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Vaccini, un sacerdote scrive al giornale dei vescovi

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Renovatio 21 pubblica in esclusiva la lettera che Don Marco Belleri, parroco nel Grossetano, ha inviato a Marco Tarquinio, direttore di Avvenire, il giornale della Conferenza Episcopale Italiana. Come Don Marco, siamo anche noi in attesa di una risposta da parte del giornale vescovile.

 

 

Seggiano, 10/04/2018

 

Signor direttore,

 

mi hanno mostrato Popotus del 13 marzo dal titolo ‘Tempo scaduto’, riguardo alla legge sui vaccini. Anche se in ritardo voglio dirle alcune cose. Mi scuso in anticipo per il tono polemico ma, tenuto conto di tante cose lette sui giornali cattolici, non so scriverle in altro modo. I primi due punti riguardano i modi, il terzo i contenuti.

 

Mi sembra molto irrispettoso, oltre che superficiale, far passare più o meno come delinquenti o comunque fannulloni  ideologicizzati tanti genitori seri e attenti che non bevono tutto con l’imbuto ma manifestano perplessità tutt’altro che banali sulla legge Lorenzin (caso mai non lo sapeste ci sono migliaia di medici, pediatri, virologi di grande valore che hanno simili perplessità)

 

Per prima cosa quando ci si pone con arroganza a giudicare gli altri bisognerebbe almeno evitare di dire tante scemenze, come che la vaccinazione protegge dal tetano chi non è vaccinato o parlare di ‘epidemia di morbillo più virulenta della storia del nostro paese’.

 

In secondo luogo mi sembra molto irrispettoso, oltre che superficiale, far passare più o meno come delinquenti o comunque fannulloni  ideologicizzati tanti genitori seri e attenti che non bevono tutto con l’imbuto ma manifestano perplessità tutt’altro che banali sulla legge Lorenzin (caso mai non lo sapeste ci sono migliaia di medici, pediatri, virologi di grande valore che hanno simili perplessità).

 

Ora mettete la ciliegina sulla torta facendo in modo che siano i bambini stessi a emarginare i loro amichetti ‘per colpa dei loro genitori’.

 

Per ultimo voglio entrare nella questione più tecnica; non per ripetere quello che ho abbondantemente esposto nelle lettere a mons. Parolin, alla Pontificia Accademia per la Vita e a Famiglia cristiana, di cui vi ho mandato copia, ma per richiamare un documento importantissimo messo a tacere ad arte: la relazione finale della commissione parlamentare d’inchiesta sulle morti e malattie gravi dei militari italiani in missione.

 

I mezzi di comunicazione ufficiali hanno riferito all’unisono dei danni causati dall’uranio impoverito, ma per la maggior parte della relazione finale della commissione parlamentare d’inchiesta sulle morti e malattie gravi dei militari italiani in missione si parla di vaccinazioni come causa principale di centinaia di morti e gravi malattie nei militari anche lontani da luoghi di missione

 

Il modo con cui è stato oscurato il contenuto è l’emblema di come è stato portato avanti questo indecente atto di forza della legge Lorenzin.

 

I mezzi di comunicazione ufficiali hanno riferito all’unisono dei danni causati dall’uranio impoverito, ma per la maggior parte del testo si parla di vaccinazioni come causa principale di centinaia di morti e gravi malattie nei militari anche lontani da luoghi di missione.

 

La commissione era formata da trenta parlamentari di diverse tendenze coadiuvati da diversi team scientifici di altissima caratura nazionale.

 

Nel lungo documento sono presenti gran parte delle perplessità  manifestate da medici e genitori, confermate da quattro anni di studi approfonditi; ne riporto solo pochi aspetti come esempio. Si parla di immunosoppressione, iperimmunizzazione, autoimmunità, ipersensibilità, disorganizzazione del sistema immunitario.

 

Vengono riportate le decine di inviti a vari tipi di controlli indicati dalle case farmaceutiche prima di vaccinare; ma il ministro della salute diceva che i vaccini sono sicuri e non c’era da fare alcun controllo. E’ arrivata a mandare circolari ai pediatri dicendo di non avallare le richieste di esame pre vaccinale fatte dai genitori.  (N.B. i vaccini fatti ai bambini sono gli stessi di quelli dei militari).

 

La commissione sottolinea la grossa quantità di contaminanti assunti, compresi virus e batteri, nonché DNA umano e animale. Parla esplicitamente di reazioni autoimmuni contro il DNA umano (non ritorno sulle pietose parole di mons. Paglia riguardo all’argomento).

Riassume le patologie tumorali legate al processo di immunizzazione riscontrate in centinaia di militari.

