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250 star di Hollywood chiedono di censurare chi osa criticare la chirurgia transessuale sui bambini

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Circa 250 celebrità di Hollywood del cinema, della TV e della musica hanno firmato con il loro nome una lettera aperta che esorta le grandi aziende tecnologiche a reprimere chiunque non sia in linea con l’agenda trans, inclusa la richiesta di interventi chirurgici di genere che cambiano la vita sui bambini.

 

La lettera è stata inviata agli amministratori delegati di Meta, YouTube, TikTok e Twitter dalla GLAAD (Gay & Lesbian Alliance Against Defamation) e da Human Rights Campaign (HRC), ed è stata firmata da centinaia di nomi famosi tra cui Amy Schumer, Ariana Grande, Demi Lovato, Jamie Lee Curtis, Judd Apatow, Patrick Stewart e molti altri.

 

La lettera delle vedettes americane sostiene che «c’è stato un enorme fallimento sistemico nel proibire l’odio, le molestie e la disinformazione anti-LGBTQ dannosa sulle vostre piattaforme e ciò deve essere affrontato», indicando «post pericolosi (sia contenuti che pubblicità)… rivolti a transgender, non binari, e  persone di genere non conforme».

 

«Questa disinformazione e questo odio, inadeguatamente moderati sulle vostre piattaforme, gioca un ruolo enorme nel forte aumento del targeting e della violenza anti-transgender nel mondo reale», continua.

 

«Le vostre politiche e la corrispondente applicazione sono inadeguate quando si tratta di mitigare i contenuti anti-LGBTQ dannosi e pericolosi» accusa la lettera delle star. «Dovete agire con urgenza per proteggere gli utenti trans e LGBTQ sulle vostra piattaforme».

 

I divi del cinema, che pensavamo essere ridimensionati dall’arrivo degli influencer – che sono più reale, più popolari, più visti di loro – insomma, danno ordini ai giganti della tecnologia.

 

Le celebrità citano specificamente le aziende tecnologiche che consentono alle persone di impegnarsi nel «misgendering» (cioè parlare al maschile con un transessuale che si crede femmina) o nel «deadnaming» (ossia usare il nome originario del transessuale prima che effettuasse la transizione) come una «modalità diffusa di incitamento all’odio su tutte le piattaforme, utilizzata per intimidire e molestare personaggi pubblici di spicco esprimendo contemporaneamente odio e disprezzo».

 

La lettera chiede quindi di sapere cosa faranno le società tecnologiche per affrontare tali «contenuti che diffondono bugie dannose e disinformazione sull’assistenza sanitaria necessaria dal punto di vista medico per i giovani transgender» – che significa, senza giri di parole, la chirurgia transessualista operata sui bambini con castrazioni e mutilazioni varie, tema che scalda gli animi della comunità transgender al punto da occupare i campidogli di Stati USA.

 

La lettera afferma che «devono essere sviluppate mitigazioni specifiche su tale disinformazione (ad esempio simili a mitigazioni e regole elettorali e COVID-19)»: in pratica chiede un regime di censura come quello drammatico vissuto in pandemia, il quale, a dire il vero, non ha ancora avuto termine.

 

In pratica, la richiesta imperiosa dei ricchi e famosi del cinema e quella di censurare chiunque non sostenga completamente la rimozione dei genitali dei bambini e la loro sterilizzazione.

 

Si resta sbalorditi davanti a cotanta impudenza.

 

Interessante, tuttavia, come la notizia circoli sui giornali abbinata spesso ad una foto di Jamie Lee Curtis: una scelta bizzarra, tra 250 divi scelgono questa signora incanutita di 64 anni, che non compare in un film di successo dai tempi di Halloween (1977) o di True Lies (1992)

 

La Curtis, che è figlia del popolarissimo cantante attore Tony Curtis (vero nome Bernard Schwartz) e dell’attrice dello Psycho di Hitchcock Janet Leigh, ha un figlio transgender. Il suo più piccolo ora si fa chiamare Ruby. La cosa è finita sui giornali, che la raccontano come una mamma orgogliosa e moderna.

