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Essere genitori

Vaccini e perdita della patria potestà: una testimonianza

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Renovatio 21 pubbica in esclusiva questa incredibile testimonianza di una madre che per i vaccini (che pure aveva somministrato!) ha rischiato di perdere la patria potestà: cioè che lo Stato le portasse via i figli.

Semplicemente pazzesco: specie se si pensa che questa vicenda risale a prima che entrasse in vigore la legge Lorenzin.

 

C’è un torrente in piena. La corrente è velocissima e ineluttabile. Li vedo tutti e tre. Tentano inutilmente di dimenarsi, di resistere a quella forza terribile, ma l’acqua li porta via, lontano. E io non posso fare nulla per riprenderli. A un tratto sono spariti. Non li vedo più.

 

Un incubo che si è ripetuto ogni notte per due interminabili mesi, da quando il maresciallo preposto mi telefonò per informarmi della convocazione al tribunale dei minori

Un incubo che si è ripetuto ogni notte per due interminabili mesi, da quando il maresciallo preposto mi telefonò per informarmi della convocazione al tribunale dei minori. Inizialmente, io e mio marito non conoscevamo nemmeno il motivo di tale notifica, non eravamo in città e, impossibilitati a tornare perché all’estero, non potevamo nemmeno ritirarla. Sapevamo soltanto che l’oggetto della notifica erano i nostri tre figli, lui per telefono non poteva dirmi altro.

 

«Sarà stato perché l’ho sgridato perché non si impegnava con i compiti?», si è persino chiesto mio marito.

 

Sono partite illazioni di ogni tipo nella nostra testa, non riuscivamo a spiegarcelo. Nominammo quindi un avvocato, un nostro conoscente che si occupa di cause legate ai minori, delegando a lui di ritirare tale notifica per sapere di cosa si trattasse.

 

I giorni passavano e l’ansia cresceva. Finalmente la telefonata dell’avvocato.

«Signora, la vostra patria potestà è pendente.  Seppure i vaccini non siano da ritenersi obbligatori sono caldamente raccomandati per il bene della comunità e pertanto si richiede la sospensione della potestà perché i vostri possano essere vaccinati»

 

«Allora, signora, la vostra patria potestà è pendente. Ne ha fatto richiesta l’ospedale xx nel novembre 2016 perchè i vostri figli a quella data non risultavano vaccinati. La direzione sanitaria, con firma del dott.xx, scrive che seppure i vaccini non siano da ritenersi obbligatori sono caldamente raccomandati per lui e per il bene della comunità e pertanto richiedono la sospensione della potestà perché possano essere vaccinati. In pratica, sono convinti che voi siate contro i vaccini».

 

«E quindi, mi scusi, chiedono che ci venga tolta la patria potestà per qualcosa che non è nemmeno obbligatorio?»

 

«Purtroppo sì e il tribunale non si è potuto opporre perché quando è un ente sociosanitario, quale è un ospedale, a muovere la pratica va tutto d’ufficio. Poi con la nuova legge della settimana scorsa, figuriamoci… È cominciata la caccia alle streghe!».

«In pratica, sono convinti che voi siate contro i vaccini»

 

Fermiamo la telefonata e facciamo un passo indietro. Novembre 2016: il nostro secondo figlio, Matteo di 3 anni, viene ricoverato una notte in ospedale insieme a mio marito – io avevo partorito la nostra terza il mese prima – per una sospetta balanopostite.

 

Per questo il pediatra curante ci consigliò per prudenza di attendere con i vaccini, perché non sapendo se il problema del linguaggio di mio figlio potesse essere legato a spettri autistici, epilessia o altri problemi neurologici, era meglio non correre rischi.

Al momento delle dimissioni, diedero a mio marito un foglio da compilare, in cui figurava la voce «Ha ricevuto le vaccinazioni raccomandate?» e lui ha barrato la caselle NO. In quel periodo per Matteo, infatti, era in corso un’indagine neurologica legata a un disturbo del linguaggio. Per questo il pediatra curante, quello assegnato dalla ASL e non un privato, ci consigliò per prudenza di attendere con i vaccini, perché non sapendo se il problema del linguaggio potesse essere legato a spettri autistici, epilessia o altri problemi neurologici, era meglio non correre rischi.

