Washington non ha molta scelta: i suoi interessi non sono cambiati, ma quelli della classe dirigente sì. Antony Blinken si propone perciò di proseguire nella direzione voluta dal presidente Reagan quando ingaggiò trotskisti per istituire la NED: fare dei Diritti dell’uomo un’arma imperiale, ma senz’obbligo per gli Stati Uniti di rispettarli. Quanto al resto, si cercherà di non far arrabbiare i cinesi e si tenterà di escludere la Russia dal Medio Oriente Allargato, per continuare la guerra senza fine.
Geopolitica
USA, Iran, Cina, Russia: le relazioni internazionali della Casa Bianca di Biden

Renovatio 21 pubblica questo articolo di Réseau Voltaire.
Washington non ha molta scelta: i suoi interessi non sono cambiati, ma quelli della classe dirigente sì
L’amministrazione Biden compie i primi atti nelle relazioni internazionali.
Per prima cosa il segretario di Stato, Antony Blinken, partecipa a numerose riunioni internazionali in videoconferenza, assicurando ogni volta gl’interlocutori che «l’America è di ritorno». Gli Stati Uniti riprendono infatti posto in tutte le organizzazioni intergovernative, a cominciare dalle Nazioni Unite.
Le Nazioni Unite
Dopo aver assunto l’incarico, il presidente Joe Biden ha annullato il ritiro degli USA dall’Accordo di Parigi e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Poco dopo, Antony Blinken annunciava che il Paese avrebbe aderito al Consiglio per i diritti dell’uomo e ne sollecitava la presidenza. Blinken fa di meglio: fa campagna perché soltanto gli Stati giudicati dagli USA rispettosi dei diritti umani possano sedere nel Consiglio.
Antony Blinken si propone perciò di proseguire nella direzione voluta dal presidente Reagan quando ingaggiò trotskisti per istituire la NED: fare dei Diritti dell’uomo un’arma imperiale, ma senz’obbligo per gli Stati Uniti di rispettarli
Sono decisioni che sollecitano diverse osservazioni:
Accordi di Parigi
- Il ritiro degli Stati Uniti dagli Accordi di Parigi si è fondato sul fatto che i lavori del Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC, Intergovernmental Panel on Climate Change) non sono assolutamente scientifici, bensì politici; si tratta infatti di un’assemblea di alti funzionari, affiancati da consiglieri scientifici. Molte le promesse, ma un unico risultato concreto: l’adozione di un diritto internazionale a inquinare, gestito dalla Borsa di Chicago, organismo creato dal vicepresidente Al Gore, i cui statuti furono redatti dal futuro presidente Barack Obama. L’amministrazione Trump non ha mai contestato l’evoluzione climatica, bensì sostenuto che le cause potrebbero essere diverse dall’emissione industriale di gas a effetto serra, per esempio quelle enunciate dalla teoria geofisica di Milutin Milanković, risalenti al XIX secolo.
- Il rientro degli Stati Uniti negli Accordi di Parigi preoccupa le imprese statunitensi di gas e petrolio di scisto, nonché i lavoratori del settore. Basti un esempio: l’amministrazione Biden è fermamente decisa a vietare l’uso di vetture a benzina; la scelta avrà conseguenze non soltanto sui posti di lavoro, ma anche sulla politica estera degli Stati Uniti, dal momento che sono diventati i primi esportatori mondiali di petrolio.
L’amministrazione Biden è fermamente decisa a vietare l’uso di vetture a benzina; la scelta avrà conseguenze non soltanto sui posti di lavoro, ma anche sulla politica estera degli Stati Uniti, dal momento che sono diventati i primi esportatori mondiali di petrolio
OMS
- Il ritiro degli Stati Uniti dall’OMS è stato motivato dal ruolo primario che vi svolge la Cina. L’attuale direttore generale, dott. Tedros Adhanom Ghebreyesus, è membro del Fronte di liberazione del popolo del Tigrè (filocinese).
