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«Una condanna inesorabile, già scritta» contro Satana e i suoi servi: omelia di Mons. Viganò per l’Ascensione di Nostro Signore

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Renovatio 21 pubblica questa omelia di Monsignor Carlo Maria Viganò.

 

 

 

OMELIA

nell’Ascensione di Nostro Signore

 

 

Quid admiramini aspicientes in cælum?

At 1, 11

 

Nell’Introito della Messa di oggi abbiamo cantato: Viri Galilæi, quid admiramini aspicientes in cælum? Uomini di Galilea, di cosa vi meravigliate guardando verso il cielo? Lo chiedono i due Angeli agli Apostoli, assorti nel veder ascendere il Signore. La domanda dei messaggeri celesti è retorica: il prodigio che deroga alle leggi della natura è nulla, rispetto al miracolo della Resurrezione di cui essi saranno testimoni fino al martirio.

 

Perché vi stupite di veder salire al cielo il Signore? Vi stupite di vederLo ascendere miracolosamente per scomparire tra le nuvole, o vi meravigliate del fatto che vi stia lasciando soli, proprio adesso che è risorto e può ristabilire il regno di Israele (At 1, 6)? Ma non vi ha Egli già detto: Vado a preparare il luogo per voi. E quando sarò partito, e avrò preparato il luogo per voi, verrò di nuovo, e vi prenderò meco, affinché dove son Io, siate anche voi (Gv 14, 2-3)? 

 

Perché il Signore non è rimasto con noi? Se non fosse asceso al cielo così presto, anzi: se fosse ancora qui sulla terra, avrebbe potuto viaggiare e far conoscere il Suo Vangelo con l’autorevolezza di un Dio fattoSi uomo, morto e risorto. Il Cristianesimo si sarebbe diffuso più in fretta, e con maggior successo, anche risparmiando molte vite di Martiri. Se il Signore fosse rimasto qui sulla terra, avrebbe potuto veramente restituire, nella Chiesa Cattolica, il regno di Israele, essendo Lui stesso a governare come Pontefice e come Re. Egli avrebbe attraversato i secoli senza invecchiare, e sarebbe bastato questo a convertire a Lui il mondo. Ecco perché gli Apostoli sono meravigliati: perché ancora agiscono e pensano secondo la mentalità del mondo.

 

Nostro Signore, dopo trent’anni di vita ritirata e tre di ministero, in tre giorni sconfigge con la propria Passione e Morte l’antico Serpente, riacquistando a prezzo del Suo preziosissimo Sangue ogni anima sottratta all’eterna salvezza dal peccato di Adamo. Ci ha redenti, ci ha comprati schiavi del demonio per renderci liberi di essere non più servi, ma amici (Gv 15, 15). Nei quaranta giorni successivi alla Resurrezione, Egli ha insegnato agli Apostoli le verità della Fede e a celebrare i Sacramenti, e alla fine di questo «seminario» accelerato tenuto nientemeno che dal Signore in persona, è giunto il tempo di uscire dal Cenacolo: Andate per tutto il mondo, predicate il Vangelo a tutti gli uomini. Chi crederà, e sarà battezzato, sarà salvo: chi non crederà, sarà condannato (Mc 16, 15-16). È il Suo ultimo comando, la Sua eredità prima di lasciare questa terra.

 

Tra l’Ascensione del Signore e la discesa dello Spirito Santo passano solo dieci giorni: riceverete la virtù dello Spirito santo, il quale verrà sopra di voi, e sarete Miei testimoni in Gerusalemme, in tutta la Giudea, nella Samaria e sino all’estremità della terra (At 1, 7). Le fiamme del Paraclito che si fermano sul capo degli Apostoli e della Vergine Santissima nel giorno di Pentecoste danno inizio alla Santa Chiesa, Mistico Corpo di Cristo, e da quel momento le porte del Cenacolo – sino ad allora chiuse per paura dei Giudei (Gv 20, 19) – si spalancano e ne escono persone nuove, rinate nello Spirito Santo, che non pensano più secondo lo spirito del mondo, ma secondo Dio. Lo canteremo tra pochi giorni: Emitte Spiritum tuum, et creabuntur; et renovabis faciem terræ.

