Civiltà
Vaccino C-19, la più grande minaccia per l’umanità
La più grande minaccia che l’umanità ha davanti a sé in questo momento è il vaccino per il coronavirus. Non riesco a metterla in modo più semplice di così, ma lo credo fermamente. E cerco di spiegarlo, anche con l’aiuto dell’informatica.
Vaccino incredibile
Li avete sentiti anche voi. Crisanti, Gismondo. I virologi dubitano del nuovo vaccino, non si fidano. Alcuni dicono che non si vaccineranno, e non si tratta di una dichiarazione da poco in un mondo dove lo Stato in teoria non si sta occupando d’altro e l’avvento del vaccino è visto, appunto, come l’avvento del Salvatore. Questo è Natale del divin Vaccino.
La più grande minaccia che l’umanità ha davanti a sé in questo momento è il vaccino per il coronavirus. Non riesco a metterla in modo più semplice di così
Il motivo è semplice: non è credibile per nessuno.
Didier Raoult è il virologo francese, di fama mondiale, ora perseguitato per aver prodotto uno studio sui benefici dell’idrossiclorochina. La storia forse la conoscete: Lancet pubblicò un articolo di statistiche che smentiva Rouault e la sua equipe; l’articolo di accusa fu poi ritirato, perché fatto con i dati di una società praticamente inesistente, una delle cui dipendenti era un’attrice porno. Ancora oggi Wikipedia nelle prime righe della sua pagina lo descrive come colui che «ha guadagnato una significativa attenzione in tutto il mondo durante la pandemia COVID-19 per promuovere l’idrossiclorochina come trattamento per la malattia, nonostante le prove che non funziona».
A Radio Sud France il professor Rouault ha dichiarato che «il vaccino è fantascienza».
«Non entrerò in spiegazioni troppo complicate, ma prendo l’esempio del vaccino antinfluenzale. Ci sono voluti circa quindici anni per stabilizzarlo e, al momento, non è affidabile al 100%. Lì, per una malattia che conosciamo da appena un anno, alcuni laboratori ci danno più del 90% di risultati. No, ma francamente, chi può credere una cosa del genere?».
Didier Raoult: «Non entrerò in spiegazioni troppo complicate, ma prendo l’esempio del vaccino antinfluenzale. Ci sono voluti circa quindici anni per stabilizzarlo e, al momento, non è affidabile al 100%. Lì, per una malattia che conosciamo da appena un anno, alcuni laboratori ci danno più del 90% di risultati. No, ma francamente, chi può credere una cosa del genere?».
Lo stanno credendo tutti i governi. Lo sta credendo la maggior parte della popolazione, che ora, con il secondo lockdown, è divenuta covidiota in percentuali impressionanti.
Un vaccino per un coronavirus non è mai stato trovato – come, lo ricordiamo, un vaccino per l’HIV dopo decenni ancora non lo abbiamo.
Malattie autoimmuni
La tecnologia dell’RNA messaggero (mRNA) mai prima d’ora era stata autorizzata per l’uso umano. Due dei principali vaccini in arrivo, il Pfizer e il Moderna, fanno uso di questa tecnologia sconosciuta. Hanno già avuto l’approvazione di quegli enti, come la FDA americana, che l’avevano sempre respinta, nonostante sia noto che con i vaccini siano di manica larga.
Il dottor Romeo Quijano, professore in pensione di Farmacologia e Tossicologia presso il College of Medicine, Università delle Filippine di Manila, ha notato alcuni dei pericoli dell’editing genetico sperimentale quando applicato ai vaccini umani.
Un vaccino per un coronavirus non è mai stato trovato – come, lo ricordiamo, un vaccino per l’HIV dopo decenni ancora non lo abbiamo.
«L’mRNA esogeno è intrinsecamente immunostimolante (…) Gli effetti paradossi del rilevamento immunitario innato su diversi formati di vaccini a mRNA non sono completamente compresi».
«Un vaccino a base di mRNA potrebbe anche indurre potenti risposte all’interferone di tipo I, che sono state associate non solo all’infiammazione ma anche potenzialmente all’autoimmunità… e possono promuovere la coagulazione del sangue e la formazione di trombi patologici»
Non abbiamo idea, insomma, se questa tecnologia sempre respinta dalle autorità, possa procurare un tale caos nel sistema immunitario da farci ammalare, con gli anticorpi che cominciano ad attaccare il nostro corpo stesso.
«L’mRNA esogeno è intrinsecamente immunostimolante (…) Gli effetti paradossi del rilevamento immunitario innato su diversi formati di vaccini a mRNA non sono completamente compresi»
L’emergenza ha fatto questo miracolo regolatorio: semaforo verde da tutte le autorità possibili, il Pfizer da qualche giorno è già sparato nelle braccia degli inglesi, il primo uomo a riceverlo si chiama William Shakespeare, tanto per ricordare che non è il caso di fare gli amletici («Vaccino o non vaccino?»).
O forse, più sotto, il riferimento è alla Lettera di San Paolo ai Corinzi: «Morte, dov’è il tuo pungiglione?» (1Cor15, 55)
Eccolo il pungiglione, si chiama siringa.
In effetti, c’è il pungiglione e c’è pure la morte.
Queste morti, quando vi capita di leggerle, sono subito ridimensionate: alcuni casi, ci fanno sapere, erano nel gruppo Placebo, oppure la cavia muore per infarto – insomma, nessuna correlazione, così come non esiste la correlazione tra autismo e vaccini
Morti sperimentali
La radio pubblica tedesca Deutsche Welle, il Jerusalem Post e una manciata di giornali australiani – tutto intorno il vuoto pneumatico – hanno pubblicato la notizia che vi sarebbero 6 morti nella sperimentazione del vaccino Pfizer.
