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Tutti pazzi per la ragazza in aereo con Durov

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La giovane donna arrestata a Parigi la scorsa settimana insieme al CEO di Telegram Pavel Durov sarebbe stata rilasciata dopo l’interrogatorio, secondo quanto riportato dai media francesi. Anche la guardia del corpo di Durov è stata liberata, mentre il miliardario russo stesso rimane in custodia.

 

Yulia Vavilova, sedicente «crypto coach» e influencer basata a Dubai, è stata avvistata con Durov in diverse occasioni ed era sul jet privato del magnate quando sono atterrati all’aeroporto di Le Bourget.

 

«La sua guardia del corpo e il suo assistente, che lo accompagnano in ogni momento, sono stati interrogati dagli inquirenti prima di essere rilasciati, secondo una fonte vicina al caso», ha scritto lunedì Le Figaro.

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Sebbene il Durov e la Vavilova non abbiano pubblicamente riconosciuto la loro relazione, le loro frequenti apparizioni insieme suggeriscono uno stretto legame. I suoi post sui social media che hanno preceduto il loro arresto indicano che si trovava negli stessi luoghi del CEO di Telegram, tra cui Kazakistan, Kirghizistan e Azerbaigian. La Vavilova ha anche pubblicato storie su Instagram da quello che si ritiene essere l’aereo privato di Durov.

 

 

Nella sua biografia su Instagram si legge che parla quattro lingue: inglese, russo, spagnuolo e arabo, e che è interessata a «giochi, criptovalute, lingue e mentalità».

 


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Giornali indiani hanno iniziato a far circolare voci sul fatto che la ragazza sarebbe affiliata ai servizi di un Paese terzo, ma non vi sono ovviamente riscontri, e la confusione può essere aumentata dal fatto che una omonima, Elena Vavilova, fu una delle spie KGB operanti in USA arrestate nel 2010 nel caso degli «Illegal Programs», operativi dei servizi russi che vivevano come americani sotto copertura, una storia che fu l’ispirazione della serie TV The Americans.

 

Nel frattempo la rete impazzisce per l’avvenente ragazza, diffondendo quantità di suoi selfie da jet-setter superbenestante, che la ragazza ha prodotto a profusione.

 

Tira più un cripto-pelo biondo che…

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Quelli che su Telegram «Netanyahu è morto» e contorno di bufale. Ebbasta!

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Ci sono arrivate negli ultimi giorni diverse segnalazioni riguardo ad un’incredibile notizia circolata sui social, secondo cui il premier israeliano Beniamino Netanyahu sarebbe deceduto.   La «notizia», inviataci dai lettori telegrammari, era anche dettagliosa: l’eterno primo ministro dello Stato Ebraico sarebbe stato colpito mentre era nel suo aereo da un missile Houthi. Ohibò.   Non è che ci serve molto per capire che si tratta di una bufala clamorosa, talmente inverosimile da essere fastidiosa: bastava guardare cosa stava facendo l’uomo in quel momento (con X, si può averne una certa buona approssimazione), o interrogarsi sull’improvvisa iperprecisione dei proiettili yemeniti, che oltre ad essere ipersonici (dicono loro…) ora centrano millimetricamente anche l’aereo del vertice dei vertici dello Stato Ebraico e di tutto il casino mediorientale.

