Bizzarria
«W NOI». Bizzarro comunicato dei portuali di Trieste

Circa alle 17:30 del 25 ottobre compare sulla pagina Facebook del Coordinamento 15 ottobre un bizzarro comunicato.
Esso si intitola «COMUNICATO DEI PORTUALI DI TRIESTE», ma non è chiaro di quali portuali si parli: dell’interezza dei lavoratori del porto giuliano? Di qualche sigla? Della CLPT, che però a sua volta con un comunicato aveva preso le distanza dal Coordinamento e dal suo ex portavoce Puzzer? Non è chiaro.
Similmente ad altri comunicati visti in questi giorni, tutto il testo è scritto rigorosamente in maiuscolo.
Similmente ad altri comunicati visti in questi giorni, tutto il testo è scritto rigorosamente in maiuscolo
Si tratta di un appello per una manifestazione mercoledì 27 ottobre, all’indomani dell’imprevedibile risposta che il Consiglio dei Ministri darà al messaggero Patuanelli utilmente incontrato per una ventina di minuti sabato mattina presto.
Il comunicato parla di una sfilata davanti alla Siot, ricordando che «è l’oleodotto principale europeo».
«Poi successivamente ritorneremo giustamente a casa nostra» puntualizza inaspettatamente il comunicato
«Poi successivamente ritorneremo giustamente a casa nostra» puntualizza inaspettatamente il comunicato.
I periodi sono rotti e saltano di riga in riga come in una poesia futurista, abbondando di avverbi e osando addirittura un raro caso di frase nominale (una frase senza verbo), evento mai visto prima d’ora nella storia dei comunicati stampa. (Un altro primato assoluto per l’umanità, dopo le due manifestazioni annullate dagli stessi organizzatori)
«IL NOSTRO PORTO
DA DOVE CI HANNO CACCIATO INGIUSTAMENTE CON METODI TOTALMENTE ILLEGALI E VERGOGNOSAMENTE VIOLENTI»
Tuttavia, è la call to action di qualche riga sotto che colpisce la nostra sensibilità:
«MASSIMA ADESIONE VIVA NOI»
Così, senza punteggiatura. Abbiamo dapprima pensato che «Viva noi» forse un altro coordinamento sorto magari in questi ultimi minuti, un comitato, un’associazione, una sigla sindacale. Ci suggeriscono invece che «VIVA NOI» starebbe proprio a significare «viva noi».
Si tratta di un augurio – anche questo! – per noi inedito, che forse qualcuno ha usato in qualche brindisi. Ma non ne abbiamo, purtroppo, esperienza personale.
Negli anni abbiamo visto «WSM» (Venetismo separatista: Viva San Marco), «W VERDI» (linguaggio in codice delle canaglie risorgimentali: Vittorio Emanuele Re d’Italia), «WXRE» (Integrismo cattolico: viva Cristo Re»), TVB (bigliettino e diario;: quinta elementare), TV1MDB (prima media) etc. «VIVA NOI» ci mancava, e ci lascia un po’ basiti.
Tuttavia, siamo certi di non averlo mai veduto in un comunicato, né, in generale, per iscritto. Negli anni abbiamo visto «WSM» (Venetismo separatista: Viva San Marco), «W VERDI» (linguaggio in codice delle canaglie risorgimentali: Vittorio Emanuele Re d’Italia), «WXRE» (Integrismo cattolico: viva Cristo Re»), TVB (bigliettino e diario: quinta elementare), TV1MDB (prima media) etc.
«VIVA NOI» ci mancava, e ci lascia un po’ basiti.
Anche perché quel «noi» non capiamo bene a cosa si riferisca.
Il comunicato, dicevamo, sarebbe firmato (nel titolo) da generici «portuali di Trieste». Scritto in quello che un’analisi stilometrica dimostrerebbe un modo molto vicino ai vecchi comunicati CLPT, non fa menzione di sigle sindacali, che nel porto crediamo essere molteplici. Dobbiamo pensare che siano tutti d’accordo? Che tutti i portuali triestini, dalla CLPT (che aveva preso le distanze) alla CGIL, siano rappresentati da questo comunicato?