 

Tanto più che Matteo, sempre per lo stesso motivo, non andava alla scuola materna e dunque non avrebbe fatto correre rischi ad una eventuale «comunità» scolastica. Una volta terminato l’iter diagnostico, che ha portato, grazie a Dio, alla conclusione che Matteo ha un disturbo specifico del linguaggio e nulla dal punto di vista neurologico, il nostro piccolo ha ricevuto la prima somministrazione vaccinale e nel Febbraio 2017 ha cominciato la scuola materna.

 

Era questo il motivo dell’attesa e di quel NO sul foglio di dimissioni. Se un medico avesse parlato con mio marito, egli non avrebbe avuto problemi a spiegare i fatti che comunque non avrebbero dovuto essere nemmeno oggetto di contestazione, giacché i vaccini non erano propriamente «obbligatori» prima della legge del 31 Luglio 2017, come affermato dallo stesso ospedale.

La piccola aveva solo un mese (ricordo che stiamo parlando di Novembre 2016 e la nostra Teresa è nata ad Ottobre): sfido il più accanito medico «pro-vaccini» a somministrare l’esavalente prima dei tre mesi!

 

Non contenta la direzione sanitaria dell’ospedale, ignaro dell’ABC dell’etica professionale, visto che Matteo aveva dei fratelli, ha pensato bene di indagare sulla situazione vaccinale di Giuseppe, il primogenito, e di Teresa, l’ultima arrivata. Non trovandoli nell’anagrafe vaccinale, ha probabilmente etichettato i genitori come dei «no-vax», dando evidentemente a questa posizione un’accezione negativa, e si è prodigata per salvare ben tre minori dalle loro grinfie. Ma bastava parlare con questi sedicenti fanatici o magari con il loro pediatra per fare due scoperte assai interessanti. La piccola aveva solo un mese (ricordo che stiamo parlando di Novembre 2016 e la nostra Teresa è nata ad Ottobre): sfido il più accanito medico «pro-vaccini» a somministrare l’esavalente prima dei tre mesi!

 

Il nostro figlio maggiore, invece, aveva da piccolino una situazione di salute caratterizzata da infezioni respiratorie ricorrenti e da una depressione del sistema immunitario. Di fronte a questo quadro e poiché non frequentava l’asilo nido, il pediatra ci consigliò di rimandare le vaccinazioni fino a una ripresa consolidata della sua salute. Giuseppe ha cominciato a stare bene e a irrobustirsi intorno ai quattro anni. Ai cinque, il pediatra stesso gli ha somministrato una trivalente in forma più diluita, cioè il richiamo che comunemente si fa agli adulti, invece dell’esavalente, per proteggere la sua salute e non esporre a rischi il suo organismo. Questo ha fatto sì che non figurasse nell’anagrafe vaccinale centrale. Ma, anche qui bastava chiedere!

«Vengono tirati in causa gli assistenti sociali. Dovranno convocarvi, venire a casa vostra, conoscere i bambini, vedere la loro camera, i loro vestiti, forse andare anche a scuola. Insomma dovranno verificare che stanno bene e soprattutto che voi siete idonei ad occuparvi dei vostri figli»

 

«Beh, comunque, avvocato, non c’è problema, mostriamo al giudice i certificati ed è tutto risolto, no?».

 

«Purtroppo no, signora. Il problema è che quando a muovere la richiesta di sospensione della patria potestà è un ente come l’ospedale, vengono tirati in causa gli assistenti sociali. Dovranno convocarvi, venire a casa vostra, conoscere i bambini, vedere la loro camera, i loro vestiti, forse andare anche a scuola. Insomma dovranno verificare che stanno bene e soprattutto che voi siete idonei ad occuparvi dei vostri figli».

 

«Ma che c’entra tutto questo con i vaccini?».

 

«I vaccini sono stati l’incipit. Ora la macchina è stata messa in moto e il sistema prevede questa invasione nella vostra vita privata. In fondo, si sa che gli assistenti sociali sono sempre a caccia di bambini da dare in adozione».

«Il sistema prevede questa invasione nella vostra vita privata. In fondo, si sa che gli assistenti sociali sono sempre a caccia di bambini da dare in adozione»

 

Da quella telefonata, il fiume in piena ha cominciato a straripare e per me e mio marito sono cominciati due lunghissimi mesi di prova, in attesa dell’incontro con l’assistente sociale a cui avevano affidato la pratica e infine con il giudice.