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Niente da fare: abboccano a migliaia. Ecco quello che commenta con livore, ecco quello che spamma ovunque: del resto le notizie per alcuni sono una sorta di moneta sociale, diffonderle è parte di un rapporto di scambio in cui ci si sente «ricchi», ed è per questo che tanti sono in cerca di notizie sempre più sconvolgenti, oltraggiose – ed è per questo che in tanti vogliono offrirvele, spesse volte inventandosele.   È la logica della dopanina, lo sappiamo da anni. I social e il loro doom scrolling (chiamano così l’atto di aggiornare continuamente alla cerca di informazioni sempre più pazzesche) sono una droga.   Non si tratta, tuttavia, del solo danno neurotrasmettitorio. Non è solo l’alterazione biochimica del cervello dei dipendenti da Facebook e Telegram (e X…) ad essere il problema qui: c’è una ramificazione da considerare ancora più devastante.   Ci è stato chiesto, per esempio, di correggere gli articoli che abbiamo pubblicano su Netanyahu, che è talmente presente nelle nostre cronache che, come avrete notato, abbiamo optato perfino per italianizzarne il nome, Beniamino (sapete che abbiamo anche Demetrio Peskov e Medvedev, talvolta Vladimiro Putin, Donaldo Trump, Wuhano etc.) – e non ci rompete, perché su Renovatio 21 stiamo riformando la lingua italiana, re-italianizzandola, come nessun altro, e poi quello si fa chiamare come vuole, come quando da giovane, con i capelli castani e gli occhi spiritati, si presentava come «Ben Nitay».   I lettori ci dicono: correggete gli articoli sul Netanyahu, perché abbiamo certezza che sia morto. Voi capite: Renovatio 21 magari ha appena pubblicato il video in cui il premier israeliano parla per due minuti, con il suo accento della Pennsylvania, al «nobile popolo persiano», in pratica facendo capire di voler rovesciare gli ayatollah stuzzicando l’opposizione interna iraniana. Un documento di un certo significato storico, e strategico in questo momento.   Ma ecco che i telegrammati ti dicono: quel video è falso, è un deep fake, anzi è stato registrato prima. Netanyahu è morto, questa è la verità. Cambiate gli articoli. E se non compare nulla sulla stampa mainstream – neanche quella non filoisraeliana, che esiste in vari Paesi del mondo – è perché lo mondo intero è governato dagli arconti sionisti, che controllano ogni singolo rivolo giornalistico del pianeta, oltre che la struttura realtà stessa, a parte i missili Houthi.   Capite che davanti a plurimi casi, si perde anche la pazienza, ti si tappa la vena, ti scende la catena, ti insusti, per usare una parola veneta intraducibile che definisce il fastidio divenuto intollerabile. Facciamo tanto lavoro – gratis, per i tantissimi che mai hanno fatto nemmeno una microdonazione per mandare avanti Renovatio 21 – lo facciamo di notte, la mattina prestissimo, di giorno, di sera, a tutte le ore, e questo è quello che raccogliamo?   Si tratta, di certo, del danno più grande: la fake news impazzita, installatasi marmoreamente nella mente dell’utente, lo spinge verso la dissonanza cognitiva rispetto a questo sito, che non ripete, non conferma, nemmeno considera la cazzata in questione. Quindi, quello che succede è che il guasto alla credibilità non lo subisce Telegram e il canale che distribuisce le bufale (di cui talvolta neanche ci si ricorda il nome, e che sempre è gestito da sconosciuti con nessuna credenziale per essere creduti), lo subisce Renovatio 21.