 

Nel momento in cui essi si sono lasciati toccare dalla Grazia, essi hanno cambiato il loro modo di pensare. Ed è grazie a questo che comprendono la necessità dell’Ascensione. La Chiesa nasce quando gli Undici rimasti fedeli al loro Maestro comprendono che quel vuoto lasciato su questa terra dal Signore, quello spazio di tempo che va dalla Sua Ascensione al cielo al Suo ritorno nella gloria alla fine dei tempi, dev’essere usato per far fruttare i tesori infiniti dei Meriti della Passione di Cristo, con la predicazione del Vangelo a tutte le nazioni, con la testimonianza della nostra Fede, con la conversione delle anime all’unico Pastore nell’unico Ovile, nell’unico Battesimo, nell’unica professione di Fede.

 

La Santa Chiesa è la continuazione della presenza del Suo Capo divino fino alla fine del mondo. È nel suo seno purissimo – il Santo dei Santi, l’Altare di Dio – che nel Santo Sacrificio della Messa scende, sotto i veli eucaristici, il Signore con il Suo glorioso Corpo e Sangue, la Sua Anima e la Sua Divinità. E sono degli uomini a compiere questo miracolo ineffabile, grazie al cui Sacerdozio Nostro Signore Gesù Cristo rimane su questa terra, presente agli occhi della Fede, prigioniero del Tabernacolo, perché con San Tommaso possiamo riconoscerLo e adorarLo come nostro Signore e nostro Dio anche senza mettere le dita nelle Sue sante Piaghe.

 

Il Santissimo Sacramento dell’Altare, cuore palpitante Santa Chiesa, è il dono divino del Signore che sale al cielo ai Suoi fedeli che lascia in questa terra d’esilio, in questa valle di lacrime, in questo campo di battaglia che non conosce mai tregua. E mentre ricordiamo il mistero dell’Ascensione spegnendo simbolicamente il Cero pasquale al canto del Vangelo, un’altra fiamma rimane accesa: è quella nella lampada rossa che arde accanto al Tabernacolo. Essa onora la Presenza del Re dei re, che nella Sua infinita magnificenza Si umilia esponendoSi all’irriverenza, al sacrilegio, alla profanazione degli empi, pur di avere la consolazione di vederci prostrati dinanzi a Sé, a pregarLo, a ringraziarLo dei favori concessi, a implorarGli una grazia, a chiederGli perdono per le nostre mancanze, a riceverLo nella Santissima Eucaristia e fare della nostra anima il tempio della Santissima Trinità. A riporre in Lui, tutte la nostra fede, ogni nostra speranza, tutto il nostro amore: fac me tibi semper magis credere, in te spem habere, te diligere.

 

Se Nostro Signore avesse voluto il proprio trionfo secondo la mentalità del mondo, ci avrebbe creati senza libero arbitrio, programmandoci per compiere solo la Sua volontà, senza merito e senza colpa. Non avrebbe creato nemmeno gli Angeli peccabili, evitandoSi di avere contro le schiere degli spiriti ribelli. Ci avrebbe fatti tutti uguali, distribuendoci equamente sul Pianeta, dotandoci dello stretto necessario e controllando ogni nostra azione. Avrebbe insomma agito come Klaus Schwab, che vorrebbe ridurci in schiavitù e cancellare ciò che rende noi umani, e meravigliosamente divino il nostro Creatore: la nostra unicità, la nostra libertà di amarLo e di ricambiare con la nostra miseria la magnificenza delle Sue grazie.

 

Il «successo» del Signore non si compie secondo la mentalità del mondo, perché se così fosse esso non sarebbe che un’illusione, un effimero fuoco d’artificio, come tutte le cose mondane e che non vengono da Dio. Il «successo» di Cristo avviene con quella delicatezza del padre che lascia al figlio la soddisfazione di dimostrargli le proprie capacità, il frutto tratto dall’insegnamento paterno. Come l’artigiano che, dovendosi assentare, lascia la bottega al più esperto, per dargli la possibilità di confermare la fiducia ben riposta. E sa che tornando non rimarrà deluso. 

