Economia
La teoria economica distributista: «La Chiesa e la terra» di Vincent McNabb

Padre Vincent McNabb (1868-1943) è stato un frate domenicano di origini nord-irlandese che fu guida spirituale ed esempio vivente di santità per Hilaire Belloc e Gilbert Keith Chesterton.
Al pari di loro fu un intrepido e fervido distributista, come si evince dalla prefazione alla raccolta di saggi dal titolo La Chiesa e la terra del 1925:
«Questi saggi non sono semplicemente un’opera da topo di biblioteca né le contemplazioni ascetiche o mistiche di uno studioso, anzi potrebbero quasi essere considerati gli schizzi di sangue fuoriusciti a forza dalla mente e dal cuore di un prete che combatte nella prima linea della vita, spinto dal bisogno di difendere e attaccare».
«Questi saggi non sono semplicemente un’opera da topo di biblioteca né le contemplazioni ascetiche o mistiche di uno studioso, anzi potrebbero quasi essere considerati gli schizzi di sangue fuoriusciti a forza dalla mente e dal cuore di un prete che combatte nella prima linea della vita, spinto dal bisogno di difendere e attaccare».
Nell’esergo del libro, Padre McNabb spronava così i cattolici a cogliere l’opportunità, in sintonia con Leone XIII, per scendere in campo: «Per noi cattolici, lo stato distributivo, cioè lo stato in cui vi è il massimo numero possibile di proprietari, non è una cosa da discutere, ma da promuovere e costruire».
Il suo apostolato era nutrito dalla lettura assidua della Bibbia e della Summa Teologica di San Tommaso d’Aquino, che portava in uno zainetto sempre con sé, nelle sue camminate chilometriche dove incontrava la gente, portando loro conforto, speranza, ascoltando, pregando, mai rinunciando a esporre loro i contenuti della fede ed esponendo loro la Verità del Vangelo di Cristo tutta intera.
I suoi scritti infatti, in particolare quelli dove il distributismo era spiegato e motivato all’azione, trasudavano dei contatti diretti che egli ebbe con quella gente, spesso di campagna, che egli incontrava, come ad esempio un amico che gli chiese cosa si sarebbe dovuto fare.
«Per noi cattolici, lo stato distributivo, cioè lo stato in cui vi è il massimo numero possibile di proprietari, non è una cosa da discutere, ma da promuovere e costruire»
Era dotato, oltre che di un rigore logico, di un elevato senso dell’umorismo che attirava e, nel contempo, scuoteva, come nella risposta all’amico disperato che aveva speso l’ultimo scellino del sussidio di disoccupazione e che voleva impiccarsi. Ecco cosa rispose il frate domenicano: «La tua è una risposta eugenetica» per poi sollecitarlo all’azione: «I fatti e il buon senso sono una visione sufficiente, lo sa il Cielo, per trasformare Whitechapel (il luogo in cui si trovavano) in un’utopia. Ma noi uomini che abitiamo a Whitechapel non abitiamo in utopia. Ce ne stiamo a letto ammalati e febbricitanti mentre invece la salute perduta ci ritornerà solo quando ci alzeremo, uscendo e rimettendoci a lavorare per la moglie e i figli all’aria fresca che Dio ci ha donato».
Alla risposta affermativa dell’amico interlocutore («due più due fa quattro»), ecco come lo esortava a cogliere l’opportunità distributista:
«La somma è santa come una professione di fede. Ma va vissuta. Come pura semplice asserzione due più due fa quattro è vera. Ma la verità non riempie le bocche affamate. Deve far diventare, per esempio, due patate ventidue patate piantandole in un campo. O devi trasformare due fili, l’ordito e la trama, in tessuto da mettere addosso…Non possiamo farlo noi? Tutti gli uomini e le donne assennate che amano l’Inghilterra ringrazieranno Dio per la nostra sagacia!».
Vorrei ora ringraziare l’amico Giannozzo Pucci che nel 2013 ha intrapreso, per la prima volta in Italia, con i suoi collaboratori della LEF, la traduzione di questo importante volume, che ci permette di valutare realisticamente quanto questi alfieri del distributismo si siano spesi concretamente nell’esporre i contenuti della distribuzione responsabile della proprietà privata.
L’enunciato di Papa Leone XIII: «La legge deve favorire la proprietà. La sua politica deve fare in modo da indurre i componenti delle classi più umili a diventare proprietari»
Soprattutto Fra’ Vincent McNabb si riferiva continuamente alla Rerum Novarum del 1891, riprendendone pezzi, stimolandone lettura e comprensione, come ad esempio nel capitolo La fine del sistema salariale , dove all’enunciato di Papa Leone XIII: «La legge deve favorire la proprietà.
