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L’ortodossia e il vaccino COVID: note per il lettore occidentale

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Come noto ai più, uno dei maggiori problemi della società contemporanea riguarda l’informazione «mainstream», più correttamente definibile propaganda, contro la quale molti che non accettano la narrazione ufficiale hanno già trovato validi mezzi d’informazione corretta e alternativa.

 

Tuttavia, per ovvie ragioni, i canali d’informazione alternativi raramente riescono a coprire le notizie provenienti da mondi culturalmente lontani da quello in cui si vive, e il rischio è che su questi a prevalere sia proprio la narrazione che il mainstream ha interesse a imporci.

 

Un caso che può dirsi emblematico è quello della posizione della Chiesa Ortodossa rispetto alla vaccinazione anti-COVID.

 

Renovatio 21 ha ospitato diversi interventi e traduzioni allo scopo di illustrare le posizioni critiche di gerarchi e monaci ortodossi nei confronti di questi farmaci genici e moralmente illeciti.

 

Il lettore occidentale, tuttavia, digiuno della situazione politico-ecclesiastica del mondo ortodosso, potrebbe stupirsi alquanto leggendo notizie come questa battuta dal New York Times in cui sembra che la gerarchia ortodossa greca appoggi la vaccinazione.

 

È necessario un po’ di contesto, che dovrà essere per forza dato in via riassuntiva dato lo spazio limitato di queste noterelle.

 

L’Ortodossia, a differenza del Cattolicesimo che ha una struttura gerarchica definita e monocratica, non è monolitica; al suo interno convivono posizioni diverse su diverse materie ma, soprattutto, nessun individuo ha l’autorità di esprimersi ufficialmente a nome di tutta l’Ortodossia.

 

L’unico organo ufficiale, in assenza del Concilio Ecumenico, è il Sinodo di una Chiesa locale, il quale tuttavia vale unicamente per la propria chiesa locale e non ha carattere d’infallibilità, ma è sottoposto al giudizio delle consuetudini ecclesiastiche; i metri di giudizio non sono dunque le decisioni dell’autorità, ma la tradizione della Chiesa e soprattutto l’autorevolezza spirituale dei monaci, particolarmente quelli del Monte Athos, che non a caso è definito «Fortezza dell’Ortodossia».

 

All’interno delle varie giurisdizioni ortodosse (9 Patriarcati, 7 Chiese nazionali autocefale più numerosissime Chiese autonome) ci sono, purtroppo, pure infiltrazioni di tipo secolare e massonico, con cui il potere anticristico cerca di controllare e volgere pure l’Ortodossia ai suoi piani mondialisti, come già ha fatto con il Cattolicesimo.

 

La struttura medesima dell’Ortodossia, tuttavia, costituisce un freno notevole a tali tentativi, poiché non esiste un’autorità centrale che possa imporre la rivoluzione.

 

E così, anche se Bartolomeo di Costantinopoli, che parecchi osservatori definiscono colluso con i servizi segreti americani (a titolo di esempio vedi questo articolo della parrocchia ortodossa di Torino del Patriarcato di Mosca), ed erede di un trono patriarcale su cui lungo tutto il XX secolo si sono succeduti personaggi alquanto dubbi (vedasi qui la scheda sul portale della Gran Loggia di Grecia di Atenagora, il patriarca del famoso abbraccio con Paolo VI), cerca di imporre la propria autorità su tutti per facilitare il compito dei mondialisti, l’Ortodossia dimostra di saper resistere a questi tentativi e mantenere la propria struttura

 

Ça va sans dire, Bartolomeo è forte sostenitore della vaccinazione, ma – al di là del gran chiasso mediatico che fa, soprattutto per i suoi idilliaci rapporti con i modernisti attualmente occupanti la sede romana – il suo gregge in Turchia è ridotto a poche migliaia di fedeli, con più vescovi che chiese.

 

Il patriarca Bartolomeo di Costantinopoli è forte sostenitore della vaccinazione, ma – al di là del gran chiasso mediatico che fa, soprattutto per i suoi idilliaci rapporti con i modernisti attualmente occupanti la sede romana – il suo gregge in Turchia è ridotto a poche migliaia di fedeli, con più vescovi che chiese

Diversa è per esempio la situazione della Chiesa di Grecia; ivi la struttura della Repubblica Ellenica, stato confessionale alla maniera guglielmina, in cui i chierici sono ufficiali dello Stato e ricevono lo stipendio dallo Stato, rende le gerarchie estremamente soggette alla volontà del potere politico.

