Geopolitica
I talebani cacciano uzbeki e turkmeni dalle loro terre
Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews.
Oltre 1.000 persone deportate nella provincia di Djausdjan. Azione per favorire i propri sostenitori pashtun nel nord dell’Afghanistan. Convocato consiglio tribale per risolvere il caso. Tagikistan e Uzbekistan chiedono al governo talebano di affrontare la questione etnica.
Negli ultimi giorni i talebani avrebbero deportato forzatamente oltre 1.000 persone nei territori settentrionali dell’Afghanistan, come riferiscono varie fonti.
Il governo fondamentalista afghano avrebbe deciso l’operazione per liberare circa 20mila acri di terra, su cui erano stanziate diverse comunità di etnia uzbeka e turkmena. Gli stessi deportati raccontano che guerriglieri talebani di etnia pashtun li hanno prelevati dalle loro case, per condurli nella provincia di Djausdjan.
Già da tempo erano iniziate le azioni di forza da parte talebana contro centinaia di famiglie di khazari sciiti in cinque provincie del Paese.
Gli stessi deportati raccontano che guerriglieri talebani di etnia pashtun li hanno prelevati dalle loro case, per condurli nella provincia di Djausdjan
L’intenzione degli «studenti di dio», tornati al potere a 20 anni dall’invasione USA, è quella di ridistribuire le terre ai loro sostenitori e punire i settori della popolazione che appoggiavano il governo precedente, appoggiato dagli Stati Uniti e dagli altri alleati occidentali.
Un uomo intervistato da Radio Azattyk, con nome fittizio Abdullah, racconta di essere stato deportato a Darzab, un villaggio sperduto del Djausdjan. A suo dire, le autorità della provincia hanno promesso di inviare una delegazione per investigare su questa «occupazione illegale» di territori abitati, ma finora non si è visto nessuno.
«Eravamo padroni della nostra terra da centinaia di anni, la dividevamo tra i membri della comunità, e ora ci è stata sottratta», afferma Abdullah.
L’intenzione degli «studenti di dio», tornati al potere a 20 anni dall’invasione USA, è quella di ridistribuire le terre ai loro sostenitori e punire i settori della popolazione che appoggiavano il governo precedente, appoggiato dagli Stati Uniti e dagli altri alleati occidentali
Un altro testimone, Faizullah, conferma che «non abbiamo potuto opporci, altrimenti ci avrebbero ucciso».
Il rappresentante dei nomadi pashtun a Djausdjan, Gulam Sarvar Alizaj, sostiene che spesso nascono discussioni per l’incertezza dei diritti di proprietà sulle terre, che sarebbero in realtà dello Stato, nonostante le rivendicazioni dei locali.
Gli stessi nomadi rivendicano il diritto di tornare sui pascoli da cui erano stati scacciati 20 anni fa, e che uzbeki e turkmeni «hanno occupato cercando di coltivarli, pur essendo terreni infruttuosi». Ora si invoca la decisione dei consigli tribali, a cui dovrebbero partecipar cinque persone per ogni parte in causa.
Il governo talebano ha rifiutato di commentare il caso, che ha evidenziato quanto i problemi interni del nuovo Afghanistan ricalchino i conflitti etnici e tribali secolari di questo territorio.
La stragrande maggioranza dei capi talebani è di etnia pashtun, e ora cerca di imporsi su tutti gli altri gruppi.
Il governo talebano ha rifiutato di commentare il caso, che ha evidenziato quanto i problemi interni del nuovo Afghanistan ricalchino i conflitti etnici e tribali secolari di questo territorio
Non è facile districarsi negli equilibri interni a queste lotte, anche perché da molti anni non viene tenuto alcun censimento della popolazione; l’ultimo tentativo in questo senso è stato fatto negli anni ’70, senza dare risultati affidabili.
Secondo le cifre di allora, i pashtun costituirebbero circa il 40% dell’intera popolazione afghana, seguiti dai tagiki (meno del 30%), dai khazari e dagli uzbeki (circa 10%), più altre minoranze.
Per fuggire dalle occupazioni della Russia zarista e sovietica, nel passato diversi gruppi etnici erano giunti in Afghanistan; nell’ultimo trentennio la situazione si è ulteriormente ingarbugliata.
I leader dei Paesi centrasiatici, come Tagikistan e Uzbekistan, chiedono ai talebani di creare strutture amministrative «inclusive» per affrontare finalmente queste problematiche interne, senza avere avuto finora alcuna soddisfazione.
Geopolitica
Senatore americano: «il Sudafrica è nostro nemico»
Il senatore repubblicano John Kennedy ha definito il Sudafrica un nemico degli Stati Uniti, mentre i legislatori spingono sempre più affinché Pretoria venga esclusa dall’African Growth and Opportunity Act (AGOA), l’iniziativa commerciale di punta di Washington.