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È insustamento vero, totale, inenarrabile, insuperabile, inconsolabile. Sei stato schedato, da anni, come diffusore di fake news per aver parlato del piano globale dei vaccini quando ancora la popolazione mondiale non era sierata mRNA, sei stato disintegrato (con tutto il tuo profilo, foto e contatti di 14 anni di uso) da Facebook, che hai dovuto portare in tribunale.   Per portare informazioni pulite, ragionate, reali – in una parola, «vere» – hai subito l’impossibile, hai pagato un costo alto, talvolta orrendo. E mo’, ti tocca di combattere con il domofugismo (il fenomeno che produce i domofugi, cioè gli scappati di casa) dei telegrammisti anonimi. I giapponesi dicono shikata ga nai. Non c’è niente da fare.   La questione non si ferma all’insustazione professionale (tesserino Ordine Giornalisti dal 2005…) ed esistenziale dello scrivente. Il veleno continua nel sistema circolatorio generale: notate, i telegrammatici sparano la fake news e poi, quando diventa impossibile mantenerla in piedi, non si degnano di smentire, di rettificare, di correggere l’errore.   Nel senso: non ci pensano neanche lontanamente, cioè, nemmeno considerano la cosa. Non hanno motivi per farlo, né lo considerano utile: perché in realtà non rispettano i loro utenti, perché di fatto non vivono nella realtà, ma in un antro solipsista dove pisciano a ciclo continuo parole che copincollano da qualche parte per servirla, come fossero preziosi messaggeri, al loro povero pubblico, che pensa di informarsi e invece è solo inondato di orina informazionale.   Siete bombardati, via smartphone, da coboldi incontinenti senza volto: questa è la pura verità sulla vostra situazione.   Tempo fa ci arrivarono i messaggi di amici che ci inoltravano la notizia secondo cui re Carlo d’Inghilterra era morto. Una notizia del genere, uno pensa, difficilmente si tiene nascosta, perché bisogna comprendere quale sia l’attitudine di giornali e pubblico britannico verso la Famiglia Reale: guardate cosa è successo con la principessa Caterina photoshoppata, le anomalie saltano fuori velocemente, anche senza magari che si spiega tutto.   Passavano le ore, da nessuna parte, nemmeno sui siti più impenitenti di scoop, vi era cenno. I domofugi telegrammatici rincaravano la dose: è certo che è morto re Carlo, la BBC ha cambiato logo, ora è nero. Qualcuno mi disse persino che la diplomazia stava già lavorando informando le segreterie degli Stati. Eccerto.   Secondo voi era vero? Rispondetevi da soli: gli stessi canali erano gli stessi che poco dopo chiedevano la vostra dopamina scandalizzandovi con il ritratto sanguinolento del re svelato alla stampa.   Nel frattempo, vi hanno detto che non era vero che era morto? Vi hanno chiesto scusa? Maddeché.   Ieri l’altro abbiamo notato che era partita un a tipologia ancora più insidiosa di bufala telegramma: quella che cita il precedente e mostra pure un video che non c’entra nulla, ma – in quanto filmato reale – assegna una qualche credibilità. Vari hanno sputazzato la notizia che Israele avrebbe bombardato una struttura del gas di Beirut di proprietà di un colosso energetico francese, di cui fanno nome e cognome, non si sa con quale esattezza.   C’è una certa furbizia di fondo: Macron qualche giorno fa ha alzato la voce con Israele, parlando di embargo sul fornimento di armi, del resto sappiamo quale sia l’attenzione che Parigi ha verso la sua ex colonia, specie ora che tante ex colonie si sono rivoltate contro la Francia. Macron, contando sulla francofonia ancora diffusa, la settimana scorsa aveva fatto pure un video discorso di incoraggiamento ai libanesi. Poi era saltata fuori la reazione di Netanyahu, che aveva attaccato duramente la posizione dell’Eliseo sulle forniture di armi: una «vergogna», secondo il Beniamino.   Ecco che qui si innesta la fake news propalata da telegrammatici e twittaroli: Israele attacca una struttura del gas francese come ritorsione!   Di più: ci piazzano l’immagine della grande esplosione di due notti fa a Beirut, e ti dicono che quello è l’edificio della multinazionale degli idrocarburi francese che va in mille pezzi sotto i missili dello Stato Ebraico.   Anche qui, ne hanno certezza. I canaletti bufalatori citano «fonti», mettendo così la parola, a caso, in modo da gabbare almeno qualcuno. Il pensiero di infinocchiamento della massa vaccina (cioè, bovina) lo fanno anche quelli che il vaccino ripetevano sui social 20 volte al giorno di non averlo fatto, magari perché dentro c’erano le nanomacchine autoassemblanti.