Dobbiamo pensare che siano tutti d’accordo? Che tutti i portuali triestini, dalla CLPT (che aveva preso le distanze) alla CGIL, siano rappresentati da questo comunicato?
O forse il comunicato sarebbe stato meglio intitolarlo «Comunicato di alcuni portuali di Trieste»?
Sarebbe comunque stato bizzarro, perché nei comunicati non solo deve essere chiara la prima regola della comunicazione (chi dice cosa? Chi sta parlando?) ma si mettono, in genere, i riferimenti di telefono, sito, email per i giornalisti che volessero verificare e approfondire.
Qui in coda non c’è nessun contatto, bisogna accontentarsi di un «LA GENTE COME NOI NON MOLLA MAI», cui viene sorprendente accluso il pleonasmo «E FINO ALL’OBBIETTIVO NON MOLLERÀ MAI». Nonostante due manifestazioni due siano state mollate da pochi giorni, e con esse sono stati mollate le migliaia di persone che volevano raggiungere Trieste.
Sono momenti bellissimi, memorabili, per la logica, per la lingua italiana, per la storia della comunicazione.
Si tratta di un nuovo, spiazzante capitolo nella temperie dei comunicati portuali di questi giorni, tra feste per l’invito al Senato, rettifiche, dimissioni, prese di distanza, incontri «riservati» con ministro delle cose agricole, etc.
I nostri lettori ci fanno notare che il suddetto comunicato è apparso nel pomeriggio sulla pagina Facebook (piattaforma a cui Renovatio 21 non può accedere) del Coordinamento che ha incontrato Patuanelli, ma contemporaneamente non era apparso sul canale Telegram.
Nel frattempo, dalle ore 20:00 circa, è cominciato a circolare un altro comunicato che invece è scritto in prosa ed è firmato incontrovertibilmente dal Coordinamento appena sorto. Dice più o meno le stesse cose, certo con altro stile.
Stiamo andando verso l’apartheid e la guerra biotica, ma lo stiamo facendo con i capipopolo giusti, e con stile immenso.
Chi poteva pensare che il nuovo, meno poetico comunicato sostituisse il precedente ha dovuto ricredersi verso le 21:23, quando il canale Telegram del coordinamento ha pubblicato il comunicato «VIVA NOI» del pomeriggio.
Sono momenti bellissimi, memorabili, per la logica, per la lingua italiana, per la storia della comunicazione.
Stiamo andando verso l’apartheid e la guerra biotica, ma lo stiamo facendo con i capipopolo giusti, e con stile immenso.
«VIVA NOI».
Bizzarria
Ecco la catena alberghiera dell’ultranazionalismo revisionista giapponese

Per chi è stato in viaggio in Giappone il nome APA hotels potrebbe risultare familiare. La catena di alberghi dalla caratteristica insegna arancione è onnipresente nel Paese del Sol Levante, possiede circa 900 strutture alberghiere e in alcune zone urbane la loro densità è incredibile: così a memoria direi che ce ne sono almeno 5 nella zona tra Asakusa e Asakusabashi (due fermate di metro o mezz’ora scarsa a piedi).
La catena ha anche già iniziato la sua espansione nell’America settentrionale, con 40 strutture tra Stati Uniti e Canada.
Di recente ho avuto l’occasione di provare per la prima volta un hotel APA a Kanazawa, dove la catena è nata nei primi anni ottanta. Il giudizio complessivo è positivo: pulito, molto pratico da usare, al netto di stanze piuttosto anguste (ma nella norma nipponica) non posso dire che mi sia mancata alcuna comodità.
Anzi, le stanze dispongono del «bottone buonanotte» (oyasumi botan) cioè un pulsante vicino al comodino che spegne tutte le luci in un colpo solo. Di questo sono particolarmente grato perché mi ha risparmiato la classica caccia agli interruttori che contraddistingue le serate passate negli alberghi meno recenti qui in Giappone – in alcuni ryokan ci sono persone che si rassegnano a dormire con le luci accese per la disperazione, spossati dalla caccia all’interruttore nascosto.