 

C’è di più. Per anni era circolata la leggenda metropolitana che Jamie Lee Curtis fosse, in realtà un ermafrodito: che fosse nata, cioè, sia con i genitali femminili che con quelli maschili. Secondo la voce, che persisteva decenni prima dell’isteria transgender, perché fosse dichiarata legalmente femmina la bambina avrebbe dovuto subire mutilazione chirurgica.

 

La storia della Curtis ermafrodita – o intersexual, come si dice oggi in gergo LGBT – è assicurata essere falsa da Snopes, il sito prototipo di ogni fact-checking.

 

L’attrice, tuttavia, aveva sollevato discussioni per un’altra questione. A inizio anno, all’altezza dello scoppio dello scandalo Balenciaga – ricorderete: il grande marchio di moda accusato di inserire nella sua comunicazione riferimenti pedofili e oscuri se non propriamente satanici, sempre con al centro i bambini – aveva postato sui social delle immagini in cui, sullo sfondo del suo ufficio, era visibile un quadro piuttosto inquietante.

 

L’opera sembrerebbe essere raffigurare un bambino, nudo, in un bidone. Parrebbe una fotografia.

 

 

Internet esplose. L’avvocato e attivista di destra Rogan O’Handley mostrò gli screenshot del post affermando che si trattava dell’immagine di un «bambino infilato in una valigia». Altri si sono chiesti: «quale tipo di persona pensa che una cosa del genere sia arte?»

 

Altri si chiesero, ironicamente, se i consigli sull’arredamento non fossero arrivati da John Podesta, il lobbysta deus ex machina della campagna Clinton 2016, che dispone notoriamente di una collezione di opere d’arte inquietanti dove la figura umana è degradata. Foto della Curtis con Hillary cominciarono a fioccare online.

 

 

La Curtis rimosse i post.

 

«La scorsa settimana ho pubblicato una foto di alcune sedie che includeva una fotografia sul muro di un artista che mi è stata regalata 20 anni fa. Capisco che abbia disturbato alcune persone. Come ho detto, io sono una che dice la verità, quindi ecco la verità».

 

«È una foto di una bambina, scattata da sua madre, di lei che gioca nel loro cortile in una vasca d’acqua. Niente di più, niente di meno. Ho tolto il palo perché non volevo continuare qualcosa che turbasse qualcuno».

 

Insomma, la persona giusta per difendere i bambini.

 

 

 

Immagine di Gage Skidmore via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

 

 

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Da Nasser a Sting e i Police: il mistero di Miles Copeland, musicista e spia della CIA

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La I.R.S. Records venne fondata nel 1979 da Miles Copeland III. L’etichetta produsse alcuni tra i più rappresentativi artisti musicali degli anni Ottanta. L’influenza che esercitò nel punk inglese e nella new wave fu fondamentale producendo prodigi come i Police, i R.E.M., i Dead Kennedys. Il logo della casa discografica statunitense ritraeva un uomo in primo piano con un cappello anni ’50 stilizzato in bianco e nero e chiamato spy guy

 

Un altro fratello Copeland, Ian (1949-2006), fondò la Frontier Booking International, in acronimo F.B.I., una agenzia di talenti specializzata nella musica e che rappresentò tra gli altri anche i R.E.M., Jane’s Addiction, Snoop Dog, Sting. 

 

Il terzo fratello Copeland, Steward invece era il batterista dei Police e quindi proprio di Sting. Entrato di diritto nella Rock and Roll Hall of Fame come membro dei Police, venne aggiunto anche nella Modern Drummer Hall of Fame e nella Classic Drummer Hall of Fame. Ha avuto poi una carriera come compositore di colonne sonore per il cinema, musicando pellicole rimaste nella storia come il capolavoro di Francis Ford Coppola Rusty il selvaggio (1983), Wall Street (1987) e Talk Radio (1988) di Oliver Stone, Riff-Raff (1991) e Piovono pietre (1993) di Ken Loach e pure il videogioco Alone in the Dark.