 

Così, quando qualche mese fa il ministro della sanità Vasilis Kikilias si è recato a una seduta del Santo Sinodo di Grecia e ha esercitato fortissime pressioni perché i gerarchi sostenessero la vaccinazione anti-COVID, moltissimi vescovi statalisti hanno accolto questo vergognoso invito, e taluni pure pronunciato frasi raccapriccevoli, come Crisostomo di Messenia, che ha affermato che è un peccatore chiunque non si vaccini.

 

C’è da dire che il Sinodo non ha adottato questa posizione, affermando invece che è fondamentale preservare la libera scelta della vaccinazione, e ha ripreso il vescovo messeno per queste temerarie dichiarazioni, il quale pure ha visto una focosa protesta da parte di numerosi fedeli assiepatisi sotto il suo episcopio.

 

 

Tuttavia, la Chiesa di Grecia non ha certo sposato in blocco tali posizioni: il basso clero, formato non da carrieristi come la maggior parte dei vescovi, ma di uomini di fede, si è opposto in massa alla vaccinazione (vedasi qui, per esempio, un prete di un villaggio della Penisola Calcidica che spiega che è inutile venire in chiesa se si porta la mascherina è accettato di farsi il vaccino o il tampone), tanto che alcuni vescovi come Nettario di Corfù, di Passo e delle Isole Joniche pare abbiano ricevuto pressioni dal governo per mettere a tacere i preti autori di prediche contro il vaccino, evidentemente fenomeni non isolati.

 

Tra gli oppositori della vaccinazione, così come delle blasfeme misure anti-COVID, vi sono però pure alcuni vescovi, tra cui spicca decisamente Serafino di Cerigo, che è pure indagato dalla procura greca per aver dichiarato che il vaccino va rifiutato in quanto fatto col prodotto degli aborti, nonché sottoposto a vergognosa indagine canonica insieme al confratello Cosimo di Etolia e Acarnania per aver criticato le misure anti-COVID imposte dallo stato per le celebrazioni pasquali .

 

È interessante notare che, confrontando le carriere dei vescovi vaccinisti con quelli critici, si vede come i primi siano sovente carrieristi creati diaconi, preti e archimandriti con lo scopo esplicito di ambire a un episcopato, mentre i secondi abbiano all’attivo numerosi anni di vita spirituale in monastero.

 

È interessante notare che, confrontando le carriere dei vescovi vaccinisti con quelli critici, si vede come i primi siano sovente carrieristi creati diaconi, preti e archimandriti con lo scopo esplicito di ambire a un episcopato, mentre i secondi abbiano all’attivo numerosi anni di vita spirituale in monastero.

Il clero della Chiesa di Grecia rischia realmente di giungere a una fortissima spaccatura, soprattutto considerando la debolezza dell’attuale Arcivescovo di Atene Geronimo, anziano e molto dipendente dal potere statale.

 

Già da qualche anno, quando Bartolomeo di Costantinopoli ha riconosciuto un riconoscimento illegittimo e contro i diritti della Chiesa canonica a una compagine scismatica e priva di ordini sacri reali in Ucraina (sostenuta dal governo filo-americano ucraino in funzione antirussa), mentre la maggior parte delle chiese locali si sono opposte o hanno ignorato la decisione, il Sinodo Greco ha dato il proprio appoggio per solidarietà etnica; il basso clero e ben sette vescovi, tuttavia, fedeli alle tradizioni, hanno contestato la decisione, e la spaccatura è tale che molti preti si rifiutano di concelebrare con i propri vescovi per questo motivo.

 

È probabile che se non ci fossero stati i lockdown nel 2020 la spaccatura sarebbe arrivata per quella ingravescente questione, ma ora a questa pare aggiungersi l’ancor più forte spaccatura del vaccino, perciò sarà interessante seguire la vicenda.