 

Guardavamo i nostri figli di giorno e anche mentre dormivano, sereni e ignari del dramma che consumava emotivamente papà e mamma. Guardavamo Giuseppe, tenace e intelligente, ma anche sensibile e desideroso di attenzioni, poco affettuoso ma capace di mettersi a piangere quando un membro della famiglia si deve assentare da casa.

 

E poi Matteo, tanto difficile da gestire a causa della sua difficoltà ad esprimersi ma così capace di restituirti tutto con i suoi sguardi e i suoi gesti carichi di amore. Più degli altri ha bisogno di noi, gli unici capaci di entrare nella sua dimensione, di tradurre le parole inintelligibili, di contenere la sua ansia di non riuscire, di accettarlo in tutto e per tutto per quello che è.

Li guardavamo continuamente: come avrebbero fatto senza di noi? E noi senza di loro?

 

E infine Teresa, la femminuccia, un bimba «grassa e felice», così capace di sopportare i dispettucci dei fratelli ma anche le piccole scomodità dovute alla gestione di loro tre senza neanche un nonno su quattro o di un parente che te ne tiene uno ogni tanto mentre tu fatichi con gli altri e pulisci casa. Li guardavamo continuamente: come avrebbero fatto senza di noi? E noi senza di loro?

 

«Quando e dove vi siete conosciuti?»

 

«Intende noi e l’avvocato? È genitore di un mio ex alunno».

 

«No, intendevo voi due. Quando e dove vi siete conosciuti? Siete stati insieme parecchio prima di sposarvi? Avete convissuto?».

È stato un colloquio di due ore quello con l’assistente sociale. Ci ha chiesto di tutto della nostra vita privata, cose che forse nemmeno degli amici oserebbero chiederci.

 

È stato un colloquio di due ore quello con l’assistente sociale. Ci ha chiesto di tutto della nostra vita privata, cose che forse nemmeno degli amici oserebbero chiederci.

 

«Ora parlatemi dei vostri figli, di ognuno di loro. Perché avete scelto questi nomi?». E ancora: «che sport fanno, qual è il loro colore/animale/cartone/piatto preferito? Descrivetemi il loro carattere». Mi fermo, ma potrei andare avanti.

E avendo nominato i vari santi loro patroni, ovviamente è arrivata anche la fatidica domanda.

«Pensate di avere altri figli?».

 

«Pensate di avere altri figli?».

 

Cosa voleva sentirsi dire? Che siamo cattolici e che quindi siamo aperti alla vita e ai figli che il buon Dio ci dona, in modo da poterci considerare liberamente degli «irresponsabili»?

 

Finito il colloquio, ci siamo dati appuntamento per la visita a casa. «Comunque – afferma l’avvocato – non ritengo appropriata questa intromissione: non è possibile evitare che andiate a casa? In fondo, lo ha visto, era per i vaccini, null’altro!».

Cosa voleva sentirsi dire? Che siamo cattolici e che quindi siamo aperti alla vita e ai figli che il buon Dio ci dona, in modo da poterci considerare liberamente degli «irresponsabili»?

 

«Avvocato, se vi volete opporre, per me va bene, ma lo dovrò segnalare al tribunale. Così è solo peggio. Vi consiglio piuttosto di avvisare i bambini, forse potrebbero essere turbati dalla presenza di un estraneo».

 

«I nostri figli sono sempre felici quando arriva un ospite».

 

«Avvocato, se vi volete opporre, per me va bene, ma lo dovrò segnalare al tribunale. Così è solo peggio»

Abbiamo una casa modesta, in periferia, conforme allo stipendio di due insegnanti, con gli spazi sufficienti per tutti, anche per Nostro Signore, la cui icona domina la stanza più frequentata, il soggiorno, in cui riceviamo gli ospiti, mangiamo e facciamo giochi tutti insieme.

 

La casa ha uno speciale punto di forza: un grande terrazzo coperto in cui mio marito ha ricreato una vera e propria area gioco di cui i bimbi vanno matti e a quanto pare anche l’assistente sociale. Non ho tirato a lucido la casa, non avevo niente da dimostrare, ho fatto quello che faccio sempre, come lo faccio sempre.