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Ma ci rendiamo conto della portata di una notizia del genere? Israele attacca direttamente gli interessi di uno Stato europeo? Ci rendiamo conto che se fosse vero, quali conseguenze ci sarebbero? Ci rendiamo conto che una notizia del genere sarebbe impossibile da tener nascosta? Ci rendiamo conto che vi sarebbero delle ripercussioni inevitabili, anche per la UE, e finanche – pur senza far scattare l’articolo 5 – per la NATO?   Ci rendiamo conto dell’enormità di questa cazzata? Ci rendiamo conto della nequizia necessaria a confezionare questa fake news sfruttando un video che sta circolando per descrivere tutt’altra notizia?   Con evidenza, no. E sappiamo come andrà a finire: nessuno rettificherà, nessuno smentirà, perché per loro il ciclo delle notizie è fisiologia escrementizia, una volta prodotta la cosa questi se ne disinteressano, tirano lo sciacquone verso i loro utenti, che evidentemente considerano come creature della fogna che sta sotto di essi.   La notizia rimarrà in circolo, resterà in testa a moltissimi, esattamente come quella del Netanyahu morto. Qui arriva la realizzazione ulteriore che ne consegue: a causa degli scappati di casa dei social, si crea come un universo parallelo, che persiste nel tempo a fianco della realtà, con sempre minori punti di contatto tra i due mondi. È il multiverso degli ebeti dopaminici, la quinta dimensione dei perdigiorno telegram-canalizzati.   E quindi, chiediamoci: cosa è possibile fare con questi? Si possono far ragionare? Si possono portare a combinare qualcosa di concreto, per cambiare le cose? No, difficile. Dormono, pure in una dimensione che non è quella dove viviamo noi. Sognano, o meglio, hanno incubi, e a loro piace pure così. Oltre ai confini della realtà.   Uno può pensare che anche questo sia parte della grande opera di demoralizzazione, di sconvolgimento – nel senso, della fine del coinvolgimento – ordita dal Signore del Mondo con i padroni del vapore etc. Ognuno chiuso nel suo loculo di fake news allettanti, appagati del fatto che se vai al bar – ammesso che ti lascino andare… – può stupirei tuoi amici sapendola più lunga: Israele attacca la Francia, Netanyahu è morto, re Carlo è morto, Biden è morto…. (e neanche io mi sento tanto bene, direbbe quel tizio discutibile che ha sposato sua figlia e frequentato Epstein).   State certi che non avevamo voglia di scrivere questo articolo, perché fare i fact-checker è qualcosa che non può non farci venire il vomito – anzi usiamo anche qui un’altra parola gergale veneta: pensare al fact-checking ci fa bettonare. (Credo che la parola si sia innestata perché a qualcuno, ad un certo punto, l’atto di rimettere deve aver ricordato l’attività di una betoniera, ma non voglio far partire qui una fake news glottologica…)   E poi: davvero ci tocca di difendere quei soggetti? Soggetti sui quali, negli anni, abbiamo bettonato l’impossibile?   Siamo certi che vi sarà qualcuno che alla fine di questo articolo, magari soprattutto senza leggero, ci darà dei collusi: quisling di Netanyahu, Israele, della famiglia Windsor Sassonia Coburgo-Gotha, della NATO, degli UFO, di chi volete – è la reazione psicologica che capita ai sonnambuli, non puoi svegliarli di colpo, ché diventano aggressivi.

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Non è che a noi ci importa qualcosa: questo sito è fatto per chi vuole un luogo di informazione, di riflessione, di meditazione vera. Un sito fatto di realtà, più che di dopamina.   Sapete chi dirige questo sito, e cosa questo sito fa. Sapete che non si inventa le cose, perché vi rispetta troppo – è per questo che qui gli articoli hanno sempre riferimenti chiari, quando non hanno video e foto, che a differenza di altri mettiamo sempre quando è possibile farlo.   Sapete che Renovatio 21, non ha intenzione di sparire: nonostante la guerra subita dai giganti della tecnologia, la mancanza di fondi, gli attacchi hacker, l’odio di tantissimi, le minacce varie, anche concrete, subite in questi anni.   Invece che scrollare drogasticamente Telegram, venite su renovatio21.com. Credeteci, è meglio per tutti.   E magari, per continuare a far vivere questo angolo di realtà vera e necessaria, fate una piccola donazione. Essendo praticamente astemi, assicuriamo ci sarà impossibile spenderli in alcolici per dimenticare questo disastro. Nessuno si può ubriacare qui – a farci bettonare ci pensa già lo stato delle cose.   In questa mia amarezza limitata chirurgicamente – sapete che mi hanno asportato un organo preposto alla bile poche settimane fa… – ringrazio di cuore (quello me lo hanno lasciato al momento) i nostri fedeli lettori.   A cui vorremo sempre bene, anche quelli che qualche volta dobbiamo salvare mentre affogano tra le pozzanghere dei canali telegrammari.   Roberto Dal Bosco

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Durov ammette: Telegram condivide i dettagli degli utenti con molti Stati

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Il CEO di Telegram, Pavel Durov, ha rivelato mercoledì che il servizio di messaggistica ha rispettato le norme sulla privacy di diversi Paesi negli ultimi sei anni e ha correttamente comunicato alle autorità informazioni sui criminali.