AstraZeneca, altro produttore del candidato vaccino, ha avuto un caso di morte nella sperimentazione in Brasile.
Nella sperimentazione di Moderna il morto è consacrato: padre John M. Fields, sacerdote del Patriarcato Cattolico Ucraino della Pennsylvania, è morto il 27 novembre scorso a 70 anni, ufficialmente per «arresto cardiaco»: si era offerto come cavia per la fase finale del vaccino anti-COVID.
Queste morti, quando vi capita di leggerle, sono subito ridimensionate: alcuni casi, ci fanno sapere, erano nel gruppo Placebo, oppure la cavia muore per infarto – insomma, nessuna correlazione, così come non esiste la correlazione tra autismo e vaccini; tuttavia tenete bene a mente che se uno muore in un incidente stradale e la salma è positiva al COVID, quello è da conteggiare come una tremenda tragedia cagionata direttamente dal coronavirus, la correlazione tra morte e COVID è totale e indiscutibile, anche per gli asintomatici.
La correlazione tra morte e COVID è totale e indiscutibile, anche per gli asintomatici
Ma non moriranno solo le cavie. Il complesso sanitario-mediatico ha prontamente messo le mani avanti.
In un articolo sul lancio del vaccino COVID, la CNN afferma che gli americani non dovrebbero allarmarsi se le persone iniziano a morire dopo aver preso il vaccino perché «potrebbero verificarsi decessi che non avranno necessariamente nulla a che fare con il vaccino». Specialmente nelle case di riposo, dove – come il lettore sa – sono morti in massa, con ospizi dove i deceduti per il virus, spesso fatto entrare dalle autorità che vi scaricavano infetti rimbalzati dagli ospedali, arrivava al 50% e pure, in alcuni casi, anche molto sopra.
I morti non si limitano agli esseri umani vaccinati. La morte vuole prendersi pure, ma non è per noi una novità, i non nati.
I morti non si limitano agli esseri umani vaccinati. La morte vuole prendersi pure, ma non è per noi una novità, i non nati
Vaccino contro la fertilità?
La questione più inquietante tuttavia è quella saltata fuori negli ultimi giorni con la campagna di vaccinazione inglese partita: «le donne in età fertile dovrebbero essere avvisate di evitare la gravidanza per almeno 2 mesi dopo la seconda dose».
Si tratta di avvertimenti dalle linee guida dello Stato vaccinatore.
In Un documento di dieci pagine, chiamato «Reg 174 Information for UK Healthcare Professionals» possiamo trovare una sezione chiamata «Fertilità, gravidanza e allattamento». Questa guida al vaccino COVID dice che riguardo al vaccino «dati non ne esistono o sono limitati». Pertanto, non se ne consiglia l’uso per le donne in gravidanza.
«Gli studi di tossicità riproduttiva sugli animali non sono stati completati. Il vaccino COVID-19 mRNA BNT162b2 non è raccomandato durante la gravidanza»
«Gli studi di tossicità riproduttiva sugli animali non sono stati completati. Il vaccino COVID-19 mRNA BNT162b2 non è raccomandato durante la gravidanza», afferma la guida nella sezione 4.6.
«Per le donne in età fertile, la gravidanza dovrebbe essere esclusa prima della vaccinazione».
Entra in scena il dottor Yeadon, ex direttore scientifico del produttore stesso del vaccino, Pfizer. La possibilità che mette sul tavolo è impressionante. Yeadon e un collega hanno presentato una domanda urgente all’Agenzia europea dei medicinali chiedendo la sospensione immediata di tutti gli studi sul vaccino SARS-CoV-2, in particolare il BioNtech-Pfizer.
«Ci si aspetta che le vaccinazioni producano anticorpi contro le proteine spike di SARS-CoV-2. Tuttavia, le proteine spike contengono anche proteine omologhe alla sincitina, che sono essenziali per la formazione della placenta nei mammiferi come gli esseri umani. È assolutamente da escludere che un vaccino contro SARS-CoV-2 possa innescare una reazione immunitaria contro la sincitina-1, poiché altrimenti l’ infertilità di durata indefinita potrebbe colpire le donne vaccinate».
«Per le donne in età fertile, la gravidanza dovrebbe essere esclusa prima della vaccinazione»
In pratica, un vaccino che può rendere infertili le donne.
Lo aveva detto qualche settimana prima, in una bizzarra intervista TV, Paolo Mieli, ex direttore del Corriere della Sera e figlio di Renato Mieli alias «colonnello Raph Merrill», l’uomo che per i servizi inglesi – Psychological Warfare Branch, il ramo per la guerra psicologica– plasmò i media italiani del dopoguerra.
«Lo farei subito, ma se fossi giovane e dovessi avere figli sarei più cauto. La procedura ha avuto qualcosa di sospetto, un modo di comportarsi un po’ frettoloso. Se fossi in età di far figli, per prudenza, aspetterei che lo facessero le persone più anziane»
In pratica, un vaccino che può rendere infertili le donne
Che informazioni aveva il Mieli? Perché improvvisamente sente di doverne parlare?
Abbiamo notato personalmente, tuttavia, che specialmente nella metropoli di Milano, una voce di corridoio simile si poteva registrare presso circoli che nulla hanno a che fare con i no-vax o i complottisti.
Nei circoli delle trentenni si sussurra: non fare il vaccino, non fino a che non hai figliato.
Nei circoli delle trentenni si sussurra: non fare il vaccino, non fino a che non hai figliato. Il fatto stesso che la popolazione accetti quest’idea è di per sé un dato spaventoso
Il fatto stesso che la popolazione accetti quest’idea è di per sé un dato spaventoso.