 

Nostro Signore sale al cielo perché da questo momento ognuno di noi, e in particolar modo i Successori degli Apostoli, abbiamo il mandato di annunciare la salvezza di Dio in un mondo ribelle e apostata, di portare la luce di Cristo nelle tenebre del peccato e della morte. Vi mando come pecore in mezzo ai lupi (Mt 10, 16), ci ha detto, preannunciandoci che un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone (Mt 10,25).

 

Questo è un momento di prova, che dura – con esiti alterni – da duemila anni: la Chiesa continua a rendere presente Cristo sulla terra, e ad offrirLo misticamente al Padre. Ma quanti lupi, travestiti non solo da agnelli, ma addirittura da pastori! Quanti mercenari corrotti, illusi di poter frodare il padrone prima del suo ritorno! Quanti traditori, che cercano di distruggere la Chiesa proprio per cancellare la presenza di Dio e impedire la salvezza delle anime! 

 

Nella domanda dei due Angeli ai Discepoli c’è un avvertimento: Quel Gesù, il quale tolto a voi è stato assunto al cielo, così verrà, come lo avete veduto andare al cielo (At 1, 11). Ciò rimanda alla fine dei tempi, quando Nostro Signore trionfante sulla morte e sul peccato tornerà a giudicare i vivi e i morti, per concludere con un processo universale quella vittoria sull’antico Serpente annunciata nel Protoevangelo (Gen 3, 15), inaugurata con l’Incarnazione, compiuta con la Passione e Morte sulla Croce, ma ancora incompleta perché mancante della pubblica condanna di Satana e dei suoi servi.

 

Una condanna inesorabile, già scritta, ma che ancora dev’essere pronunciata. Liber scriptus proferetur, in quo totum continetur, unde mundus judicetur, cantiamo nel Dies iræ. Il libro che è stato scritto, in cui è contenuto tutto, verrà letto e il mondo sarà giudicato. 

 

Ma quando verrà il Figlio dell’uomo, troverà fede sopra la terra? (Lc 18, 8). Se guardiamo attorno a noi, dovremmo dire di sì, perché le avversità che attraversiamo permettono a molte anime di convertirsi e di tornare a Dio, e questa celebrazione ne è la prova. Ma se guardiamo al mondo, c’è di che inorridire, ad iniziare dall’apostasia, dalla corruzione e dall’immoralità in cui versa la Gerarchia cattolica.

 

Molti miei Confratelli e tanti sacerdoti pensano che sia più semplice promuovere una versione soft del Cristianesimo – umanitaria, ambientalista e globalista – perché la sua «edizione integrale» è considerata improponibile alla mentalità del mondo. Con mentalità mercantile, credono di poter “svecchiare il magazzino” proponendo un «prodotto» nuovo, che incontri i gusti della clientela. Cose poco impegnative, tanto generiche quanto rassicuranti per chi non vuole cambiare nulla della propria vita: solidarismo, accoglienza, inclusione, sinodalità, resilienza, ecosostenibilità. E soprattutto: nessun richiamo al peccato, quindi nessuna colpa originale, nessuna Redenzione, ma solo un “camminare insieme”, verso il baratro. La Passione e Morte del Signore è di ingombro, è divisiva, non è inclusiva. Non crea ponti, ma erige muri. 

 

Ma è forse questa la Fede che il Signore ha insegnato agli Apostoli durante i tre anni di ministero pubblico e, dopo la Resurrezione, fino al momento dell’Ascensione? È per questo che ha istituito l’Ordine Sacro, e tutti i Sacramenti? È questo che ha ordinato di insegnare a tutte le nazioni? Per questo sono morti tra atroci tormenti i Martiri? Per sentirsi dire che la missione divina della Chiesa di convertire i popoli è una «solenne sciocchezza»?