 

La relazione intermedia di luglio ha allarmato la Lorenzin che ha immediatamente commissionato uno studio scientifico per confutare, in un mese, gli esiti di anni di serie e approfondite ricerche. Studio ridicolo, fatto in una situazione di plateale conflitto di interessi, in modo superficiale e con personale non all’altezza, come sottolinea nella stesura finale la stessa commissione.

 

Alla fine il tutto è stato completato con la messa a tacere a livello nazionale del vero contenuto del lavoro della commissione. Un discorso interessato a senso unico da sempre si difende solo urlando e eliminando con ogni mezzo tutti gli ostacoli.

 

Quando si dice una cosa, anche in parte vera, ma se ne mettono a tacere tante altre correlate, si tradisce e si inganna la gente per meschini interessi ( l’EMA è finanziata per circa l’85% dalle case farmaceutiche; è più o meno rappresentativo del rapporto tra le scelte per il proprio interesse e quelle per il bene della gente).

Queste omissioni  per i responsabili politici possono configurarsi come un crimine; per i responsabili religiosi ripeterle pedissequamente significa tradire la verità e Dio stesso.

 

Queste omissioni  per i responsabili politici possono configurarsi come un crimine; per i responsabili religiosi ripeterle pedissequamente significa tradire la verità e Dio stesso.

 

Mi auguro che la Chiesa sappia rapportarsi in modo più autonomo e onesto con quello che viene propugnato dagli interessi del mondo; ricordando che anche in questo campo, come in ogni campo, una menzogna non diventa verità perché se ne moltiplica la diffusione, né la verità diventa menzogna perché pochi la vedono.

 

So che siete in grado di non interrogarvi, affermando al tempo stesso di farlo con onestà, e di rispedire le critiche al mittente. Spero non lo facciate; non per me, ma per voi stessi, per il bene della Chiesa e per tutti.

 

Spero che leggiate la relazione della commissione e vi scusiate coi vostri lettori.

 

 

Spero che leggiate la relazione della commissione e vi scusiate coi vostri lettori.

 

Se quello che ho scritto è troppo lungo non pubblicatelo; a me interessa che riflettiate voi.

 

Buon lavoro nel Signore

 

Marco Belleri

Parrocchia S.Bartolomeo

Seggiano (GR)

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Un papa mette, un altro toglie

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Leone XIV ha appena posto fine all’autonomia amministrativa e finanziaria di cui godevano le basiliche di San Pietro e Santa Maria Maggiore, per decisione del precedente pontefice. In un motu proprio pubblicato il 13 novembre 2025, il pontefice abroga le misure adottate dal suo predecessore, Francesco, segnando una nuova tappa nella revisione delle riforme economiche della Santa Sede.

 

Oltretevere, non è sfuggito a nessuno che il motu proprio firmato da Papa Leone XIV il 29 settembre e promulgato il 13 novembre non è stato annunciato tramite la Sala Stampa, ma affisso all’ingresso del Palazzo Apostolico. In ogni caso, tutti concordano sul fatto che questo nuovo rescritto illustri la volontà del nuovo Romano Pontefice di centralizzare ulteriormente il controllo finanziario, in nome della trasparenza e dell’equità.

 

Il documento fa riferimento a due decreti promulgati da Francesco alla fine del suo pontificato. Il primo, datato 29 giugno 2024, riguardava la Fabbrica di San Pietro, responsabile della gestione, manutenzione e riparazione della Basilica Petrina. Il secondo, datato 19 marzo 2025 – un mese prima della morte del pontefice argentino – riguardava il capitolo dei canonici di Santa Maria Maggiore, luogo in cui ora riposa il successore di Benedetto XVI.

 

Leone XIV giustifica la sua decisione in nome di una «periodica rivalutazione e ridefinizione del quadro normativo». La riforma finanziaria avviata dal suo predecessore richiedeva un costante adattamento per garantire una «struttura equa e trasparente». La scelta del nuovo papa è stata approvata dal Consiglio per l’Economia (CPE), l’organo di controllo economico del Vaticano, prima di essere confermata da consultazioni di esperti, in conformità con l’articolo 207 della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium.

 

Questa abrogazione segna la fine dell’autonomia concessa da Papa Francesco alle due basiliche. Durante il suo pontificato, questi enti erano stati quasi completamente esentati dal controllo del CPE e della Segreteria di Stato per gli Affari Economici (SPE), il «braccio esecutivo» responsabile dell’attuazione delle politiche finanziarie. Francesco aveva giustificato queste esenzioni citando l’esigenza di efficienza: una gestione agile è necessaria per evitare le inefficienze burocratiche di queste istituzioni altamente frequentate.