- La delegazione dell’OMS, che ha condotto a Wuhan l’inchiesta sulla possibile origine cinese del COVID-19, era composta da un solo statunitense, il dott. Peter Daszak, presidente dell’ONG EcoHealth Alliance. Ebbene, questo esperto ha finanziato ricerche su coronavirus e pipistrelli del laboratorio P4 di Wuhan. Daszak è perciò allo stesso tempo giudice e parte in causa.
Consiglio per i diritti umani
- Il ritiro degli Stati Uniti dal Consiglio per i diritti umani è conseguenza della denuncia da parte dell’amministrazione Trump della sua ipocrisia. Nel 2011 il Consiglio fu di fatto usato dagli Stati Uniti per ascoltare falsi testimoni e accusare il «regime di Gheddafi» di aver bombardato un quartiere orientale di Tripoli, fatto mai accaduto. La memorabile messinscena fu trasmessa al Consiglio di Sicurezza, che adottò una risoluzione che autorizzava gli Occidentali a «proteggere» la popolazione libica dall’infame dittatore. Alla luce del successo di quest’operazione propagandistica, molte ONG hanno a loro volta tentato di strumentalizzare il Consiglio, in particolare contro Israele.
Il ritiro degli Stati Uniti dall’OMS è stato motivato dal ruolo primario che vi svolge la Cina
- Le Nazioni Unite non attribuiscono all’espressione «diritti umani» lo stesso valore degli Stati Uniti, per i quali i diritti umani sono semplicemente una protezione dalla Ragione di Stato, che comporta il divieto della tortura. Per le Nazioni Unite la locuzione include anche il diritto alla vita, all’educazione, al lavoro e così via.
- La Cina, che ha ancora molta strada da compiere in materia di giustizia, ha però un bilancio eccezionalmente positivo nel settore educativo. Ha perciò diritto a sedere nel Consiglio, benché Washington lo contesti. Blinken ha recentemente enunciato la «giurisprudenza Khashoggi»: non concedere il visto ai dirigenti politici di Stati che non rispettano i diritti umani degli oppositori. Ma che valore può avere questa dottrina dettata dagli Stati Uniti, Paese che dispone di un gigantesco servizio di uccisioni mirate, utilizzato talvolta anche contro i propri concittadini?
Il ritiro degli Stati Uniti dal Consiglio per i diritti umani è conseguenza della denuncia da parte dell’amministrazione Trump della sua ipocrisia
L’Iran e il futuro del Medio Oriente Allargato
L’amministrazione Biden sta peraltro negoziando il rientro nell’accordo sul nucleare 5+1 con l’Iran. Si tratta di riprendere le trattative che William Burns, Jake Sullivan e Wendy Sherman iniziarono nove anni fa, a Oman, con gli emissari dell’ayatollah Ali Khamenei. Ebbene, questi personaggi oggi ricoprono rispettivamente l’incarico di direttore della CIA, di consigliere per la Sicurezza nazionale e di vicesegretario di Stato.
All’epoca Washington voleva, nell’ambito della «guerra senza fine» (strategia Rumsfeld/Cebrowski), eliminare il presidente Mahmoud Ahmadinejad e rilanciare lo scontro sciiti/sunniti. La Guida Khamenei voleva invece sbarazzarsi di Ahmadinejad, che aveva osato disattenderne gli ordini, e allargare il proprio potere sull’insieme degli sciiti della regione.
I negoziati sfociarono nella manipolazione delle elezioni presidenziali iraniane del 2013 e nella vittoria dello sceicco Hassan Rohani, filoisraeliano. Costui, appena dopo aver assunto l’incarico, inviò il ministro degli Esteri, Mohammad Djavad Zarif, a negoziare in Svizzera con il segretario di Stato John Kerry e con il suo consigliere Robert Malley. Si trattava di suggellare davanti a testimoni il dossier del nucleare militare iraniano, che tutti sapevano concluso da molto tempo. Seguì un anno di negoziati bilaterali segreti sul ruolo regionale dell’Iran, chiamato a rioccupare la funzione di gendarme del Medio Oriente svolta sotto lo scià Reza Pahlavi. Alla fine, l’accordo sul nucleare fu firmato in pompa magna.
