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Tutti pazzi per la ragazza in aereo con Durov

La giovane donna arrestata a Parigi la scorsa settimana insieme al CEO di Telegram Pavel Durov sarebbe stata rilasciata dopo l’interrogatorio, secondo quanto riportato dai media francesi. Anche la guardia del corpo di Durov è stata liberata, mentre il miliardario russo stesso rimane in custodia.
Yulia Vavilova, sedicente «crypto coach» e influencer basata a Dubai, è stata avvistata con Durov in diverse occasioni ed era sul jet privato del magnate quando sono atterrati all’aeroporto di Le Bourget.
«La sua guardia del corpo e il suo assistente, che lo accompagnano in ogni momento, sono stati interrogati dagli inquirenti prima di essere rilasciati, secondo una fonte vicina al caso», ha scritto lunedì Le Figaro.
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The woman who accompanied Pavel Durov, on his journey that led to his arrest is Juli Vavilova, a Gamer.
She’s a true Gamer in real life too. pic.twitter.com/eMVSOin3Zj
— cinesphere (@the_cinesphere) August 26, 2024
这次和电报(Telegram)创始人杜罗夫(Pavel.Durov)同机被捕的女友,叫瓦维洛娃(Juli.Vavilova),她天天在INS更新在哪Happy,有人说是币圈捞女,也有人说是以色列摩萨德。很多大佬栽倒背后,都有一个拜金女的身影,各种Show,然后招来了注意。所以杜罗夫无论去哪,都有女友在发动态,地址也就暴露了。不过… pic.twitter.com/Xk47hUwtb6
— 总裁简报 CEO Briefing (@CEOBriefing) August 28, 2024
Presumably Durov’s girlfriend with whom he flew to Paris
The girl next to Pavel Durov in the photo is presumably crypto coach Yulia Vavilova.
The blonde accompanied the creator of TG throughout his entire trip – from Kazakhstan to Azerbaijan.
As soon as Pavel was detained,… pic.twitter.com/IqAaWZvTwA
— Lord Bebo (@MyLordBebo) August 25, 2024
More from Durov’s girlfriend’s posts. pic.twitter.com/4opey5NaGH
— Lord Bebo (@MyLordBebo) August 25, 2024
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Sebbene il Durov e la Vavilova non abbiano pubblicamente riconosciuto la loro relazione, le loro frequenti apparizioni insieme suggeriscono uno stretto legame. I suoi post sui social media che hanno preceduto il loro arresto indicano che si trovava negli stessi luoghi del CEO di Telegram, tra cui Kazakistan, Kirghizistan e Azerbaigian. La Vavilova ha anche pubblicato storie su Instagram da quello che si ritiene essere l’aereo privato di Durov.
❗️⛓️🕳🐇 – The woman who accompanied Pavel Durov on the trip that resulted in his arrest is called Yulia Vavilova.
🐇 On August 21, Pavel Durov posted on his VK account: “Telegram delegation visit to Azerbaijan. In Azerbaijan, Pavel Durov improved his target shooting skills and… pic.twitter.com/5jBQiFEHp9
— 🔥🗞The Informant (@theinformant_x) August 27, 2024
Nella sua biografia su Instagram si legge che parla quattro lingue: inglese, russo, spagnuolo e arabo, e che è interessata a «giochi, criptovalute, lingue e mentalità».
Julia Vavilova, Pavel Durov’s girlfriend, revealed on Twitch how she used cryptocurrency to circumvent Russian sanctions.
“When Russia went under sanctions, my smart friends, I’m really glad that I have my smart friends around me who educate me about crypto who gives me… https://t.co/bQ2UEQlpTS pic.twitter.com/IcPIogT9DF
— Baptiste Robert (@fs0c131y) August 26, 2024
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Giornali indiani hanno iniziato a far circolare voci sul fatto che la ragazza sarebbe affiliata ai servizi di un Paese terzo, ma non vi sono ovviamente riscontri, e la confusione può essere aumentata dal fatto che una omonima, Elena Vavilova, fu una delle spie KGB operanti in USA arrestate nel 2010 nel caso degli «Illegal Programs», operativi dei servizi russi che vivevano come americani sotto copertura, una storia che fu l’ispirazione della serie TV The Americans.