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Così, la Fabbrica di San Pietro e il Capitolo di Santa Maria Maggiore hanno potuto mantenere i propri revisori interni, senza essere sottoposti all’Ufficio del Revisore Generale, responsabile della revisione contabile di tutti gli enti vaticani. Tra le disposizioni più controverse appena abrogate ci sono quelle relative alle spese e alle assunzioni.

 

Nel gennaio 2024, papa Francesco aveva imposto uno standard che richiedeva l’approvazione della Segreteria di Stato per gli Affari Economici (SPE) per qualsiasi spesa superiore a 150.000 euro; per queste basiliche, la soglia è stata aumentata a 1,5 milioni di euro. Le assunzioni non dovevano più essere sottoposte alla SPE, fatta eccezione per i contratti a tempo indeterminato – un’eccezione degna di nota rispetto ad altre istituzioni della Santa Sede, dove le procedure di reclutamento sono spesso lunghe e complesse, anche per una semplice sostituzione.

 

Ora, le due basiliche devono conformarsi alle norme applicabili a tutti gli enti della Santa Sede e della Città del Vaticano. Rientrano sotto la diretta supervisione della SPE, che è responsabile della risoluzione di «qualsiasi questione o problema di natura economica, di controllo o di vigilanza». Per garantire una transizione fluida, la SPE sarà assistita da un gruppo consultivo da essa stessa nominato e fornirà relazioni periodiche al CPE sulle decisioni prese.

 

Questa centralizzazione rafforza il controllo sulle strutture simboliche: la Fabbrica di San Pietro gestisce gli appalti per la costruzione e l’abbellimento della basilica più grande del mondo, mentre Santa Maria Maggiore, la basilica patriarcale, ospita le importanti reliquie della Natività e l’immagine della Salus Populi Romani, attirando un flusso costante di fedeli.

 

Questo intervento di Leone XIV non è isolato. Fa parte di una serie di correzioni apportate alle riforme economiche del suo predecessore. Già il 6 ottobre 2025, il suo primo motu proprio aveva allentato la centralizzazione imposta all’Istituto per le Opere di Religione (IOR). In un’intervista del settembre 2025, Leone XIV si presentò come un successore cauto: «Le cose si sistemeranno, ma dobbiamo continuare il processo di riforma iniziato da Francesco».

 

Ammise poi di aver fatto «scelte sbagliate» nella storia recente, rammaricandosi che «la percezione di cattiva gestione» possa aver scoraggiato i donatori: «Potremmo aver inviato un messaggio sbagliato», riconobbe, sottolineando la necessità di ripristinare la fiducia.

 

Mettendo sotto attenta osservazione due dei santuari più prestigiosi della cristianità, Leone XIV sta inviando un segnale chiaro: la riforma economica deve essere uniforme, senza eccezioni, per tutte le istituzioni, anche le più prestigiose.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di Livioandronico2013 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International license

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Il cardinale Fernandez si sprofonda sempre più nel suo rifiuto del titolo di «corredentrice»

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È noto che il Cardinale Victor Manuel Fernández, Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede (DDF), ha un talento naturale nello spiegare formule difficili, dubbie o addirittura inesatte, o contrarie alla fede o alla disciplina cattolica. Ciò è stato evidente nel suo modo di trattare la Dichiarazione Fiducia supplicans, riguardante la benedizione delle coppie «irregolari».   Dopo la reazione quasi universale e l’aperta ribellione degli episcopati africani, il cardinale Fernández ha infine spiegato che si trattava di una benedizione non rituale o spontanea, che non era rivolta alle coppie, ma agli individui che si univano… che si trattava quindi di benedizioni che non erano benedizioni, e che nemmeno le coppie erano benedizioni.   Grazie alla tenacia della giornalista Diane Montagna, assistiamo a una sorta di ripetizione – un remake , si potrebbe dire nel linguaggio di Shakespeare – di questa deplorevole vicenda riguardante il testo Mater Populi Fidelis sull’attribuzione e la non attribuzione di alcuni titoli mariani, in particolare il titolo di corredentrice e quello di Mediatrice.   Diane Montagna ha pubblicato sul suo blog la breve intervista ricevuta dal Cardinale Fernández su questo argomento. Ha sottolineato una serie di inesattezze che lasciano già un’impressione spiacevole. Il Prefetto della DDF sostiene, ad esempio, che l’espressione «cooperazione unica di Maria nell’opera della redenzione» sia utilizzata circa 200 volte nel documento.   In realtà, l’espressione «cooperazione unica» compare una sola volta; la parola «unica» compare 29 volte, mentre il termine analogo «singolare» compare sei volte, anche nelle note a piè di pagina. Il cardinale sostiene inoltre che nella redazione del documento siano stati consultati «molti» mariologi, nonché specialisti in cristologia.   Tuttavia, don Maurizio Gronchi, consulente del DDF, che ha presentato il documento al cardinale Fernández, ha dichiarato ad ACI Prensa il 19 novembre che «non è stato possibile trovare alcun mariologo collaboratore». E don Salvatore Maria Perrella, OSM, mariologo, ha affermato che la Mater Populi Fidelis «avrebbe dovuto essere preparata da persone competenti nel settore».

