Geopolitica
L’account di Maduro rimosso da YouTube
Il canale YouTube del presidente venezuelano Nicolas Maduro è stato rimosso dalla piattaforma, in un contesto di crescenti tensioni tra Caracas e Washington.
Secondo l’emittente statale Telesur, il canale è stato disattivato venerdì. Da allora, non appare più nei risultati di ricerca ed è inaccessibile anche tramite link diretto.
«Questa pagina non è disponibile», recita il messaggio che ora compare al posto del canale di Maduro.
Google, la società madre di YouTube con sede negli Stati Uniti, non ha commentato la rimozione. Il canale di Maduro, che contava oltre 233.000 iscritti, trasmetteva principalmente i suoi discorsi e il suo programma televisivo settimanale. YouTube dichiara che gli account possono essere rimossi per «violazioni ripetute», come la diffusione di disinformazione, l’incitamento all’odio o l’interferenza nei «processi democratici». Caracas non ha ancora rilasciato dichiarazioni ufficiali riguardo alla rimozione.
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La sospensione del canale avviene in un momento di crescente attrito tra Stati Uniti e Venezuela. Le relazioni si sono deteriorate quando Washington ha rifiutato di riconoscere la rielezione di Maduro, e la tensione è aumentata con il recente dispiegamento di navi da guerra e aerei da combattimento americani nei Caraibi meridionali.
Come riportato da Renovatio 21, il mese scorso, gli Stati Uniti hanno inviato almeno otto navi della Marina, un sottomarino d’attacco e circa 4.000 soldati vicino alla costa venezuelana, dichiarando che la missione mirava a contrastare i cartelli della droga. Washington ha sostenuto che l’armata ha affondato tre imbarcazioni venezuelane, senza però fornire prove che le persone a bordo fossero criminali.
I funzionari venezuelani hanno denunciato il dispiegamento come un attacco alla sovranità e un tentativo di rovesciare Maduro. All’inizio di questo mese, Maduro ha inviato una lettera a Trump, sottolineando che il Venezuela aveva smantellato le reti di traffico e le principali bande di narcotrafficanti, respingendo le notizie contrarie come fake news e si è offerto di avviare colloqui diretti con Washington sulla questione.
«Presidente, spero che insieme possiamo sconfiggere le falsità che hanno macchiato il nostro rapporto, che deve essere storico e pacifico», ha scritto Maduro nella lettera condivisa su Telegram dalla vicepresidente Delcy Rodriguez.
Trump ha dichiarato di non voler perseguire un cambio di regime in Venezuela, ma non ha escluso azioni contro i cartelli. Il mese scorso, la sua amministrazione ha raddoppiato la ricompensa per l’arresto di Maduro, portandola a 50 milioni di dollari, in seguito a un’incriminazione del 2020 a New York per cospirazione nel traffico di cocaina, accuse che Maduro ha definito un tentativo di colpo di Stato. Interrogato domenica sulla lettera di Maduro, Trump ha evitato di confermare di averla ricevuta, limitandosi a dire: «Vedremo cosa succederà con il Venezuela».
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La Casa Bianca accusa da tempo Maduro di guidare una rete di narcotrafficanti nota come «Cartel de los Soles», sebbene non vi siano prove schiaccianti o prove concrete che lo dimostrino, tuttavia lo scorso anno gli USA sono arrivati a sequestrare un aereo presumibilmente utilizzato dal presidente di Carcas. È stato anche accusato di aver trasformato l’immigrazione in un’arma, sebbene Maduro si sia mostrato pronto a dialogare con le delegazioni diplomatiche americane sulla questione.
Come riportato da Renovatio 21, a inizio anno Maduro aveva dichiarato che Washington ha aperto il suo libretto degli assegni a una schiera di truffatori e bugiardi per destabilizzare il Venezuela, quando gli Stati Uniti si sono rifiutati di riconoscere le elezioni del 2024 in Venezuela.
Secondo Maduro, almeno 125 militanti provenienti da 25 Paesi sono stati arrestati dalle autorità venezuelane. Aveva poi accusato Elone Musk di aver speso un miliardo di dollari per un golpe in Venezuela. Negli stessi mesi si parlò di un piano di assassinio CIA di Maduro sventato.