Nel frattempo la rete impazzisce per l’avvenente ragazza, diffondendo quantità di suoi selfie da jet-setter superbenestante, che la ragazza ha prodotto a profusione.
Tira più un cripto-pelo biondo che…
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Immagine da Twitter
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La Francia apre un procedimento penale contro X di Musk. Durov: da Parigi una «crociata» contro la libertà di parola e il progresso tecnologico

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Google chiude il sito Messa in Latino. Contro il totalitarismo web, sarebbe ora di finirla con i blog

Il sito Messa in Latino è stato rimosso dalla piattaforma che lo ospitava, Blogger, che è di proprietà di Google.
Il sito, noto come MiL, era nato nel 2007 all’altezza del Summorum Pontificum di Benedetto XVI, il motu proprio secondo cui, in teoria, veniva «liberata» la messa tradizionale nel mondo. Il blog era molto trafficato (si parla di un milione di visite solo lo scorso mese!) da chi si interessava della Messa in rito antico e non di rado conteneva succose rivelazioni riguardo le meccaniche interne della gerarchia a Roma e nelle diocesi.
La notizia della chiusura del sito è rimbalzata sui giornali e anche al di là dell’Atlantico: a parlarne è anche LifeSiteNews. Secondo quanto riportato in una email inviata da blogger.com si informavano i redattori di Messa in Latino che il sito era stato chiuso con effetto immediato. MiL aveva qualcosa come 22.000 post, un vero tesoro di testimonianza degli ultimi 20 anni di post-concilio.
«Spiacenti, il blog all’indirizzo lamessainlatino.blogspot.com è stato rimosso» è la scritta che appare se si digita l’URL del sito.
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Il Giornale riporta che ora «proprietari del blog hanno reagito rivolgendosi ad uno studio legale ed inviando una diffida per lamentare quella che hanno definito “l’inopinata e soprattutto immotivata soppressione dello stesso” ed hanno richiamato il rispetto dell’articolo 21 della Costituzione in merito al diritto alla libera manifestazione del pensiero».
I motivi della chiusura ad oggi restano, come quasi sempre accade, oscuri.
«Il team di Blogger non ha fornito dettagli su possibili violazioni della politica. Tuttavia, MIL ha suggerito che l’azienda di proprietà di Google avesse sollevato obiezioni ad alcuni post che promuovevano la dottrina cattolica e mettevano in guardia dai pericoli della Massoneria» scrive l’inviato di LifeSitea Roma Michale Haynes. In rete circolano varie altre speculazioni su quale contenuto possa aver fatto scattare la censura: questa o quell’intervista, questo o quell’articolo, quel commento, etc.
Tuttavia, nessuna di queste ipotesi è credibile: è quello che Renovatio 21, che di piattaforme e censure se ne intende, ha imparato in tanti anni di colpi ricevuti, anche in tribunale. L’amara realtà, valida per chiunque sui social, è che non sai mai davvero per cosa ti abbiano censurato.
Si tratta, invero, di una situazione del tutto simile a quella de Il Processo di Franz Kafka: si viene processati e condannati ma non si sa nemmeno per quale accusa. Appellarsi è impossibile, e non vi è – a meno di non passare per gli avvocati, anche lì con tanta fatica, nessun volto umano con cui parlare, talvolta nemmeno una email generica a cui rivolgersi.
Come abbiamo tante volte ripetuto su queste pagine, i social in questo modo altro non fanno che fungere da grande prefigurazione della società totalitaria del futuro prossimo, dove il cittadino diviene «utente» che non ha più diritti, ma gode di «accessi» revocabili a comando dall’alto, con lo Stato a divenire piattaforma in una società controllata e regolata in modo macchinale.
Il fenomeno di rimuginare riguardo alla censura inflitta può arrivare a livelli di paranoia – tante volte lo abbiamo visto anche con grandi figure americane, sparite improvvisamente da YouTube (un’altra mega-piattaforma di Google) o perfino da Amazon, dove abbiamo visto sparire negli anni – cioè essere cancellati, come non fossero mai esistiti – i libri dello psicanalista della terapia riparativa per omosessuali Joseph Nicolosi, i testi di E. Michael Jones o, più di recente, i libri del pensatore russo Alessandro Dugin.