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Un «sempre» che non significa «sempre»…

Prendendo di mira l’espressione «sempre inappropriata», che stigmatizza il titolo di Corredentrice, il giornalista interroga l’alto prelato argentino su questo «sempre». Il cardinale Fernández inizia lanciandosi in una spiegazione che incorpora «trent’anni di studio del dicastero», il lavoro del cardinale Joseph Ratzinger e il suo parere comunicato a Giovanni Paolo II, quindi la «chiusura della questione» da parte dello stesso cardinale.   Ma afferma che «stiamo cercando, anche se ci sono aspetti che possono creare confusione, di trovare gli aspetti positivi e di accogliere la pietà dei fedeli. Tuttavia, in questo ambito, dopo trent’anni di lavoro del dicastero, era giunto il momento di renderlo pubblico, ed è ciò che abbiamo fatto».   Senza discostarsi dalla sua domanda fondamentale, Diane Montagna chiede per la terza volta: «Perché ha usato il termine “sempre”? Si riferisce al passato, soprattutto perché è stato utilizzato da santi, dottori e dal magistero ordinario?»   La risposta del cardinale fu all’altezza della reputazione che Fiducia supplicans gli aveva guadagnato : «No, no, no. Si riferisce al momento presente». Da qui la domanda stupita: «Quindi “sempre” significa “da ora in poi”?». E il cardinale continuò: «Da ora in poi, senza dubbio».   Aggiunge: «E questo significa soprattutto che questa espressione [di «Corredentrice»] non sarà usata nella liturgia, cioè nei testi liturgici, né nei documenti ufficiali della Santa Sede». Anzi, ne ammette l’uso privato: «Potete usare questo titolo», se avete compreso il vero significato di questa espressione…   Il giornalista è riuscito a far dire al cardinale prefetto della DDF che «ancora inappropriato» significava dal punto di vista temporale «d’ora in poi», e dal punto di vista dell’estensione «nei testi liturgici e nei documenti ufficiali della Santa Sede».   In altre parole, «corredentrice» non è sempre stato inappropriato, ma lo è diventato, il che significa logicamente che questa valutazione è casuale, legata alla cautela. E questo implica anche che un giorno questo titolo potrebbe non essere più «inappropriato»: un titolo intermittente o tremolante, per così dire.   Questa spiegazione dimostra, in primo luogo, l’incompetenza di chi fornisce la risposta; e in secondo luogo, che il termine «sempre» non ha lo stesso significato nei documenti DDF che nel linguaggio comune. Il che è piuttosto fastidioso. Ma c’è un elemento positivo: il titolo può essere utilizzato liberamente.   Dopo questo ultimo dietrofront che ha nuovamente ridicolizzato il DDF, sembra che la cosa migliore per il cardinale Fernández sarebbe ritirarsi.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News  

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Il Vaticano afferma che 4 documenti papali emanati sotto Leone XIV fanno parte del «mandato» di Papa Francesco

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Nel corso della presentazione della nota dottrinale sul matrimonio, Una Caro, presso la Sala Stampa della Santa Sede il 25 novembre, padre Armando Matteo, segretario del Dicastero per la Dottrina della Fede, ha affermato che i due documenti pubblicati questo mese – insieme ai due di prossima uscita – sono da considerarsi parte dell’eredità di papa Francesco. Lo riporta LifeSite.

 

«Insieme alla nota sui titoli mariani e alla nota sulla monogamia», ha detto il segretario, «il dicastero sta attualmente portando avanti un altro studio sul tema della trasmissione della fede, e sta poi completando la relazione finale del noto Gruppo di studio n. 5 sulla partecipazione delle donne alla vita e alla guida della Chiesa, che sarà consegnata direttamente alla Segreteria del Sinodo, che a sua volta la consegnerà a papa Leone».

