Connettiti con Renovato 21

Politica

Green pass, lavoratori che pagano i danni alle aziende: sul serio?

Pubblicato

il

 

 

Un piano per vaccinarli tutti. Appurato per stessa ammissione del Governo; il green pass serve a forzare le persone al vaccino. Si profilano all’orizzonte scenari di pura follia.


In questi giorni sta emergendo anche sui giornali mainstream come il 15 ottobre porterà verso il caos.

 

Il motivo è semplice, comprensibile con un calcolo da seconda elementare: ad oggi ci sono 3-4 milioni di lavoratori che hanno scelto di non vaccinarsi. Assumendo che costoro dal 15 ottobre per lavorare progettino di fare i tamponi, sono minimo 3 tamponi a settimana.

 

Il sistema sanitario italiano non può reggere 12 milioni di tamponi settimanali; il massimo numero di tamponi settimanali sostenibili è stimato a circa 2 milioni

Ora, il sistema sanitario italiano non può reggere 12 milioni di tamponi settimanali; il massimo numero di tamponi settimanali sostenibili è stimato a circa 2 milioni.



I governatori leghisti e la Confindustria  a pochi giorni dal D-Day hanno realizzato che subiranno danni economici enormi, avendo milioni di lavoratori che resterebbero sospesi poiché sprovvisti di tampone.

 

Una paralisi dell’economia; è come se l’obbligo di green pass sul lavoro causasse di fatto uno sciopero generale perenne.

 

Una paralisi dell’economia; è come se l’obbligo di green pass sul lavoro causasse di fatto uno sciopero generale perenne

Si consideri che anche nelle forze armate, il 20% è attualmente sprovvisto di vaccinazione, e dovrebbe fare affidamento sulla disponibilità dei tamponi per ottenere il green pass.

 

Non solo:, la sospensione dal lavoro per mancanza di green pass è giuridicamente un autogoal; infatti rende di fatto possibile una specie di sciopero generale anche per le categorie precettabili:  l’autista di mezzi pubblici o il poliziotto sprovvisti di green passs si farebbero sospendere dal lavoro, ma non sarebbero precettabili. Né, quindi, sanzionabili.

 

La situazione non cambierebbe nemmeno se la validità dei tamponi venisse estesa da 48 a 72 ore. Con buona pace di Zaia che probabilmente necessita  di un ripassino delle proporzioni.

 

Il punto nodale è che i lavoratori sospesi non potrebbero essere nemmeno forzati a farsi il tampone, perché mancano proprio i tamponi disponibili. Quindi si profila uno scenario dove la carenza di tamponi spinge di fatto verso un aut-aut: o ti vaccini o non lavori.  Ed è solo colpa tua.

 

I lavoratori sanno che potrebbero avere il coltello dalla parte del manico: se fossero disponibili a rinunciare a 2 settimane di stipendio, potrebbero semplicemente aspettare la paralisi dell’economia del Paese. O meglio, aspetterebbero di vedere il Governo che si dà la zappa sui piedi.

 

Ed ecco la mossa «geniale» della Confindustria che arriva in supporto all’autorete del governo Draghi: far pagare i «danni  aziendali» ai lavoratori sospesi

Ed ecco la mossa «geniale» della Confindustria che arriva in supporto all’autorete del governo Draghi. Introdurre sanzioni ai lavoratori, sanzioni che non sono previste –né potrebbero esserlo– dal decreto legge.

 

Sembrerebbe uno scherzo, ma nel parla Il Messaggero del 12 ottobre in prima pagina: far pagare i «danni  aziendali» ai lavoratori sospesi.

 

«I lavoratori del settore privato che non hanno il green pass saranno assenti ingiustificati. Resteranno a casa senza stipendio, ma non potranno essere sanzionati o licenziati. Eppure potrebbero essere chiamati a risarcire i danni eventualmente causati all’impresa dal loro comportamento. L’indicazione emerge dalle circolari operative inviate dalla Confindustria a tutti gli associati in vista dell’obbligo di green pass nel mondo del lavoro che scatterà venerdì prossimo». (corsivo nostro)

 

«Nelle circolari di Confindustria vengono anche citati una serie di esempi nei quali la mancanza del Green pass potrebbe causare dei problemi all’impresa. Come per esempio l’assenza di quei lavoratori che operano nella sicurezza degli impianti, dall’antincendio alla gestione dell’emergenza, che potrebbe creare il blocco di interi reparti produttivi».

 

Non resterebbe che morire di fame e vendersi la casa o farsi vaccinare

«Dopo aver chiarito che il lavoratore non è licenziabile, viene precisato comunque che “l’azienda si riserva di valutare le eventuali conseguenze negative delle scelte personali sull’organizzazione del lavoro e sull’attività produttiva”».



Quindi, se anche un lavoratore volesse farsi il tampone, ma non ne trovasse disponibili, verrebbe sospeso e – invenzione della Confindustria – gli verrebbero addebitati i danni produttivi all’azienda.

 

In tal caso non gli resterebbe che morire di fame e vendersi la casa o farsi vaccinare.

 

 

Gian Battista Airaghi

Continua a leggere

Politica

Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

Pubblicato

il

Da

L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.

 

Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».

 

«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».

Sostieni Renovatio 21

L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.

 

«Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.

 

Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.

 

Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.