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Se i tre fratelli denotano una esagerata presenza di talento scorrere nelle loro vene quello che sorprende ancora di più è la fonte da cui questi tre fenomeni derivano. Il loro padre, di nome Miles Copeland, fu uno dei fondatori della CIA nonché musicista e personaggio eccezionale nel panorama politico dalla Seconda Guerra Mondiale in avanti. 

 

Prima della guerra, ancora in Alabama provò a seguire le orme del padre iscrivendosi alla locale università con l’intenzione di diventare medico. Folgorato dal jazz, invece, comprò una tromba e si diede totalmente allo swing. Nel giro di poco si ritrovò a suonare e comporre con giganti come Glenn Miller, Benny Goodman, Buddy Rich, racconta lo storico John Simkin in un suo articolo.

 

Arrivò però Pearl Harbour e la direzione della sua vita cambiò completamente. Entrò a far parte dell’ufficio finanziario della guardia nazionale. Racconta proprio il sito della CIA che un giorno gli venne chiesto di ripetere un test d’intelligenza perché, dal risultato ottenuto, erano tutti convinti che avesse utilizzato un trucco. Una volta ripetuto guadagnò un risultato se possibile ancora maggiore. 

 

L’esito del test attirò l’attenzione del generale William «Wild Bill» Donovan, direttore di una nuova agenzia chiamata Office of Strategic Service (OSS), la prima agenzia americana che fungeva da servizio segreto. Donovan, che stava formando la base della nuova agenzia, era sempre alla ricerca dei migliori prospetti e con le migliori connessioni. Miles aveva senza dubbio colpito il generale anche per quello che il figlio Stewart chiamava il gift of gab, il dono della chiacchiera. Era un abile oratore e una persona di grande spirito per cui creare empatia non era mai stato un problema.

 

Amava giocare, si considerava un giocatore, prendeva parte con entusiasmo alle simulazioni di guerra. Nel dopo guerra creò un gioco da tavola cult basato sul suo fondamentale libro, pieno di rivelazioni, Games of Nation, anche questo diventato introvabile oggetto di culto.

 

Mentre era Londra Copeland divenne amico di Boris Pash, capo della sicurezza del Manhattan Project e anche di Ernest Hemingway. Venne assegnato a dirigere la scuola di controspionaggio, la Corps of Intelligence Police, che divenne nel 1942 la Counterintelligence Corps, CIC, partecipazione che gli valse la Legione di Merito. Copeland partecipò attraverso la CIC all’operazione Overlord, lo sbarco in Normandia ed era parte della BIGOT list, acronimo per British Invasion of German Occupied Territory, un ristrettissimo gruppo di persone con un passato inattaccabile e degne di ottenere i documenti più protetti e riservati. 

 

La CIC, oltre ad impegnarsi nel più famoso Manhattan Project si occupò anche di altri progetti di spicco per l’epoca. Uno di questi, la missione ALSOS, diretta da Boris Pash, era il tentativo da parte degli alleati di raccogliere quante più informazioni possibili sugli sviluppi scientifici nazisti in ambito nucleare; quindi l’operazione Paperclip che cooptò oltre 1600 scienziati, ingegneri e tecnici vari dalla Germania nazista per reinserirli in ambito per lo più scientifico militare statunitense; l’operazione TICOM che aveva come scopo l’impadronirsi di risorse riguardanti la crittografia e le ultime vette della ricerca scientifica sulle telecomunicazioni, ambito in cui i tedeschi eccellevano. Alla fine della guerra Copeland venne anche incaricato di redigere la cronaca del controspionaggio del periodo appena trascorso, intervistando decine di spie e scienziati nazisti. 