 

Il miliardario della tecnologia di origine russa ha ricevuto l’ordine di non lasciare la Francia dopo essere stato arrestato a Parigi a fine agosto e accusato di molteplici reati, tra cui la gestione di una piattaforma utilizzata dalla criminalità organizzata e il rifiuto di collaborare con le autorità francesi.

 

Il mese scorso, il Durov, che è anche uno dei fondatori della società assieme al fratello Nikolaj, ha annunciato un aggiornamento dei Termini di servizio e dell’Informativa sulla privacy della piattaforma, che, a suo dire, avrebbe chiarito che gli indirizzi IP e i numeri di telefono di coloro che violano le regole del messenger «possono essere divulgati alle autorità competenti in risposta a valide richieste legali».

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In un post di follow-up sul suo canale Du Rove mercoledì, il CEO di Telegram ha osservato che la nuova politica non costituisce un «grande cambiamento» nel funzionamento della piattaforma e che aveva già condiviso con le autorità competenti i dettagli dei criminali che ne abusavano.

 

«Dal 2018, Telegram è stata in grado di rivelare indirizzi IP/numeri di telefono di criminali alle autorità, secondo la nostra Informativa sulla privacy nella maggior parte dei Paesi», ha spiegato Durov, osservando che ogni volta che la piattaforma riceveva una «richiesta legale correttamente formulata tramite linee di comunicazione pertinenti», la verificava e rivelava gli indirizzi IP/numeri di telefono di criminali pericolosi.

 

Durov ha rivelato che in Brasile, ad esempio, Telegram ha divulgato i dati di oltre 200 richieste legali dall’inizio dell’anno e quasi 7.000 in India nello stesso periodo.

 

Ha inoltre osservato che negli ultimi mesi in Europa si è registrato un aumento del numero di «richieste legali valide», il che suggerisce che ciò potrebbe essere attribuito al fatto che più autorità dell’UE hanno iniziato a utilizzare la linea di comunicazione corretta per tali richieste.

 

Durov ha spiegato che il recente aggiornamento dell’informativa sulla privacy della piattaforma aveva il solo scopo di semplificarla e unificarla, sottolineando che i principi fondamentali di Telegram non sono cambiati.

 

«Ci siamo sempre sforzati di rispettare le leggi locali pertinenti, purché non andassero contro i nostri valori di libertà e privacy», ha affermato, aggiungendo che Telegram è stato creato per «proteggere gli attivisti e la gente comune da governi e aziende corrotte» e non ha mai permesso ai criminali di abusare della piattaforma o di eludere la giustizia.

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Durov è stato arrestato dopo l’atterraggio in un aeroporto di Parigi a fine agosto e rilasciato su cauzione diversi giorni dopo. È stato accusato di 12 capi d’imputazione, tra cui complicità nella distribuzione di materiale pedopornografico, spaccio di droga e riciclaggio di denaro. Le accuse derivano dall’accusa che le regole di moderazione permissive di Telegram consentano l’uso improprio diffuso del servizio di messaggistica.

 

L’imprenditore ha negato con veemenza le accuse, sottolineando che Telegram ha sempre cercato di collaborare con i regolatori statali per stabilire «il giusto equilibrio tra privacy e sicurezza» e osservando che la piattaforma rimuove «milioni di post e canali dannosi ogni giorno» e pubblica «rapporti sulla trasparenza giornalieri» sulle azioni intraprese contro la diffusione di contenuti illegali.

 

Come riportato da Renovatio 21, Telegram collaborò con le autorità italiane all’inizio del lockdown 2020: gli editori italiani lamentarono che esistevano sull’app alcuni canali dove si potevano scaricare gratuitamente giornali e riviste – praticamente, un angolo di pirateria diffusa. La Federazione Italiana Editori Giornali (FIEG) chiese all’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) di «un provvedimento esemplare e urgente di sospensione di Telegram, sulla base di un’analisi dell’incremento della diffusione illecita di testate giornalistiche sulla piattaforma che, durante la pandemia, ha raggiunto livelli intollerabili per uno Stato di diritto».