Non ho tirato a lucido la casa, non avevo niente da dimostrare, ho fatto quello che faccio sempre, come lo faccio sempre.

 

Feliciana è stata accolta da tre bimbi che la sono andati ad aspettare sul pianerottolo, saltellanti ed entusiasti di conoscere una persona nuova e averla a casa, mentre io sentivo che sarei scoppiata a piangere da un momento all’altro e mentre mio marito irrigidiva sempre più il suo volto e faticava persino a parlare.

 

Ha girato per casa, guardato libri e quaderni del grande, lo ha persino fatto leggere. «Vedi che i compiti c’entrano», vaneggiava mio marito, ormai in tilt. Ha avuto occasione di leggere stupita le regole che i maschi hanno affisse alla porta della loro camera, mentre le ricordavo al grande, specialmente quella che infrange più spesso: «non sono autorizzato ad alzare le mani su mio fratello nemmeno se ho ragione».

 

La lite era legata a chi faceva vedere più giochi a Feliciana. Quella nuvola di gioia e rumore l’ha poi convinta a sedersi per un caffè e una fetta di torta. «Fatta in casa, scommetto!». «No casa, Teo fatto a torta, no casa!», le ha risposto a modo suo Matteo.

«Scriverò un documento su quello che ho visto. Ci vediamo dal giudice».

 

 

Arriva il momento della nanna dei due più piccoli e l’assistente sociale, dopo aver notato che Teresa si addormenta senza storie nel suo lettino nella sua camera e dopo essere stata invitata da Matteo a fare un sonnellino con lui, decide che era il momento di levare le ancore.

 

«Scriverò un documento su quello che ho visto. Ci vediamo dal giudice».

 

In realtà dal giudice non ci siamo visti, se non di sfuggita. Lei entrò prima di noi, standoci pure parecchio.

 

Noi subito dopo per un altro infinito colloquio in cui riaprire l’intimità della nostra vita e della nostra famiglia, in cui sentirsi dare «consigli» da un’altra sconosciuta in dovere di dispensare il suo sapere. Su cosa poi? Sulla scelta del calcio per il primo figlio, «no, ma guardi che l’anno prossimo comincerà atletica» o sul fatto che al secondo la musica va fatta fare «non perché lo ha consigliato il neuropsichiatra ma perché piace a lui, ricordatevelo!».

Dal giudice un altro infinito colloquio in cui riaprire l’intimità della nostra vita e della nostra famiglia, in cui sentirsi dare «consigli» da un’altra sconosciuta in dovere di dispensare il suo sapere

 

«Scusi, giudice, ma di vaccini quando parliamo? In fondo se siamo qui è per questo. No perché io le ho portato le copie dei certificati e il pediatra ha preparato un documento in cui motiva dal punto di vista medico…»

«Sì, ho visto, ma questo non è compito mio. Io devo solo valutare se i vostri figli non corrono pericoli con voi e se voi siete in grado di occuparvene. Comunque, dalla relazione dell’assistente sociale non credo dobbiate preoccuparvi».

 

Feliciana aveva scritto un lungo documento sulla nostra famiglia, sull’amore che ha colto a casa nostra, sulla serenità di tutti e tre i bambini e sull’affetto tra di noi, sulla nostra casa modesta ma accogliente, sulla bellezza dello stare insieme. Tre mesi dopo è stata proprio lei a chiamarci appena arrivata la notizia dell’archiviazione della pratica.

«Io devo solo valutare se i vostri figli non corrono pericoli con voi e se voi siete in grado di occuparvene»

 

Poco tempo dopo, ho scoperto che nell’ospedale XX un anno prima del fatidico ricovero, era morto un bambino di morbillo che non era stato vaccinato e che questo fatto aveva messo nei guai l’ospedale. Evidentemente pur di tutelarsi la direzione sanitaria è disposta a far vivere a dei malcapitati un incubo.

 

So che può sembrare un lieto fine e in effetti, grazie a Dio, lo è.

 

E forse può sembrare anche a tratti assurdo, se non addirittura folle questo racconto. Ma la percezione che mio marito ed io abbiamo avuto dello svolgimento dei fatti è andata ben oltre persino il torto subito ingiustamente. La nostra intimità famigliare è stata invasa da degli estranei che senza alcun riguardo si sono messi ad indagare e a disquisire su cose personalissime che chiunque desidera proteggere e custodire.

