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Geopolitica

Trump ha urlato a Netanyahu che minimizzava la carestia a Gaza

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Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump avrebbe urlato contro il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu durante una telefonata dopo che il leader israeliano aveva tentato di minimizzare le notizie sulla carestia a Gaza. Lo riporta l’emittente americana NBC News.

 

Netanyahu ha affermato pubblicamente che «non c’è fame» nell’enclave palestinese, bloccata dalle forze militari israeliane, nonostante le molteplici affermazioni contrarie da parte del personale medico di Gaza.

 

Durante un recente viaggio nel Regno Unito, Trump ha reagito, dicendo ai giornalisti che la fame è reale.

 

Secondo quanto riportato dal quotidiano, Netanyahu ha insistito durante la chiamata sul fatto che le accuse di fame diffusa a Gaza erano state inventate dal gruppo militante Hamas, ma Trump lo ha interrotto, alzando la voce e affermando che i suoi collaboratori gli avevano mostrato prove del contrario.

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Secondo quanto riferito, la conversazione è stata avviata su richiesta di Netanyahu, ma lo scambio si è rivelato «per lo più a senso unico», con Trump che ha parlato per la maggior parte del tempo, secondo una fonte.

 

In una breve dichiarazione ufficiale, l’ufficio di Netanyahu ha negato l’affermazione, definendola una «completa fake news».

 

NBC News ha ipotizzato che Trump abbia mostrato un interesse personale per la questione a causa del sostegno statunitense alla Gaza Humanitarian Foundation (GHF), un’organizzazione affiliata a Israele che da maggio svolge un limitato lavoro di soccorso nell’enclave. La fondazione è stata emarginata dalle Nazioni Unite, che gestiscono una propria rete di aiuti a Gaza e hanno accusato Israele di ostacolare le consegne di cibo.

 

Questa settimana, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha criticato la GHF, definendola «un esempio assolutamente inquietante di come gli aiuti umanitari possano essere sfruttati per scopi militari e geopolitici segreti», accusando la fondazione di operare come un «groviglio di intelligence israeliana, contractor statunitensi e ambigue entità non governative», piuttosto che come una legittima agenzia di soccorso. Le Nazioni Unite stimano che quasi 1.400 persone siano state uccise a Gaza durante la ricerca di cibo.

 

Le accuse contro la GHF, con denunce di crimini di guerra, sono state mosse in questi giorni anche da Tony Aguilar, un ex berretto verde che aveva prestato servizio a Gaza nella sicurezza della distribuzione del cibo.

 

Come riportato da Renovatio 21, in queste ore Israele si sta preparando per un’operazione militare per occupare la città di Gaza, segnando l’ennesima escalation del conflitto.

 

Due mesi fa si parlò di una «purga» dentro l’amministrazione con cui Trump mandava via i funzionari considerati troppo filoisraeliani.

 

Come riportato da Renovatio 21, in passato Trump aveva attaccato Netanyahu arrivando a chiederne la sostituzione e ad ipotizzare tagli agli aiuti ad Israele.

 

Nel contesto di questi commenti aveva rivelato anche dettagli sull’assassinio del generale dei servizi iraniani Qassem Soleimani, suggerendo che fu indotto ad ordinarne la morte dagli israeliani, che poi però si tirarono indietro.

 

Come riportato da Renovatio 21, un livello grottesco del rapporto tra Netanyahu e Trump è stato raggiunto a febbraio quando il primo ha fatto dono a quest’ultimo di un cercapersone come quelli fatti esplodere in Libano. Più che un dono diplomatico, a qualcuno può essere sembrata una minaccia vera e propria.

 

Gli inviti alla moderazione ad Israele e gli attacchi diretti a Netanyahu possono costare a Trump una grossa parte dell’elettorato evangelico USA, portato su posizioni sioniste negli scorsi decenni da una teologia apocalittica che intende accelerare la venuta dell’anticristo e quindi il ritorno di Gesù Cristo.

 

«Oggi non c’è dubbio che qualcosa non funziona nelle relazioni Netanyahu-Trump. Qualcosa non va» aveva detto due mesi fa l’ufficio del Primo Ministro israeliano a Ynet.