L’unica realtà possibile, è il consiglio spassionato di Renovatio 21 a MiL e a tutti, è quella di andare avanti comunque, tenendo a mente una serie di cose.
In primis, il modello hub and spoke: immaginate che la vostra operazione sia una ruota, ebbene non dovete concentrarvi sui raggi, ma sul mozzo, sul centro della ruota, e da lì procedere verso i raggi (i social, etc.). Il sito, quindi, non può appoggiarsi su una piattaforma straniera, soprattutto se del giro della Silicon Valley compromessa non solo con la cultura wokista, ma soprattutto con lo Stato Profondo USA. È necessario farsi un sito proprio, con un hosting provider fuori dal giro – nemmeno quello, sappiamo, è abbastanza, ma con i backup (in teoria, anche qui: sempre in teoria) in caso di chiusura si può riaprire rapidamente da un’altra parte. Basarsi sul sito, e non sui social o su piattaforme che rendono tutto più facile, non solo è arduo, ma garantisce meno traffico: eppure, la via più corta ti espone alla devastazione che conosciamo.
In secundis, cercare di solidificare la propria posizione, mettendo di mezzo corpi intermedi: come sapete, qui abbiamo penato non poco, e da poco ottenuto, lo status di testata registrata in tribunale – e guai a chi gli scappa di chiamare ancora «blog» Renovatio 21 (Sua Eccellenza, la perdoniamo). Chiaramente, nemmeno questo mette a riparo dalla censura – lo abbiamo visto in pandemia, dove venivano oscurate testate tradizionali antiche e pure dell’establishment, e lo vedremo ancora grazie all’Unione Europea – tuttavia mettere di mezzo corpi intermedi dello Stato e delle sue corporazioni potrebbe, in qualche modo, aiutare.
Farla finita con i blog, i profili Instagram, le pagine Facebook, i canali Telegram e Youtube. E aprire testate giornalistiche sic et simpliciter: sfruttiamo a possibile schermatura la pletora di Stato (leggi, sindacati, ordini, ministeri, tribunali) che esse comportano. No alla bloggheria; sì alla burocrazia.
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Sono solo le nostre indicazioni, basate sulla realtà vissuta nel travaglio di questi lustri. Non è escluso che la cosa si risolva al volo: è successo così anche a Chiesaepostconcilio, altra realtà molto conosciuta sparita dai radar qualche settimana fa, per poi ricomparire d’improvviso. Anche quello è un sito, anzi proprio un sedicente blog, che è rimasto appoggiato per decenni, senza evoluzione di sorta, ad una piattaforma aliena. Comodo, perfino gratuito: ma esiziale.
È facile che in questi casi, la censura sia scattata, più che per contenuti, per segnalazioni a ripetizione: tenete a mente che vi sono orde, specie di certuni orientamenti, fortemente organizzate, e pagate per esserlo, e per agire nella delazione online e pure IRL, cioè nella vita reale. A volte la segnalazione genera la censura, ma infine non attacca del tutto, perché l’argomento è considerato di importanza secondaria (la religione, per essi, lo è: «oppio dei popoli» diceva uno dei loro maestri di ingegneria sociale materialista) e non c’è volontà di rischiarsela in Paesi con leggi dove sopravvivono, malomodo, barlumi di libertà di parola con copertura costituzionale. Non è stato il nostro caso…
Non abbiamo una ricetta magica per evitare il bavaglio, ma possiamo dire che ci siamo, purtroppo, passati. Ai ragazzi di MiL possiamo dire che capiamo il senso di sgomento abissale nel vedere tutto il proprio lavoro – che coincide, in alcuni pensieri, con la propria vita, e forse pure, visto il significato storico, sociale e morale di quel che si fa, qualcosa di più – disintegrato con un click da un’autorità invisibile ed oscura.
Lo ribadiamo: si tratta solo di un’antemprima della società futura, dove saremo valutati, premiati e puniti per i nostri pensieri, e nemmeno quelli scritti o detti, ma quelli del nostro foro interiore, come nei progetti di interfaccia cervello-macchina di Klaus Schwab e compagni.
Forza, avanti. Mica ci si può fermare quando ti distruggono tutto. No?
«Si Deus pro nobis, quis contra nos?» (Rm 8, 31)
Roberto Dal Bosco
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Immagine di Andrewgardner1 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0). Immagine modificata
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