 

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Don Matteo ha poi precisato che «in questo modo, con questi quattro documenti, si conclude il mandato che papa Francesco ci aveva dato due anni fa. Il dicastero attende ora un incontro ufficiale e completo con Papa Leone a gennaio, per ricevere le istruzioni per i prossimi documenti».

 

Il funzionario vaticano ha riconosciuto che la nota dottrinale sui titoli mariani era stata concepita sotto il pontificato di Papa Francesco e da lui voluta, sebbene la questione fosse già da tempo nota ufficiosamente ai frequentatori degli ambienti vaticani.

 

Il rapporto finale sul ruolo delle donne nella vita e nel governo della Chiesa tenterà di concludere lo studio condotto dal cosiddetto Gruppo di Studio 5 del Sinodo pluriennale sulla Sinodalità. Questo è uno dei punti più dibattuti e controversi del lavoro sinodale degli ultimi anni.

 

Nel corso del pontificato di Bergoglio sono emersi numerosi segnali che dimostrano l’intenzione del gesuita argentino di studiare e giustificare teologicamente la possibilità di introdurre le donne agli Ordini Sacri.

 

Dal 2016 in poi, Francesco ha introdotto diversi gesti e iniziative che hanno aperto il dibattito sul ruolo della donna nella Chiesa: dalla modifica del rito del Giovedì Santo per includere la lavanda dei piedi alle donne, all’istituzione di una commissione di studio sul diaconato, fino ai passaggi di Amoris laetitia che criticano le culture patriarcali e promuovono la dignità della donna.

 

Sempre nel 2016, il quotidiano vaticano L’Osservatore Romano pubblicò articoli a sostegno della predicazione femminile, mentre nel 2017 la rivista gesuita Civiltà Cattolica rilanciò la questione dell’ordinazione femminile. Successivamente, nel 2019, il vescovo Erwin Kräutler – sostenitore del sacerdozio femminile – scrisse l’ Instrumentum laboris per il Sinodo sull’Amazzonia, e nello stesso anno una riunione privata di cardinali e vescovi discusse esplicitamente l’ordinazione femminile. Infine, l’Instrumentum laboris per il Sinodo dell’ottobre 2024 riprese il tema, invitando la Chiesa a riconoscere ministeri ufficiali per le donne, soprattutto nel contesto amazzonico.

 

Durante la prima assemblea del Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità, nell’ottobre 2024, accanto ai gruppi di studio ufficiali, era stata segnalata l’esistenza di un gruppo di lavoro riservato – identificato precisamente come Gruppo 5. Questo gruppo, i cui membri non sono stati resi noti, era stato incaricato di affrontare questioni particolarmente delicate.

 

Ufficialmente, nel marzo 2024, il Vaticano ha presentato il Gruppo 5 come un gruppo di studio su «questioni teologiche e canoniche riguardanti specifiche forme ministeriali», come il ruolo delle donne nella Chiesa e «la possibile ammissione delle donne al diaconato».

 

La natura segreta di questo gruppo di studio suscitò l’indignazione di diversi delegati sinodali, che chiedevano chiarezza sulla trasparenza dell’intero processo. La percezione diffusa era quella di un laboratorio strategico in cui si discutevano questioni con un potenziale impatto strutturale sulla Chiesa.

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Il rapporto che presto sarà consegnato «direttamente nelle mani della Segreteria del Sinodo», e successivamente nelle mani di Papa Leone, conterrà le tesi finali di questo gruppo di studio segreto.

 

La Chiesa cattolica insegna infallibilmente che è impossibile ordinare le donne a uno qualsiasi degli ordini sacri. Nella sua lettera apostolica del 1994 Ordinatio Sacerdotalis, Giovanni Paolo II scriveva «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale e che questa sentenza deve essere tenuta in modo definitivo da tutti i fedeli della Chiesa».

 

Nel 2018, l’allora prefetto della CDF, il cardinale Luis Ladaria Ferrer, SJ, aveva difeso l’insegnamento di Ordinatio Sacerdotalis come portatore del marchio di «infallibilità», con Giovanni Paolo II che aveva «confermato formalmente e ha reso esplicito, al fine di togliere ogni dubbio, ciò che il Magistero ordinario e universale ha considerato lungo tutta la storia della Chiesa come appartenente al deposito della fede».

 

Come scritto da Renovatio 21più che tramite le «diaconesse» e le donne preteipotesi squalificata dallo stesso prefetto Dicastero per la dottrina della fede cardinale Victor Manuel «Tucho» Fernandez – è da ritenersi che il Vaticano bergogliano e post-bergogliano voglia scardinare la sessualità naturale e la gerarchia attraverso la promozione sempre più aperta del transessualismo.

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