 

Come riportato da Renovatio 21, a gennaio Netanyahu ha annullato il viaggio per la cerimonia di insediamento di Trump. Prima dell’insediamento l’inviato di Trump Steve Witkoff, in Israele per chiedere la tregua, aveva avuto con Netanyahu un incontro riportato come «molto teso».

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Geopolitica

Il team di Trump non si fida più di Netanyahu

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I collaboratori più stretti del presidente degli Stati Uniti Donald Trump non ritengono più affidabile il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu per l’attuazione del piano di pace a Gaza. Lo riporta Axios, citando fonti interne.   Secondo la testata statunitense, il destino dell’ambizioso piano di Trump per porre fine alla guerra a Gaza, presentato a settembre, dipenderà dall’incontro previsto lunedì con il leader israeliano.   La settimana scorsa, l’inviato speciale statunitense Steve Witkoff e il genero del presidente Jared Kushner hanno incontrato rappresentanti di Egitto, Qatar e Turchia per delineare i prossimi passi dell’iniziativa, che prevede il disarmo di Hamas e il ritiro israeliano dall’enclave.   Il Netanyahu ha manifestato in privato scetticismo sul piano, ma l’avanzamento dell’intesa richiede il suo assenso, ha sottolineato Axios.

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«Bibi sta cercando di convincere un pubblico composto da una sola persona», ha commentato un funzionario della Casa Bianca citato dall’agenzia. «La domanda è se Trump si schiererà con lui o con i suoi principali consiglieri quando si tratterà di Gaza».   Stando ad Axios, le figure chiave dello staff di Trump hanno perso fiducia in Netanyahu, sospettando che stia «rallentando il processo di pace» e che potrebbe riprendere le ostilità con Hamas dopo aver adottato misure per indebolire il fragile cessate il fuoco.   Il primo ministro israeliano ha «perso» il vicepresidente JD Vance, il segretario di Stato Marco Rubio, la capo di gabinetto Susie Wiles e sia Kushner che Witkoff, ha scritto l’agenzia, citando un altro funzionario statunitense.   «L’unica persona che gli è rimasta è il presidente, che gli vuole ancora bene, ma anche lui vorrebbe che l’accordo su Gaza procedesse più velocemente di quanto non stia facendo adesso».   Secondo Axios, Trump intende fare pressione su Netanyahu affinché chiuda definitivamente il capitolo della guerra a Gaza e affronti la questione dell’espansione israeliana in Cisgiordania occupata.   All’inizio di questa settimana,lo Stato Ebraico ha approvato ufficialmente la costruzione di circa una dozzina di nuovi insediamenti israeliani controversi nel territorio palestinese, suscitando condanne internazionali.   Oltre alla perdita di credito nella Casa Bianca, il governo Netanyahu ha registrato un crollo nei consensi interni. Solo un quarto degli ebrei israeliani si fida del proprio esecutivo, e appena il 17% degli arabi del Paese, secondo un sondaggio dell’Israel Democracy Institute diffuso all’inizio di questa settimana.   Come riportato da Renovatio 21, ad ottobre Trump aveva criticato aspramente il Netanyahu per la sua reazione alla dichiarazione di Hamas sul piano di pace per Gaza. «Sei sempre così fottutamente negativo» avrebbe detto il presidente americano, il quale tuttavia si è mosso per chiedere la grazia per Bibi, anche se sembra su pressioni proprio di quest’ultimo.

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Come riportato da Renovatio 21, in passato Trump aveva attaccato Netanyahu arrivando a chiederne la sostituzione e ad ipotizzare tagli agli aiuti ad Israele.   Nel contesto di questi commenti aveva rivelato anche dettagli sull’assassinio del generale dei servizi iraniani Qassem Soleimani, suggerendo che fu indotto ad ordinarne la morte dagli israeliani, che poi però si tirarono indietro.   Come riportato da Renovatio 21, un livello grottesco del rapporto tra Netanyahu e Trump è stato raggiunto a febbraio quando il primo ha fatto dono a quest’ultimo di un cercapersone come quelli fatti esplodere in Libano. Più che un dono diplomatico, a qualcuno può essere sembrata una minaccia vera e propria.   Come riportato da Renovatio 21, a gennaio 2025 Netanyahu aveva annullato il viaggio per la cerimonia di insediamento di Trump. Prima dell’insediamento l’inviato di Trump Steve Witkoff, in Israele per chiedere la tregua, aveva avuto con Netanyahu un incontro riportato come «molto teso».    

