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IVF

La Gran Bretagna spinge sempre più la maternità condivisa con fecondazione in vitro per le coppie lesbiche

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Nel 2008 il Parlamento britannico ha votato per cancellare l’ormai ritenuto discutibile «bisogno di avere un padre» stabilito dallo Human Fertilisation and Embriology Act (Legge sulla fertilizzazione e l’embriologia umana) facendo nascere così una riflessione sul nuovo concetto di «genitorialità».

 

Accanto alla legge che dà diritti all’unione civile (2004) e al matrimonio di coppie dello stesso sesso (2014), questo crea le basi per una repentina ondata di cure per la fertilità richieste dalle donne single e lesbiche.

Nel 2008 il Parlamento britannico ha votato per cancellare l’ormai ritenuto discutibile «bisogno di avere un padre»

 

Questi diritti, oltre ad avere potere legale nel Regno Unito, hanno trovato riscontro nelle direttive dei trattamenti professionali e sono state poi adottate in alcuni Paesi Europei e negli Stati Uniti. Inoltre hanno anche inevitabilmente modificato i comportamenti sociali.

 

Nel 1988 è stata trattata la prima coppia lesbica attraverso un’inseminazione da donatore alla London Women’s Clinic. Fino a quel momento i  registri indicano che più di 10.000 trattamenti per i pazienti che usano lo sperma di un donatore sono stati completati nella sola London Women’s Clinic con buoni risultati.

 

Una richiesta sempre più comune è per il trattamento che offre una shared motherhood («maternità condivisa») a entrambe le partner del rapporto omosessuale.

 

La tecnica di riproduzione artificiale permette a una partner di fornire l’ovulo e all’altra di fornire l’utero per continuare la gravidanza.

La tecnica di riproduzione artificiale permette a una partner di fornire l’ovulo e all’altra di fornire l’utero per continuare la gravidanza.

 

In un’analisi retrospettiva delle 121 coppie trattate tra il 22053 e il 2016, usando per tutte lo sperma donato, abbiamo scoperto alti tassi di nascite e risultati rassicuranti collegati a questo metodo. I risultati dello studio, il primo di questo genere a essere pubblicato, apparirà  nella rivista internazionale Reproductive BioMedicine Online.

 

Lo studio comprendeva 121 coppie lesbiche i cui trattamenti sono stati prevalentemente eseguiti come trasferimenti di embrioni freschi, seguiti da 141 cicli di IVF (fecondazione in vitro) e 172 trasferimenti di embrioni. La percentuale complessiva di nascite per ricevente era del 60 per cento (73 su 121) e la percentuale di parti gemellari era del 14 per cento. Il donatore più anziano aveva 40 anni. Le percentuali di nascite erano leggermente più alte tra quelle che avevano avuto trasferimenti di embrioni freschi sebbene i tassi di successo fossero paragonabili in tutte le categorie di età.

Per avere 73 bambini nati con fecondazione in vitro sono stati letteralmente prodotti, e uccisi o congelati almeno (cifra conservativa) 1460 embrioni, cioè 20 per ogni nascita di bambino artificiale.

 

Numero apparentemente non attinente alla questione, ma che qui su Renovatio 21 non vogliamo mai dimenticare, è che per avere 73 bambini nati con fecondazione in vitro sono stati letteralmente prodotti, e uccisi o congelati almeno (cifra conservativa) 1460 embrioni, cioè 20 per ogni nascita di bambino artificiale. Nella pratica, una  strage equivalente in uccisioni a quella di un grande attentato come quello dell’11 settembre 2001.

Un piccolo paese ucciso nella sua interezza.

 

 

Torniamo alla FIVET lesbica. L’analisi ha anche mostrato che nel 60% delle coppie, non c’era nessuna causa medica di infertilità. Quindi i pazienti hanno scelto questo trattamento per sottolineare la genitorialità condivisa e per avere una relazione più positiva tra i genitori ed evitare donazioni anonime di ovuli.

L’analisi ha anche mostrato che nel 60% delle coppie, non c’era nessuna causa medica di infertilità. Quindi i pazienti hanno scelto questo trattamento per sottolineare la genitorialità condivisa

 

La maternità condivisa con fecondazione in vitro sia sempre più accettata tra i medici e i pazienti sebbene la sua efficacia complessiva e i suoi risultati siano ancora poco compresi.