 

Due settimane dopo, a fine aprile 2020, Telegram, con una mossa inedita, rispose ad una mail dei giudici italiani e disattivò i canali accusati. Come scrisse trionfalmente La Repubblica: «Il primo grande risultato nella lotta alla contraffazione dell’editoria arriva nella notte da Dubai alla casella di posta elettronica della procura di Bari: “Hello, thank you for your email”, esordiscono brevemente i manager della piattaforma di messaggistica, prima di dare l’annuncio: “Abbiamo appena bloccato tutti i canali che ci avete indicato, all the best”, firmato: “Telegram Dmca”».

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Immagine di TechCrunch via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic; immagine modificata.

 

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Il giudice Moraes infligge a Musk un’altra multa per X in Brasile

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Elon Musk è stato condannato a pagare un’altra multa se vuole che il Brasile revochi il divieto nazionale imposto sulla sua piattaforma X ad agosto, hanno riferito i media locali, citando un fascicolo della Corte Suprema depositato venerdì.   La multa è stata ordinata dal giudice Alexandre de Moraes dopo che X è diventato brevemente accessibile nel Paese nonostante il precedente divieto, presumibilmente tramite il provider di Internet satellitare di Musk, Starlink.   La disputa tra Musk e le autorità brasiliane risale ad aprile, quando Moraes aveva intimato a X di cancellare diversi account che si diceva stessero diffondendo disinformazione, tra cui, sembra, anche quelli di alcuni esponenti politici. Musk aveva rifiutato, dicendo che la mossa avrebbe violato la legge brasiliana.   Il 30 agosto, il Moraes ha imposto un divieto nazionale a X. Ha inoltre imposto una multa alla piattaforma per non aver nominato un nuovo rappresentante legale in Brasile e ha ordinato il congelamento dei conti di X e Starlink, una sussidiaria della SpaceX di Musk nel paese, per garantirne il pagamento.   Come riportato da Renovatio 21, a metà settembre il tribunale ha sbloccato entrambi i conti, ma ha prelevato 18,35 milioni di reais brasiliani (circa 3,3 milioni di dollari) per far rispettare la multa.

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Musk inizialmente si è rifiutato di soddisfare le richieste di Moraes, definendolo «un dittatore malvagio che si spaccia per giudice». Tuttavia, all’inizio di questa settimana, il team legale di X ha affermato che la piattaforma ha risolto i problemi rilevati dalla corte, tra cui la nomina dell’avvocato Rachel de Oliveira come nuovo rappresentante legale. Ha richiesto che il divieto sulla piattaforma venisse revocato.   Venerdì la corte ha dichiarato di aver ricevuto un rapporto dall’ente di controllo delle telecomunicazioni brasiliano (Anatel) che affermava che X era diventato accessibile per due giorni interi la settimana precedente nonostante la sospensione. Moraes ha accusato Musk di aver «deliberatamente e illegalmente» cercato di «aggirare» il divieto e gli ha ordinato di pagare altri 10,3 milioni di reais (1,9 milioni di dollari) se desidera ripristinare la piattaforma in Brasile. A Oliveira è stato anche ordinato di pagare una multa di 300.000 reais (55.200 dollari).   «Il ritorno immediato di X dipende esclusivamente dal pieno rispetto della legislazione brasiliana e dall’assoluta osservanza degli ordini del tribunale in materia di sovranità nazionale», ha affermato Moraes nell’ordinanza del tribunale.   Il team legale di X in Brasile ha rifiutato di commentare l’ultima mossa di Moraes. Anche Musk è rimasto insolitamente silenzioso sulla notizia finora.   Come riportato da Renovatio 21, il Brasile è solcato da manifestazioni di massa per la libertà di parola indetta dai bolsonariani, che inneggiano a Elon Musk e alla sua piattaforma social.

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Immagine MINISTÉRIO DAS COMUNICAÇÕES via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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