Settimane fa il presidente venezuelano ha definito il premier britannico Keir Starmer come «pazzo diabolico». I rapporti sono tesi anche con Buenos Aires, con Milei a chiedere alla Corte Penale Internazionale l’arresto del Maduro.
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Geopolitica
Trump dice al presidente colombiano di «fare attenzione al suo culo»
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Geopolitica
Netanyahu vuole parlare a Trump sui possibili nuovi attacchi all’Iran
I funzionari israeliani manifestano una crescente preoccupazione per il fatto che l’Iran stia potenziando la produzione del suo programma di missili balistici – già colpito dagli attacchi militari israeliani all’inizio dell’anno – e si preparano a illustrare al presidente Donald Trump le possibili opzioni per un nuovo intervento, secondo una fonte direttamente a conoscenza dei piani e quattro ex funzionari statunitensi informati sulla questione.
Le stesse fonti hanno riferito che i responsabili israeliani temono anche che l’Iran stia ricostruendo i siti di arricchimento nucleare bombardati dagli Stati Uniti a giugno. Tuttavia, hanno precisato che considerano prioritarie e più urgenti le attività iraniane volte a ripristinare gli impianti di produzione di missili balistici e a riparare i sistemi di difesa aerea danneggiati.
Trump e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu dovrebbero incontrarsi entro fine mese in Florida, presso la residenza presidenziale di Mar-a-Lago. In quell’occasione, secondo le fonti, Netanyahu intende dimostrare a Trump che l’espansione del programma missilistico balistico iraniano costituisce una minaccia che potrebbe richiedere un intervento rapido.
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Netanyahu dovrebbe argomentare che le azioni dell’Iran rappresentano un pericolo non solo per Israele, ma per l’intera regione, compresi gli interessi statunitensi. Il leader israeliano intende presentare a Trump opzioni che prevedano la partecipazione o il supporto degli Stati Uniti a eventuali nuove operazioni militari, hanno aggiunto le fonti.
Interpellato giovedì su un possibile incontro con Netanyahu il 29 dicembre, Trump ha risposto ai giornalisti: «Non l’abbiamo ancora organizzato formalmente, ma vorrebbe vedermi». I funzionari israeliani hanno invece confermato la data del 29 dicembre.
Il governo israeliano ha declinato ogni commento. La Missione iraniana presso le Nazioni Unite non ha risposto alle richieste di chiarimenti.
«L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica e il governo iraniano hanno corroborato la valutazione del governo degli Stati Uniti secondo cui l’Operazione Midnight Hammer ha completamente annientato le capacità nucleari dell’Iran», ha dichiarato in una nota la portavoce della Casa Bianca Anna Kelly. «Come ha affermato il Presidente Trump, se l’Iran puntasse a dotarsi di un’arma nucleare, quel sito verrebbe attaccato e annientato prima ancora che si avvicini».
I piani israeliani di aggiornare Trump su possibili nuovi attacchi all’Iran e di coinvolgerlo direttamente arrivano mentre il presidente valuta interventi militari in Venezuela – che aprirebbero un ulteriore fronte di conflitto per gli Stati Uniti – e mentre continua a celebrare la campagna di bombardamenti della sua amministrazione contro il programma nucleare iraniano e il successo nei negoziati per il cessate il fuoco tra Israele e Hamas.
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In un discorso alla nazione pronunciato mercoledì, Trump ha dichiarato agli americani di aver «distrutto la minaccia nucleare iraniana e posto fine alla guerra a Gaza, portando per la prima volta in 3.000 anni la pace in Medio Oriente».
Le apprensioni israeliane nei confronti dell’Iran emergono proprio mentre Teheran ha manifestato interesse a riprendere i colloqui diplomatici con gli Stati Uniti per limitare il suo programma nucleare, un fattore che potrebbe complicare l’approccio di Israele nei confronti di Trump su nuovi attacchi.
Secondo una fonte direttamente informata sui piani israeliani, anche il finanziamento iraniano ai propri proxy regionali rappresenta una priorità per Israele.
«Il programma di armi nucleari è molto preoccupante. C’è un tentativo di ricostituzione. Non è così immediato», ha spiegato questa persona.
Gli attacchi statunitensi di giugno contro l’Iran, noti come Operazione Midnight Hammer («martello della mezzanotte»), hanno coinvolto oltre 100 velivoli, un sottomarino e sette bombardieri B-2. Trump ha sostenuto che abbiano «distrutto» i siti di arricchimento nucleare iraniani, sebbene alcune valutazioni iniziali indicassero danni meno estesi di quanto affermato dal presidente.