 

In seguito alla trasformazione dell’OSS in CIA, Copeland partecipò alla messa a punto del progetto fino alla sua realizzazione nel 1947, anno di nascita della più grande agenzia spionistica americana. Dopodiché ottenne la gestione dell’ufficio dell’agenzia a Damasco in Siria e divenne l’uomo in Medio Oriente per i servizi statunitensi. Nel marzo del 1949 supportò il colpo di stato in Siria in cui venne deposto il governo legalmente eletto in favore del potere militare. Nel 1953 prese parte all’operazione Ajax incaricata di destituire il primo ministro iraniano, Mohammed Mossadegh, reintegrando Reza Pahlavi, assicurando così l’accesso statunitense al petrolio iraniano e contemporaneamente istituendo un avamposto del primo mondo contro i sovietici. 

 

Fluente in almeno dieci lingue, divenne amico personale del presidente egiziano Nasser. Nonostante il cammino tra USA e Egitto avesse preso due strade differenti e i servizi americani avessero preso in considerazione operazioni estreme verso il presidente africano Copeland rimase genuinamente al suo fianco e un ammiratore dell’opera politica di Nasser. 

 

Mantenne ufficialmente questo ruolo per dieci anni costruendo la posizione dell’Intelligence americana nel territorio attraverso il reclutamento di agenti in loco e la costruzione delle reti informative necessarie.

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In seguito, dopo aver rassegnato le dimissioni perché in totale disaccordo con le politiche di Eisenhower, continuò a lavorare privatamente nel solco dell’Intelligence a stelle e strisce fino agli anni Settanta quando si distaccò completamente dando vita a una nuova carriera di autore. I vari articoli e libri che scrisse ottennero un notevole successo ma ebbero anche la conseguenza di esacerbare definitivamente i rapporti con l’agenzia governativa. Nel 1988, scrisse un articolo «Spooks for Bush» in cui dichiarò il totale supporto del mondo dell’Intelligence verso la candidatura di G. W. Bush all’elezione come presidente del 1994.

 

E. Micheal Burke, ex ufficiale OSS, CIA, e in seguito con una importante carriera nel mondo dello spettacolo, scrisse nell’agosto 1974 una recensione su uno dei suoi testi più famosi Without cloak or dagger (1974). Copeland nel suo libro descriveva la CIA come il demonio di cui ignoriamo l’esistenza, gestita da una cricca di vecchi commilitoni abbastanza potenti da buttare giù un direttore non particolarmente apprezzato come James Schlesinger.

 

La CIA è un organo interno più potente dei vari governi succedutosi sullo sfondo che ha come grande dilemma trovare il modo per restare potenti, anonimi, silenziosi ma allo stesso vincere la confidenza del pubblico. Come scrive Copeland nel libro: «conosciamo il nemico, sappiamo come gestirlo, siamo incorruttibili. Anche se non ci conoscete, potete implicitamente fidarvi di noi».

 

Marco Dolcetta Capuzzo

 

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Amazon Prime Video rimuove tutte le armi e le Bond Girls dai poster dei film di 007. Poi ci ripensa

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La piattaforma streaming di Amazon Prime Video ha recentemente rimosso tutte le armi e le Bond girl dalle locandine dei film di James Bond. Poi nelle ultime ore, sembra aver ripristinato la versione originale.   L’amata serie di pellicole di spionaggio 007, dove le pistole giuocavano un ruolo grafico sin dalle locandine, si trova ancora sotto il tallone della cultura woke, e quindi della censura e dell’orwelliana cancellazione della storia.   È ridicolo, e antistorico, vedere il comandante Bond a braccia conserte senza la sua arma (che è variata, dagli anni, da una Walther PPK a una Beretta forse di modello 418 o 950) impugnata disinvoltamente – un elemento che è parte fondamentale dello stesso personaggio, elegante e pericoloso, come il mondo in cui la spy-story promette di immergere lo spettatore.      