La nostra intimità famigliare è stata invasa da degli estranei che senza alcun riguardo si sono messi ad indagare e a disquisire su cose personalissime che chiunque desidera proteggere e custodire.

 

Siamo stati umiliati nel nostro ruolo genitoriale e non perchè non fossimo consapevoli degli errori che talvolta purtroppo compiamo come tutti; ma perché un conto è la consapevolezza che si può e si deve sempre crescere nelle virtù legate in modo speciale alla genitorialità (pazienza, mitezza, fortezza, ecc.) e un conto è essere sottoposti ad un esame di idoneità in base ad elementi del tutto arbitrari e quasi che lo stato abbia il diritto/dovere di oltrepassare la famiglia e dunque il potere persino sul vincolo genitori/figli (il caso dei vaccini è emblematico, ma si pensi specularmente all’educazione all’affettività e quindi al mondo della scuola e all’affievolimento della priorità della famiglia circa l’educazione).

Siamo stati umiliati nel nostro ruolo genitoriale

 

È stata posta sulle nostre teste una spada, un giudizio: ma quale giustizia è mai questa che dà a un giudice un potere del genere?  Sicuramente ci sono delle situazioni molto gravi dove la giustizia deve intervenire per proteggere i bambini. Ma noi in questa situazione ci abbiamo visto un potere spropositato, inumano, simile a quello che dà ai giudici la possibilità di decidere sulla vita.

 

E infine l’aspetto più agghiacciante: convivere per giorni e giorni con l’idea che ci potessero portare via i bambini. Chi è genitore può capire e sentire il livello di tortura emotiva che abbiamo dovuto sopportare. Io ci ho messo quasi sei mesi a riprendermi fisicamente ed emotivamente da tale shock.

L’aspetto più agghiacciante: convivere per giorni e giorni con l’idea che ci potessero portare via i bambini

 

Ho deciso di scrivere, e ringrazio chi mi ha donato lo spazio per raccontare questi fatti, perché sono convinta che non tutti sanno il livello di deformazione del sistema che ruota attorno alle vaccinazioni pediatriche, tipico dei sistemi asserviti a «mammona», dove non contano l’essere umano e il suo vero bene, nemmeno se si tratta di bambini, e dove non c’è etica, nemmeno quella spicciola che regola il rapporto medico/paziente.

 

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Animali

Scoperto in India un serpente lungo quanto uno scuolabus. Probabilmente pure molto meno letale

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Gli scienziati dell’Istituto indiano di tecnologia Roorkee, in India, hanno pubblicato un articolo sulla rivista Scientific Reports per discutere della loro scoperta del Vasuki Indicus, una nuova specie di serpente gigante, vissuto circa 47 milioni di anni fa nello Stato indiano del Gujarat.

 

I resti del gargantuesco serpentone sono stati trovati nella miniera di carbone di Panandhro, nella regione di Kutch. Il suo nome è stato scelto in riferimento al luogo del ritrovamento e alla leggendaria creatura simile a un serpente associata alla divinità induista Shiva.

 

I ricercatori hanno osservato 27 vertebre, per lo più in buono stato di conservazione e alcune delle quali ancora articolate, che sembrano essere state raccolte da un individuo adulto. I pezzi ossei hanno dimensioni comprese tra 37,5 e 62,7 millimetri in lunghezza e tra 62,4 e 111,4 millimetri in larghezza, indicando un corpo ampio e cilindrico.

 

Sulla base di queste misurazioni, gli scienziati hanno ipotizzato che l’esemplare di Vasuki Indicus di cui facevano parte potesse raggiungere una lunghezza compresa tra 10,9 e 15,2 metri.

 

«Il team, guidato da Debajit Datta e Sunil Bajpai, ha scoperto i resti fossili della specie, che poteva raggiungere una lunghezza stimata tra gli 11 e i 15 metri, praticamente quanto uno scuolabus» scrive La Stampa.

 

Tuttavia non è dato sapere quanto letale per l’uomo potrebbe essere stato il rettilone. Sappiamo invece perfettamente quando posso ferire, di questi tempi, il suo termine di paragone, lo scuolabus.

 

«Autista dello scuolabus ha un malore e muore a Chiavari: aveva appena concluso il giro con i bambini»: Il Messaggero di due settimane fa.