 

Per questo hanno dedicato la propria vita alla predicazione della dottrina i Santi Padri e i Dottori della Chiesa? Per ascoltare i deliranti e sconclusionati discorsi contro chi rimane fedele alla Santa Tradizione, emarginato come indietrista o nostalgico patologico?

 

Per questo sono stati perseguitati i sacerdoti cattolici nell’Inghilterra di Enrico VIII o nella Francia del Terrore? Per veder proibita quella Messa che è in odio agli eretici di tutti i tempi?

 

I due Angeli non ammoniscono solo i Discepoli a testa in su, ma anche ognuno di noi: Quel Gesù, il quale tolto a voi è stato assunto al cielo, così verrà, come lo avete veduto andare al cielo (At 1, 11). E quando tornerà chiederà ai Suoi amministratori che cosa abbiano fatto dei talenti inestimabili che ha loro lasciato nel forziere della Santa Chiesa. Rendi conto della tua amministrazione (Lc 16, 2).

 

Tremo all’idea del Giudizio di Dio, che ha costituito in autorità il Papa e i Vescovi perché siano altri Cristi e predichino il Vangelo a tutte le genti, e oggi Si trova la Chiesa infestata da un sinedrio di ipocriti, eretici e apostati intento a spartirsi con i potenti della terra la Sua veste inconsutile. Com’è stato fatto fruttare il patrimonio di Cristo, costituito dai Sacramenti e dalla Santa Messa?

 

Copiando la «Cena» ai Protestanti e proibendo il Rito apostolico? Come sono stati fatti moltiplicare i talenti della predicazione e dell’apostolato, i tesori di dottrina dei Santi teologi?

 

Promuovendo l’ecumenismo irenista e partecipando sacrilegamente al pantheon delle “religioni abramitiche” di Abu Dhabi?

 

Facendo adorare l’idolo infernale della Pachamama in Vaticano?

 

Incoraggiando i vizi e deridendo le virtù?

 

Promuovendo Prelati indegni e perseguitando i buoni sacerdoti?

 

Questi corrotti burocrati mitrati correranno a dissotterrare il tesoro, pensando di poterlo impunemente restituire senza averlo fatto fruttare, quando esso è stato conquistato con il Sangue dell’Agnello.

 

L’Ascensione del Signore ci mostra che è Sua volontà che noi cooperiamo all’opera della salvezza, perché siamo membra vive del Suo Corpo che è la Chiesa, e come tali dobbiamo seguire docilmente il suo Capo divino. Lo chiede ai Pastori, ai quali ha ordinato di predicare il Vangelo e battezzare tutte le nazioni, senza lasciare equivoci sulla condanna che attende chi non si converte e chi non annuncia il Vangelo.

 

Perché l’autorità dei Pastori è vicaria, ossia esiste proprio perché esercitata nell’assenza fisica di Nostro Signore, unico Capo della Chiesa. Chi ascolta voi ascolta Me, e chi disprezza voi disprezza Me (Lc 10, 16): sono parole che rassicurano chi è disprezzato dal mondo perché predica Cristo, ma che devono terrorizzare chi è accolto dal mondo perché in nome di Cristo predica un altro vangelo. E guai a chi fa disprezzare Cristo perché con l’autorità di Cristo propaga l’errore, legittima il peccato e il vizio, dà scandalo con la propria condotta di vita. 

 

Il Signore se ne va senza strepito, come nel silenzio Egli è risorto. Solo, si lascia vedere dai Discepoli, perché all’evidenza della Sua Ascensione al cielo segua la Fede nella Sua presenza sacramentale nella Santissima Eucaristia custodita dalla Chiesa, la Speranza di riunirsi a Lui nella gloria celeste e la Carità ardente nell’amare Lui e il prossimo per amor Suo.

 

Questa è l’eredità che la Chiesa di Cristo trasmette intatta da duemila anni, e che nessuno può modificare o adulterare, illudendosi di farla franca: Deus non irridetur.

 

Perché quando il Signore tornerà, vorrà tornare in possesso dei beni spirituali inestimabili che ha concesso in amministrazione ai suoi Ministri, e di cui essi dovranno render conto. 