 

Vanno notate altre due questioni: la prima è che circa un decimo della popolazione greca aderisce a un sinodo «resistente», i cosiddetti «Vecchi Calendaristi», che hanno cioè rifiutato l’adozione del calendario gregoriano occidentale nel 1924, e che in questi mesi hanno pronunciato parole molto severe contro la vaccinazione; la seconda è che, nell’Ortodossia, il popolo fedele (il pliroma) è l’autentico custode e difensore della tradizione ecclesiastica, che deve all’occorrenza correggere e scacciare gl’indegni pastori al grido di «Anaxios!» («indegno!»).

 

In tal senso, è interessante il recente episodio avvenuto in occasione del Vespro di Sant’Irene di Cappadocia nella chiesa a lei dedicata ad Efkarpia (piccolo paese alla periferia settentrionale di Tessalonica), quando il vescovo Barnaba di Neapoli e Stavropoli durante la predica ha iniziato a invitare gli anziani a vaccinarsi, e i fedeli presenti hanno iniziato a rumoreggiare e attaccare il metropolita gridando: «Parlaci della Santa! Se avessimo voluto sentir parlare di vaccino, avremmo guardato Sky!»

 

 

Va ribadita la posizione del Monte Athos, l’unica vera autorità morale e spirituale dell’intera ortodossia, i cui monaci e abati più volte si sono espressi contro questi sieri e i loro pericoli morali e sanitari

Restando nel mondo ellenofono, è interessante far cenno pure alla Chiesa autocefala di Cipro, dove il vescovo Neofita di Morfou sta intraprendendo una strenua resistenza contro la vaccinazione e contro le misure anti-COVID, venendo pure indagato: è di pochi giorni fa la scandalosa notizia che gli è stato impedito di difendersi in tribunale, poiché si rifiutava di indossare una maschera per entrare.

 

Tralasciando le altre chiese locali, che sono più piccole e circoscritte (ma non per questo mancano di personaggi coraggiosi che hanno parlato contro il vaccino, come Teodosio di Costanza nella Chiesa Romena o Macario di Nairobi nella Chiesa d’Alessandria), andiamo all’altra grande giurisdizione a vocazione internazionale, il Patriarcato di Mosca.

 

Ha fatto il giro del mondo una dichiarazione del vescovo Ilarione di Volokolamsk, che avrebbe definito «peccato mortale» il non vaccinarsi; tale dichiarazione, rilanciata a gran forza dai media occidentali, è stata attribuita al «rappresentante del Patriarcato di Mosca».

 

Ora, anzitutto va precisato che Ilarione è il segretario del dipartimento per le relazioni estere del Patriarcato (de facto, il ministro degli esteri), e perciò su questioni che non riguardano la politica estera rappresenta solo la propria opinione; secondariamente, Ilarione è noto in Russia per essere su posizioni al filo del modernismo, e molto legato ai poteri amministrativi moscoviti, che recentemente hanno intrapreso una strana giravolta in favore della vaccinazione, pur avendo la maggioranza della popolazione russa contraria a questi sieri.

 

D’altro canto, non si può tralasciare che a parlare contro la vaccinazione, spiegando come questi farmaci genici alterino l’immagine di Dio in noi, sia stato di recente l’abate del monastero delle Solovki (reso universalmente noto, quando fu gulag sovietico, dalle opere di Solzhenitsyn), il vescovo Porfirio, che è segretario personale del Patriarca.

 

Una posizione simile è stata assunta, mediante una lettera, dal vescovo Giorgio di Camberra, della «Chiesa Russa fuori dalla Russia» (giurisdizione autonoma nata per l’emigrazione russa in periodo sovietico, ora sotto l’omoforio moscovita). Il Patriarca, uomo molto diplomatico, non si è invece mai espresso al riguardo in nessuno dei due sensi, e probabilmente mai lo farà.

 

È significativo infine segnalare la presa di posizione del Sinodo di Moldavia, anch’essa una chiesa autonoma sotto la giurisdizione del Patriarcato di Mosca, il quale ha dichiarato come la vaccinazione sia un complotto anticristiano e un prodromo al chip sottocutaneo.

 

L’Ortodossia, dunque, nonostante le infiltrazioni del potere e i tentativi di assoggettarla, resiste e non si piega ai piani dei Neotaxiti  – parola con cui in greco vengono indicati i sostenitore del Nuovo Ordine Mondiale.

Infine, va ribadita la posizione del Monte Athos, l’unica vera autorità morale e spirituale dell’intera ortodossia, i cui monaci e abati più volte si sono espressi contro questi sieri e i loro pericoli morali e sanitari.