L’ambasciatore Jamieson Greer, rappresentante commerciale degli Stati Uniti, è stato interrogato dal senatore repubblicano John Kennedy durante un’audizione della sottocommissione per gli stanziamenti del Senato in merito all’inclusione del Sudafrica nella potenziale estensione dell’AGOA.
Kennedy ha chiesto a Greer: «Cosa intendi fare riguardo al Sudafrica come parte dell’AGOA, dato che il Sudafrica non è amico dell’America?»
Greer ha risposto: «Esatto. Abbiamo avuto alcune conversazioni con i sudafricani in materia di commercio, e ci sono molte questioni di politica estera che non affronto con il Sudafrica. Ma quando si tratta di commercio, hanno molte barriere… Abbiamo chiarito ai sudafricani che se vogliono avere una situazione tariffaria migliore con noi devono occuparsi di queste barriere tariffarie e non tariffarie Sono una vera economia, una grande economia, giusto. Hanno una base industriale, una base agricola; dovrebbero acquistare prodotti dagli Stati Uniti», ha detto Greer.
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Kennedy ha poi fatto presente a Greer che, se l’AGOA venisse prorogata di un anno, senza riformarla, il Sudafrica ne trarrebbe beneficio. Greer ha ammesso, ma ha sottolineato che il Sudafrica è già stato colpito da una tariffa reciproca del 30%, «molto più alta rispetto al resto del continente». Ha tuttavia osservato che il Sudafrica rappresenta un caso unico.
Kennedy ha continuato: «Non pensi che dovremmo separare il Sudafrica e l’AGOA? Greer concordò, dicendo che sarebbe stato felice di prendere in considerazione quella proposta. Il Congresso è venuto da me e mi ha detto che vogliamo l’AGOA. E se dobbiamo cedere, dobbiamo trovare un modo per migliorarlo. Se pensate che dovremmo riservare al Sudafrica un trattamento diverso, sono aperto, perché penso che rappresentino un problema unico».
«Beh, rappresentano un problema unico per l’America. Voglio dire, sono i nostri nemici in questo momento. Sono amici di tutti i nostri nemici. E sono stati molto critici nei confronti degli Stati Uniti» ha dichiarato Kennedy.
Greer concorda: «È proprio così. Ed è per questo che vengono trattati in modo molto diverso. La maggior parte del continente africano, l’Africa subsahariana, ne ha solo il 10%, mentre il Sudafrica ne ha il 30%».
All’inizio di quest’anno, gli Stati Uniti hanno imposto una tariffa del 30%sulle importazioni dal Sudafrica, dopo che i funzionari statunitensi non hanno risposto a diverse proposte commerciali presentate da Pretoria.
A luglio, l’IOL ha riferito che il Presidente Cyril Ramaphosa aveva preso atto della corrispondenza del Presidente degli Stati Uniti Donald Trump sull’imposizione unilaterale di una tariffa commerciale del 30% contro il Sudafrica. Ramaphosa ha anche osservato che il Sudafrica è uno dei numerosi Paesi che hanno ricevuto comunicazioni simili che annunciavano tariffe all’epoca.
«Questa tariffa del 30% si basa su una particolare interpretazione della bilancia commerciale tra Sudafrica e Stati Uniti. Questa interpretazione controversa rientra tra le questioni all’esame dei team negoziali di Sudafrica e Stati Uniti», ha affermato il portavoce di Ramaphosa, Vincent Magwenya.
Di conseguenza, il Sudafrica sostiene che la tariffa reciproca del 30% non rappresenta accuratamente i dati commerciali disponibili. Nella nostra interpretazione dei dati commerciali disponibili, la tariffa media sulle merci importate in entrata in Sudafrica è del 7,6%.
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«È importante sottolineare che il 56% delle merci entra in Sudafrica con una tariffa della nazione più favorita dello 0%, mentre il 77% delle merci statunitensi entra nel mercato sudafricano con un dazio dello 0%», ha affermato. Tuttavia, la presidenza a Pretoria ha chiarito che il Sudafrica continua a impegnarsi per coltivare relazioni commerciali più strette con gli Stati Uniti.
Come riportato da Renovatio 21, la scorsa settimana Trump ha dichiarato che il Sudafrica è indegno di essere parte membro di «qualsiasi cosa» e non otterrà un invito al summit del G20 del prossimo anno in Florida, in quanto ritenuto «non degno» di figurare come membro «in alcun contesto».