 

Facciamo dunque tesoro noi tutti – tutti: dai vertici della Chiesa al più umile fedele – del tempo che ci rimane. Di quello che ci resta in questa vita mortale, prima di trovarci dinanzi a Dio per il Giudizio particolare. Di quello che resta al mondo e alla Chiesa prima della fine dei tempi, prima del Giudizio universale.

 

Se anche solo un’anima sarà stata conquistata a Cristo dalla nostra predicazione, dal nostro esempio, da una nostra buona parola potremo mostrare serenamente al Signore di aver moltiplicato i talenti ricevuti e sentirci rispondere: Bravo, servo buono, e fedele… entra nel gaudio del tuo Signore (Mt 25, 23).

 

Possa questo auspicio valere soprattutto per quanti il Signore ha costituito in autorità nella Chiesa: sia questa l’intenzione delle preghiere che deponiamo ai piedi della Regina degli Apostoli e Madre della Chiesa, Maria Santissima.

 

E così sia. 

 

 

Carlo Maria Viganò

Arcivescovo

 

 

 

18 Maggio 2023

Feria V in Ascensione Domini

 

 

 

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Capitano della squadra campione di pallavolo entra in un ordine cattolico tradizionale

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Un noto giocatore di pallavolo francese ha annunciato che intende unirsi a una piccola e tradizionale comunità di canonici . Si tratta di Ludovic Duée, 32 anni, capitano della sua squadra vincitrice del campionato nazionale francese di pallavolo. Lo riporta LifeSiteNews.

 

Il Duée ha annunciato a Ouest France la sua intenzione di entrare a far parte dei Canonici Regolari della Madre di Dio, un istituto religioso maschile di diritto pontificio dedito alla liturgia latina. Il campione ha dichiarato che sta scegliendo tra la «vocazione e la professione».

 

Nei giorni scorsi, il pallavolista professionista capitano della sua squadra del Saint-Nazaire Volley-Ball Atlantique, ha vinto il titolo nazionale di pallavolo francese. Tuttavia  la partita del campionato nazionale sarà anche l’ultima, secondo le sue stesse dichiarazioni ai media.

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Duée entrerà quest’anno tra i Canonici Regolari, dove trascorrerà i primi mesi come postulante. Con sede nel sud della Francia, la comunità relativamente giovane segue la Regola di Sant’Agostino e ha una spiritualità mariana basata su Su Luigi Maria di Montfort e San Massimiliano Kolbe.

 

Cresciuto cattolico ma senza prestare molta attenzione alla sua fede da adolescente, Duée ha detto che vedeva Dio come qualcuno «con una pistola, pronto a colpirmi se mi fossi allontanato».

 

La sua scoperta dei Canonici è avvenuta durante gli anni di restrizioni legate al COVID-19, durante i quali è stato costretto a un periodo di riflessione più intensa. Dopo aver incontrato i Canonici, che erano vicini a dove viveva, la stella della pallavolo ha dichiarato che la sua percezione di Dio è cambiata. Ha abbandonato la sua idea di «un padre minaccioso che era lì per colpire», a favore di «un Dio amorevole».

 

«Ho scoperto che Dio mi amava e che aspettava solo una cosa, che anch’io lo amassi». Questa, ha detto, «è stata la base di questo viaggio».

 

Fondata nel 1971, la comunità conta circa 39 religiosi maschi, con un ramo femminile dell’ordine stabilito a circa 30 chilometri di distanza. I suoi membri sono dediti alla celebrazione della Messa tradizionale.

 

Dopo aver completato il postulato, presumendo che sia lui che la comunità esprimano un discernimento di continuazione, Duée vestirà l’abito ed entrerà nel noviziato che dura almeno un anno. I voti temporanei vengono emessi al termine del noviziato, ed è circa cinque anni dopo l’ingresso nella comunità e l’assunzione dell’abito che un membro prende i voti permanenti.