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Un’altra caratteristica degli hotel APA è l’onnipresenza dell’effigie della presidentessa dell’azienda, la buffa Fumiko Motoya, sempre accompagnata da uno dei suoi vistosissimi cappelli (la sua collezione ne conta circa 240).

Fumiko Motoya, di hirune5656 via Wikimedia CC BY 3.0
Insegne, pubblicità, bottiglie di acqua minerale, confezioni di curry liofilizzato: non c’è posto da cui non spunti il sorriso della nostra Fumiko, il tutto ha una lieve sfumatura di culto della personalità da regime totalitario.
Ma quello che porta ripetutamente questa azienda al centro di aspre polemiche non sono i vistosi copricapo del suo presidente, né tanto meno la folle varietà di ristoranti ospitati dagli alberghi APA (a seconda della località mi è capitato di vedere ristoranti italiani, indiani, singaporiani, coreani, caffè in stile europeo, letteralmente la qualsiasi). Si tratta, invece, della cifra politica della catena alberghiera.
Ogni stanza d’albergo ha in dotazione almeno un paio di copie degli scritti del fondatore dell’azienda, Toshio Motoya, storico e ideologo di orientamento decisamente patriottico.
Gli scritti in questione innescano periodicamente polemiche furibonde: il picco era stato raggiunto tra 2016 e 2017, quando il volume che si trovava nelle stanze degli alberghi conteneva una revisione storica del massacro di Nanchino (1937). Apriti cielo: il clima allora era meno liberticida di adesso, si era agli albori dei social media totalitari come li conosciamo oggidì, ma le polemiche in Asia e occidente furono furibonde.
Il bello è che l’autore e l’azienda hanno fatto quello che oggi nessuno fa: nessun passo indietro, nessuna scusa, soltanto ribadire le proprie ragioni in maniera più articolata. In un mondo come quello in cui viviamo, in cui la gogna internettiana ha reso tutti ominicchi, quaquaraquà e, d’altronde love is love, un po’ invertiti, un atteggiamento del genere si può forse definire eroico.
Cotale attitudine mi ha ricordato l’epoca d’oro del movimento ultrà italiano, quando ancora dalle curve, allora libere da qualsiasi controllo da parte di partiti politici, malavita e istituzioni, si alzava il coro liberatorio: «Noi facciamo il cazzo che vogliamo!».
La pagina in inglese dell’azienda usa uno stile revisionistico che in Europa sarebbe ragione sufficiente per arresto, condanna e detenzione. Ve la ricordate la libertà, voi europei? Pensate che brivido trovare in albergo letteratura che rivede il dogma riguardo agli eventi accaduti nei primi anni quaranta tra Polonia, Germania e Austria…
Di fronte alle furiose contestazioni, l’azienda continua imperterrita a fare trovare in ogni camera delle copie di Theoretical modern history (理論近現代文学), i volumi che raccolgono gli scritti del fondatore della catena Motoya. Durante il mio soggiorno a Kanazawa ho avuto modo di leggere alcuni articoli che mi hanno dato una prospettiva diversa della storia giapponese.
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L’insegnamento della storia nel Giappone post bellico ha frequentemente preso l’aspetto di una forma di autoflagellazione (sotto la guida dell’occupante statunitense). Questa colpevolizzazione del paese a scapito di tutte le altre forze coinvolte nel conflitto mondiale raggiunge picchi disturbanti nelle prefetture più sinistrorse del Paese, le così dette H2O (Hiroshima, Hokkaido, Oita).
Ci sono stati casi di genitori che hanno protestato dopo avere sentito che ai figli veniva insegnato che «le bombe atomiche ce le siamo meritate». Dopo decenni di scuse a capo chino, non c’è da stupirsi che parte del Paese inizi a manifestare insofferenza verso questo clima culturale e a volersi riconciliare con la propria storia, senza intenti necessariamente autoassolutori.
