Economia
Il mercato mondiale del Rame minacciato dai disordini in Perù
Quasi 4 miliardi di dollari di rame potrebbero non trovare la strada per i mercati mentre i disordini continuano a spazzare il Perù, provocando restrizioni di sicurezza e sconvolgendo le catene di approvvigionamento. Lo scrive Sputnik.
La perdita di quasi il 2% della produzione mondiale di rame prodotta da due delle più grandi miniere del Perù – la miniera di rame Antapaccay della società Glencore e Las Bambas, gestita da MMG Ltd. – avverrebbe quando i livelli di inventario di questo metallo critico sono scesi ai minimi storici il mondo.
Il rame è un metallo di input cruciale in una serie di industrie, utilizzato in tutto, dalle turbine eoliche e cavi elettrici ai veicoli elettrici.
Nel sud del Perù, la miniera di Glencore, che impiega 2.400 lavoratori, ha sospeso le operazioni il 20 gennaio dopo che i manifestanti hanno attaccato i locali per la terza volta a gennaio.
Gli infiltrati hanno incendiato l’area dei lavoratori del campo e hanno iniziato a saccheggiare, chiedendo alla miniera di cessare le sue operazioni e di unirsi all’appello dei manifestanti per le dimissioni del presidente Dina Boluarte, ha detto Glencore in un comunicato.
Secondo il ministero dell’Energia e delle miniere del Paese, l’Antapaccay rappresenta circa il 6% della produzione di rame peruviana, ovvero 135.987 tonnellate tra gennaio e novembre 2022. Rappresenta l’8% delle esportazioni totali di metallo rosso.
Tuttavia, i disordini attualmente in corso hanno costretto la miniera a operare con il 38% della sua forza lavoro, ha aggiunto la società.
La miniera di Antapaccay, così come Las Bambas – la terza più grande miniera di rame del Perù – opera sul corridoio minerario meridionale e condivide l’accesso autostradale ai porti. Le restrizioni hanno afflitto entrambe le miniere, con Las Bambas che non ha spedito alcun concentrato di rame dal 3 gennaio per proteggere i lavoratori dalla violenza.
La MMG Ltd. è controllata dalla China Minmetals Corp. di proprietà statale e la sua struttura di Las Bambas, lanciata nel 2016, è stata continuamente presa di mira da manifestazioni. I gruppi indigeni hanno chiesto maggiori risarcimenti per la terra e le strade utilizzate dalle compagnie minerarie.
Le catene di approvvigionamento sconvolte in Perù, il secondo produttore mondiale di rame, arrivano in un momento in cui la domanda di questo metallo è aumentata.
Prima di tutto, il rame è fondamentale per tutti i piani di transizione energetica attualmente abbracciati da molti governi in mezzo alla crisi energetica e alle bollette del petrolio e del gas in aumento. Tuttavia, dalla metà degli anni 2020, gli analisti hanno avvertito del potenziale divario tra domanda e offerta che alimenta un enorme deficit di rame, guidato dall’aumento della domanda di metallo nei parchi eolici e solari, nella produzione di veicoli elettrici (EV), etc.
L’offerta limitata sul mercato ha provocato un’impennata dei prezzi del rame. Inoltre, esperti come il gruppo di ricerca e consulenza globale Wood Mackenzie hanno avvertito che nel prossimo decennio saranno necessari circa 9,7 milioni di tonnellate di nuovo rame.
Tuttavia, vi sono crescenti preoccupazioni sul fatto che molti progetti che dovrebbero tenere conto di questa nuova fornitura di rame spesso non siano riusciti a ottenere gli investimenti necessari o i permessi ambientali.
Di conseguenza, gli investitori prevedono che il mercato del rame potrebbe registrare un deficit entro la fine del decennio.
Come riportato da Renovatio 21, il Sudamerica sta sperimentando in questi anni turbolenze a causa dell’aumento della richiesta di risorse minerari di cui è il territorio è ricco – ad esempio il litio, necessario oramai ad una moltitudine di prodotti elettronici, per il quale, si dice, in pratica già si stanno combattendo perfino «guerre», come indica la defenestrazione del presidente boliviano Evo Morales nel 2019.
Immagine di Eric Guinther via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 3.0 Unported (CC BY-SA 3.0)
Cina
Cina, nel 2024 calano i profitti per il settore delle terre rare
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
In una comunicazione alla borsa di Shenzhen, la China Rare Earth Resources and Technology ha riferito che l’industria sta affrontando una «fase cruciale» a livello mondiale. La Cina continua a essere leader nell’estrazione e lavorazione dei minerali, ma le difficoltà dell’economia nazionale e la volontà degli altri Paesi di creare nuove catene di approvvigionamento stanno generando ricavi nettamente minori.
Nonostante gli sforzi da parte del governo cinese di dominare a livello mondiale il settore strategico delle terre rare, i ricavi e i profitti delle aziende che si occupano di estrazione e lavorazione di questi minerali essenziali per il mondo digitale hanno registrato una contrazione. Il conglomerato China Rare Earth Resources and Technology, di proprietà statale, ha comunicato un calo del fatturato del 5,4% nel 2023 rispetto all’anno precedente, mentre l’utile netto è crollato del 45,7%.
I dati relativi al primo trimestre del 2024 sono ancora più gravi: il fatturato è sceso dell’81,9%, portando a una perdita netta di 288,76 milioni di yuan (meno di 40 milioni di dollari), contro un utile netto di 108,97 milioni di yuan nello stesso periodo dell’anno precedente. Anche altre aziende cinesi hanno riportato riduzioni del fatturato tra il 60% e il 79%, in linea con il generale rallentamento dell’economia nazionale.