Single point of failure
Per capire il pericolo esiziale che corre l’intera umanità, è sufficiente avere raziocinio. Essendo nel 2020 la logica una risorsa rarissima, bisogna quindi ricorrere a un semplicissimo concetto di informatica: il Single Point of Failure (SPOF), il singolo punto di vulnerabilità.
In un sistema informatico lo SPOF è una parte del sistema, hardware o software, il cui malfunzionamento può portare ad anomalie o addirittura alla cessazione del servizio da parte dell’intero sistema.
L’informatica quindi, in teoria cerca di evitare i Single point of failure creando sistemi che non caschino grazie alla ridondanza: colpisci un nodo, un altro lo sostituisce. La vulnerabilità è distribuita, al punto che servono quantità di colpi per riuscire a guastare il sistema.
Come Davide con il Gigante Golia: era sufficiente mirare bene alla tempia per tirarlo giù, nonostante la sua possanza. Si tratta di un elemento inevitabile per l’informatica – pensate alla facilità con cui si possono truccare delle elezioni elettroniche, e gli USA cominciano a capirlo ora. Un broglio senza computer non è in grado di tirare giù il sistema, perché se ne colpisce solo una parte. Con il voto informatico, cambia tutto.
L’informatica quindi, in teoria cerca di evitare gli SPOF creando sistemi che non caschino grazie alla ridondanza: colpisci un nodo, un altro lo sostituisce. La vulnerabilità è distribuita, al punto che servono quantità di colpi per riuscire a guastare il sistema.
Ora, bisogna essere pazzi per non vedere come il vaccino dei vaccini, il vaccino del secolo, il vaccino del millennio, la cura miracolosa che guarirà il mondo, non sia il Single Point of Failure del sistema umano.
Il vaccino lo dovranno fare secondo i piani di Paesi, OMS, enti transnazionali, farmaceutiche, covidioti zeloti agguerriti – tutti quanti. Indi per cui qualsiasi problema porti con sé il vaccino, si moltiplicherà per tutte le unità del consorzio umano.
Ora, bisogna essere pazzi per non vedere come il vaccino dei vaccini, il vaccino del secolo, il vaccino del millennio, la cura miracolosa che guarirà il mondo, non sia il Single Point of Failure del sistema umano.
Provate a pensare, rileggendo quello che abbiamo scritto sopra.
Se il vaccino provoca malattie autoimmuni, potrebbero ammalarsi miliardi di persone.
Se il vaccino uccide, potrebbero ammalarsi miliardi di persone.
Se il vaccino rendi sterili, mancheranno all’appello intere generazioni.
Se il vaccino provoca malattie autoimmuni, potrebbero ammalarsi miliardi di persone. Se il vaccino uccide, potrebbero ammalarsi miliardi di persone. Se il vaccino rendi sterili, mancheranno all’appello intere generazioni.
Il lettore può immaginare che niente di tutto questo potrebbe essere casuale; nessuno di questi effetti potrebbe essere «collaterale».
Miliardi di malati farebbero ricche, ancora di più, le farmaceutiche, il cui lavoro, se non lo sapete, è rendervi il più malati possibile, perché, per legge immarcescibile di quel mercato, «farmaco chiama farmaco»: ogni effetto indesiderato di un farmaco si cura con un altro, in una catena pressoché infinita.
Miliardi di morti farebbero felici i Signori della necrocultura malthusiana, dai Rockefeller agli ambientalisti, passando per i grillini, i Bilderberg/Club di Roma etc. La riduzione della popolazione terrestre finalmente sarebbe arrivata, servita via farmaco, come nel serial britannico Utopia (recentemente rifatto da Amazon in USA) e come sperimentato nella realtà, secondi i vescovi locali, in Kenya.
Miliardi di donne rese sterili attutirebbero lo scenario apocalittico, ma centrerebbero nel medio periodo l’imperativo della decrescita, aprendo a scenari di declino più controllato (la loro specialità) sulla scia de I figli degli uomini, la storia inventata dall’aristocratico membro della Camera dei Lord P.D. James, il cui mondo senza prole è stato portato sullo schermo da Alfonso Cuaron nella pellicola omonima.
Miliardi di malati farebbero ricche, ancora di più, le farmaceutiche, il cui lavoro, se non lo sapete, è rendervi il più malati possibile, perché, per legge immarcescibile di quel mercato, «farmaco chiama farmaco»: ogni effetto indesiderato di un farmaco si cura con un altro, in una catena pressoché infinita.
Stiamo parlando, insomma, dei desiderata delle élite.
E a chi crede poco plausibile questa visione «informatica» della pandemia, si fermi un secondo a realizzare che l’uomo che spunta ovunque in tutta questa storia, Bill Gates, è l’informatico più ricco del mondo.
L’idea di controllo di Gates mantiene la sua origine computeristica: del resto un virus è solo un pezzo di codice in grado di iniettarsi in un altro codice e fare impazzire il sistema – quelli dei pc si chiamano, appunto, virus, e casualmente l’unica piattaforma ad avere problemi virali è proprio Windows, lo strumento che ha permesso a Gates di entrare nelle case di tutta l’umanità.
Ora siamo andati oltre: non solo nelle case, vogliono entrare nel nostro corpo.
E a chi crede poco plausibile questa visione «informatica» della pandemia, si fermi un secondo a realizzare che l’uomo che spunta ovunque in tutta questa storia, Bill Gates, è l’informatico più ricco del mondo
Due anni fa Gates aveva dichiarato che sarebbe «una tragedia» se tralasciassimo di usare il CRISPR, la tecnologia di editing genetico di ultima generazione. Finanziò la ricerca genetica per una super-mucca OGM in grado di sfamare l’Africa. Nel frattempo, lui e la moglie, se non stavano parlando di vaccini – e finanziando enti transnazionali con miliardi di dollari, più gli investimenti diretti sulle farmaceutiche che li producono – stavano discutendo di Controllo delle Nascite, con milionate su milionate regalate a Planned Parenthood.