 

Con una percentuale complessiva di nascite del 60 per cento (la percentuale più alta in assoluto) possiamo confermare alti livelli di efficacia. Per minimizzare il rischio di sviluppare complicazioni potenzialmente serie di OHSS (sindrome da iperstimolazione ovarica), i medici spesso usano come trattamento una lieve stimolazione ovarica.

 

Nei sei anni di studio, c’è stato un cambiamento graduale evidente nel trasferimento di più embrioni maturi e il trasferimento di uno invece di due embrioni per ciclo di cura. Mel 2011, il 25% corrisponde a trasferimenti singoli di embrioni. Nel 2016, questi hanno raggiunto il 73 per cento. La percentuale complessiva di parti gemellari era del 14 per cento. Come previsto, i risultati perinatali sono stati significativamente migliori per le gravidanze singole rispetto a quelle gemellari sebbene queste ultime abbiano generalmente risultati favorevoli.

La maternità condivisa con fecondazione in vitro sia sempre più accettata tra i medici e i pazienti sebbene la sua efficacia complessiva e i suoi risultati siano ancora poco compresi.

 

La tecnica ha percorso molta strada da quando è stata registrata per la prima volta nel 2010 in un piccolo studio spagnolo dove è stata definita come ROPA (recepción de óvulos de la pareja). Da quel momento, altri hanno descritto questa tecnica come co-IVF o IVF reciproca. Il termine shared motherhood IVF («maternità condivisa con fecondazione in vitro») è scelto per meglio il legame emotivo che le pazienti sperano di raggiungere con il proprio bambino.

 

A causa delle norme nazionali, la maternità condivisa con fecondazione in vitro non è permessa in Francia, dove le pazienti devono avere una diagnosi chiara di sterilità per poter ricevere il trattamento, ma anche in Germania e in molti altri paesi.

Ovviamente, mancano all’appello studi sulle relazioni madre-figlio di  diventeranno importanti per capire il benessere psicologico del bambino nato attraverso questa procedura medica emergente.

 

Tuttavia nel Regno Unito, in Spagna e in Belgio è praticata all’interno del quadro normativo. Perciò non c’è sorpresa nel nel vedere coppie lesbiche straniere presentare domanda per ricevere le cure per la maternità condivisa in Gran Bretagna.

 

Nel nostro studio britannico, il 12 coppie (10 per cento) erano pazienti transfrontalieri che vivevano in paesi dove questo trattamento non era permesso o praticato quotidianamente (Francia: 3, Svezia: 2, Danimarca: 1, Norvegia: 1, Irlanda: 1, Bulgaria: 1, Svizzera: 1, Singapore: 1, Nuova Zelanda: 1).

 

La situazione nel Regno Unito, regolata dallo Human Fertilisation and Embriology Act, è ben accetta dal lesbismo extra-britannico  che spera di poter avere accesso a questa forma di maternità mutante.

 

Ovviamente, mancano all’appello studi sulle relazioni madre-figlio di  diventeranno importanti per capire il benessere psicologico del bambino nato attraverso questa procedura medica emergente.

 

 

 

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Eugenetica

Provetta e Intelligenza Artificiale, il mondo nuovo è alle porte

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L’esperto americano di bioetica Charles Camosy, Ph.D., avverte che la combinazione di Intelligenza Artificiale (IA) e fecondazione in vitro (FIV) potrebbe portare alla selezione di massa degli embrioni, creando una «casta biologica». Denuncia il «neopaganesimo consumistico» nella medicina riproduttiva e chiede una resistenza cristiana.

 

In un articolo pubblicato dal Catholic Herald, il bioeticista sottolinea «i rapidi progressi nella tecnologia dell’intelligenza artificiale, uniti alla sua applicazione alla fecondazione in vitro», che a suo avviso potrebbero «portare a una situazione distopica» attraverso l’uso di migliaia di embrioni «in un singolo ciclo di trattamento».

 

Il professor Camosy la vede come una forma moderna di infanticidio influenzata «dalla rinascita di pratiche culturali pagane precristiane». Egli sottolinea che «i pagani greci e romani non avevano scrupoli a disumanizzare i neonati e non vedevano alcun problema nel decidere quali bambini dovessero vivere e quali dovessero morire, in base ai propri bisogni e desideri».