 

Renovatio 21 ha tradotto la lettera dell’abate di Esfigmenou Metodio e un video dell’abate di Karakallou Filoteo, ma molte altre sono le dichiarazioni rese, per esempio dall’abate di Aghiou Pavlou Partenio, dal gheron Gabriele di Koutloumousiou, dal gheron Paolo dei Vouleftiria (MD in Biologia Molecolare e Biomedicina) e soprattutto dallo ieromonaco Eutimio di Kapsala, autore di una recente lettera che sconsiglia fortemente a tutti i cristiani di ricorrere ai preparati genici prodotti con gli aborti, che è considerato il successore di San Paisio Aghiorita e la personalità spirituale vivente maggiore di tutta l’Ortodossia.

 

L’Ortodossia, dunque, nonostante le infiltrazioni del potere e i tentativi di assoggettarla, resiste e non si piega ai piani dei Neotaxiti  – parola con cui in greco vengono indicati i sostenitore del Nuovo Ordine Mondiale.

 

 

Nicolò Ghigi

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«Siamo stati creati per la gloria»: omelia nella festa di Ognissanti di mons. Viganò

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Renovatio 21 pubblica l’omelia nella festa di Ognissanti dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò

Vos, purpurati martyres,
Vos candidati præmio
Confessionis, exsules
Vocate nos in patriam.

Rabano Mauro
Inno Placare, Christe

 

Dopo la solenne celebrazione della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, nell’ultima Domenica di Ottobre, il primo Novembre è dedicato a coloro che con Cristo hanno combattuto il bonum certamen, meritando di trionfare con Lui nella vittoria sfolgorante sul demonio.

 

Il giorno seguente, 2 Novembre, viene ricordato un altro sterminato esercito di anime sante: quelle di coloro che il fuoco del Purgatorio purifica, come l’oro nel crogiuolo, per renderle degne di essere ammesse alla gloria della contemplazione della Maestà divina.

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Il Re, i Suoi più valorosi compagni d’arme, i Suoi soldati, e un’infinità di Santi sconosciuti. Profeti, Apostoli, Martiri, Confessori, Vergini e Vedove; Papi, Vescovi e Abati; Re e Sovrane. E la Regina di tutti costoro, la Condottiera delle Milizie, la Beatissima Semprevergine Maria. E le schiere angeliche: Serafini, Cherubini, Troni; Dominazioni, Virtù, Potestà; Principati, Arcangeli e Angeli. Miriadi di anime illuminate come un mistico firmamento dalla luce sfolgorante del Sol Justitiæ, Nostro Signore Gesù Cristo, Re e Pontefice. 

 

Tibi omnes angeli,
tibi cœli et universae potestates:
tibi cherubim et seraphim,
incessabili voce proclamant:
Sanctus, Sanctus, Sanctus,
Dominus Deus Sabaoth.
Pleni sunt cœli et terra majestatis gloriæ tuæ.
Te gloriosus Apostolorum chorus,
te Prophetarum laudabilis numerus,
te Martyrum candidatus laudat exercitus.

 

A questo sterminato consesso di Santi manchiamo solo noi, che in questa valle di lacrime peregriniamo verso la Patria celeste che troppo spesso crediamo lontana.

 

Una Patria da cui siamo exsules, esuli cacciati dalla Giustizia divina in quanto figli di Adamo ed Eva, riammessi per Grazia alla presenza beatifica della Santissima Trinità grazie alla Redenzione del Nuovo Adamo e alla Corredenzione della Nuova Eva. Con noi abbiamo molti compagni di viaggio, altri ci hanno preceduti, altri li incontreremo per via.

 

I nostri genitori, una volta lasciata questa vita passeggera, continueranno a pregare per noi nell’eternità e li ritroveremo ad attenderci quando suonerà la nostra ora. I nostri figli, i nostri nipoti perderanno anche noi, un giorno, e benediremo la volta che abbiamo loro insegnato a recitare un De profundis, perché la loro preghiera allevierà le nostre sofferenze purificatrici e ci avvicinerà a quel locus refrigerii, lucis et pacis cui tanto aneliamo.