La sua politica deve fare in modo da indurre i componenti delle classi più umili a diventare proprietari» faceva seguire una valutazione a due colonne sulle opportunità del «sistema salariale» e del «sistema della proprietà privata», per concludere: «Eppure la dottrina della Rerum Novarum afferma che la legge e la politica delle nazioni dovrebbero far aumentare il numero di proprietari e pertanto ridurre il numero di salariati».
Padre McNabb era consapevole, al pari di Belloc, che la Fede avrebbe dovuto essere la forza propulsiva del distributismo e che il modello della Sacra Famiglia avrebbe dovuto ispirare la famiglia umana:
«L’ora di Greenwich misura il giorno. L’ora di Nazareth misura anche l’eternità. Tutte le nostre costruzioni individuali e sociali, per essere durevoli, devono essere verificate dalle misure di quella piccola scuola di veggenti della verità i cui nomi sono la musica stessa della vita: Gesù, Maria, Giuseppe!».
«Eppure la dottrina della Rerum Novarum afferma che la legge e la politica delle nazioni dovrebbero far aumentare il numero di proprietari e pertanto ridurre il numero di salariati»
Come ha ricordato Paolo Gulisano nella biografia accurata sul padre domenicano, due erano i principi cardine che lo muovevano:
«Il principio primo della vita è che c’è un Dio, nostro Creatore, che dobbiamo amare e servire, e che non possiamo amare e servire senza amare e servire i nostri simili. Il secondo principio è che la famiglia è la base di tutta la vita sociale, e che, pertanto, il valore sociale di tutte le proposte deve essere testato per il loro effetto sulla Famiglia».
Padre McNabb non esitava a confrontarsi anche con coloro che detenevano il potere, attraverso lettere aperte nelle quali implorava l’attenzione alla famiglia, alle sue condizioni economiche, sociali e spirituali:
«Noi preti di Dio dobbiamo aiutare la nostra gente a rispettare la legge di Dio sullo stato coniugale e la procreazione, aiutandoli a porre fine alle condizioni dell’industrialismo servile».
«Il principio primo della vita è che c’è un Dio, nostro Creatore, che dobbiamo amare e servire, e che non possiamo amare e servire senza amare e servire i nostri simili. Il secondo principio è che la famiglia è la base di tutta la vita sociale, e che, pertanto, il valore sociale di tutte le proposte deve essere testato per il loro effetto sulla Famiglia»
In quel clima neomalthusiano dell’epoca, dove eugenetica e controllo delle nascite erano argomenti ricorrenti, il frate domenicano non esitava a denunciarne l’orrore, proclamando i diritti di Dio e difendendo il Suo ordine naturale, condensato in un Credo scritto in una lettera a un amico frutticoltore:
«Credo che la vita umana, essendo un dono divino, non è adeguatamente ripagata da nessun dividendo umano, ma solo dalla retribuzione divina. Credo che nel nostro mondo economico il desiderio di denaro è la radice di ogni male. Credo che una vita organizzata per fare denaro sia l’errore che consegue a considerare “il guadagno un culto”. Credo che i valori dei biglietti di banca siano falsi valori, come i pesi della moneta sono falsi pesi. Credo che la produzione di massa sulla terra non sia per il bene della terra ma per il denaro…. Credo che organizzare il lavoro in campagna per il mercato e non per l’uso interno della casa e del podere, alla fine metta inevitabilmente gli agricoltori alla mercé del mercato e dei servizi di trasporto che portano al mercato. Credo che servire Dio servendo l’uomo non vuol dire essere schiavi, ma re. Servire Deo regnare est. Il servizio di Dio è dignità regale».
Come ha giustamente riferito Paolo Gulisano nella biografia del «Santo di Hyde Park» (era così chiamato in quanto ogni domenica pomeriggio dallo Speaker’s corner arringava e interrogava i passanti): «Padre Vincent e i distributisti non avevano l’ambizione di cambiare il mondo, ma quantomeno le persone: “Il peccato lancia l’inferno nel mondo” ripeteva spesso Padre McNabb».
«Credo che la vita umana, essendo un dono divino, non è adeguatamente ripagata da nessun dividendo umano, ma solo dalla retribuzione divina. Credo che nel nostro mondo economico il desiderio di denaro è la radice di ogni male….»
Il dovere dei cattolici, ribadiva McNabb, non era solo quello di denunciare il peccato ma di impegnarsi per cambiare le condizioni per fuggire dalle occasioni prossime di peccato.