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Questa visione è tornata di moda anche oggi: «manipola in modo sconsiderato il potere di vita e di morte sui bambini, secondo i desideri dei genitori». Ma «oggi lo fa in un modo molto più sofisticato e su scala potenzialmente industriale», consentendo una selezione basata sull’intelligenza e su altre caratteristiche.

 

Questo atteggiamento «si allontana sempre più dall’antropologia cristiana» e non consente più di comprendere la vera dignità umana. Così, le pratiche riproduttive occidentali «non si concentrano sull’accettazione incondizionata dei figli come dono di Dio, (…) ma sui desideri del cliente per un prodotto acquistato come qualsiasi altro sul mercato».

 

Sottolinea come le aziende emergenti nel campo delle tecnologie riproduttive, come Orchid e Nucleus, abbiano «sviluppato nuove tecnologie che, a loro dire, possono aiutare i clienti a essere ancora più selettivi riguardo a quali bambini accogliere in una famiglia e quali rifiutare».

 

Noor Siddiqui, CEO di Orchid, non ha nascosto il tipo di cambiamenti culturali annunciati dalla sua azienda. In un video condiviso su X, afferma che «il sesso è per divertimento e lo screening degli embrioni serve per avere figli. Sarebbe folle non sottoporsi a screening per queste cose».

 

Secondo Ross Douhat, editorialista del New York Times che ha intervistato la signora Siddiqui, «presto saremo in grado di indurre praticamente qualsiasi cellula somatica a trasformarsi in un ovulo o in uno spermatozoo, consentendo a un singolo ciclo di fecondazione in vitro di produrre non 15 embrioni, ma 15.000».

 

«E, supponendo che aziende come Orchid e Nucleus continuino a esistere, useranno senza dubbio le tecnologie di intelligenza artificiale per setacciare questo set molto più ampio, sceglierne una o due che funzionano per loro e scartare il resto», conclude.

 

Charles Camosy vi vede – senza però nominare quest’opera – l’avvento de Il mondo nuovo, la celebre distopia di Aldous Huxley. Camosy ritiene infatti che una delle conseguenze di questa evoluzione sarà il peggioramento delle «disuguaglianze sociali nella nostra società» a causa dei «vantaggi biologici di cui godranno i bambini nati nei ranghi più alti della scala sociale».

 

E continua: «la classe (definita dalla posizione nel processo di produzione sociale) sarà rafforzata da nuove condizioni di casta biologica, dando origine a una nuova biopolitica: avere un figlio con una disabilità o con un corpo meno scolpito condannerà le persone a caste inferiori».

 

«In seguito, quando queste pratiche diventeranno meno costose e più accessibili, sarà probabilmente esercitata una sorta di leggera pressione su tutti i genitori affinché ottimizzino i propri figli (le assicurazioni potrebbero rifiutarsi di coprire i costi dei figli non ottimizzati). Avere figli alla vecchia maniera sarà appannaggio di pochi fanatici religiosi “pazzi”».

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Il mondo nuovo

Questa è una replica esatta di quanto predetto da Aldous Huxley nel suo romanzo futuristico del 1931. Nel 1958, l’autore tornò su questo tema nel saggio Il mondo nuovo, dove osservò che il mondo stava iniziando ad assomigliare alla sua distopia, vecchia di oltre un quarto di secolo. Ammise in un’intervista che le cose si stavano muovendo molto più velocemente di quanto avesse mai immaginato.

 

Ma è anche l’affermazione sempre più pressante dell’eugenetica a costituire la base del pensiero non cattolico in tutte le epoche. Questa eugenetica emerse negli ambienti pagani, come sottolinea Charles Camosy; scomparve poi sotto l’influenza del cattolicesimo, per riapparire nei paesi protestanti a partire dal XVIII secolo.

 

Questa eugenetica riacquistò gradualmente una posizione dominante sotto l’influenza delle teorie di Charles Darwin e del cugino Francis Galton, nonché del malthusianesimo.

 

L’eugenetica è attualmente la filosofia e la pratica degli ambienti medici che operano nel campo della riproduzione. (…)

 

L’unico modo per opporsi a questa presa di possesso della vita come «materia da gestire» (dottor Pierre Simon), resta la dottrina cattolica, concepita nella sua interezza e senza concessioni.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News.