 

Anche noi pregheremo per loro, dal Purgatorio e dal Paradiso, affinché con l’aiuto della Grazia riescano ad espiare le loro colpe su questa terra, con la penitenza, il digiuno, la preghiera; con la Carità, che copre una moltitudine di peccati (1 Pt 4, 8). La Carità: l’unica Virtù che non verrà mai meno, perché consustanziale al Dio Uno e Trino. La Virtù il cui fuoco arde di un tale amore per Dio, da consumare le nostre infedeltà.

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Chi tra voi è ancora giovane, e pensa di aver dinanzi a sé ancora molto tempo prima del Giudizio particolare, forse non riesce a comprendere perché nelle persone più mature si renda via via più percepibile quella sorta di «nostalgia» per la gloria del Cielo che ci fa quasi desiderare la morte per prima raggiungere il Padre Celeste e i santi del Paradiso. Noi anziani sentiamo questo desiderium patriæ che ce la fa anelare più della luce del sole [Patria me major quam lucis sidera deerat, cfr. Ovidio, Tristia, I, 3].

 

Un desiderio che non ci viene dal ricordo di qualcosa che abbiamo lasciato – non essendo mai stati ammessi al Paradiso – quanto da quell’impronta che portiamo impressa nella nostra natura e che ci ricorda di essere opera della mano sapiente del Creatore, fatti a immagine e somiglianza della Santissima Trinità, trinitari anche noi nelle nostre facoltà – memoria, intelletto, volontà. La memoria del Padre, l’intelletto del Figlio, la volontà del Paraclito. 

 

Potremmo dire che il ricordo ancestrale del Paradiso perduto si sia trasmesso, insieme alle conseguenze del peccato originale – la morte, la malattia, il dolore… – proprio come il figliuol prodigo prova nostalgia della casa del Padre, del quale ha dilapidato l’eredità. Quel richiamo struggente ci ricorda da dove veniamo, ma soprattutto ci indica la Patria a cui siamo destinati.

 

Il pellegrinaggio del popolo eletto nel deserto verso la Terra Promessa è figura del pellegrinaggio della Chiesa verso il ritorno nella gloria del proprio Capo, ma anche immagine del pellegrinaggio di ciascuno di noi verso la Nuova Gerusalemme.

 

Siamo stati creati per la gloria. Siamo stati voluti e quindi amati per essere partecipi della gloria del Dio Creatore, Redentore e Santificatore. Siamo stirpe di Re, figli ed eredi di Dio, coeredi di Cristo. E la nostra eredità inizia qui, cari fratelli. Inizia con la scala crucis che vediamo raffigurata in un’immagine medievale, in cui il Salvatore sale i pioli di una scala che conduce alla Croce. La nostra eredità eterna inizia con la volontaria accettazione della croce che la Provvidenza ci ha destinato, e che è l’unica che siamo in grado di portare, l’unica su cui possiamo serenamente salire, su cui possiamo con fiducia aprire le braccia.

 

La scala crucis è anche scala paradisi, perché nella sequela del Redentore questa via regia conduce dritto al cospetto della Maestà divina. Una suggestiva immagine di San Giovanni Climaco ci mostra le anime salire verso il Cielo, con gli Angeli che le accompagnano nella salita e i diavoli che cercano di trascinarle giù.

 

I Santi – quelli che veneriamo sui nostri altari, dei quali incensiamo le Reliquie, sulle spoglie dei quali celebriamo il Santo Sacrificio della Messa e che per noi intercedono in Cielo – non sono l’eccezione in una norma di mediocrità. Non è normale non essere santi. Vi furono epoche in cui la santità era tutt’uno con l’essere Cristiani, perché nella furia della persecuzione uomini e donne, giovani e anziani erano quotidianamente chiamati ad affrontare il Martirio. Molti lo subirono come catecumeni, ancor prima di essere ammessi al Battesimo. Portiamo i loro nomi proprio perché il loro esempio ci sproni ad imitarli sulla stessa via di santità. Professiamo la stessa Fede apostolica, celebriamo gli stessi Misteri, e continuiamo ad avere gli stessi nemici: il mondo, la carne, il diavolo.