 

Gli stessi Canonici affermano che la loro vita spirituale «è quella della vita cristiana: appartenere a Cristo e vivere nella Chiesa. Ciò richiede naturalmente la devozione alla Beata Vergine, modello e Madre della Chiesa». Notano che nella loro comunità la devozione mariana si avvale in modo particolare della consacrazione a Maria.

 

In quanto canonici, i membri della comunità hanno il carisma speciale di vivere in comunità e di basarsi sulla loro chiesa particolare. La loro vita canonica è costruita sulla liturgia, vivendo una vita comune sia nel lavoro che nella preghiera, e nel loro apostolato.

 

«L’obiettivo è diventare prete. Rispondo a quella che considero una chiamata interiore», ha detto Duée . Ha descritto i Canonici come «molto dinamici e molto aperti al mondo, con un lato apostolico molto pronunciato».

 

In effetti, la giovane comunità ha attirato attorno a sé numerose famiglie e giovani, offrendo ritiri per uomini e donne, preparazione al matrimonio e un luogo in cui gli studenti possano trascorrere del tempo nello studio tranquillo e nella preghiera.

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Ai visitatori dell’abbazia viene anche offerta l’opportunità di prendere direzione spirituale con uno dei canonici, e i canonici vengono regolarmente visti guidare e prendere parte a vari pellegrinaggi agli antichi santuari in tutta la Francia.

 

I canonici vendono parte dei loro prodotti per sostenere la loro vita quotidiana, fanno affidamento sul sostegno dei donatori per i loro bisogni e per l’attuale restauro dell’abbazia stessa.

 

La cosiddetta Opus Mariæ fu fondata nella diocesi di Gap nel 1969 da Roger Péquigney. Nel 1988, i suoi membri abbracciarono lo stile di vita dei canonici regolari, che coniugava contemplazione e attività pastorali. L’8 maggio 1997, la comunità fu ufficialmente eretta come abbazia, seguendo la regola di sant’Agostino, e adottò il nome di «canonici regolari della Madre di Dio».

 

La comunità ha mantenuto la liturgia latina come definita nella riforma promulgata da papa Giovanni XXIII nel 1962.

 

Nel 2004, la comunità si trasferì a Lagrasse, nella diocesi di Carcassonne.

 

L’ordine ricevette l’approvazione della Santa Sede l’18 ottobre 2002 ed è sotto la giurisdizione della Pontificia Commissione «Ecclesia Dei».

 

All’ordine è associato il ramo femminile delle canonichesse regolari della Madre di Dio, residenti nel monastero Mater Dei ad Azille.

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Caso di devozione da parte dei giovani francesi non compaiono nelle cronache, ma esistono eccome. Ne è prova una storia annessa al dramma di Annecy dello scorso anno.

 

Come riportato da Renovatio 21, quando un immigrato siriano si era messo ad accoltellare i passanti, tra cui dei bambini, in riva al lago, era intervenuto per fermarlo Henri d’Anselme, un giovane pellegrino che stava facendo un tour delle cattedrali francesi. Intervistato dalla tv di «informazione continua» BFM TV, un canale molto popolare in Francia, il ragazzo in 14 minuti di conversazione era riuscito ad inserire nel suo racconto dell’accaduto parole come «cattedrale», «cristianità», «Santa Vergine», «Cristo», «preghiera», «spirito cavalleresco».

 

 

Qualcosa sta accadendo all’ultima generazione, anche nella laicissima – cioè dominata da massoni – Francia.

 

Se a Parigi vi sono personaggi che parlano con nonchalance di guerra anche atomica, se al vertice potrebbero aver instaurato programmaticamente un abominio oscuro e indicibile, nelle valli e nelle campagne, nelle cittadine e perfino nelle isole lontane, un ritorno della purezza potrebbe manifestarsi – e trascinare rispedire l’élite malvagia all’Inferno.

 

E allora: vive la France. Dieu le Roi!