Gli Stati Uniti non possono prendere posizione sul Medio Oriente Allargato senza prima aver deciso quale atteggiamento assumere nei confronti delle rivali, la Russia e la Cina
Ma a gennaio 2017 gli Stati Uniti elessero Trump, che rimetteva in discussione l’accordo. Il presidente Rohani fece allora pubblicare il progetto che aveva in serbo per gli Stati sciiti, nonché alleati (Libano, Siria, Iraq e Azerbaijan): federarli in un grande impero sotto l’autorità della Guida della Rivoluzione, ayatollah Khamenei. È perciò su questa nuova base che l’amministrazione Biden oggi deve negoziare.
Ma gli Stati Uniti non possono prendere posizione sul Medio Oriente Allargato senza prima aver deciso quale atteggiamento assumere nei confronti delle rivali, la Russia e la Cina. Il dipartimento della Difesa ha designato una Commissione che è al lavoro sulla questione e che formulerà le proprie raccomandazioni a giugno.
Nel frattempo, il Pentagono intende continuare a fare quel che fa da vent’anni: la «guerra senza fine», il cui obiettivo è distruggere tutte le strutture statali della regione, siano esse amiche o nemiche: è fuori questione accettare aprioristicamente il progetto Rohani.
Washington ha avviato i contatti a novembre, ossia tre mesi prima dell’inizio del mandato di Biden. È esattamente quanto ha fatto l’amministrazione Trump con la Russia, ricavandone azioni giudiziarie ai sensi della legge Logan. Le cose adesso andranno diversamente: non ci saranno noie giudiziarie, dal momento che l’amministrazione Biden è unanimemente sostenuta dai maggiorenti di Washington.
Nel frattempo, il Pentagono intende continuare a fare quel che fa da vent’anni: la «guerra senza fine», il cui obiettivo è distruggere tutte le strutture statali della regione, siano esse amiche o nemiche
Del resto, i negoziati fra Iran e Stati Uniti si svolgono all’orientale. Teheran e Washington trattengono ostaggi per garantirsi mezzi di pressione. Entrambi fermano spie, o, in mancanza, semplici turisti, e li imprigionano per la durata di un’inchiesta che si trascina nel tempo. Non si può non constatare che i prigionieri sono trattati meglio in Occidente che in Iran, dove sono sottoposti a una pressione psicologica costante.
Tanto per cominciare, Washington ha confermato le sanzioni contro l’Iran, ma ha tolto quelle contro gli houthi in Yemen. E ha chiuso gli occhi sul canale sud-coreano che permette all’Iran di aggirare l’embargo. Ma non è stato abbastanza.
Dal 15 al 22 febbraio l’Iran ha lanciato – tramite sicari iracheni ¬– azioni di commando contro le forze e società USA in Iraq; un modo per dimostrare che la sua presenza è più che legittima nel Paese, ma che non lo è quella dello Zio Sam.
I negoziati fra Iran e Stati Uniti si svolgono all’orientale. Teheran e Washington trattengono ostaggi per garantirsi mezzi di pressione. Entrambi fermano spie, o, in mancanza, semplici turisti, e li imprigionano per la durata di un’inchiesta che si trascina nel tempo. Non si può non constatare che i prigionieri sono trattati meglio in Occidente che in Iran, dove sono sottoposti a una pressione psicologica costante
Gli israeliani hanno da parte loro accusato l’Iran di aver provocato il 25 febbraio, nel Golfo di Oman, un’esplosione su una nave cisterna di una loro società.