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IVF

L’amministrazione Trump non vuole più rendere obbligatoria la copertura assicurativa per i bambini in provetta

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L’amministrazione Trump sta abbandonando le proposte di rendere obbligatoria la copertura della fecondazione in vitro (detta in acronimo IVF, in Italia più spesso FIVET) tramite un’azione esecutiva, ma afferma di rimanere impegnata ad ampliare in qualche modo «l’accesso» alla pratica di produzione di esseri umani laboratoriali.   Dopo che la storica sentenza della Corte Suprema dell’Alabama, secondo cui gli embrioni congelati erano considerati bambini ai sensi della legge statale, ha portato la questione al centro dell’attenzione nazionale lo scorso anno, la maggior parte dei repubblicani nazionali si è affrettata a dichiarare il proprio sostegno alla fecondazione in vitro (con solo una manciata di eccezioni).   A guidare la carica è stato il presidente Donald Trump, che si è autodefinito un «leader della fecondazione in vitro» e ha persino promesso di promulgare un nuovo diritto federale alla fecondazione in vitro, sia attraverso sussidi diretti che tramite un obbligo assicurativo (sebbene abbia anche suggerito di sostenere esenzioni religiose a quest’ultimo).   Come riportato da Renovatio 21, tale posizione ha generato la reazione dell’ex vescovo di Tyler, Texas, Joseph Strickland, una sorta di faro del cattolicesimo conservatore e antiabortista statunitense, che è arrivato a definire il Trump come un candidato non pro-life. «Siamo senza un candidato» aveva dichiarato il vescovo texano.   A febbraio, Trump aveva firmato un ordine esecutivo che ordinava alla sua amministrazione di fare brainstorming su azioni amministrative e raccomandazioni politiche per rafforzare l’«accesso» e la «convenienza» della fecondazione in vitro, senza tuttavia impegnarsi ancora in una politica specifica. In ottobre, tuttavia, quando era in piena campagna elettorale, Trump disse al giornalista del canale televisivo cattolico americano EWTN Raymond Arroyo che avrebbe «esaminato» la possibilità di esentare le organizzazioni religiose dall’obbligo assicurativo che annunciava per la FIVET.   A maggio, la Casa Bianca stava preparando un rapporto sulle modalità per combattere l’infertilità e, nell’ambito di tali discussioni, ha valutato una serie di idee politiche, tra cui l’aggiunta della copertura per la fecondazione in vitro all’assicurazione sanitaria militare statunitense, la dichiarazione della fecondazione in vitro come «prestazione sanitaria essenziale» che deve essere coperta dall’Affordable Care Act (Obamacare) e la richiesta al Congresso di emanare un mandato federale per le compagnie assicurative private a coprire la fecondazione in vitro.   Venerdì il canale televisivo CBS News aveva riferito che la scadenza di 90 giorni dell’ordine esecutivo di Trump di febbraio è giunta al termine il 19 maggio senza alcuna decisione definitiva, ma l’amministrazione non ha rilasciato dichiarazioni in merito.

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Domenica scorsa il Washington Post aveva riferito che un funzionario dell’amministrazione ha informato il giornale che l’obbligo unilaterale della fecondazione in vitro come beneficio sanitario essenziale non è più in discussione, poiché l’amministrazione ora riconosce che il presidente non ha l’autorità di farlo senza un atto del Congresso. Tuttavia, secondo la fonte, l’ampliamento dell’accesso alla provetta rimarrebbe una «grande priorità» per Trump.   «Come si fa a farlo senza gravare sulle assicurazioni sanitarie? Questa è la domanda chiave con cui si stanno confrontando», ha dichiarato un’altra fonte «a conoscenza delle discussioni». «Sembra che per ora non abbiano intenzione di farlo».   «Il presidente Trump si è impegnato ad ampliare l’accesso ai trattamenti per la fertilità per gli americani che hanno difficoltà a formare una famiglia», ha risposto al Post la portavoce della Casa Bianca Abigail Jackson. «L’amministrazione è impegnata come nessun’altra prima a utilizzare le sue autorità per mantenere questo impegno».   Sebbene la notizia non risolva del tutto le preoccupazioni circa il sostegno dell’amministrazione Trump alla fecondazione in vitro, diversi pro-life hanno espresso sollievo per il fatto che l’amministrazione sia stata dissuasa dal perseguire la versione più estrema di tale politica:   Il processo di fecondazione in vitro (FIV) è gravemente immorale, in quanto comporta la creazione consapevole di decine di embrioni umani «in eccesso» che vengono poi uccisi e trattati come merci da barattare. Si stima che oltre un milione di embrioni vengano congelati negli Stati Uniti dopo la fecondazione in vitro e che fino al 93% di tutti gli embrioni creati tramite FIV venga infine distrutto. Un articolo del 2019 della NBC News sul professionista della fecondazione in vitro della Florida, Craig Sweet, ha riconosciuto che il suo studio ha scartato o abbandonato circa un terzo degli embrioni conservati in celle frigorifere.   Come riportato da Renovatio 21, l’industria statunitense dell’IVF sta vivendo una battuta d’arresto significativa dovuta ad una sentenza della Corte Suprema dell’Alabama, che ha dichiarato che gli embrioni prodotti sono bambini, cioè persone. Tutto ciò avviene nel contesto del ribaltamento da parte della Corte Suprema USA, nel 2022, della sentenza che rendeva l’aborto come un «diritto federale» Roe v. Wade.   Il tema dell’abominio genocida della IVF non era praticato dai pro-life americani (e quindi figurarsi da quelli italiani, che vi importunano con le loro manifestazioni cretine e le loro richieste di danari), tuttavia tutto è cambiato con la sentenza della Corte Suprema dell’Alabama di inizio anno che stabiliva che gli embrioni crioconservati sono esseri umani.   Secondo calcoli, piano di provetta gratuita di Trump porterà alla distruzione di 2,4 milioni di embrioni. Più, ritiene Renovatio 21, quantità di chimere, ossia esseri umani formati dalla fusione in utero di due embrioni, quindi dotati di due DNA, fenomeno raro in natura ma di aumentata frequenza a causa dei plurimi impianti di embrioni tipici della fecondazione in vitro.  