 

Un Cattolico che non vuole essere santo, che non desidera il Paradiso, che non anela a Dio – sicut cervus ad fontes aquarum – e che non sente questa «nostalgia» del Vero e del Bene, non ha capito nulla della nostra santa Religione, né tantomeno del miracolo di infinita Carità che ha spinto la Seconda Persona della Santissima Trinità ad incarnarSi e a patire per noi, senz’altra motivazione se non l’amore divino nei nostri riguardi e la gloria della Trinità stessa. Perché essere santi è un dovere di ciascuno di noi, in obbedienza al precetto: Siate santi come Dio è santo (Lv 19,2; 1Pt 1,16); ma se solo ci lasciamo conquistare da Nostro Signore la santità non è più un obbligo, ma la necessaria, spontanea e riconoscente risposta alla chiamata del Re, sotto i vessilli del Quale è un onore militare. 

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I Santi sono coloro che hanno acclamato e continuano ad acclamare: Regnare Christum volumus! contro il grido blasfemo della scelesta turba. Sono coloro che fanno regnare il loro Signore anzitutto nella propria anima, rendendola degna dimora della Santissima Trinità mediante la vita della Grazia e l’unione con Dio. Sono coloro che nell’umiltà si lasciano guidare dalla mano sapiente del Signore, docili come una penna tra le Sue dita, perché sia chiaro che l’opera che ne esce è interamente divina. Quoniam tu solus Sanctus.

 

A noi esuli è però concesso uno spiraglio di Paradiso, su questa terra. Uno spiraglio della gloria della Maestà divina che anticipa ciò che ci attende e che rende disponibili le Grazie soprannaturali per affrontare il viaggio fino alla meta finale. Questo angolo di Paradiso lo troviamo nelle nostre chiese, nei nostri Tabernacoli, attorno a ciascuno dei quali si raccolgono adoranti tutti gli Angeli.

 

Lo troviamo nella Santa Messa, quando il sacerdote fa scendere dal Cielo il Re dei Re, ripetendo in forma incruenta il Sacrificio della Croce. E in questo Paradiso in terra, delimitato dalle colonne e dalle volte di una chiesa come dalle travi di un granaio, noi possiamo comunicarci al Corpo e Sangue di Cristo, presente in Corpo, Sangue, Anima e Divinità esattamente come Egli siede sul Trono dell’Agnello nella gloria del Cielo. 

 

Te per orbem terrarum
sancta confitetur Ecclesia,
Patrem immensæ maiestatis;
venerandum tuum verum et unicum Filium;
Sanctum quoque Paraclitum Spiritum. 

 

Forse è proprio dalla sacralità della Messa, dalla solennità dei gesti arcani, dalla profondità dei testi liturgici, dal torrente impetuoso di Grazie che il Santo Sacrificio riversa su di noi, che ci viene quella «nostalgia» per il Cielo, per la presenza dei nostri cari, per la luce della Verità somma, per il calore della perfetta Carità, per la gloria di Dio e dei Suoi Santi. Tu rex gloriæ, Christe. Cum sanctis tuis in æternum, quia pius es.

 

E così sia. 

 

+ Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

1 Novembre MMXXV
In festo Omnium Sanctorum

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Immagine: Fra Angelico (circa 1395–1455), Giudizio finale (circa 1450), Gemäldegalerie, Berlino

Immagine di Dosseman via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International


 

 

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Lo stile di Leone XIV: conservare il vero senza rigettare il falso?

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In una Nota sullo stile di Papa Leone XIV del 1° giugno 2025, pubblicata sul suo blog e riproposta da Sandro Magister su Settimo Cielo il 2 giugno, Leonardo Lugaresi, esperto di Padri della Chiesa, si sforza di «cogliere un aspetto dello stile di pensiero e di governo di Papa Leone XIV, che mi sembra emergere chiaramente nei suoi primi discorsi; un tratto che merita la massima attenzione per il suo valore paradigmatico, non solo nei contenuti ma anche, e direi soprattutto, nel metodo».   Questo stile, secondo lo studioso italiano, equivale a fare «giusto uso» della tradizione: «raccogliere ciò che c’è di buono in ogni persona, in ogni discorso, in ogni evento, e filtrare ciò che è cattivo».   Spiega: «Ma oggi sarebbe altrettanto sbagliato pretendere che spetti al papa compiere una sorta di “controriforma”. Se posso azzardare una previsione, credo che questo comunque non accadrà. Penso invece che da Leone XIV possiamo attenderci non tanto delle correzioni esplicite o delle formali ritrattazioni di certi aspetti ambigui, confusi e in qualche caso problematici del precedente pontificato, quanto un loro “giusto uso” che, se così posso esprimermi, li “rimetta al loro posto”».   E illustra il suo punto con un esempio: «ad alcuni è dispiaciuto che nel discorso del 19 maggio ai rappresentanti delle altre chiese e di altre religioni papa Leone abbia citato la controversa Dichiarazione di Abu Dhabi».