L’articolo che riporto nella foto riguardo al pilota suicida (quelli che l’occidente chiama kamikaze, ma che in Giappone sono tokkoutai, 特攻隊、le squadre speciali d’assalto), mi ha ricordato il manifesto elettorale del partito Sanseito, in cui due piloti «kamikaze» sono raffigurati abbracciati e con le lacrime agli occhi, un’immagine dei cosiddetti kamikaze diversa da quella che solitamente ci viene mostrata.
Passare una notte all’APA hotel è stata l’occasione per capire una volta di più che al popolo del Giappone, come a quelli d’Europa, è stato messo sulle spalle il giogo di un senso di colpa che impedisce loro di esistere in quanto tali, costringendoli ad abiurare sé stessi quotidianamente.
Adesso basta, noi facciamo il katsu che vogliamo.
Taro Negishi
Corrispondete di Renovatio 21 da Tokyo
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Immagine di Mr.ちゅらさん via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International; immagine tagliata
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Chirurgo del servizio sanitario pubblico britannico si è fatto amputare le gambe per «gratificazione sessuale»

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Ladro d’auto si ferma a far benzina mentre è inseguito dalla polizia

Eccezionale scena ripresa da varie telecamere: un uomo a bordo di un’Infiniti blu rubata ha condotto la polizia della California in un inseguimento a 160 chilometri orari nel traffico di Losa Angeles, epperò fermandosi a metà inseguimento per fare benzina.
Un video mostra il sospetto di Grand Theft Auto (GTA), cioè furto di macchina, in una stazione di servizio Shell nella zona di Wilshire, a Los Angeles, mentre faceva rifornimento nervosamente con la camicia tirata sul viso – il tutto mentre sapeva di avere la polizia alle calcagna. Il motociclista alla pompa successiva sembrava ignaro della drammatica situazione.
«Non potrebbe comportarsi in modo più sospetto, te lo assicuro», ha commentato il giornalista che stava riprendendo l’inseguimento dall’elicottero. Il cronista volante ha anche notato che non c’era polizia nelle vicinanze, dando all’uomo più di un minuto per fare rifornimento.
What if you needed to fill up with gas in GTA 6? pic.twitter.com/S9argH5k7H
— GTA Sheriff (@GTA_Sheriff) August 24, 2025
GTA suspect STOPS FOR GAS mid pursuit 🔥🏆#inmateswithtalent #prisonlife #losangeles #policechase #gas
(via @ABC7LA) pic.twitter.com/ONWkkjP4rE
— Inmates With Talent (@InmatesWTalent) August 25, 2025
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Dopo aver riavvitato con calma il tappo del serbatoio, l’uomo si è allontanato a tutta velocità, passando poi sotto un cavalcavia per evitare di essere visto dagli elicotteri. Ha quindi abbandonò l’auto (a cui aveva appena fatto il pieno), facendola per qualche ragione schiantare contro un palo della luce. Il reporter dall’elicottero la ha definita «forse la mossa più intelligente della serata».
L’uomo si è quindi dileguato. Di lui, al momento, nessuna traccia – se non il serbatoio pieno dell’auto rubata.
La polizia ritiene che un altro automobilista possa averlo aiutato a fuggire. L’inseguimento ha attirato grande attenzione sui social media, con gli spettatori che hanno seguito increduli la diretta dell’elicottero mentre il sospettato si fermava casualmente per fare benzina durante l’inseguimento.
I commentatori hanno notato l’insolita decisione degli agenti di indietreggiare ripetutamente, una tattica talvolta utilizzata per ridurre il pericolo per il pubblico durante gli inseguimenti ad alta velocità.
È interessante notare che il cavalcavia da cui il sospettato è fuggito è esattamente lo stesso cavalcavia da cui, in un altro recente inseguimento della polizia, il sospettato è sceso da un’autocisterna rubata ed è salito su un altro veicolo rubato, scrive ABC7.
GTA, o Grand Thef Auto, è una popolarissima e pluridecennale serie di videogiuochi open-world incentrato su ogni sorta di violenza stradale, incluso soprattutto il ladrocinio di automobile. Ebbene, crediamo che in nessuna versione di GTA una mossa del genere sia stata tentata.
Pensiamo sempre di averle viste tutte. E invece.
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Immagine screenshot da Twitter
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