Difficile pensare che queste due passioni non si possano incontrare.
Pianeta SV 40
Se credete che l’idea sia troppo spinta, vi devo informare di un fatto spiacevole: è già successo.
Il Single Point of Failure vaccinale potrebbe aver agito già un in caso tragico, i cui effetti, nonostante qualche valoroso ricercatore, devono ancora essere quantificati.
Il Single Point of Failure vaccinale potrebbe aver agito già un in caso tragico, i cui effetti, nonostante qualche valoroso ricercatore, devono ancora essere quantificati: la vaccinazione per la polio
L’eradicazione vaccinale della Poliomelite fu uno degli eventi più importanti del dopoguerra. Ebbe una sua importanza geopolitica: i primi ad arrivare al vaccino furono gli americani, i russi – che facevano gli esperimenti sui figli degli scienziati – seguivano a ruota.
C’era anche allora, anche se meno di adesso, una fretta tutta politica di arrivare al risultato.
Fu così che per fare l’antipolio utilizzarono delle cellule-ospiti a cui doveva attaccarsi il virus da oculare. Si trattava di cellule di rene di Macaco.
L’epidemia invisibile di SV-40 è stato il primo esempio concreto del Single Point of Failure vaccinale
Non sapevano che tali cellule contenevano un ospite inaspettato, un polyamovirus, un virion, chiamato Simian Virus 40 (SV-40).
L’SV-40 naturalmente contenuto nel corpo delle scimmie, alle quali non produce alcun effetto: sta dentro le loro cellule, come se avesse trovato un equilibrio con l’organismo della scimmia.
Nonostante l’idea darwiniana, la tranquillità dell’SV-40 si perde completamente quando lo si inserisce in altre specie. Se ne resero conto nel 1960, dopo un lustro che già stavano distribuendo l’antipolio. Nel 1961 si trovarono evidenze di come l’SV-40 creasse tumori se iniettato nei topi.
Studi a cavallo del 2000 – tanto ci volle perché qualcuno osasse intraprenderli: 40 anni – correlarono la presenza dell’SV-40 contratto con la vaccinazione anti-polio a forme di tumore pure negli esseri umani: cervello, scheletro, mesotelioma, linfoma non Hodgkin
Studi a cavallo del 2000 – tanto ci volle perché qualcuno osasse intraprenderli: 40 anni – correlarono la presenza dell’SV-40 contratto con la vaccinazione anti-polio a forme di tumore pure negli esseri umani: cervello, scheletro, mesotelioma, linfoma non Hodgkin. La questione, dice persino la Treccani online, c’è ma è «tuttora controverso il ruolo del SV-40 nell’insorgenza di alcuni tumori umani (mesoteliomi, osteosarcomi)». Wikipedia, nella sua pagina italiana sul virus, scorda di menzionare l’epidemia causata dal vaccino, ma gli resta quel briciolo di onestà per ammettere che «l’ipotesi che SV40 potesse causare il cancro negli esseri umani è stata un campo di ricerca particolarmente discusso».
Tracce di SV40 vengono infatti trovate in molti tumori. Come non pensare ad una correlazione tra il virus nel vaccino e la percentuale dei malati di cancro esplosa esponenzialmente?
Qualcuno azzarda che non si tratta del danno di poche decine di milioni di americani: si tratta di un vaccino poi copiato su tutta la terra, anche nel Terzo Mondo e oltrecortina. Africa, Unione Sovietica, Cina. Parliamo di miliardi di potenzialmente infetti.
Tracce di SV40 vengono infatti trovate in molti tumori. Come non pensare ad una correlazione tra il virus nel vaccino e la percentuale dei malati di cancro esplosa esponenzialmente?
L’epidemia invisibile di SV-40 è stato il primo esempio concreto del Single Point of Failure vaccinale.
Credere alle rassicurazioni di medici, politici, filantropi pare ora davvero ingenuo.
L’umanità è davanti alla più grande minaccia alla sua esistenza. L’unione della sua credulità con la siringa dei Padroni del Mondo.
Di mio non posso che ripeterlo anche ai lettori: non fatelo. Per nessuna ragione al mondo.
L’umanità è davanti alla più grande minaccia alla sua esistenza. L’unione della sua credulità con la siringa dei Padroni del Mondo.
Non rendete voi e i vostri cari vulnerabili al Male e ai suoi progetti.
Roberto Dal Bosco
Articolo previamente apparso su EFFEDIEFFE, pubblicato per gentile concessione dell’editore
Civiltà
Orban: Trump comprende il «declino della civiltà» europea
Il primo ministro ungherese Vittorio Orban ha dichiarato che il presidente statunitense Donald Trump comprende perfettamente il declino in atto in Europa.
La nuova Strategia per la Sicurezza Nazionale americana (NSS), resa pubblica la settimana scorsa, contiene una dura critica all’indirizzo politico e culturale dell’Unione Europea: accusa Bruxelles di eccessiva burocrazia, di politiche migratorie destabilizzanti, di «cancellazione della civiltà» e di repressione dell’opposizione, esortando esplicitamente i «partiti patriottici europei» a difendere le libertà democratiche e a celebrare «senza imbarazzi» l’identità nazionale.
«L’America ha una diagnosi lucidissima del declino europeo. Vede il crollo di civiltà contro il quale noi ungheresi combattiamo da quindici anni», ha scritto Orbán giovedì su X.