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«È vero che quel documento contiene il passaggio forse più “problematico” del pontificato di Francesco, perché vi si trova un’affermazione circa la volontà divina che gli uomini aderiscano a religioni diverse dalla fede cristiana che è pressoché impossibile interpretare in modo compatibile con la dottrina cattolica».   «Tuttavia, da parte di chi è ben saldo nella certezza (scritturistica e tradizionale!) che tutti gli uomini sono chiamati a convertirsi a Cristo, perché ‘in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati’ (At 4, 12), si può benissimo citare un altro passo, del tutto innocuo, di quello stesso documento, proprio nella logica che ho cercato di descrivere;»   «È anche in questo modo, io spero, che si realizzerà una sorta di ‘riassorbimento dell’eccezione bergogliana’ nel corpo vivo della tradizione»   «Ah! Con quanta galanteria vengono espresse queste cose!» [Molière, Il Misantropo, Atto I, Scena 2] Le affermazioni eretiche diventano “eccezioni” che devono essere «riassorbite”, diluite in affermazioni “innocenti” per renderle accettabili al «corpo vivo della tradizione»! Con un simile regime, c’è da temere che questo corpo non rimanga vivo a lungo! Ci si può accontentare di «filtrare» l’errore senza rifiutarlo esplicitamente?

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Leone XIV può accontentarsi di aggirare gli errori senza condannarli?

Nelle Res Novæ del 4 agosto, padre Claude Barthe scrive: «Leone XIV, è un fatto, è responsabile dell’eredità di Francesco. Questa eredità, fondamentalmente conciliare, se si escludono la sinodalità, che resiste a qualsiasi tentativo di definizione precisa, e l’impegno ecologico, può essere riassunta in tre testi: Amoris Laetitia e Fiducia Supplicans, sulla morale del matrimonio, e Traditionis Custodes sulla liturgia tradizionale».   Sulla moralità del matrimonio, prosegue, «tutta la difficoltà di Amoris Laetitia si concentra nel paragrafo 301, da cui si potrebbe ricavare la seguente proposizione: “Alcuni di coloro che vivono in adulterio, anche se conoscono la norma che stanno trasgredendo, potrebbero non essere in stato di peccato mortale”».   «Leone XIV dovrebbe abbracciare questo insegnamento bergogliano, che mina gravemente la santità del matrimonio. Aggirarlo abilmente, indirettamente, non sarà sufficiente per invalidarlo. Dovrà necessariamente approvarlo o annullarlo. La Chiesa, infatti, è custode del contenuto della Rivelazione e della dottrina di fede e morale a cui bisogna aderire per essere salvati. […]»   «Non ci si può accontentare, a difesa della fede, di dichiarazioni che mitighino tale eterodossia o la controbilancino con insegnamenti contrari che tuttavia lascino intatta la dottrina difettosa. È necessario, per la salvezza delle anime, sradicare la falsa dottrina».   Riguardo alla Messa tradizionale, padre Barthe osserva che «a causa di papa Bergoglio, la questione è diventata molto semplice: tutto l’approccio repressivo di Traditionis Custodes si basa, infatti, sul suo articolo 1: ‘I libri liturgici promulgati dai santi pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità con i decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano (…)»   «Secondo Traditionis Custodes, a seguito della riforma conciliare, la liturgia romana precedente a questa riforma ha quindi perso il suo status di lex orandi. […] (Certamente) è estremamente auspicabile che il nuovo papa conceda a questa liturgia, direttamente o indirettamente, maggiore libertà. Ma, nonostante ciò, resta da insegnare nella Chiesa la seguente proposizione: “I libri liturgici in vigore prima della riforma di Paolo VI non esprimono la lex orandi del Rito Romano”»