La segreteria di Stato ha risposto mandando il Pentagono a bombardare postazioni utilizzate da milizie sciite in Siria; un modo per dimostrare che gli Stati Uniti occupano illegalmente un Paese, le cui autorità subiscono l’aiuto settario iraniano – oggi l’Iran non va in soccorso di tutti i siriani, ma dei soli siriani sciiti – e che bisognerà farsene una ragione.
La Cina
La posizione dominante degli Stati Uniti non è minacciata dalla Cina in sé, ma dal suo sviluppo. Nonostante tutto il suo cinismo, Washington non è in vena di giocare al colonialismo in stile britannico e di condannare i cinesi alla fame.
La logica suggerirebbe di stabilire con la «fabbrica del mondo» norme che regolino la concorrenza. È fattibile, come ha dimostrato il presidente Trump, ma non si farà perché la classe dirigente attuale trae un profitto personale immenso da questi scambi ineguali.
Nonostante tutto il suo cinismo, Washington non è in vena di giocare al colonialismo in stile britannico e di condannare i cinesi alla fame
Lo stesso segretario di Stato, Blinken, non ha forse istituito il gabinetto WestExec Advisor per introdurre le multinazionali USA presso il Partito comunista cinese?
In realtà rimane un’unica possibilità: fare in modo che l’economia USA affondi il più lentamente possibile e contenere la potenza militare e politica cinese in una zona d’influenza delimitata.
Per questa ragione, il presidente Biden, nella prima conversazione telefonica con il presidente Xi Jinping, l’ha rassicurato che non avrebbe messo in discussione l’appartenenza del Tibet, di Hong Kong e persino di Taiwan alla Repubblica Popolare di Cina. Ha tuttavia fatto capire che contesta tuttora il diritto della Cina a riprendersi la sovranità, antecedente la colonizzazione europea, su tutto il Mar della Cina. Continueranno quindi a minacciarsi reciprocamente per le isole Spratly e altri isolotti abbandonati.
La logica suggerirebbe di stabilire con la «fabbrica del mondo» norme che regolino la concorrenza. È fattibile, come ha dimostrato il presidente Trump, ma non si farà perché la classe dirigente attuale trae un profitto personale immenso da questi scambi ineguali.
Beijing non se ne preoccupa: prosegue lo sforzo per far uscire dal sottosviluppo i cinesi dell’interno del Paese. Domani la tigre tirerà fuori gli artigli, ma la Cina sarà già posizionata lungo le nuove vie della seta. Nessuno potrà intimidirla.
La Russia
I russi sono un caso a parte. Sono un popolo capace di patire le più dure privazioni: preserva una coscienza collettiva che ogni volta gli consente di rinascere. Ha una mentalità incompatibile con quella delle élite anglosassoni, sempre pronte a commettere atrocità pur di conservare il proprio livello di vita. Sono due concezioni opposte dell’onore: l’una basata sulla fierezza di quanto fatto, l’altra sulla gloria della vittoria.
Persino dopo trent’anni dal crollo dell’Unione Sovietica e dopo la conversione al capitalismo, per le élite anglosassoni la Russia continua a rappresentare un nemico ontologico; è la prova che i diversi sistemi economici non erano che un pretesto per lo scontro.
In realtà rimane un’unica possibilità: fare in modo che l’economia USA affondi il più lentamente possibile e contenere la potenza militare e politica cinese in una zona d’influenza delimitata.
Così, checché ne dicano gli ufficiali del Pentagono, una guerra con la Cina non è in programma, se non in un futuro lontano; però gli Stati Uniti si tengono sin d’ora pronti allo scontro con la Russia.
Il primo bombardamento del mandato Biden è stato in Siria, come visto. In virtù degli accordi per un contenimento conflittuale, lo stato-maggiore USA ha avvertito anticipatamente l’omologo russo. Ma lo ha fatto soltanto cinque minuti prima del bombardamento, per impedire a Mosca di avvertire Damasco. Ma quel che più conta è che non sono state prese misure per evitare di ferire, persino di uccidere, soldati russi.