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In particolare, tutte le armi sembravano essere state rimosse da immagini già note, tra cui un ritratto di Sean Connery con una pistola Walther PPK tra le braccia incrociate, utilizzato come foto pubblicitaria per la pellicola Dr. No e ora esposto alla National Portrait Gallery di Londra. Un poster teaser ampiamente visto per il film Spectre con Daniel Craig è stato apparentemente modificato per eliminare la pistola che tiene al fianco (sebbene la fondina ascellare indossata da Craig sia ancora visibile).   Un ritocco simile sembrava essere stato effettuato su un’immagine pubblicitaria di Roger Moore in Agente 007 Vivi e lascia morire, in cui Moore impugna una .44 Magnum, un allontanamento dalla tradizione di Bond di pistole relativamente piccole.   Le immagini modificate digitalmente dei poster originali dei film sono un insulto agli artisti che le hanno create e ai fan che le hanno guardate negli ultimi 63 anni – oltre che all’idea stessa che sta alla base del racconto di James Bond.  

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L’establishment progressista cerca di cancellare le armi dall’immaginario cinematografico classico, mentre il transgenderismo e i temi satanici vengono promossi in film e cartoni pensati per bambini.   Notizia delle ultime ore, Amazon si averci ripensato: dopo il pubblico clamore, le pistole sono tornate sulle locandine.   La mossa era arrivata dopo che Amazon ha acquisito i diritti del film acquistando gli studi MGM per un miliardo di dollari all’inizio di quest’anno e si appresta a lanciare un nuovo film diretto da Denis Villeneuve (il regista di The Arrival, Blade Runner 2049, e del recente, noiosissimo, Dune), scritto e diretto da Steven Knight, il cui nuovo attore di Bond deve ancora essere annunciato.   In passato si è speculato sull’arrivo di un Bond negro (si è fatto il nome del divo anglo-nigeriano Idris Elba) o di una Bonda. In realtà, una potente anticipazione era nell’ultimo film No Time to Die con Daniel Craig – la cui scelta come protagonista della seria, una ventina di anni fa, fu contestata da un gruppo di fan: è biondo – dove saltava fuori una agente MI6 nera e statuaria (tipo Grace Jones, per intenderci), seduttiva e letale anche più del Bond stesso.   No Time to Die sconvolse gli aficionados perché mostrava un atto incomprensibile per chi conosce la saga: la morte di James Bond, un fatto narratologicamente, archetipicamente inconcepibile, in quanto il tema profondo della serie è, senza dubbio alcuno, il mito dell’eroe invincibile.   La castrazione del carattere di 007 era presente nei film dell’era Craig anche in precedenza: il filosofo ratzingeriano coreano Byung-chul Han nel suo saggio La società della stanchezza indicava la stranezza di vedere in Skyfall (2012) un James Bond affaticato e depresso, con traumi psicanalitici che riemergono.   Il codice «007» è in realtà un riferimento preciso che il romanziere (e vero agente segreto) britannico Ian Fleming faceva agli intrecci tra l’occultismo e la storia di Albione, in particolare nel momento in cui Londra si separò dalla Chiesa cattolica e cioè dall’Europa.   Il primo «oo7» fu infatti John Dee (1527-1608), matematico, geografo, alchimista, astrologo, astronomo ed occultista inglese che organizzo i servizi segreti britannici nella sua visione di un nuovo mondo fatto di colonie dell’«Impero britannico», un’espressione che alcuni dicono sia stata coniata proprio da lui stesso.   Nei messaggi cifrati riservati alla regina Elisabetta I Dee apponeva la sigla «007» in cui gli zeri erano due occhi, il sette un numero fortunato.

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I sauditi e il genero ebreo di Trump comprono l’Electronic Arts

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Electronic Arts, tra i maggiori produttori di videogiochi al mondo, ha annunciato lunedì di aver raggiunto un accordo per essere acquisita da un consorzio guidato dall’Arabia Saudita, per un valore di circa 55 miliardi di dollari.

 

Il consorzio include il Public Investment Fund (PIF) saudita, la società di private equity Silver Lake e Affinity Partners, controllata da Jared Kushner, genero del presidente statunitense Donald Trump.

 

Secondo EA, il PIF rafforzerà la sua attuale partecipazione del 9,9% nella società, con l’operazione finanziata da 36 miliardi di dollari di capitale proprio e 20 miliardi di dollari di debito.