Il distributismo rappresentava quindi in lui la realistica e cristiana proposta di impegnare la propria vita in coerenza con il Vangelo, in tutti gli ambiti in cui poteva essere offerta una testimonianza coerente, da quello personale e familiare a quello economico-sociale.
Ritornando alla missione in Hyde Park, che impressionò e convertì anche alcune persone, non era affatto manifestazione di sciocco e inutile protagonismo, ma testimonianza vibrante di quanto ritenesse opportuno spendersi per la salvezza delle anime, ad iniziare dalla famiglia fino al lavoro e a tutte le relazioni sociali.
«Credo che una vita organizzata per fare denaro sia l’errore che consegue a considerare “il guadagno un culto”. Credo che i valori dei biglietti di banca siano falsi valori, come i pesi della moneta sono falsi pesi. Credo che la produzione di massa sulla terra non sia per il bene della terra ma per il denaro»
In una lettera a un vecchio compagno di scuola, Padre McNabb descrisse ciò che colse da una vetrina di Wisbech, piccola cittadina del Cambridgeshire:
«Il primo elemento di questa apocalisse che mi ha colpito quasi mortalmente è stato il cambiamento di nome. Non potevo più chiamare “botteghe” neanche gli esercizi commerciali di un paesino come ero solito fare da piccolo. Erano rimaste poche botteghe. Erano tutti negozi. Nobili arti e commerci stavano rapidamente sparendo di fronte ad anonimi esercizi commerciali o supermercati…Com’era bella a vedersi una strada tortuosa piena di insegne come “George Smith, ortolano”, “Elijah Jones, calzolaio”, “Reuben Dassett, sellaio”, “Edward Bloxam, locandiere”, “Jihn Bovill, macellaio”, “Joseph Jameson, falegname”. Queste litanie cariche di musicalità di uomini e donne inglesi, di mestieri e commerci inglesi stanno rapidamente morendo sotto i colpi inferti da commerci anonimi con i loro efficienti quartieri generali e i loro elaborati sistemi di verifica e controllo».
Credo sia inutile aggiungere come, a distanza di un secolo, la situazione da questo punto di vista non sia affatto migliorata. Tutto ciò che vide e denunciò Padre Vincent McNabb era una società secolarizzata che, con Dio, aveva estromesso la legge naturale e la ragione, com’egli ebbe a dire ripetutamente: «Ogni peccato è, essenzialmente, un peccato contro la ragione».
Credo che organizzare il lavoro in campagna per il mercato e non per l’uso interno della casa e del podere, alla fine metta inevitabilmente gli agricoltori alla mercé del mercato e dei servizi di trasporto che portano al mercato. Credo che servire Dio servendo l’uomo non vuol dire essere schiavi, ma re. Servire Deo regnare est. Il servizio di Dio è dignità regale
Fabio Trevisan
Articolo previamente apparso su «Atualità del distributismo. Famiglia, proprietà e corpi intermedi». Anno XVI (2020), numero 3, luglio-settembre; pubblicato su gentile concessione dell’Osservatorio Van Thuan.
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Il debito francese è un pericolo per tutta l’Eurozona

Il crescente debito sovrano della Francia, unito alle lotte politiche interne, potrebbe minacciare la stabilità fiscale dell’Eurozona. Lo riporta l’emittente pubblica tedesca Deutsche Welle, citando un esperto.
La Francia ha uno dei debiti nazionali più elevati dell’UE, attualmente pari a 3,35 trilioni di euro (3,9 trilioni di dollari), pari a circa il 113% del PIL. Si prevede che il rapporto salirà al 125% entro il 2030. Il deficit di bilancio è previsto al 5,4-5,8% quest’anno, ben al di sopra del limite del 3% previsto dall’Unione.
Friedrich Heinemann del Centro Leibniz per la Ricerca Economica Europea ZEW di Mannheim, in Germania, ha dichiarato alla testata in un articolo pubblicato sabato: «dovremmo essere preoccupati. L’eurozona non è stabile in questo momento».
Un drastico piano di austerità proposto dal primo ministro francese François Bayrou, membro del governo di minoranza, ha innescato un voto di sfiducia, che ha perso lunedì sera, portando al collasso il governo francese.
Il piano del Bayrou prevedeva tagli ai posti di lavoro nel settore pubblico, una riduzione della spesa sociale e la soppressione di due festività. Il Rassemblement National di Marina Le Pen, i Socialisti e il partito di sinistra La France Insoumise si sono opposti con veemenza alla proposta.