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Lo Stato d’Israele è il primo Paese a riconoscere la regione separatista del Somaliland

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Israele è divenuto il primo Stato a riconoscere ufficialmente l’indipendenza del Somaliland, regione separatista della Somalia, ha comunicato il governo dello Stato Ebraico.

 

Il Somaliland ha rotto i rapporti con il governo centrale somalo di Mogadiscio nel 1991, al termine di un conflitto decennale. La regione a maggioranza musulmana sunnita, affacciata sulla costa meridionale del Golfo di Aden nell’Africa orientale, conta una popolazione stimata di 6,2 milioni di abitanti.

 

Venerdì il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il ministro degli Esteri Gideon Sa’ar hanno sottoscritto la dichiarazione che riconosce il Somaliland come Stato sovrano.

 

Netanyahu, in una conversazione telefonica con il leader del Somaliland Abdirahman Mohamed Abdullahi, ha definito le relazioni tra lo Stato degli Ebrei e Hargeisa «fondamentali e storiche», annunciando l’intenzione di collaborare con il Somaliland in ambito economico, agricolo e dello sviluppo sociale. Il premier israeliano ha invitato Abdullahi a una visita ufficiale in Israele, ottenendo la risposta che ciò avverrà «il prima possibile», secondo il comunicato dello Stato Giudaico.

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Abdullahi ha salutato il riconoscimento israeliano come l’avvio di una «partnership strategica» e ha manifestato la disponibilità del Somaliland ad aderire agli Accordi di Abramo, il framework con cui vari Stati arabi e musulmani hanno normalizzato i rapporti con Israele.

 

La Somalia, che considera il Somaliland parte integrante del proprio territorio, ha accusato Israele di aver compiuto un «attacco deliberato» alla sua sovranità. «Azioni illegittime di questa natura compromettono seriamente la pace e la stabilità regionale, esacerbando le tensioni politiche e di sicurezza», ha dichiarato il Ministero degli Esteri somalo.

 

Il canale israeliano 12 aveva anticipato che Abdullahi si era recato in segreto in Israele a ottobre, incontrando Netanyahu e alti funzionari della sicurezza. Secondo l’emittente, i legami tra Israele e Somaliland si sono intensificati mentre Gerusalemme Ovest valutava l’ipotesi di ricollocare altrove la popolazione di Gaza durante l’operazione militare nell’enclave palestinese.

 

Interpellato dal New York Post sulla possibilità che gli Stati Uniti seguano Israele nel riconoscere l’indipendenza del Somaliland, il presidente Donald Trump non si è detto pronto a tale passo, chiedendo: «Qualcuno sa davvero cos’è il Somaliland?», assicurando tuttavia che «studierà» la questione.

 

Il presidente dell’Unione Africana, Mahamoud Ali Youssouf, ha ribadito che il Somaliland «rimane parte integrante» della Somalia. Il riconoscimento israeliano, ha avvertito, sta «creando un precedente pericoloso con implicazioni di vasta portata per la pace e la stabilità in tutto il continente».

 

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Lavrov: gli li occhi occidentali sono «ben chiusi» sulla corruzione in Ucraina. E l’UE è il «principale ostacolo» alla pace

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I Paesi europei che appoggiano l’Ucraina non possono fingere di ignorare l’entità della corruzione nel Paese alla luce degli scandali emersi di recente, ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov. Le loro condotte, tuttavia, lasciano intendere che la cosa non li preoccupi minimamente, purché possano continuare a utilizzare l’Ucraina come strumento contro la Russia, ha aggiunto in un’intervista all’agenzia statale russa TASS pubblicata domenica.   L’Ucraina è stata investita ultimamente da una serie di scandali di corruzione di alto livello, l’ultimo dei quali è deflagrato sabato. Le agenzie anticorruzione locali hanno reso noto di aver smascherato un sistema criminale di brogli e tangenti che coinvolge deputati ucraini in carica.   Il mese scorso, gli organi anticorruzione hanno portato alla luce un altro schema che riguardava un collaboratore stretto del presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Timur Mindich. Secondo le autorità, l’imprenditore avrebbe diretto un meccanismo di tangenti da 100 milioni di dollari nel settore energetico, fortemente dipendente dagli aiuti occidentali. Lo scandalo ha comportato le dimissioni di due ministri e del potente capo di gabinetto di Zelens’kyj, Andrey Yermak, senza però modificare l’atteggiamento dell’UE nei confronti dei finanziamenti a Kiev.