 

Il portfolio di EA comprende franchise di videogiochi celebri a livello globale, tra cui il giuoco calcistico FIFA, lo sparatutto militare in prima persona Battlefield, Apex Legends, The Sims, Plants vs. Zombies e Need for Speed.

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Descritto come «il più grande accordo di privatizzazione di uno sponsor interamente in contanti della storia», l’operazione dovrebbe velocizzare i processi decisionali e aprire nuove opportunità, specialmente nei mercati internazionali, ha dichiarato la società.

 

L’accordo ha già ottenuto l’approvazione del consiglio di amministrazione di EA e dovrebbe concludersi nel primo trimestre dell’anno fiscale 2027. Una volta completata, EA cesserà di essere quotata in borsa e opererà come società privata.

 

L’industria videoludica sta attraversando una fase di ristrutturazione dopo il boom durante la pandemia. Negli ultimi cinque anni, le azioni di EA hanno registrato performance nettamente inferiori rispetto all’indice S&P 500. All’inizio del 2025, il titolo della società è crollato del 17% in un solo giorno, a causa delle vendite deludenti dell’ultima edizione del gioco di simulazione calcistica EA FC25.

 

I videogiochi negli scorsi anni sono stati ritenuti un ambito dello spionaggio, in quanto si è pensato che le chat interne potessero facilitare attività criminali o terroristiche. Negli anni scorsi sono emersi casi di censura e delazione, con grandi case produttrici di videogames indicate come in collaborazione con la polizia britannica per affrontare i discorsi ritenuti «tossici» dei giocatori online.

 

Jared è figlio del grande sostenitore del Partito Democratico USA Charles Kushnerm che è altresì uno dei primi donatori dell’eterno premier sionista Benjamin Netanyahu, il quale, si racconta, quando era a New York dormiva nella stanza dello stesso Jareddo. Kushner senior è ora il controverso ambasciatore americano a Parigi.

 

Arrivato nella stanza dei bottoni nel 2016 con il ruolo di consigliere della Casa Bianca, il figlio Jared – il genero presidenziale accusato da altri famigliari di Trump di essere persino la talpa del raid a Mar-a-Lago – si mosse subito ingraziandosi l’uomo forte saudita Mohammed bin Salman; il rapporto ha condotto a quella sorta di armistizio tra Israele e le monarchie del Golfo persico chiamato «accordi di Abramo». Tuttavia, è emerso come Mohammed bin Salman e il suo mentore e confidente omologo emiratino Mohammed bin Zayed al Nahyan fra loro scherzassero dicendo che se lo tengono nel taschino.

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Giornali americani hanno dettagliato la ricerca di danari islamici da parte di Kushner durante la suo incarico alla Casa Bianca, insistendo anche presso il Qatar. I Kushner avevano bisogno di investimenti per ripianare il grande disastro della famiglia, l’acquisto del colossale – e inquietante – palazzo Fifth Avenue 666: il numero civico 666 sulla celeberrima Quinta Strada di Nuova York. Un affare immane andato malamente: l’edificio, una volta acquistato dai ricchi palazzinari ebrei del New Jersey, rimase a lungo mezzo vuoto.

 

I Kushner, ebrei ortodossi (con conversione al giudaismo anche di Ivanka), hanno poi pudicamente cambiato il nome del palazzo da Fifth Avenue 666 a Fifth Avenue 660.

 

Come riportato da Renovatio 21, gli interessi immobiliari di Kushner sembrano ora abbracciare anche l’Est Europa, con il progetto di fare hotel di lusso al posto degli edifizi bombardati dalla NATO in Kosovo.

 

Il Kushner si è distinto nei mesi del conflitto in Palestina per i suoi commenti su Gaza, del cui lungomare ha elogiato il futuro valore immobiliare, per poi dire che i Paesi europei dovrebbero accogliere più rifugiati palestinesi in fuga dalla Striscia ora martoriata catastroficamente dallo Stato Ebraico.

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Immagine di The Pop Geek Culture Network via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC 2.0

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