Gli Stati Uniti non possono accettare il ritorno della Russia in Medio Oriente; un ritorno che paralizza parzialmente la «guerra senza fine».
Thierry Meyssan
Articolo ripubblicato su licenza Creative Commons CC BY-NC-ND
Fonte: «Le relazioni internazionali secondo Antony Blinken», di Thierry Meyssan, Traduzione Rachele Marmetti, Rete Voltaire, 2 marzo 2021.
Renovatio 21 offre questa traduzione per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.
Geopolitica
Attacco israeliano in Qatar. La condanna di Trump

Israele ha condotto un «attacco di precisione» contro «i vertici di Hamas», hanno annunciato martedì le Forze di difesa israeliane (IDF), poco dopo che numerose esplosioni hanno scosso il quartier generale del gruppo militante palestinese a Doha, in Qatar.
Da parte delle forze dello Stato Ebraico, si tratta di una violazione territoriale inedita, perché – a differenza di casi analoghi in Libano e Iran – condotta in uno Stato «alleato» di Washington e dell’Occidente, cui fornisce capitale e gas. L’attacco pare essere stato diretto ai negoziatori di Hamas, i quali avevano ricevuto dal presidente americano Trump un invito al tavolo della pace poco prima.
L’esercito israeliano ha dichiarato di aver condotto l’operazione in coordinamento con l’agenzia di sicurezza Shin Bet (ISA). Le IDF non hanno indicato il luogo esatto preso di mira dall’attacco.
«L’IDF e l’ISA hanno condotto un attacco mirato contro i vertici dell’organizzazione terroristica Hamas», ha dichiarato l’IDF in una nota. «Prima dell’attacco, sono state adottate misure per mitigare i danni ai civili, tra cui l’uso di munizioni di precisione e di intelligence aggiuntiva».
L’annuncio è arrivato dopo che almeno dieci esplosioni avrebbero scosso il quartier generale di Hamas a Doha. I filmati che circolano online mostrano che l’edificio è stato gravemente danneggiato. Secondo diversi resoconti dei media che citano fonti di Hamas, l’attacco ha preso di mira il team negoziale del gruppo, che stava discutendo l’ultima proposta statunitense sulla cessazione delle ostilità con Israele.
Il Qatar ha condannato il «vile attacco israeliano», descrivendo il luogo interessato dall’attacco come «edifici residenziali che ospitano diversi membri dell’ufficio politico del movimento Hamas».
#Qatar / #Palestine / #Israel 🇶🇦🇵🇸🇮🇱: Israeli Air Forces carried out air strikes to assassinate Senior officials of #HAMAS in the city of #Doha.
Reportedly HAMAS negotiation team was targeted with Air-To-Surface Missiles while discussing the ceasefire in the capital of Qatar. pic.twitter.com/WdWuqY6rXq
— War Noir (@war_noir) September 9, 2025
🚨🇮🇱🇶🇦🇵🇸 BREAKING: ISRAEL just AIRSTRIKED Hamas’s negotiation team in DOHA, QATAR pic.twitter.com/cTdA5fT4gP
— Jackson Hinkle 🇺🇸 (@jacksonhinklle) September 9, 2025
BREAKING:
Israeli fighter jets struck Qatar’s capital, Doha.
An Israeli airstrike in Doha killed Hamas leader in Gaza, Khalil al-Hayya, and three senior members of the group’s leadership, Al Arabiya reports, citing sources.
Al Hadath states those in the targeted building… pic.twitter.com/03rwdUbvZ5
— Visegrád 24 (@visegrad24) September 9, 2025
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L’attacco israeliano a Doha è stato un «momento cruciale» per l’intera regione, ha affermato il primo ministro del Qatar, lo sceicco Mohammed bin Abdulrahman al-Thani, condannando l’attacco come «terrorismo di Stato».