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Spagna, crollo delle vocazioni dopo il Concilio Vaticano II

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Il sito Religión Confidencial ha pubblicato un’analisi approfondita sullo stato dei seminari in Spagna. Il calo delle vocazioni al sacerdozio sembra inevitabile. Di fronte a questa situazione molto preoccupante, la Conferenza episcopale spagnola ha deciso di non fornire tutti i dati degli ultimi cinque anni.  

Una mancanza di trasparenza

Dall’analisi di Religion Confidencial emerge la crescente preoccupazione per la mancanza di trasparenza in seguito alla decisione della Commissione episcopale per il clero e i seminari di non pubblicare i dati annuali suddivisi per diocesi sui seminaristi in Spagna.   Questa pratica si è interrotta dopo l’anno accademico 2018/2019, che ha suscitato preoccupazioni in diversi ambienti ecclesiali che vedono in essa un passo indietro in termini di trasparenza e un possibile occultamento delle crisi vocazionali in alcune diocesi.   Nonostante la sua riluttanza a pubblicare dati dettagliati, la Conferenza Episcopale continua ad aggiornare sul suo sito alcuni dati sulle diocesi, anche se con alcune incongruenze e senza precedenti dettagli per diocesi.  

Una forte tendenza al ribasso a partire dagli anni ’60

Il numero dei seminaristi in Spagna ha visto un notevole calo a partire dagli anni ’60. A quel tempo la Spagna contava più di 7.000 seminaristi. Dieci anni dopo, quel numero era sceso a 1.500. Un calo di quasi l’80%. Dopo aver superato quota 2.000 tra il 1985 e il 1990, lo scorso anno la tendenza è tornata a scendere sotto quota 1.000.   Se consideriamo la distribuzione dei seminaristi per diocesi, anche qui la situazione è allarmante: nel 2023, 6 diocesi non avevano seminaristi. Inoltre, 8 diocesi hanno avuto un solo seminarista per l’anno accademico 2022/2023. Così, l’anno scorso, 14 delle 69 diocesi spagnole avevano da 0 a 1 seminarista.

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All’estremo opposto, 14 diocesi hanno più di 20 seminaristi, il seminario più attrezzato è quello di Madrid con 119 seminaristi. Nella capitale il calo del numero dei seminaristi appare catastrofico.   Il calo del numero delle ordinazioni segue ovviamente il calo del numero dei seminaristi, e negli ultimi due anni sono stati ordinati meno di 100 seminaristi diocesani nella penisola iberica – esclusi i sacerdoti ordinati in una società religiosa. Quindi sono stati ordinati solo 97 sacerdoti nel 2022 e 79 nel 2023.   Questa preoccupante dinamica ha portato alla chiusura di un certo numero di seminari: il numero è difficile da specificare, perché recentemente i nomi hanno cambiato, da seminario a casa di formazione. In ogni caso, l’indagine di Religion Confidential ha contato 21 seminari attualmente chiusi in Spagna.  

Roma impone l’unificazione dei seminari

Con una simile realtà davanti agli occhi si può comprendere il recente intervento romano per il quale i vescovi sono stati convocati in Vaticano. Papa Francesco ha imposto un processo di unificazione dei seminari. Non sembra necessario imporlo, perché la realtà impone di ripensare la mappa dei seminari e delle case di formazione.   In questo Paese dal passato gloriosamente cattolico, il progressismo ha provocato un profondo caos che ora lascia la Chiesa quasi senza sangue.   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Chiesa 2.0 del cardinale Walter Kasper

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Riforma radicale dell’ecclesiologia attraverso l’instaurazione di una forma di bicameralismo all’americana: è più o meno questa la strada che il cardinale Walter Kasper auspica vedere intrapresa dalla Chiesa all’indomani del Sinodo sulla sinodalità.

 

Il 10 aprile 2024, l’arciabbazia di San Pietro a Salisburgo (Austria) – il più antico monastero benedettino del mondo di lingua tedesca – pullula di curiosi accorsi per ascoltare la conferenza introduttiva tenuta da un illustre ospite come parte del simposio «Cardinali e Benedettini».