In carica dal 2010, Orban sostiene da tempo che l’UE stia affondando sotto il peso della stagnazione economica e della pressione migratoria. Propone il modello ungherese – forte sovranità nazionale, confini rigorosamente controllati e valori sociali conservatori – come antidoto alla crisi strutturale del continente.
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Il premier magiaro ha inoltre attaccato la gestione europea del conflitto ucraino, definendo un errore madornale l’interruzione di ogni canale con Mosca e sottolineando che oggi gli Stati Uniti riconoscono la necessità di ristabilire rapporti strategici con la Russia. Orban ha invitato l’Occidente a privilegiare la via diplomatica con il Cremlino invece di continuare a «bruciare miliardi» nella guerra, una linea che coincide con la svolta negoziale impressa da Trump.
Mosca ha salutato con favore diversi passaggi dell’NSS, considerandoli in larga parte coincidenti con la propria visione strategica, e ha lasciato intendere che il documento potrebbe aprire nuove prospettive di cooperazione tra Russia e Stati Uniti.
Nell’UE la reazione è stata invece di netta condanna. L’Alto rappresentante Kaja Kallas ha parlato di «provocazione deliberata». Il presidente del Consiglio Europeo António Costa ha messo in guardia Washington contro «ingerenze nella vita politica europea». Il cancelliere tedesco Friedrich Merz ha definito alcune affermazioni «inaccettabili».
I rapporti tra Stati Uniti e Unione Europea sono ai minimi termini da quando Trump è rientrato alla Casa Bianca a gennaio: i contrasti si sono moltiplicati su commercio, spese per la difesa, regolamentazione digitale e strategia verso l’Ucraina.
Come riportato da Renovatio 21, Trump in settimana ha dichiarato che persone «deboli» guidano un’Europa «in decadenza».
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Civiltà
Gli Stati Uniti mettono in guardia l’Europa dalla «cancellazione della civiltà»
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Civiltà
Da Pico all’Intelligenza Artificiale. Noi modernissimi e la nostra «potenza» tecnica
Se Pico della Mirandola fosse vissuto nel nostro secolo felice, non avrebbe avuto di certo le grane che gli procurò la Chiesa del suo tempo.
Avrebbe potuto discutere tranquillamente le sue 900 tesi, tutte più o meno volte a dimostrare la grandezza dello spirito e dell’ingegno umano. Soprattutto avrebbe venduto in ogni filiale Mondadori milioni di copie del proprio best seller sulla superiorità dell’uomo e della sua creatività benefica, ben rappresentata in Sistina dall’ eloquente immagine delle mani di un possente Adamo e del suo creatore, che si sfiorano e dove, in effetti, non si sa bene quale sia quella dell’ essere più potente.
Insomma Pico non avrebbe dovuto darsela a gambe nottetempo da Roma per finire prematuramente i propri giorni nelle terre avite, raggiunto da una febbre malsana di origine sconosciuta, manco gli fosse stato iniettato a tradimento un vaccino anti-COVID. Eppure era stato frainteso, o a Roma si era temuto che potesse essere frainteso dai suoi contemporanei e dai posteri. Che avrebbero potuto interpretare quella sbandierata superiorità dell’uomo come una divinizzazione capace di escludere la sua condizione di creatura.
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Ma oggi proprio così fraintesa, quella affermata superiorità dell’uomo faber serve ad alimentare la accettazione compiaciuta di qualunque gabbia tecnologica in cui ci si consegna per essere tenuti volontariamente in ostaggio. Sullo sfondo, l’ambizione tutta moderna ad essere liberati dalla condizione involontaria di creature, e dall’inconveniente di una fatale finitezza. Non per nulla la prima cosa di cui si incarica la scuola è quella di rassicurare i bambini circa la loro consolante discendenza dalle scimmie.
Ed è con questa superiorità che hanno a che fare le meraviglie abbaglianti della tecnica.
Dopo la navigazione di bolina e la scoperta dell’America, dopo il telaio meccanico e la ghigliottina, l’idea della onnipotenza umana ha trovato conferma definitiva in quella che a suo tempo è apparsa la conquista più ingegnosa della tecnica moderna: la capacità di uccidere il maggior numero di individui nel minor tempo possibile. Gaetano Filangeri annotava infatti già alla fine del Settecento come fosse proprio questo il massimo motivo di compiacimento che emergeva dai discorsi di tutti i politici incontrati in Europa.
Di qui, di meraviglia in meraviglia, si è capito che non solo si possono fare miracoli, prescindendo dalla natura, ma che è possibile un’altra natura, prodotta dall’uomo creatore. E se Dio il settimo giorno riconobbe che quanto aveva creato era anche buono, non si vede perché non lo debba pensare anche l’evoluto tecnico, o il legislatore o il giudice che si scopra signore della vita e della morte.
Sia che crei la pecora Dolly, o inventi il figlio della «madre intenzionale», o renda una coppia di maschi miracolosamente fertile, oppure stabilisca chi e come debba essere soppresso perché inutile o semplicemente desideroso di morire per mano altrui.
O, ancora, applichi a scatola chiusa quel criterio della morte cerebrale che serve a dare qualcuno per morto anche se è vivo. Una trovata perfetta capace di salvare capra e cavoli: perché mentre soddisfa la sacrosanta aspirazione del cliente ad ottenere un pezzo di ricambio per il proprio organo in disuso, appone sull’operazione il sigillo altrettanto sacrosanto della scientificità, che tranquillizza tutti e preserva dalle patrie galere.