L’attacco a sorpresa non sarà «ignorato» e il Qatar «si riserva il diritto di rispondere a questo attacco palese», ha dichiarato il primo ministro in una conferenza stampa. «Oggi abbiamo raggiunto un punto di svolta affinché l’intera regione dia una risposta a una condotta così barbara».
NEW: Qatar reserves the right to retaliate for the Israeli attack against Doha, Qatari PM says
“We’ve reached a decisive moment; There should be retaliation from the whole region”
— Ragıp Soylu (@ragipsoylu) September 9, 2025
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Al-Thani ha attaccato duramente il suo omologo israeliano, Benjamin Netanyahu, accusandolo di compromettere la stabilità regionale in nome di «deliri narcisistici» e interessi personali. Il Qatar continuerà il suo impegno di mediazione per risolvere le persistenti ostilità con Hamas, ha affermato.
Il primo ministro quatarino ha ammesso che lo spazio per la diplomazia è ormai diventato molto ristretto e che l’attacco ha probabilmente fatto deragliare il ciclo di negoziati dedicato all’ultima proposta avanzata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump.
«Per quanto riguarda i colloqui in corso, non credo che ci sia nulla di valido dopo aver assistito a un attacco del genere», ha affermato.
L’attacco israeliano è avvenuto due giorni dopo che il presidente degli Stati Uniti aveva lanciato un altro «ultimo avvertimento» ad Hamas, sostenendo che Israele aveva già accettato termini non specificati di un accordo da lui proposto e chiedendo al gruppo di rilasciare gli ostaggi israeliani ancora detenuti a Gaza. Poco dopo, anche il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha dato al gruppo un “ultimo avvertimento”, minacciando Hamas di annientamento e intimando ai militanti di deporre le armi. In seguito alle minacce, Hamas aveva dichiarato di essere pronta a «sedersi immediatamente al tavolo delle trattative» dopo aver ascoltato quelle che ha descritto come «alcune idee da parte americana volte a raggiungere un accordo di cessate il fuoco».
Tuttavia nelle ultime ore è emersa la condanna del presidente statunitense contro l’attacco israeliano. In una dichiarazione pubblicata martedì su Truth Social, Trump ha criticato l’attacco aereo di Israele contro un complesso di Hamas a Doha, sottolineando che la decisione di portare a termine l’operazione all’interno del Qatar è stata presa unilateralmente dal primo ministro Benjamin Netanyahu e non da Washington.
( @realDonaldTrump – Truth Social Post )
( Donald J. Trump – Sep 09, 2025, 4:20 PM ET )This morning, the Trump Administration was notified by the United States Military that Israel was attacking Hamas which, very unfortunately, was located in a section of Doha, the Capital of… pic.twitter.com/axQSlL46gW
— Fan Donald J. Trump 🇺🇸 TRUTH POSTS (@TruthTrumpPosts) September 9, 2025
Nel suo post Trump ha affermato che il bombardamento israeliano all’interno di «una nazione sovrana e stretto alleato degli Stati Uniti» non ha «favorito gli obiettivi di Israele o dell’America».
«Considero il Qatar un forte alleato e amico degli Stati Uniti e mi dispiace molto per il luogo dell’attacco», ha scritto, sottolineando che l’attacco è stato «una decisione presa dal primo ministro Netanyahu, non una decisione presa da me».
Trump ha affermato che, non appena informato dell’operazione, ha incaricato l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff di avvertire i funzionari del Qatar, ma ha osservato che l’allerta è arrivata «troppo tardi per fermare l’attacco». Il presidente ha affermato che eliminare Hamas era un «obiettivo degno», ma ha espresso la speranza che «questo sfortunato incidente possa servire come un’opportunità per la PACE».
Da allora Trump ha parlato con Netanyahu, che gli ha detto di voler fare la pace, e con i leader del Qatar, che ha ringraziato per il loro sostegno e ha assicurato che «una cosa del genere non accadrà più sul loro territorio».