 

«Incidente a Cittadella: autista di scuolabus ha un malore e va a sbattere contro una corriera». Il Resto del Carlino, 25 gennaio 2023.

 

La Spezia, maggio 2022: «Malore improvviso per l’autista dello scuolabus, mezzo fa un volo di venti metri». Lo riporta La Città della Spezia.

 

«Padova, autista di scuolabus muore alla guida». Automoto, ottobre 2023.

 

Corridonia, provincia di Macerata: «Malore fatale in strada, arrivano i soccorsi e uno scuolabus resta bloccato sui binari mentre arriva il treno». Il Resto del Carlino, il mese scorso.

 

Ottobre 2023: «Autista di scuolabus ha un malore alla guida: Jessica muore a 15 anni schiacciata dal mezzo». Lo riporta il Corriere Adriatico.

 

Stati Uniti, aprile 2023: «L’autista dello scuolabus ha un malore: studente di 13 anni prende il controllo del mezzo».

 

Roma, dicembre 2022: «Scuolabus fuori strada a Roma, paura per 41 bambini: Malore dell’autista». Lo riporta IlSussidiario.net.

 

Renovatio 21 ha riportato tanti altri casi.

 

«I ricercatori ipotizzano inoltre che il predatore preistorico cacciasse in modo lento, come le anaconde» scrivono gli scienziati scopritori del serpentazzo indico.

 

Abbiamo imparato invece che il suo termine di paragone, lo scuolabus, miete vittime all’improvviso.

 

«Malori improvvisi» del conducente, che rischiano di tirare giù con loro le vite di diecine di bimbi trasportati.

 

E quindi: cosa è più pericoloso? Il boa preistorico di 15 metri o mandare il proprio figlio a scuola?

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Essere genitori

Il 25% dei bambini di età compresa tra 3 e 4 anni possiede uno smartphone: studio

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Uno studio condotto dall’autorità governativa di regolamentazione delle comunicazioni nel Regno Unito ha rilevato che un quarto dei bambini di soli 3-4 anni possiede uno smartphone. Lo riporta il giornale britannico Telegraph.   Dallo studio di Ofcom è infatti emerso che un quarto di tutti i bambini sotto i 7 anni possiede un dispositivo intelligente, con un aumento di circa il 5% in un anno.   I dati per i bambini di età inferiore a 7 anni sono stati forniti dai genitori, quindi il numero reale potrebbe essere molto più alto se alcuni genitori scegliessero di essere liberali riguardo alla verità.   Lo studio ha rilevato che quasi il 60% dei bambini di età compresa tra gli 8 e gli 11 anni possiede un telefono e, quando si arriva ai 12-17 anni, essenzialmente tutti i bambini possiedono uno smartphone.   Ofcom ha osservato che «i bambini delle scuole materne sono sempre più online e godono di una maggiore indipendenza digitale da parte dei genitori».   Lo studio ha anche scoperto che i bambini riescono ad aggirare i controlli sull’età per accedere alle app dei social media, semplicemente inventando la loro data di nascita.

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Più della metà (51%) di età inferiore ai 13 anni utilizza un’app di social media di qualche tipo sui propri telefoni, nonostante il fatto che la maggior parte delle app di social media richieda che gli utenti abbiano più di 13 anni.   Un totale del 40% dei bambini di età compresa tra 8 e 17 anni ha dichiarato a Ofcom di aver mentito sulla propria età per accedere a un’app.   Nella fascia di età 5-7 anni, un terzo dei genitori ha affermato che i propri figli utilizzano le app completamente senza supervisione e un terzo ha affermato di consentire ai propri figli di utilizzare le app prima che raggiungano l’età minima consigliata.   Il commissario governativo per l’infanzia britannico, Rachel de Souza, ha commentato che «l’uso dei social media e delle piattaforme di messaggistica da parte dei minorenni è molto diffuso. Le tutele previste dall’Online Safety Act devono essere implementate in modo rapido e deciso, con efficaci garanzie sull’età».   I risultati arrivano mentre il governo di Londra sta valutando la possibilità di attuare un divieto totale per i minori di 16 anni di acquistare smartphone, scrive Modernity News.   Tuttavia, tale legge non impedirebbe ai genitori di acquistare i dispositivi e di darli ai bambini, come avviene nella stragrande maggioranza delle case. Il governo sta anche valutando una legge che richiederebbe l’approvazione dei genitori quando i bambini di età inferiore ai 16 anni si iscrivono ad account sui social media.   Richard Collard della National Society for the Prevention of Cruelty to Children ha sottolineato che «il numero di bambini molto piccoli che utilizzano i social media indica un fallimento sistemico da parte delle aziende tecnologiche nel far rispettare i limiti di età da loro stabiliti”.   Gli studi hanno dimostrato che esistono ampie prove che l’uso dei social media è collegato ad un aumento dell’ansia, della depressione e ad un declino del benessere mentale tra i giovani. Le connessioni tra telefonino e l’aumento del cortisolo – l’ormone dello stress – sono discusse da diversi anni.   Come riportato da Renovatio 21, una curiosa circolare del ministero dell’Istruzione italiano dell’anno scorso descriveva lo smartphone come una droga «non diversa dalla cocaina».   Negli anni è emerso che le app degli smartphone spiano i bambini su «una scala scioccante», hanno rivelato esperti a Children’s Health Defense.