Con la tecnica si manipolano le cose ma anche i linguaggi e quindi le coscienze. Si può mettere pubblicamente a tema se sterminare una popolazione inerme etnicamente individuata seppellendola sotto le sue case, costituisca o meno genocidio. Con la logica conseguenza che, se la risposta fosse negativa, la cosa dovrebbe essere considerata politicamente corretta mentre l’eventuale giudizio morale può essere lasciato tranquillamente sui gusti personali.
Tuttavia senza l’approdo ultimo alla cosiddetta «Intelligenza Artificiale», tutte le meraviglie del nostro tempo non avrebbero potuto elevare il moderno creatore tecnologico alla odierna apoteosi, molto vicina a quella con cui i romani presero a divinizzare i loro imperatori, senza andare troppo per il sottile.
Anzi, dopo più di un secolo di riflessione filosofica, di scrupoli, timori, ansie e visioni apocalittiche, di pessimismo sistematico e speranze di redenzione, di fughe in avanti e pentimenti inconsolabili come quello di chi dopo avere donato al mondo la bomba atomica ne aveva verificato meravigliato gli effetti, dopo tanta fatica di pensiero, le acque sembrano tornate improvvisamente tranquille proprio attorno all’oasi felice della cosiddetta «Intelligenza Artificiale».
Ogni dubbio antico e nuovo su dominio della tecnica ed emancipazione umana potere e libertà, civiltà e barbarie, sembra essersi dissolto in un compiacimento che non risparmia pensatori pubblici e privati, di qualunque fascia accademica, e di qualunque canale televisivo. Anche l’antico monito di Prometeo che diceva di avere dato agli uomini «le false speranze» ha perso di significato, di fronte a questo nuovissimo miracolo che entusiasma quanti, quasi inebriati, toccano con mano i vantaggi di questa nuova manna. Mentre le più ovvie distinzioni da fare e la riflessione doverosa sui problemi capitali di fondo che il fenomeno pone, sembrano sparire da ogni orizzonte speculativo.
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Dunque si può tornare a dire «In principio fu la meraviglia» ovvero lo stupore e il timore reverenziale di fronte alla potenze soverchianti della natura che portarono il primo uomo a venerare il sole e la madre terra e a riconoscere una volontà superiore davanti alla quale occorreva prostrasi. Eppure allora iniziò anche qualche non insignificante riflessione sull’essere umano e sul suo destino.
Oggi lo stupore induce al riconoscimento ottimistico di una nuova forza creatrice tutta umana e quindi controllabile e allo affidamento alle sorti progressive che comunque si ritengono assicurate.
Incanta il miracolo nuovo che eliminando la fatica di fare e pensare induce compiacimento e fiducia. Il discorso attorno a questo miracolo non ha alcuna pretesa filosofica perché assorbito dalla meraviglia si blocca sulla categoria dell’utile. La prepotenza della funzione utilitaristica assorbe la riflessione critica. Non ci si preoccupa perché la tecnica «non pensa» come vedeva Heidegger alludendo alla indifferenza dei suoi creatori circa la qualità delle conseguenze. La constatazione trionfalistica dell’utile fornito in sovrabbondanza dalla tecnica basta a fugare ogni scrupolo, ogni dubbio, ogni timore, ogni preoccupazione sui risvolti esistenziali non più e non solo derivanti dalla volontà di dominio delle centrali di potere che la governano.
Viene eluso in modo sorprendente il nodo centrale del fatale immiserimento delle capacità critiche logiche e speculative, in particolare di quelle del tutto indifese, perché non ancora formate, dei più giovani, esposti ad un progressivo e forse irrecuperabile deterioramento intellettuale. Eppure questa avrebbe dovuto essere la preoccupazione principale sentita da una civiltà evoluta.
Come accadde in tempi lontanissimi all’avvento della scrittura, quando ci si chiese se essa avrebbe mortificato le capacità mnemoniche di popolazioni che avevano fondato la propria cultura sulla tradizione orale.
Noi ci compiaciamo dell’avvento della scrittura, che ci ha permesso di tesaurizzare quanto del pensiero umano altrimenti sarebbe andato perduto. Ma ciò non toglie che quella coscienza arcaica avesse chiaro il senso dei propri talenti e avesse la preoccupazione della possibile perdita di una capacità straordinaria acquisita nel tempo, dello straordinario patrimonio accumulato grazie ad essa e in virtù della quale quel patrimonio avrebbe potuto essere trasmesso, pur con altri mezzi.
la mancanza di questa preoccupazione prova una inconsapevoleza e un arretramento culturale senza precedenti, ed è lecito chiedersi se tutto questo non sia già il frutto avvelenato proprio delle acquisizioni tecnologiche già incorporate nel recente passato.
La riflessione dell’uomo sulle proprie possibilità ha accompagnato la «consapevolezza della propria ignoranza e le domande fondamentali sull’origine dell’universo e sul significato dell’essere». Ma presto, il pensiero greco aveva messo in guardia l’homo faber dalla tracotante volontà di potenza di fronte alla natura e alle sue leggi, e aveva eletto a somma virtù la misura. Esortava a quella conoscenza del limite oltre il quale c’è l’ignoto. Hic sunt leones! Come avrebbero scritto gli antichi cartografi.
Del resto la saggezza antica suggeriva anche di tenere ben distinto il mondo dei mortali da quello incorruttibile degli dei che ai primi rimaneva precluso. La stessa divinizzazione degli imperatori romani era una messinscena politico demagogica sulla quale si poteva anche imbastire una satira feroce.
Il valore dell’uomo si misurava sulle imprese di quelli che erano capaci di lasciare il segno in una storia che inghiottiva tutti gli altri, senza residui.