La Casa Bianca ha definito l’attacco un incidente «sfortunato». Trump ha dichiarato di aver incaricato il Segretario di Stato Marco Rubio di finalizzare un accordo di cooperazione per la difesa con il Qatar, designato come «importante alleato non NATO».
“The president views Qatar as a strong ally and friend of the United States and feels very badly about the location of this attack.”
White House press sec. Karoline Leavitt read a statement after Israel’s strike on Hamas leadership in Doha. https://t.co/X3EkiIHoZ7 pic.twitter.com/OdDyR4QcgF
— ABC News (@ABC) September 9, 2025
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Nell’operazione circa 15 aerei da guerra israeliani hanno sparato almeno dieci munizioni durante l’operazione di martedì, uccidendo diversi membri di Hamas, tra cui il figlio dell’alto funzionario Khalil al-Hayya. Hamas ha affermato che i suoi vertici sono sopravvissuti all’attacco, descritto come un tentativo di assassinare i negoziatori impegnati a raggiungere un possibile accordo.
L’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha insistito sul fatto che l’attacco ad Hamas in Qatar è stato un’azione unilaterale e che nessun altro paese è stato coinvolto nell’operazione.
«L’azione odierna contro i principali capi terroristi di Hamas è stata un’operazione israeliana del tutto indipendente. Israele l’ha avviata, Israele l’ha condotta e Israele si assume la piena responsabilità», si legge in una nota.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres ha condannato l’attacco israeliano definendolo una «flagrante violazione della sovranità e dell’integrità territoriale del Qatar». «Tutte le parti devono impegnarsi per raggiungere un cessate il fuoco permanente, non per distruggerlo», ha detto ai giornalisti.
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Geopolitica
Lavrov: la Russia non ha voglia di vendetta

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Geopolitica
Museo dell’Olocausto ritira post perché leggibile come filo-Gaza

Un museo dell’Olocausto di Los Angeles ha cancellato un post sui social media contenente uno slogan da tempo associato all’Olocausto, dopo che alcune persone hanno affermato che alludeva alla guerra di Gaza.
Il messaggio, condiviso con i 24.000 follower su Instagram dell’Holocaust Museum di Los Angeles nel fine settimana, mostrava un’immagine di mani e avambracci di diverse tonalità di pelle – tra cui una con un tatuaggio dell’Olocausto – uniti in un cerchio. La didascalia recitava: «Mai più non può significare solo mai più per gli ebrei».
Speechless. No words for this. pic.twitter.com/pc3GRui6G4
— Ryan Grim (@ryangrim) September 6, 2025
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Sebbene inizialmente alcuni abbiano elogiato il post come un riconoscimento delle sofferenze dei palestinesi, esso ha subito suscitato reazioni negative da parte dei gruppi ebraici, spingendone alla sua rimozione.
In seguito il museo ha affermato che il post faceva parte di una campagna pianificata in precedenza «intesa a promuovere l’inclusività e la comunità», non «una dichiarazione politica che riflette la situazione attuale in Medio Oriente».
Sebbene il post non menzionasse Gaza, alcuni commentatori filo-israeliani hanno esortato i donatori a tagliare i finanziamenti all’istituzione. La rimozione del post, a sua volta, ha portato voci filo-palestinesi ad accusare il museo di fare marcia indietro su un principio universale anti-genocidio.
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Il museo di Los Angeles, fondato nel 1961 dai sopravvissuti all’Olocausto, è attualmente chiuso per ristrutturazione fino a giugno 2026. Si è impegnato a «fare meglio» e a garantire che i post futuri siano «progettati in modo più attento».
Si tratta di un caso di fulminea rieducazione infraebraica non dissimile a quello capitato, alle nostre latitudini, allo storico universitario Ariel Toaff, figlio del notissimo rabbino romano Elio Toaff, il cui libro sul sacrificio rituale ebraico fu ritirato rapidamente dalle librerie per uscire in una versione «potata».
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Immagine di Lamoth via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 3.0 Unported
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