 

Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr

 

Continua a leggere

Politica

Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

Pubblicato

il

Da

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Il primo ministro giapponese ha annunciato ieri le dimissioni dopo settimane di tensioni con i membri del Partito Liberaldemocratico, in difficoltà di fronte alla perdita di consenso tra gli elettori conservatori. Diversi candidati si sono già fatti avanti segnalando la volontà di succedere a Ishiba nella presidenza del partito, ma resta il nodo della guida del governo senza la maggioranza in parlamento.   A meno di un anno dal suo insediamento, il primo ministro giapponese Shigeru Ishiba ha annunciato ieri le dimissioni, aprendo una nuova fase di incertezza politica. La decisione è una conseguenza delle crescenti pressioni all’interno del suo stesso partito, il Partito Liberaldemocratico (LDP), che alle ultime elezioni ha subito significative sconfitte, arrivando a perdere la maggioranza in entrambe le Camere.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

Ishiba si è assunto la responsabilità per i pessimi risultati dell’LDP alle elezioni della Camera dei Consiglieri a luglio e ha sottolineato che le sue dimissioni servono a prevenire un’ulteriore spaccatura all’interno del partito. Già a luglio, il quotidiano giapponese Mainichi aveva per primo riportato che Ishiba si sarebbe dimesso, basandosi su informazioni raccolte tra il premier e i suoi più stretti collaboratori.   Le prime indiscrezioni indicavano che i preparativi per la corsa alla presidenza dell’LDP sarebbero iniziati entro agosto. Ishiba, tuttavia, aveva pubblicamente smentito queste notizie e nelle sue affermazioni aveva sottolineato l’importanza di portare a termine le trattative sui dazi con il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, che aveva imposto il primo agosto come scadenza ultima.   Nel suo discorso di ieri, Ishiba ha spiegato che l’annuncio delle dimissioni a luglio avrebbe indebolito la posizione del Giappone: «chi negozierebbe seriamente con un governo che dice “ci dimettiamo”?», ha detto.   Ishiba ha poi cercato di placare le pressioni interne all’LDP minacciando di sciogliere la Camera dei Rappresentanti e indire elezioni anticipate, una mossa che ha esacerbato le divisioni e spinto il principale partner di coalizione, il partito Komeito, a ritenere inaccettabile la decisione. Secondo l’agenzia di stampa Kyodo, l’ex primo ministro Yoshihide Suga e il ministro dell’Agricoltura Shinjiro Koizumi entrambi tenuto colloqui con il premier sabato, evitando una scissione all’interno del partito e aprendo la strada all’annuncio delle dimissioni di ieri.   Ora l’attenzione si sposta sulla scelta del prossimo leader dell’LDP, che potrebbe assumere anche la carica di primo ministro se ci fosse una qualche forma di sostegno o di accordo anche con le opposizioni. Tra i principali contendenti ci sono membri del partito che avevano già sfidato Ishiba in passato, tra cui Sanae Takaichi, ex ministra per la sicurezza economica, che ha ricevuto il 23% dei consensi in un recente sondaggio di Nikkei. Takaichi fa parte dell’ala conservatrice e ha una forte base di sostegno tra i fedelissimi dell’ex primo ministro Shinzo Abe, di cui è considerata l’erede, soprattutto per quanto riguarda le politiche economiche, che potrebbero favorire una ripresa dei mercati azionari. Takaichi ha inoltre la reputazione di andare d’accordo con il presidente Donald Trump.   Anche Shinjiro Koizumi, attuale ministro dell’Agricoltura e figlio dell’ex leader Junichiro Koizumi, è un altro papabile candidato, dopo essere riuscito ad abbassare i prezzi del riso appena entrato in carica. Il sondaggio di Nikkei ha registrato un 22% dei consensi nei suoi confronti.   Altri membri del partito hanno segnalato la volontà di candidarsi, tra cui Yoshimasa Hayashi, attuale segretario capo del Gabinetto e portavoce principale del governo Ishiba, che si è classificato quarto nella corsa per la leadership del partito del 2024. Tra gli altri contendenti figurano Takayuki Kobayashi, un altro ex ministro per la sicurezza economica che gode di un maggiore sostegno all’interno dell’ala centrista, e Toshimitsu Motegi, ex segretario generale dell’LDP e il più anziano tra i candidati con i suoi 69 anni.   L’LDP oggi si trova in una posizione di forte debolezza. Molti elettori conservatori alle ultime elezioni hanno preferito il partito di estrema destra Sanseito anche a causa dell’allontanamento di Ishiba dall’ala conservatrice.

Iscriviti al canale Telegram

Secondo un sondaggio di Kyodo, condotto prima che fossero riportate le dimissioni di Ishiba, l’83% degli intervistati ha dichiarato che un chiarimento pubblico del partito sulle ultime sconfitte non avrebbe comunque aumentato la fiducia degli elettori. È chiaro, quindi, che il compito del prossimo presidente di partito sarà quello di ripristinare la credibilità del centrodestra.   Chiunque verrà scelto si troverà davanti a un’importante decisione: se indire elezioni anticipate per cercare di riconquistare la maggioranza alla Camera bassa o rischiare di perdere il potere del tutto. Quest’ultima scelta rischierebbe di aprire una nuova fase di instabilità politica senza precedenti, che richiederebbe la ricerca di sostegno anche tra i partiti dell’opposizione per approvare le leggi e i bilanci.   Secondo diversi commentatori, il prossimo leader dovrà prima di tutto godere di una genuina popolarità sia all’interno che all’esterno del partito per affrontare sfide come l’invecchiamento della società, la forza lavoro in calo, l’inflazione e i timori che gli Stati Uniti possano abbandonare il loro ruolo di garanti della sicurezza nella regione asiatica.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21
 
Continua a leggere

Politica

Il governo francese collassa

Pubblicato

il

Da

Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.

 

Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.

 

Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.

Sostieni Renovatio 21

Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.

 

Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.

 

La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.

 

Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.

 

Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.

 

Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».

Iscriviti alla Newslettera di Renovatio 21

SOSTIENI RENOVATIO 21


 

Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni

 

Continua a leggere

Più popolari