Poi per gli umanisti in generale, a destare meraviglia fu l’uomo in se’, ovvero l’essere superiore capace di dotarsi di pensiero filosofico e speculativo, e di un bagaglio culturale elevato, in cui vedere riflessa la propria superiorità. Pico scrive il manifesto di questo riconoscimento intitolandolo Oratio Hominis dignitate. La grandezza dell’uomo non si esprime in opere dell’ingegno ma nella capacità di rigenerarsi come essere superiore. Attraverso la ragione può diventare animale celeste, grazie all’intelletto, angelo e figlio di Dio. È la potenza del pensiero a farne il signore dell’universo accanto all’Altissimo. Del quale però rimane creatura. Precisazione indispensabile per Pico, che doveva salvarsi l’anima, se non la vita. Gli artisti cominciavano a firmare le proprie opere ma l’arte era ancora la scintilla divina che essi riconoscevano nel proprio creare.
Col tempo, la vertiginosa progressione tecnica fino alla impennata tecnologica contemporanea ha invece condotto l’uomo contemporaneo, ad un senso di sé che si declina come volontà di potenza espressa nelle opere dell’ingegno di cui egli è creatore e fruitore.
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Tuttavia, se la tecnica serve per uccidere il maggior numero di uomini nel minor tempo possibile, si capisce come da nuova meraviglia e nuova natura, possa farsi problema. Si è presa coscienza vera delle sue applicazioni e implicazioni economiche, politiche, e antropologiche in senso ampio, della mercificazione umana di cui diventa portatrice. Ma anche della necessità di risalire alla matrice prima di questo processo, ovvero alla ragione, la dote distintiva dell’uomo che da guida luminosa può degenerare in mezzo di autodistruzione.
Giovanbattista Vico aveva visto nelle sue degenerazioni il germe di una seconda barbarie. Quella stessa ragione che ha scoperto i mezzi per vincere l’ostilità della natura, procurare condizioni più favorevoli di vita, e controllare la paura dell’ignoto, ha sviluppato la tecnica, soprattutto nella modernità occidentale, secondo una progressione geometrica. Ma questa stessa ragione umana da fattore di liberazione si rovescia in strumento di dominio, proprio attraverso la tecnica.
Tale rovesciamento, come è noto, è stato al centro della Dialettica dell’illuminismo di Horkheimer e Adorno che lo hanno fissato genialmente nell’incipit memorabile: «L’illuminismo ha sempre perseguito il fine di togliere all’uomo la paura dell’ignoto, ma la terra interamente illuminata, splende all’insegna di trionfale sventura». Dove per illuminismo si allude appunto all’impiego della ragione calcolante, e al suo sforzo primigenio per vincere lo smarrimento e la sottomissione indotte dalle forze della natura. Ma il mondo creato attraverso il processo di razionalizzazione diventa a sua volta naturale e quindi domina i rapporti umani, ne produce la reificazione, e a sua volta risulta ingovernabile. Dunque la ragione è creatrice degli strumenti di dominio sotto la maschera della liberazione.
Questi autori hanno visto da vicino, anche per esperienza personale, come l’avanzata incessante del progresso tecnico possa diventare incessante regressione verso quella seconda barbarie preconizzata da Vico tre secoli prima. Hanno visto la barbarie ideologica e pratica prodotta dai sistemi totalitari. E poi, una volta emigrati negli Stati Uniti, lo imbarbarimento di una società che dal di fuori era ritenuta politicamente più evoluta. Avevano constatato come l’umanità del XX secolo avesse potuto regredire a «livelli antropologici primitivi che convivevano con stadi più evoluti del progresso».
E infine, come in questo orizzonte regressivo i capi avessero «l’aspetto di parrucchieri, attori di provincia, giornalisti da strapazzo», «al vuoto di un capo, corrispondesse una massa vuota, e alla coercizione quella adesione generalizzata che rende la prima quasi irreversibile». Inutile dire che di questi fenomeni abbiamo ora sotto gli occhi la forma più compiuta.
Con la modernità la ragione che per Pico avvicinava l’uomo a Dio, è diventata irrimediabilmente strumentale e soggettiva. Non si mette in discussione la qualità dei fini ma si adotta in ogni campo e senza riserve, fraintendendone il senso, la lezione di Machiavelli. Non per nulla, nella versione Reader’s Digest, questo rimane l’autore di riferimento, dei teorici dell’espansionismo imperiale e americano fino ai giorni nostri.
Ma se con la ragione strumentale si impone la logica dei rapporti di forza, questa, portata alle estreme conseguenze,, fa cadere anche il limite e il discrimine tra bene e male, secondo la filosofia di De Sade, che sembra farsi largo in una società ormai nichilista. Così negli ospedali londinesi si possono sopprimere impunemente i neonati troppo costosi per il sistema sanitario, a dispetto dei genitori. Si possono destabilizzare i governi a dispetto dei popoli, si possono roversciare i canoni etici, estetici, religiosi e logico razionali.
Dunque, quella diagnosi pessimistica, dovrebbe tornare quanto mai attuale oggi che l’approdo alla cosiddetta intelligenza artificiale si è compiuto, ed essa è già diabolicamnete applicata all’insaputa delle vittime, o trionfalmente accolta dai suoi ammirati fruitori. Torna attuale per avere messo a tema la torsione della ragione liberatrice in strumento di dominio anche se non era ancora possibile intravedere il rovesciamento ulteriore, l’Ultima Thule della autoschiavizzazione che avviene con la sottomissione spontanea e felice alla sovraestensione tecnologica.
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Invece sembra che si sia dimenticata, per incanto, tutta la riflessione intorno alla tecnica , che ha affaticato il pensiero di un intero secolo. Ora che le metamorfosi di una intera Civiltà, diventate presto di dimensioni planetarie, mostrano più che mai la necessità di riprendere il tema filosofico per eccellenza, sulla essenza e sul destino dell’uomo.