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Essere genitori

«Influencer» per genitori condannata per abusi su minori

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Una madre americana di sei figli, i cui consigli online sui genitori hanno attirato più di due milioni di abbonati su YouTube, è stata condannata il mese scorso ad almeno quattro anni di carcere con l’accusa di aggravamento di abusi su minori.

 

Ruby Franke, 42 anni, che gestiva il canale YouTube «8 Passengers», ora cancellata, è stata arrestata lo scorso agosto nello stato americano dello Utah quando suo figlio dodicenne malnutrito è scappato dalla casa di un’altra donna, Jodi Hildebrandt, 54 anni, per chiedere cibo e acqua a un vicino.

 

Il bambino era stato legato con nastro adesivo e aveva ferite aperte visibili a causa dell’essere stato legato con una corda, secondo i documenti della polizia. Hildebrandt, con il quale Franke collaborava in un’impresa commerciale separata, è stata condannata alla stessa pena detentiva di quattro pene da uno a 15 anni ciascuna.

 

Entrambe si erano dichiarate colpevoli a dicembre delle accuse di abuso aggravato di secondo grado su minori.

 

 

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Scusandosi con i suoi figli dopo la sua condanna, Franke ha detto di aver «creduto che l’oscurità fosse luce e che il giusto fosse sbagliato. Farei qualsiasi cosa al mondo per voi. Ho preso da voi tutto ciò che era tenero, sicuro e buono». Nella sua stessa dichiarazione, la Hildebrandt ha detto che spera che i bambini possano «guarire fisicamente ed emotivamente».

 

Durante il processo dell’anno scorso, il pubblico ministero Eric Clarke ha detto alla corte che due dei figli di Franke erano stati costretti a vivere in un «ambiente simile a un campo di concentramento» e gli erano stati «regolarmente negati cibo, acqua, letti in cui dormire e praticamente ogni forma di divertimento».

 

 

La Franke aveva creato il suo canale YouTube «8 Passengers» nel 2015 e l’estate scorsa aveva accumulato 2,3 milioni di abbonati, molti dei quali attratti dai video della vita familiare suburbana di Franke.

 

Tuttavia, alcuni spettatori si sono preoccupati nel 2020 quando uno dei suoi figli ha detto in un video che aveva dormito su un pouf per sette mesi. Altri video descrivevano Franke che tratteneva il cibo dai suoi figli e «annullava» il Natale come punizione.

 

Il canale YouTube «8 Passengers» è stato cancellato nel 2022, lo stesso anno in cui la Franke si era separata dal marito Kevin.

 

Nell’ambito di un patteggiamento, Hildebrandt – che ha collaborato con Franke in una serie di video di «life coaching» – ha ammesso di essere a conoscenza degli abusi sui minori e di aver costretto uno dei figli di Franke a «saltare più volte in un cactus».

 

Ha aggiunto che Franke aveva detto ai suoi figli che erano «malvagi e posseduti» e dovevano «pentirsi».

 

In una dichiarazione rilasciata dal suo avvocato prima del processo l’anno scorso, Kevin Franke ha chiesto che fosse inflitta la pena massima al suo ex partner per l’abuso «orribile e disumano» dei suoi figli.

 

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Immagine screenshot da YouTube

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