Come riportato da Renovatio 21, l’imbarazzante incontro nello studio ovale tra Trump e il presidente sudafricano Ramaphosa, dove il primo mostrò al secondo le immagini del massacro dei bianchi nel Paese, avvenne pochi giorni dopo che Trump aveva pubblicamente accolto decine di rifugiati afrikaner.
A inizio mese l’amministrazione Trump ha dichiarato che le ammissioni di rifugiati per l’anno fiscale 2026 saranno limitate a sole 7.500 unità, il numero più basso di sempre, con priorità per i sudafricani bianchi in fuga dalle persecuzioni.
L’Ordine Esecutivo è stato emesso dopo che l’amministrazione Trump ha duramente criticato il governo sudafricano per le nuove misure di riforma agraria che consentono l’appropriazione di terreni privati senza indennizzo. L’amministrazione Trump ha affermato che le misure sarebbero state utilizzate per colpire i proprietari terrieri bianchi, come misure simili erano state adottate in altri paesi africani, in particolare lo Zimbabwe.
I primi sudafricani bianchi ammessi negli Stati Uniti con questa nuova designazione, 59 in totale, sono sbarcati negli Stati Uniti a maggio.
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La scena di scontro nello Studio Ovale ha ricordato ad alcuni osservatori quella del presidente ucraino Volodymyro Zelens’kyj all’inizio di quest’anno, quando quest’ultimo fu cacciato dalla Casa Bianca. Lo Studio Ovale sta divenendo de facto un luogo della verità detta fuori dai denti, dove le maschere diplomatiche cadono, e i leader internazionali possono venire castigati per la loro inadeguatezza o i loro crimini veri e propri.
Come riportato da Renovatio 21, vari gruppi boeri da anni ritengono di essere oggetti di una vera persecuzione se non di una pulizia etnica, con abbondanza disperante episodi di crimine, torture e violenza efferata di ogni sorta. I boeri hanno cercato, e trovato, anche l’aiuto della Russia di Vladimiro Putin.
Come riportato da Renovatio 21, Ernst Roets, responsabile politico del Solidarity («Movimento di Solidarietà»), un network di organizzazioni comunitarie sudafricane che conta più di 500.000 membri, ha dichiarato che, nonostante le indicibili violenze e torture subite dalle comunità bianche in Sud Africa, nel prossimo futuro «l’Europa sarà peggio».
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Immagine di Treasurer Ron Henson via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
Geopolitica
Putin sostiene Maduro nella situazione di stallo con gli Stati Uniti
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Geopolitica
L’Ungheria dice che il capo della NATO «pugnala alle spalle» e «alimenta la guerra»
Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha accusato il segretario generale della NATO Mark Rutte di «alimentare le tensioni belliche» con dichiarazioni «irresponsabili», sostenendo che la Russia potrebbe prepararsi ad attaccare l’Alleanza entro pochi anni.
Giovedì Rutte aveva dichiarato che «siamo il prossimo obiettivo della Russia» e aveva invitato i membri della NATO ad accelerare l’incremento della spesa per la difesa, aggiungendo che Mosca «potrebbe essere pronta a impiegare la forza militare contro la NATO entro cinque anni».
In un post pubblicato venerdì su Facebook, lo Szijjarto ha definito le parole di Rutte «assurdità», affermando che «chiunque nutrisse ancora dubbi sul fatto che a Bruxelles abbiano completamente perso il senno, dopo queste dichiarazioni ne sarà definitivamente convinto».
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Lo Szijjarto ha interpretato i commenti come un chiaro segnale che «tutti a Bruxelles si sono schierati contro gli sforzi di pace del presidente degli Stati Uniti Donald Trump» e che il segretario generale della NATO abbia «di fatto pugnalato alle spalle i negoziati di pace».
«Noi ungheresi, in quanto membri della NATO, rigettiamo le affermazioni del Segretario Generale! La sicurezza dei Paesi europei non dipende dall’Ucraina, ma dalla NATO stessa… Dichiarazioni provocatorie di questo tipo sono irresponsabili e pericolose! Chiediamo a Mark Rutte di cessare immediatamente di alimentare le tensioni legate alla guerra!!!»
L’Ungheria ha più volte assunto posizioni divergenti rispetto alla maggioranza dei partner UE e NATO sul conflitto ucraino, sostenendo che ulteriori forniture di armi a Kiev non farebbero che prolungare le ostilità. Budapest ha sempre invocato l’avvio di negoziati diretti tra Russia e Ucraina, ha criticato le sanzioni occidentali contro Mosca considerandole dannose per l’economia europea e si è opposta ai piani dell’UE di utilizzare gli asset russi congelati per finanziare l’Ucraina, definendoli illegittimi.
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Immagine di NATO North Atlantic Threaty via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic
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