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Anche un sondaggio Elabe condotto prima del voto ha mostrato che la maggior parte degli intervistati era contraria alle misure.
Lo Heinemann ha dichiarato a DW di dubitare che la Francia troverà presto una via d’uscita, visti gli aspri scontri politici.
A luglio, Bloomberg, citando gli esperti di ING Groep NV, ha affermato in modo analogo che il crescente debito della Francia potrebbe rappresentare una «bomba a orologeria» per la stabilità finanziaria dell’UE.
Nonostante il considerevole deficit di bilancio, la Francia prevede di aumentare la spesa militare a 64 miliardi di euro nel 2027, il doppio di quanto speso nel 2017.
Il presidente Emmanuel Macron ha ripetutamente citato una presunta minaccia russa. Il Cremlino ha costantemente liquidato le accuse come «assurdità», accusando l’UE di una rapida militarizzazione.
A maggio, gli Stati membri hanno approvato un programma di debito da 150 miliardi di euro per l’approvvigionamento di armi.
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Immagine di Philippe Druesne via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
Economia
Trump porge il ramoscello d’ulivo a Musk. Cui Tesla prepara un possibile pagamento da un trilione

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Economia
La Turchia interrompe totalmente gli scambi commerciali con Israele

La Turchia ha interrotto tutti i legami commerciali ed economici con Israele, chiudendo il suo spazio aereo ad alcuni voli israeliani, ha annunciato il Ministro degli Esteri Hakan Fidan. I due Paesi sono in conflitto da mesi a causa della campagna militare israeliana a Gaza, con la Turchia che accusa il Paese di aver commesso un genocidio.
In un discorso al parlamento nazionale di venerdì, il Fidan ha affermato che la Turchia ha «completamente interrotto i nostri scambi commerciali con Israele» e «chiuso i nostri porti alle navi israeliane».
«Non permettiamo alle navi portacontainers che trasportano armi e munizioni verso Israele di entrare nei nostri porti e agli aerei di entrare nel nostro spazio aereo», ha aggiunto il ministro di Ankara, affermando che alle navi battenti bandiera turca è vietato fare scalo nei porti israeliani e che alle imbarcazioni israeliane è vietato entrare nei porti turchi.
Come riportato da Renovatio 21, la guerra commerciale con Israele era partita un anno fa con la sospensione degli scambi.
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Una fonte diplomatica turca ha dichiarato all’agenzia Reuters che le restrizioni ai voli riguardano solo i voli ufficiali israeliani e gli aerei con armi o munizioni, non il transito di routine dei vettori commerciali.
L’agenzia ha inoltre riferito che le autorità portuali turche stanno ora richiedendo informalmente agli agenti marittimi di attestare che le navi non sono collegate a Israele e non trasportano carichi militari o pericolosi diretti nel Paese.
Tuttavia, un funzionario israeliano ha dichiarato al Jerusalem Post che la Turchia aveva «già annunciato in passato la rottura delle relazioni economiche con Israele, e che tali relazioni sono continuate», riferendosi apparentemente alla sospensione delle importazioni ed esportazioni da parte di Ankara a maggio.
I commenti del ministro sono l’ultimo segnale del deterioramento delle relazioni tra Turchia e Israele, rese ancora più tese dalla guerra a Gaza. La Turchia, unendosi agli altri Paesi che hanno portato il caso al tribunale dell’Aia, ha accusato Israele di aver commesso un genocidio a Gaza. Il presidente Recep Tayyip Erdogan in precedenza aveva definito il primo ministro Benjamin Netanyahu «il macellaio di Gaza», suggerendo a un certo punto – in una reductio ad Hitlerum che è andata in crescendo, con contagio internazionale – che la portata dei suoi crimini di guerra superasse quelli commessi dal cancelliere della Germania nazionalsocialista Adolfo Hitlerro.
Nel 2023 la Turchia ha richiamato il suo ambasciatore da Israele e nel 2024 ha interrotto tutti i rapporti diplomatici. Mesi fa Ankara aveva dichiarato che Israele costituisce una «minaccia per la pace in Siria». Erdogan ha più volte chiesto un’alleanza dei Paesi islamici contro Israele.
Come riportato da Renovatio 21, in settimana i turchi hanno guidato gli sforzi per far sospendere Israele all’Assemblea generale ONU. L’anno scorso il presidente turco aveva dichiarato che le Nazioni Unite dovrebbero consentire l’uso della forza contro lo Stato degli ebrei.
Un anno fa Erdogan aveva ventilato l’ipotesi che la Turchia potesse invadere Israele.
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Immagine di Rob Schleiffert via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 4.0
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