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«La questione che il Magistero della Chiesa è ora chiamato a risolvere è questa: questa proposizione è vera o falsa? Se è falsa, deve essere condannata, con tutte le conseguenze che ne conseguono».   Pertanto, un uso sapiente della «tradizione vivente» per assorbire le «eccezioni bergogliane» sembra non solo insufficiente, ma soprattutto pericoloso. Anche in questo caso, solo il futuro potrà dirlo. E il futuro appartiene a Dio.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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Filippine: le sette evangeliche riscuotono un successo clamoroso

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Sebbene il cattolicesimo rimanga la religione dominante nelle Filippine, un numero crescente di filippini si sta ora rivolgendo alle comunità protestanti, appartenenti al cosiddetto movimento «evangelico». Diverse ragioni spiegano questa crescente disaffezione nei confronti della Chiesa.

 

Nell’arcipelago filippino, la Chiesa cattolica permea tutti gli aspetti della vita: le arterie urbane, le feste popolari, i dibattiti politici e perfino gli scambi quotidiani spesso rimandano alle grandi devozioni cattoliche.

 

Il cattolicesimo, vestigia della dominazione spagnola e pilastro dell’unità nazionale, era sembrato fino ad allora incrollabile: ma questo significava dimenticare che anche il colosso a volte ha i piedi d’argilla. Mentre all’inizio degli anni 2000 circa l’82,3% della popolazione si identificava come cattolico, due decenni dopo questa percentuale era scesa al 78,6%.

 

Allo stesso tempo, le comunità evangeliche hanno conosciuto una crescita spettacolare, con la loro quota aumentata dal 4,1% all’8,2% in tempi record, al punto che si può parlare senza esagerare di una vera e propria ondata evangelica che continua a generare credenti «rinati», coloro che credono, come Nicodemo, di essere nati una seconda volta grazie al loro ingresso in questo nuovo tipo di protestantesimo.

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A questo declino hanno contribuito in larga parte le carenze che hanno scosso la Chiesa cattolica locale: si potrebbe citare il posizionamento politico dei vescovi filippini che, tra il 2016 e il 2022, sono entrati in guerra contro l’allora capo dello Stato, Rodrigo Duterte, in particolare a causa dei metodi rapidi di quest’ultimo contro i narcotrafficanti.

 

L’uomo forte dell’arcipelago non ha esitato a insultare a sua volta i prelati, contribuendo così a normalizzare gli attacchi contro la gerarchia ecclesiastica. Ma si potrebbero anche menzionare sospetti di irregolarità finanziarie e altri casi di abusi che hanno offuscato la reputazione dell’istituzione.

 

Il declino del cattolicesimo nella regione – come altrove nel mondo – si spiega anche con il fenomeno della «modernità psicologica», per cui la crescente domanda di autonomia, soprattutto a partire dagli anni Sessanta, si è spostata dal registro politico a quello intimo, per affermarsi anche nelle scelte spirituali e religiose.

 

In questo contesto, il credente ritiene che ora spetti a lui trovare le risorse personali che possano autenticare la propria fede ai propri occhi, piuttosto che affidarsi alle credenze prescritte dall’istituzione. Ciò porta a un cambiamento nell’adesione religiosa che mette in risalto la figura del convertito. Il credente tende a presentarsi come un «ritornante», un cristiano rinato che costruisce la propria appartenenza attraverso le proprie scelte.

 

Questa prospettiva risiede in una decisione personale. Testimoniare la propria conversione significa produrre una narrazione di sé come credente autonomo: significa introdurre l’individuo egocentrico nella mentalità cattolica. A questo si aggiunge la retorica dell’autenticità e dell’autorealizzazione, che spiega perché le sette evangeliche prediligano servizi intrisi di danze e lodi ritmiche, instillando un’atmosfera presumibilmente conviviale e immersiva.

 

In breve, è la conseguenza logica delle celebrazioni piatte e orizzontali delle animazioni liturgiche apparse sulla scia del Nuovo Ordo Missae.

 

Ma sarebbe esagerato prevedere la scomparsa del cattolicesimo o il soffocamento delle comunità locali sul suolo filippino: la fede cattolica resta viva, ma dovrà attingere più che mai in futuro alle radici della sua Tradizione per non vedersi rubare definitivamente la pretesa di vitalità e dinamismo.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di Nepespellogo via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International

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