalla Russia nell’UE bloccate dallo scorso anno. Hanno cominciato a diminuire a causa della distruzione dei gasdotti Nord Stream e del rifiuto di alcuni Stati membri dell’UE di pagare il carburante in rubli.
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Immagine di Andrew Rees via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NoDerivs 2.0 Generic
Economia
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Alimentazione
La sinistra tedesca vuole un tetto massimo per il prezzo del kebab
Die Linke, il partito della sinistra tedesca ha proposto allo Stato di sovvenzionare i kebab con quasi 4 miliardi di euro all’anno. Negli ultimi anni l’inflazione e l’aumento dei costi energetici hanno quasi raddoppiato il prezzo dello popolare panino turco. Sono i grandi temi della sinistra moderna.
In un documento politico visionato dal tabloid tedesco Bild e riportato domenica, Die Linke ha proposto di limitare il prezzo di un doner kebab a 4,90 euro o 2,50 euro per studenti, giovani e persone a basso reddito. Con un costo medio di un kebabbo pari a 7,90 euro, il resto del conto sarà a carico del governo, si legge nel documento.
«Un limite di prezzo per il kebab aiuta i consumatori e i proprietari dei negozi di kebab. Se lo Stato aggiungesse tre euro per ogni kebab, il prezzo massimo del kebab costerebbe quasi quattro miliardi», scrive il partito sul giornale, spiegando che ogni anno in Germania si consumano circa 1,3 miliardi di kebabbi.
«Quando i giovani chiedono: Olaf, riduci il kebab, non è uno scherzo su Internet, ma un serio grido d’aiuto», ha detto alla Bild la dirigente del partito di sinistra Kathi Gebel, riferendosi al cancelliere tedesco Olaf Scholz. «Lo Stato deve intervenire affinché il cibo non diventi un bene di lusso».
Introdotto in Germania dagli immigrati turchi negli anni ’70, il doner kebab è diventato in pratica la forma di fast food preferito dalla nazione già teutonica, tracimando anche nel resto d’Europa, come in Italia, dove più che turchi i kebabbari sono nordafricani o talvolta pakistani.
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Tuttavia, mentre Die Linke descrive il panino con l’agnello carico di salsa come un alimento base quotidiano per alcune famiglie, la maggior parte dei medici e dei nutrizionisti ne consiglierebbe il consumo solo come spuntino occasionale.
Uno studio scozzese del 2009 ha rilevato che il doner kebab medio conteneva il 98% dell’assunzione giornaliera raccomandata di sale di un adulto e il 150% dell’assunzione raccomandata di grassi saturi, scrive RT.
Per anni in Germania il prezzo di un doner kebab si è aggirato intorno ai 4 euro. Tuttavia, l’aumento dei costi energetici e l’inflazione che hanno seguito la decisione di Scholz di mettere l’embargo sui combustibili fossili russi hanno costretto i venditori ad aumentare i prezzi.
«Siamo stati costretti ad aumentare i prezzi a causa dell’esplosione dei prezzi degli affitti, dell’energia e dei prodotti alimentari», ha detto al giornale britannico Guardian un gestore di uno stand di kebabbi a Berlino. «La gente ci parla continuamente di “Donerflazione”, come se li stessimo prendendo in giro, ma è completamente fuori dal nostro controllo».
Molti tedeschi accusano lo Scholz di averli privati della kebbaberia a buon mercato, una catastrofe che li spinge verso prospettive di pacifismo sul fronte russo. «Pago otto euro per un doner», ha urlato un manifestante a Scholz nel 2022, prima di implorare il cancelliere di «parlare con Putin, vorrei pagare quattro euro per un doner, per favore».
«È sorprendente che ovunque vada, soprattutto tra i giovani, mi venga chiesto se non dovrebbe esserci un limite di prezzo per il doner», ha osservato lo Scholzo in un recente video su Instagram. Tuttavia, il cancelliere ha escluso una simile mossa, elogiando invece il «buon lavoro della Banca Centrale Europea» nel presumibilmente tenere l’inflazione sotto controllo.
Kebabbari, kebabbani e kebabbati non sono gli unici tedeschi a soffrire sotto Scholz. Il mese scorso, il più grande produttore di acciaio tedesco, Thyssenkrupp, ha annunciato «una sostanziale riduzione della produzione» nel suo stabilimento di Duisburg, licenziando 13.000 dipendenti. L’azienda ha attribuito il calo di produttività agli «alti costi energetici e alle rigide norme sulla riduzione delle emissioni».
Meno di una settimana dopo l’annuncio dei tagli da parte della Thyssenkrupp, il Fondo monetario internazionale ha rivisto le prospettive di crescita economica della Germania dallo 0,5% allo 0,2% quest’anno. Secondo i dati, nel 2024 la Germania dovrebbe registrare la crescita più debole tra tutti gli stati appartenenti al gruppo G7 dei paesi industrializzati.
Riguardo al kebab, da decenni circola tra i giovani tedeschi la leggenda metropolitana secondo la quale in un singolo panino kebap sarebbe stata rivenuta una quantità di sperma da uomini differenti, a indicazione, secondo il significato certamente xenofobo della storia, del disprezzo degli immigrati per i cittadini tedeschi.
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