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Crioconservazione

Crisi demografica: Hong Kong «prolunga» gli embrioni congelati

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Con un decreto che il Consiglio legislativo sarà chiamata a ratificare le autorità hanno deciso di far saltare il tetto dei 10 anni per la conservazione di ovuli e gameti delle coppie per la fecondazione assistita. L’obiettivo è «realizzare meglio l’autonomia riproduttiva». Ma le cause del calo delle nascite sono ben più profonde.

 

In risposta al calo della natalità, Hong Kong si appresta ad abrogare una normativa che limitava a 10 anni la durata di conservazione di ovuli, sperma ed embrioni congelati. Le modifiche legislative annunciate dal governo locale in un comunicato diffuso mirano a «consentire ai cittadini di prendere autonomamente decisioni sulla durata della conservazione in base alla propria salute e ad altri fattori, con l’obiettivo di realizzare meglio l’autonomia riproduttiva».

 

La legge di Hong Kong permette solo alle coppie eterosessuali sposate di conservare embrioni. Finora prevedeva un periodo massimo di conservazione di 10 anni, o fino al compimento dei 55 anni del paziente, se quest’ultimo era diventato infertile a causa di trattamenti medici. La proposta, già pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale, entrerà in vigore il 1° dicembre, previa approvazione del Consiglio Legislativo. Con le nuove modifiche il Consiglio per le tecnologie riproduttive umane introdurrà anche misure che prevedono la consulenza obbligatoria per le persone che abbiano conservato gameti o embrioni da oltre cinque anni, prima di poter estendere il periodo di conservazione.

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Negli ultimi anni Hong Kong ha registrato un calo della natalità, con un aumento delle coppie senza figli e un calo delle iscrizioni alle scuole materne. L’età media delle madri al primo figlio è aumentata, passando da 29,4 anni nel 2003 a 32,9 anni nel 2023. A incidere pesantemente sul calo demografico è l’emorragia di coppie giovani che hanno lasciato Hong Kong dopo la stretta politica del 2020 che ha duramente ristretto gli spazi di libertà e la mancanza di speranze nel futuro. Ma conta anche il mutamento dei comportamenti sociali: il 70% delle coppie interpellate in un recente sondaggio ha dichiarato di non volere figli.

 

Dal mese di ottobre 2023, le autorità offrono un incentivo una tantum di 20mila dollari di Hong Kong (poco meno di 2,200 euro, ndr) per ogni figlio nato da una coppia sposata, ma gli accademici hanno criticato la misura, definendola inefficace nel convincere chi ha già deciso di non avere figli. Tagli fiscali e priorità nell’assegnazione delle case popolari sono tra gli altri incentivi messi in campo dal governo per cercare di aumentare il tasso di natalità della città.

 

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Immagine di Diego Delso via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported

 

 

 

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