Contemporaneamente, le forze israeliane hanno colpito diversi impianti missilistici balistici iraniani.
Gli attacchi israeliani dell’aprile e dell’ottobre 2024 hanno inoltre neutralizzato tutti i sistemi di difesa aerea S-300 dell’Iran – il più avanzato in dotazione al Paese – consentendo successivamente voli con equipaggio nello spazio aereo iraniano e riducendo drasticamente la minaccia per i piloti.
A differenza degli interventi sul programma missilistico balistico, per infliggere danni significativi ai siti nucleari iraniani è stato indispensabile il coinvolgimento diretto degli Stati Uniti, che ha fornito le bombe antibunker da 30.000 libbre di produzione americana.
La scorsa settimana, Trump ha lasciato intravedere la disponibilità a riprendere i negoziati con l’Iran, avvertendo però Teheran di non tentare di ricostituire i programmi missilistici balistici o nucleari. Il presidente statunitense dichiarato che l’Iran «può provare» a ricostruire il suo programma di missili balistici, ma «ci vorrà molto tempo prima che torni».
«Ma se vogliono tornare senza un accordo, allora distruggeremo anche quello», ha aggiunto Trump. «Sapete, possiamo mettere fuori uso i loro missili molto rapidamente, abbiamo un grande potere».
Prima degli attacchi di giugno, gli israeliani avevano sottoposto a Trump quattro opzioni militari, secondo la fonte direttamente a conoscenza dei piani. I funzionari israeliani le illustrarono su un tavolino nello Studio Ovale, ha riferito la stessa persona. Una prevedeva un’azione unilaterale israeliana, un’altra un supporto limitato statunitense, una terza operazioni congiunte tra Stati Uniti e Israele contro l’Iran, e una quarta un intervento condotto esclusivamente dagli Stati Uniti. Trump optò alla fine per un’operazione congiunta. La fonte ha suggerito che Netanyahu potrebbe presentare a Trump un ventaglio di opzioni analoghe durante l’incontro a Mar-a-Lago.
Si prevede che anche il fragile cessate il fuoco tra Israele e Hamas occupi un posto di rilievo nei colloqui tra Netanyahu e Trump, tra i timori che le parti non riescano a procedere con la fase successiva dell’accordo. Nella seconda fase, Israele dovrebbe ritirare le proprie forze da Gaza, un organismo ad interim dovrebbe assumere il controllo dell’enclave al posto di Hamas e dovrebbe essere dispiegata una forza internazionale di stabilizzazione.
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Trump potrebbe mostrarsi meno propenso a una nuova azione militare contro l’Iran qualora persistessero frizioni tra funzionari statunitensi e israeliani sull’approccio di Netanyahu al cessate il fuoco, hanno osservato due ex funzionari israeliani. Se non contrastata, la produzione iraniana di missili balistici potrebbe raggiungere i 3.000 unità all’anno, secondo la fonte a conoscenza diretta dei piani israeliani e gli ex funzionari statunitensi informati.
La minaccia rappresentata dai missili balistici e dal potenziale volume impiegabile in un attacco costituisce la preoccupazione più immediata di Israele, ha dichiarato uno degli ex funzionari israeliani che ha discusso l’argomento con gli attuali responsabili.
«Non c’è dubbio che, dopo l’ultimo conflitto, possiamo ottenere la superiorità aerea e infliggere danni molto maggiori all’Iran di quanti l’Iran possa infliggere a Israele», ha affermato il funzionario. «Ma la minaccia dei missili è molto reale e non siamo riusciti a prevenirli tutti l’ultima volta».
Un elevato numero di missili balistici consentirebbe all’Iran di proteggere meglio i propri siti di arricchimento nucleare, hanno spiegato la fonte a conoscenza diretta dei piani israeliani e uno degli ex funzionari statunitensi. Hanno aggiunto che i responsabili israeliani nutrono analoghe preoccupazioni per la ricostruzione dei sistemi di difesa missilistica iraniani e per il finanziamento e l’armamento dei proxy regionali, ritenendo che Teheran accelererebbe la ricostituzione del programma nucleare potendo difendere più efficacemente i propri impianti di arricchimento.
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Geopolitica
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