 

Il cardinale Kasper, che difende una linea progressista nell’interpretazione del Concilio Vaticano II – che un tempo lo metteva in opposizione con il cardinale Josef Ratzinger – ha intitolato il suo intervento «Cardinali al servizio della Chiesa e del papato».

 

Il porporato, che ha avuto un ruolo di primo piano negli ultimi due conclavi – ma che ora è privato del diritto di voto a causa dell’età – resta una voce ascoltata dall’attuale Romano Pontefice. Secondo lui il Sinodo sulla sinodalità sarebbe un’occasione per riportare i cardinali al loro vero posto.

 

L’ex vescovo di Rottenburg-Stoccarda ritiene che, nel quadro del Sinodo, papa Francesco abbia lanciato un grande movimento per il decentramento della Chiesa: occorrerebbe inoltre fare un nuovo passo verso la riforma del collegio cardinalizio, in senso di un cosiddetto ritorno alle fonti.

 

In questa prospettiva ai cardinali verrebbe attribuita una nuova prerogativa: quella di presiedere i consigli plenari nelle regioni da cui provengono. Al fine di istituire una sorta di sistema bicamerale nel governo della Chiesa, composto dal Sinodo dei vescovi e dal Consiglio dei cardinali. Mai visto prima nella Storia della Chiesa.

 

Un’interpretazione molto personale dell’evoluzione della funzione cardinale

Radicata inizialmente nella liturgia, la funzione cardinalizia si sarebbe, secondo le parole dell’ex professore dell’Università di Tubinga, «politicizzata» per diventare il giocattolo delle grandi famiglie romane fino a essere coinvolte nel declino della Roma decadente del tardo Medioevo.

 

In epoca moderna, la funzione cardinalizia si sarebbe poi ridotta all’esercizio del ruolo di funzionario della Curia Romana, prima della grande «riscoperta» di questa veneranda istituzione durante il Concilio Vaticano II, che costituisce tuttora l’alfa e l’omega della Chiesa per Mons. Kasper.

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Un’affermazione molto discutibile

Gli studi concordano nel vedere la lontana origine dei cardinali nel presbyterium, un’assemblea di sacerdoti e diaconi che assistono e consigliano il vescovo nella guida del suo gregge. Sant’Ignazio di Antiochia lo menziona come «il Senato del vescovo», al quale i fedeli devono rispetto perché rappresenta il vescovo, ma al di sotto di lui.

 

Anche il vescovo di Roma era circondato da un presbyterium. Ma, «dalla somiglianza di origine e dal fatto che il nome di cardinale era comune all’alto clero romano e all’alto clero di altre città vescovili, sarebbe errato concludere», precisa il Dizionario di Teologia Cattolica, «che questo nome rispondeva in entrambi i casi a identiche prerogative».

 

«Il titolo di papa veniva anticamente dato indiscriminatamente a tutti i vescovi e non venne mai in mente a nessun cattolico di metterli tutti, per questa ragione, sullo stesso rango. È il caso del nome cardinale: in origine era generico e non implicava di per sé alcun ruolo specifico; nessun grado uniforme di potere; il suo valore esatto è stato determinato in base alle circostanze».

 

«I cardinali di una determinata diocesi diversa da quella di Roma non hanno mai potuto ricevere dal loro vescovo, per condividerlo con lui, nessun altro potere se non quello contenuto entro i limiti di quella diocesi; ma i dignitari associati dal Sommo Pontefice all’amministrazione degli affari che gli spettavano acquistarono necessariamente potere e influenza estendendosi a tutta la Chiesa».

 

Bastano queste righe autorevoli per rimettere in discussione i meriti storici di questo «bicameralismo» che il cardinale Kasper difende, e che equivarrebbe a diluire ulteriormente l’autorità del Romano Pontefice.

 

«Speriamo di mantenere Francesco ancora per qualche anno e che i suoi successori completino le sue riforme», ha detto il cardinale Kasper.

 

Una conclusione carica di incertezza, che lascia intendere che il progressismo è ancora lungi dall’aver vinto e che nel prossimo conclave resta l’elezione di tutte le possibilità, sotto la benevola grazia dello Spirito Santo.

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