Bioetica
Il Canada leader mondiale della donazione degli organi dopo la legalizzazione dell’eutanasia
Anche se il Canada è stato uno degli ultimi paesi a legalizzare l’eutanasia (Medical Aid in Dying, MAiD) nel 2016, dieci anni dopo il Belgio e l’Olanda, è il primo ad unirla alla donazione di organi. L’Ontario è la prima giurisdizione al mondo che «contatta proattivamente le persone accettate per la morte medicalmente assistita per discutere della donazione degli organi», secondo l’Ottawa Citizen.
L’Ontario è la prima giurisdizione al mondo che «contatta proattivamente le persone accettate per la morte medicalmente assistita per discutere della donazione degli organi»
«Quando il decesso è imminente, negli ospedali o tramite MAiD, Trillium (l’organizzazione che gestisce la donazione di organi) deve essere attivata per legge.»
«La decisione di sottoporsi all’eutanasia è totalmente separata dalla decisione di donare gli organi», spiega Ronnie Gavsie, CEO di Trillium, «ma vogliamo rispettare le ultime volontà dei pazienti».
L’Ottawa Citizen riporta che «nei primi undici mesi del 2019, i pazienti sottoposti a eutanasia nella provincia costituivano 18 donatori di organi e 95 di tessuti, con una crescita del 14% sul 2018 e del 109% sul 2017.» (I dati di dicembre 2019 non sono ancora disponibili).
«Il messaggio inviato ai malati e disabili canadesi che meditano il suicidio è chiaro: in Canada la loro morte vale più della loro vita. In altre parole, la donazione di organi è diventata una branca dell’eutanasia»
«Per fornire cure di elevata qualità per chi si sottopone all’eutanasia, ci assicuriamo che i pazienti e le famiglie abbiano tutte le informazioni necessarie e l’opportunità di prendere una decisione sul donare o meno gli organi», spiega Gavsie. «Questo segue il logico protocollo legale e l’approccio umano per chi si sottopone al MAiD. Ed è la cosa giusta per chi si trova in lista d’attesa».
Non tutti i pazienti che hanno richiesto l’assistenza al decesso sono donatori adatti. Molti sono malati di cancro, e non possono donare gli organi. E molti altri vogliono morire a casa anziché in ospedale, dove ha luogo l’espianto degli organi.
Un rappresentante di Trillium dice che sempre più pazienti che optano per l’eutanasia danno la priorità alla donazione degli organi. «Molti dei pazienti con cui abbiamo parlato inizialmente volevano morire a casa, ma non era così importante quanto aiutare gli altri», racconta il Dr. Andrew Healey, direttore medico di Trillium.
Gli organi prelevati dai pazienti morti in seguito a eutanasia sono spesso di qualità superiore a quelli espiantati dalle vittime di incidenti. C’è più tempo per esaminarli e trovare il destinatario più adatto
Gli organi prelevati dai pazienti morti in seguito a eutanasia sono spesso di qualità superiore a quelli espiantati dalle vittime di incidenti. C’è più tempo per esaminarli e trovare il destinatario più adatto.
Il futuro roseo presentato da Trillium non è condiviso dall’esperto di bioetica Wesley J. Smith, che scrive su National Review:
«Un giorno in Canada si farà a meno dell’eutanasia e si uccideranno direttamente le persone per prelevarne gli organi – come già previsto dalla bioetica e dalle riviste mediche»
«Il messaggio inviato – con il supporto attivo della comunità favorevole all’espianto – ai malati e disabili canadesi che meditano il suicidio è chiaro: in Canada la loro morte vale più della loro vita. In altre parole, la donazione di organi è diventata una branca dell’eutanasia che per la società è allettante».
«Un giorno o l’altro, in Canada si farà a meno delle parti coinvolte nell’eutanasia e si uccideranno direttamente le persone per prelevarne gli organi – come già previsto dalla bioetica e dalle riviste mediche».
Michael Cook
Editor di BioEdge
Bioetica
La Bioetica torna a parlare delle atrocità di Gaza
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
La guerra tra Israele e Hamas a Gaza sta creando tensioni all’interno della comunità bioetica. In un articolo sul blog canadese Impact Ethics, tre bioeticisti hanno chiesto alla loro professione di pronunciarsi contro la violenza e la sofferenza.