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All’inizio di dicembre, l’euroblocco ha approvato un prestito da 90 miliardi di euro per coprire il bilancio ucraino per il 2026-2027, con un onere annuo per i contribuenti europei di 3 miliardi di euro in costi di indebitamento.   «Bruxelles e altre capitali europee non potevano non notare gli scandali di corruzione in Ucraina, anche se questi scandali non hanno impedito loro di usare il regime di Kiev come ariete contro la Russia», ha commentato Lavrov alla TASS. «Pertanto, in questo caso particolare, gli occhi dell’Occidente sono ben chiusi, come si dice».   Lavrov aveva già osservato in precedenza che alcuni esponenti dell’UE potrebbero trarre personale vantaggio dalla corruzione ucraina.   Le decisioni dell’UE hanno attirato critiche da parte di alcuni Stati membri. Il ministro degli Esteri ungherese Peter Szijjarto ha affermato all’inizio di dicembre che Bruxelles evita di denunciare la corruzione ucraina perché «anche il paese era infestato da una rete di corruzione simile».   Alcuni Paesi dell’UE hanno persino ridotto gli aiuti ad altre nazioni per concentrarsi sull’Ucraina. La Svezia ha annunciato a dicembre la sospensione degli aiuti a Tanzania, Mozambico, Zimbabwe, Liberia e Bolivia al fine di destinare maggiori risorse a Kiev.   Nella stessa intervista a Tass Lavrov ha accusato l’Unione Europea di non essere pronta a negoziati costruttivi sul conflitto ucraino e di prepararsi apertamente a uno scontro militare con la Russia.   Lavrov ha criticato l’UE per il costante sostegno a Kiev, ricordando che «quasi tutti i paesi europei, con poche eccezioni, hanno riempito il regime di Kiev di denaro e armi», nonostante la Russia mantenga l’iniziativa sul terreno, aggiungendo che Bruxelles continua a illudersi che l’economia russa possa crollare sotto il peso delle sanzioni.   «Dopo l’insediamento di una nuova amministrazione negli Stati Uniti, l’Europa e l’Unione Europea sono emerse come i principali ostacoli alla pace. Non fanno mistero del fatto che si stanno preparando a combattere con la Russia sul campo di battaglia».

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Lavrov ha sostenuto che l’ostilità dell’UE verso Mosca risale al 2014, anno d’inizio della crisi ucraina, quando Bruxelles «iniziò a parlare della cosiddetta minaccia russa e a fomentare sentimenti di odio verso la Russia e di militarismo» tra i cittadini europei. Ha accusato il «partito europeo della guerra» di investire «capitale politico nell’infliggere una sconfitta strategica alla Russia» e di essere «pronto a fare tutto il possibile», aggiungendo che «queste ambizioni li hanno letteralmente accecati».   Il capo della diplomazia russa ha inoltre respinto le speculazioni diffuse dai media occidentali su un possibile attacco russo alla NATO entro pochi anni. «Non c’è motivo di temere che la Russia attacchi qualcuno. Tuttavia, se qualcuno prendesse in considerazione l’idea di attaccare la Russia, subirebbe un colpo devastante», ha sottolineato.   Le dichiarazioni di Lavrov arrivano mentre l’UE tenta di influenzare i colloqui per la risoluzione del conflitto ucraino, con i funzionari europei che ritengono inaccettabile qualunque accordo che implichi rilevanti concessioni territoriali o di sicurezza da parte di Kiev. Mosca ha definito la partecipazione dell’UE ai negoziati di pace «non di buon auspicio» per la cessazione delle ostilità, condannando al contempo gli sforzi dell’Unione di convertire la propria economia in senso bellico con il pretesto di contenere la Russia.  

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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