Ed è con questo tema che noi abbiamo a che fare più che mai. Infatti non si tratta più o non solo di prendere coscienza della esistenza di centri di potere che hanno in mano le redini degli strumenti con cui siamo dominati. Perché questa, bene o male, è diventata coscienza abbastanza diffusa almeno in quella parte di dominati che hanno la capacità di riflettere sulla propria condizione di sudditanza.
Tutti più o meno si sono accorti della manipolazione del consenso e della potenza della pubblicità e della forza della propaganda. Nonché della dipendenza dalla tecnologia e delle sue controindicazioni. Anche se ogni diffidenza e ogni riconoscimento di dipendenza viene poi spesso temperato dalla convinzione che si possa comunque controllare lo strumento.
Il salto di qualità l’ha prodotto la meraviglia. Questa volta non turbata dal timore della propria impotenza. L’utile immediato è metafisico, e il miracolo salvifico non megtte in discussione la bontà della volontà che lo genera. Il miracolo crea fedeli e discepoli confortati. Gli agnostici tutt’al più vogliono toccare con mano, anche Tommaso diventa il più convinto dei credenti di fronte alla evidenza dei risultati. Ogni aspetto problematico della faccenda viene messo da parte perché è comunque meglio una gallina oggi che un uovo domani.
Sotto a tanta meravigliosa e meravigliata fiducia c’è la rinnovata fede nella divinità del genio umano che comunque appare lavorare per il bene dei mortali. Un bene tangibile, pronto e tutto svelato, nonché senz’altro proficuo per le nuove generazioni sollevate dalla fatica inutile di imparare a leggere, scrivere e fare di conto, e soprattutto da quella pericolosa attitudine a pensare, ricordare, esplorare e guardare al di là del proprio particulare.
Ancora una volta è dunque la ragione calcolante che dopo avere rinchiuso gli uomini nella gabbia dell’utile materialmente ponderabile tenuta dal potere, fa sì che essi vi si rinchiudano con rinnovato entusiaimo e di propria iniziativa. Insomma non si tratta più di un ingranaggio di dominio e manipolazione subito e del quale non tutti e non sempre hanno acquistato chiara consapevolezza. Si tratta della rinuncia volontaria alla propria capacità di autonomia e di sviluppo delle facoltà speculative destinate ad immiserirsi e isterilirsi per abbandono progressivo, e infine per non uso.
Di certo la difficoltà di uscire dall’ingranaggio, di fronte alla prepotenza dell’ordigno e alla accondiscendenza crescente degli stessi entusiasti utilizzatori diventa oggi drammatica quanto sottovalutata. Gli stessi Horkheimer e Adorno avevano esitato a proporre una soluzione per il problema, più oggettivamnete contenuto, che avevano affrontato allora con tanta acribia. Non bisogna però sottovalutare il suggerimento che essi formularono alla fine, ipotizzando la possibilità di riportare proprio la ragione calcolante alla autoriflessione sul proprio invasivo precipitato tecnologico.
Una soluzione utopica , si è detto, perché la ragione rinnegando se stessa dovrebbe paradossalmente rinunciare a tutto quello che ha anche fornito all’uomo come mezzi di sopravvivenza e di emancipazione dai condizionamenti della natura. Tuttavia non è insensato pensare che la autoriflessione possa condurre a stabilire il confine invalicabile oltre il quale il costo umano capovolge il senso stesso del calcolo razionale togliendo ad esso ogni giustificazione logica. Si tratta di vedere con disincanto tutta la realtà dei nuovi giocattoli antropofagi. Perché di questo si tratta: quella innescata dalle nuove frontiere della tecnica altro non è che autodistruzione morale e materiale, consegna senza scampo all’arbitrio incontrollabile di una potenza che fugge anche al controllo di chi la mette in moto.
Se «dialettica dell’illuminismo» significava nella riflessione dei suoi autori, rovesciamento della promessa di emancipazione della ragione in dominio e schiavizzazione sotto mentite spoglie, di questo rovesciamento la cosiddetta Intelligenza Artificiale è il compimento funesto e pericolosissimo perché capace non soltanto di neutralizzare attualmente ogni difesa, ma anche di isterilire nel tempo ogni potenzialità critica e speculativa. E appare del tutto irrisorio obiettare che è possibile controllare il processo perchè si è consapevoli che in ogni caso il meccanismo è un prodotto umano. Come se la valanga provocata dalla dinamite fosse per ciò stesso anche arrestabile.
Converrebbe piuttosto ricordare il monito di Benedetto XVI sulla necessità di allargare un concetto di ragione oramai ridotta a ragione calcolante per riconoscere di nuovo ad essa la funzione di guidare gli uomini verso l’ orizzonte spiritualmente ed eticamente più ampio ed elevato della cura e della vita buona, della consapevolezza e della corrispondenza tra il pensiero e il bene che va oltre l’immediatamente utile.
Per questo forse non basta lo sforzo di autoriflessione suggerito nella Dialettica dell’illuminismo, occorre ritrovare quel senso della trascendenza che allarga la mente oltre il vicolo cieco e le secche di un pensiero senza la luce di fini più grandi dell’utile contabile ed immediato.
Quell’uomo non a caso tanto presto dimenticato, perchè incompatibile con la miseria dei tempi, aveva compreso perfettamente, dall’alto di una grande intelligenza e di una solida fede, che sul ciglio del baratro occorre tornare indietro e buttare al macero «le false speranze».
Patrizia Fermani
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Immagine screenshot da YouTube
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