Economia
L’agenzia di rating Fitch declassa l’economia francese
 
																								
												
												
											La Francia ha subito un declassamento del rating creditizio da AA- ad A+, il livello più basso mai registrato, secondo Fitch Ratings, che ha evidenziato l’instabilità politica e l’incertezza sulla capacità del governo di gestire il crescente debito e deficit di bilancio.
Seconda economia dell’UE, la Francia ha un debito tra i più alti del blocco, circa il 113% del PIL, dopo Grecia e Italia, con un deficit previsto tra il 5,4% e il 5,8% nel 2025, ben oltre il limite UE del 3%. Il declassamento è arrivato dopo la rimozione del Primo Ministro François Bayrou, avvenuta la settimana scorsa, in seguito al fallimento del voto di fiducia sul suo piano di austerità da 44 miliardi di euro, che prevedeva tagli ai posti pubblici, al welfare e l’eliminazione di due festività nazionali.
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Fitch ha sottolineato che la bocciatura del governo riflette la crescente polarizzazione politica, che ostacola un consolidamento fiscale significativo. L’agenzia prevede che il deficit resterà elevato e il debito salirà al 121% del PIL entro il 2027, complice l’assenza di un piano chiaro per stabilizzarlo, aggravata dall’instabilità politica e dalle imminenti elezioni presidenziali del 2027, che limiteranno le riforme fiscali. Le elevate tasse e la spesa sociale riducono ulteriormente i margini di manovra.
Il ministro delle Finanze uscente, Eric Lombard, ha riconosciuto il declassamento, difendendo però la solidità economica e attribuendo le difficoltà ai tassi di interesse elevati. Il nuovo Primo Ministro, Sébastien Lecornu, il quinto in meno di due anni, sta lavorando a un nuovo bilancio per risanare le finanze.
Il declassamento ha spinto i rendimenti dei titoli decennali francesi al 3,5%, vicini a quelli italiani, aumentando i costi di indebitamento. Gli analisti temono che ciò aggravi il peso del debito, già definito «insopportabile» da Bayrou. Alcuni esperti avvertono che altre agenzie potrebbero seguire Fitch, causando vendite forzate da parte di investitori istituzionali vincolati a detenere debito di categoria superiore ad A+.
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Immagine di David Stanley via Flickr pubblicata su licenza CC BY 2.0
Economia
Nvidia supera quota 5 trilioni di dollari
 
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Economia
Goldman Sachs: l’Occidente è indietro di un decennio rispetto alla Cina per quanto riguarda le terre rare
 
														Goldman Sachs ha avvertito che l’Occidente potrebbe impiegare fino a un decennio per contrastare il dominio cinese nel settore delle terre rare. Questi minerali, indispensabili per la maggior parte delle tecnologie contemporanee, restano al centro di una controversia commerciale tra Washington, l’UE e Pechino.
Secondo i dati dell’Agenzia internazionale per l’energia e degli analisti del settore, la Cina gestisce oltre il 90% della raffinazione globale delle terre rare e il 98% della produzione complessiva di magneti.
Sebbene la Cina estragga circa i due terzi dei minerali di terre rare mondiali, controlla anche le fasi di lavorazione e manifattura che li trasformano in componenti utilizzabili.
«Ci vorranno anni per sviluppare catene di approvvigionamento autonome in Occidente», ha dichiarato Daan Struyven, co-responsabile della ricerca globale sulle materie prime di Goldman Sachs, in un podcast di martedì. Ha calcolato che occorreranno circa dieci anni per realizzare una miniera e circa cinque anni per una raffineria.
Ad aprile, la Cina ha introdotto controlli sulle esportazioni di vari elementi delle terre rare impiegati in applicazioni militari, motivandoli con esigenze di sicurezza nazionale e tutela delle risorse strategiche. All’inizio del mese, ha inasprito le norme con licenze più rigorose e clausole extraterritoriali, colpendo soprattutto le forniture destinate all’industria della difesa e dei semiconduttori statunitense.
Gli analisti interpretano le restrizioni di Pechino come una replica alle limitazioni imposte da Washington sui semiconduttori avanzati e sulle attrezzature per chip, in vigore dalla fine del 2022, che hanno compreso il sequestro di uno stabilimento di produzione di chip cinese da parte del governo olandese sotto pressione USA.
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Queste misure intendono ostacolare lo sviluppo cinese di chip di alta gamma che potrebbero potenziare le sue capacità militari e di intelligenza artificiale.
Il presidente statunitense Donald Trump ha affermato che i due Paesi sono «di fatto in una guerra commerciale» e ha minacciato dazi aggiuntivi del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre. La Cina ha giurato di «combattere fino alla fine».
Come riportato da Renovatio 21, in questi giorni Trump ha raggiunto accordi sulle terre rare con l’Australia.
Il ministero del Commercio cinese ha annunciato il 9 ottobre che imporrà controlli sulle esportazioni di tecnologie legate alle terre rare per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali.
Come riportato da Renovatio 21, nel 2024 i dati mostravano che i profitti sulla vendita delle terre rare cinesi erano calati. È noto che Pechino sostiene l’estrazione anche illegale delle sostanze anche in Birmania.
Secondo alcune testate, tre anni fa vi erano sospetti sul fatto che il Partito Comunista Cinese stesse utilizzando attacchi informatici contro società di terre rare per mantenere la sua influenza nel settore.
Le terre rare, considerabili come sempre più necessarie nella corsa all’Intelligenza Artificiale, sono la centro anche del turbolento accordo tra l’amministrazione Trump e il regime di Kiev.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Economia
Fico: le politiche dell’UE costringeranno gli slovacchi a «riscaldarsi a legna»
 
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