In un comunicazione alla borsa di Shenzhen della settimana scorsa, la China Rare Earth Resources and Technology ha spiegato che il settore sta affrontando una «fase cruciale» caratterizzata da rapidi sviluppi e adattamenti strutturali su scala globale che hanno determinato un’erosione dei guadagni. In altre parole, nonostante la Cina resti di gran lunga il primo estrattore mondiale di terre rare, altri Paesi hanno cercato di costruire catene di approvvigionamento alternative.
Per alcuni tipi di minerali, nuove catene di approvvigionamento «sono già state create», ha proseguito il comunicato della China Rare Earth Resources and Technology, che ha affermato di aver attuato «aggiustamenti nella strategia di vendita», senza fornire ulteriori dettagli. Inoltre, un numero crescente di aziende cinesi ha importato minerali estratti all’estero (soprattutto dal Myanmar) a causa delle difficoltà economiche interne, e in particolare di un calo della domanda. Una situazione che non vede miglioramenti e potrebbe portare al «rischio» di un ulteriore calo di prezzi, ha sottolineato ancora la società.
I dati ufficiali delle dogane cinesi confermano tali affermazioni, secondo il Nikkei Asia: le importazioni di alcune terre rare sono aumentate di circa il 60% ed è stato rivisto il limite di estrazione delle terre rare, stabilito a livello nazionale, per consentire un aumento della produzione interna del 21%.
Le terre rare sono un gruppo di 17 minerali fondamentali per la produzione di una serie di tecnologie, che vanno dalle batterie delle auto elettriche alle turbine delle pale eoliche ai pannelli solari. Secondo i dati dell’US Geological Survey (USGS), le riserve mondiali di terre rare ammontano a 110 milioni di tonnellate, di cui il 40% si trovano in territorio cinese. Seguono poi, per estensione di giacimenti, il Myanmar, la Russia, l’India e l’Australia.
I dati dell’USGS mostrano anche che nel 2023 la Cina è stata responsabile dell’estrazione di 240mila tonnellate di terre rare, pari a circa due terzi della produzione globale. Gli Stati Uniti si sono piazzati al secondo posto, seguiti dal Myanmar, ed entrambi lo scorso anno hanno triplicato la produzione.
Negli ultimi anni la Cina è diventata leader del settore migliorando le proprie capacità di estrazione e lavorazione, ma anche ottenendo il controllo di diversi giacimenti in altre zone del mondo. Un’indagine della BBC ha individuato almeno 62 progetti destinati all’estrazione di litio, cobalto nichel o manganese (minerali necessari per la realizzazione di tecnologie verdi) in cui le aziende cinesi hanno una partecipazione.
La regolamentazione del settore a livello nazionale è iniziata nel 2010 e nel corso gli anni, a seguito di una serie di fusioni, sono state create quattro società principali, tra cui il gruppo China Rare Earth, controllato direttamente dal Consiglio di Stato cinese.
Anche il mese scorso il presidente Xi Jinping, durante una visita nell’Hunan una delle maggiori regioni produttrici, ha ribadito la necessità di «migliorare ulteriormente» lo sviluppo dell’utilizzo delle terre rare per generare una «crescita di alta qualità» e di fornire un «alto livello di sicurezza» alla nazione.
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Economia
«Il fertilizzante è il nuovo gas»: l’UE verso una nuova dipendenza dalla Russia
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Cina
La ristorazione smentisce il PIL cinese in crescita: 459 mila chiusure nel primo trimestre 2024
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Piccoli ristoranti ma anche nuovi ambiziosi brand costretti a gettare la spugna dal calo dei consumi: le cessazioni delle attività sono aumentate del 232% rispetto a dodici mesi fa. Le riaperture dopo la politica Zero Covid si sono scontrate con l’aumento dei prezzi e la minore disponibilità economica delle famiglie.
Secondo gli ultimi dati dell’Ufficio nazionale di statistica, in Cina nel primo trimestre di quest’anno sono state cancellate o soppresse 459mila imprese di ristorazione, con un aumento di circa il 232% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Di questi ristoranti 180mila hanno chiuso nel solo mese di marzo, quando l’anno scorso furono 140mila nell’intero primo trimestre.
Si tratta di un indicatore «dal basso» che mostra un panorama decisamente diverso rispetto all’ottimismo «ufficiale» sull’economia cinese, che appena pochi giorni fa sbandierava per lo stesso arco di tempo una crescita del Prodotto interno lordo del 5,3%, addirittura superiore agli obiettivi fissati per il 2024.
Al dato sulla chiusura delle imprese della ristorazione ha dedicato un approfondimento Radio Free Asia, che ha raccolto alcune voci di operatori locali secondo cui il mercato dei consumi in Cina non si è affatto ripreso dopo la fine della politica Zero COVID. «Alti costi di affitto, alti costi di manodopera, aumento dei prezzi e diminuzione dei consumi dei clienti», ha riassunto il quadro della situazione un ristoratore di Wuhan. «Ci sono ancora alcune attività di catering che vanno molto bene, ma gli affari dei ristoranti più grandi no». All’inizio di quest’anno anche brand considerati in ascesa nella pasticceria cinese come ad esempio Hutou sono stati costretti a gettare la spugna.
La signora Yao, residente a Jingdezhen, nella provincia di Jiangxi, ha raccontato all’emittente che molti dei suoi amici che gestivano ristoranti hanno chiuso e faticano ad arrivare alla fine del mese: «I residenti non hanno più soldi, è difficile portare avanti qualsiasi attività».
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Immagine di Frank Michel via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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