Fanno presente che alcune importanti associazioni mediche e di bioetica si sono rifiutate di commentare, pur avendo preso posizione nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina.
«Noi, come bioeticisti, rifiutiamo una posizione di silenzio perché crediamo nella responsabilità disciplinare di dimostrare coraggio morale e promuovere la giustizia».
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«L’American Public Health Association è la nostra unica grande organizzazione professionale negli Stati Uniti ad aver chiesto un cessate il fuoco umanitario a Gaza, attingendo alla sua politica del 2009 sul ruolo degli operatori sanitari, degli accademici e dei sostenitori della sanità pubblica in relazione ai conflitti armati e alla guerra».
«In netto contrasto, i delegati interni dell’American Medical Association (AMA) hanno votato contro una risoluzione di novembre a sostegno di un cessate il fuoco a Gaza, citando che la questione non soddisfaceva i criteri di advocacy, urgenza o considerazione etica. L’American Society for Bioethics and Humanities è rimasta silenziosa, nonostante la sua forte politica sulla libertà accademica».
Concludono:
«Come possiamo definirci esperti di etica e testimoniare silenziosamente migliaia di morti civili, sanzioni crescenti, privazione di beni di prima necessità, crimini di guerra, rapimenti di ostaggi, aggressioni sessuali e disumanità? Cosa stiamo insegnando ai nostri studenti se non siamo disposti a riconoscere i nostri pregiudizi e a parlare apertamente?»
Michael Cook
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Bioetica
Polonia, l’aborto avanza in Parlamento
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Bioetica
Bioeticiste contro la genitorialità genetica: «usare liberamente gli embrioni congelati»
Renovatio 21 traduce questo articolo di Bioedge.
Alcuni bioeticisti mettono in dubbio l’importanza di una relazione genetica tra genitori e figli. Ciò che conta, sostengono, è un ambiente familiare favorevole, non i geni.
Nel Journal of Medical Ethics, una bioeticista svedese, Daniela Cutas, e una collega norvegese, Anna Smajdor, affermano che la riproduzione assistita apre le porte a nuove relazioni tra generazioni. Ma, purtroppo, l’aspettativa è che le persone imitino una famiglia nucleare convenzionale e una struttura genitore-figlio. C’è pochissima varietà o creatività.
Ad esempio, dopo la donazione di sperma postumo, una madre o una nonna portano in grembo il bambino in modo da mantenere una relazione genetica. Ma perché la genitorialità genetica e quella sociale dovrebbero coincidere?
Cutas e Smajdor sono realiste. Nel mondo di oggi, è improbabile che le persone abbandonino il loro attaccamento alle relazioni genetiche. Nel frattempo, ciò che propongono è una maggiore creatività nell’uso degli embrioni fecondati in eccedenza.
«Considerando la crescente prevalenza di infertilità in combinazione con una scarsità di gameti donati, qualcuno potrebbe, ad esempio, scegliere di utilizzare gli embrioni di propri zii. Oppure potrebbero desiderare di avere gli embrioni rimanenti dei loro fratelli. Se la preferenza delle persone ad avere una prole geneticamente imparentata è importante nei servizi di fertilità, allora ha importanza quale sia l’esatta relazione genetica?»
Esaminano più in dettaglio il caso di una donna i cui genitori hanno creato embrioni IVF. Se sono ancora disponibili, perché non dovrebbe dare alla luce i suoi fratelli? In un certo senso, questo potrebbe essere migliore di una relazione eterosessuale convenzionale:
«Innanzitutto perché gli embrioni sono già creati: non è necessario sottoporsi alla stimolazione ovarica per raccogliere e fecondare gli ovociti. In secondo luogo, le relazioni genitore-figlio sono piene di tensioni, alcune delle quali derivano da una lunga tradizione di non riconoscimento completo dello status morale dei bambini e di vederli come parte dei loro genitori in modo quasi proprietario».
Sembra un peccato sprecare tutti quegli embrioni congelati. Concludono con questo pensiero:
«In un mondo in cui i tassi di infertilità sono in aumento e i costi sociali, medici e sanitari dei trattamenti per la fertilità sono elevati, suggeriamo che ci siano motivi per ampliare le nostre prospettive su chi dovrebbe avere accesso ai materiali riproduttivi conservati».
Michael Cook
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