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Tokyo: la corsa per la successione a Kishida nel partito di maggioranza

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

Le votazioni si terranno il 27 settembre. Al momento sette i candidati in un confronto per la prima volta senza fazioni, in risposta allo scandalo delle tangenti per la raccolta fondi da parte di un gruppo di deputati del Partito liberaldemocratico. Quasi sicuramente sarà necessario andare al ballottaggio. Anche l’opposizione si sta riorganizzando in vista delle prossime elezioni generali.

 

Anche la ministra per la Sicurezza economica, Sanae Takaichi, ha presentato la candidatura per la leadership del Partito liberaldemocratico (LDP), in sostituzione del primo ministro Fumio Kishida, che nelle scorse settimane ha annunciato che avrebbe lasciato l’incarico a causa di una serie di scandali di corruzione all’interno del partito. Per convenzione, il presidente del partito di maggioranza assume anche il ruolo di premier.

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Finora sono sette i candidati che si sono fatti avanti e che si confronteranno alle elezioni interne del 27 settembre. Le candidature andranno formalizzate entro il 12 settembre, per cui è probabile che altre personalità politiche formalizzino la candidatura nei prossimi giorni.

 

Sanae Takaichi, che era vicina all’ex premier Shinzo Abe ed è a favore di una politica fiscale aggressiva, gode del sostegno dei deputati del campo più conservatore. «Con una spesa fiscale strategica, possiamo aumentare l’occupazione e i redditi, aumentando la fiducia dei consumatori e assicurando le entrate senza aumentare le aliquote fiscali», ha dichiarato oggi in conferenza stampa. Nel 2021 Takaichi era arrivata terza alle elezioni interne al partito.

 

Il premier Kishida, cercando di porre rimedio allo scandalo sulle raccolte fondi illecite da parte di un’ala del partito, ha messo fine al sistema delle fazioni e delle trattative interne, secondo i commentatori, rendendo più difficile prevedere chi potrebbe prevalere.

 

Per vincere è necessario conquistare la maggioranza assoluta delle preferenze, altrimenti è previsto il ballottaggio, che, visto l’alto numero di candidati, è dato quasi per certo. Al momento, i candidati più quotati sono Takayuki Kobayashi e Shinjiro Koizumi, entrambi giovani ex ministri, il primo della Sicurezza economica e il secondo dell’Ambiente.

 

Kobayashi proviene dall’ala conservatrice del partito, e non ha avuto difficoltà a ottenere decine di consensi. Per molti deputati, il 49enne, soprannominato «Kobahawk», che ha proposto misure meno severe nei confronti dei legislatori coinvolti nello scandalo sulle tangenti, potrebbe rappresentare l’immagine giovane e nuova di cui il partito ha bisogno in questo momento, ma si tratta di una personalità poco nota all’opinione pubblica. E il futuro presidente dell’LDP dovrà portare il partito alle elezioni generali che potrebbero ternersi già a ottobre.

 

Al contrario, Koizumi, figlio dell’ex premier Junichiro, 43 anni, è un volto conosciuto della politica, soprattutto per i suoi commenti superficiali. Una volta ha dichiarato che risolvere il problema del cambiamento climatico «deve essere divertente, deve essere fico, deve essere anche sexy». Tuttavia, ha trovato l’appoggio dell’ex premier Yoshihide Suga (costretto a dimettersi dopo un solo anno di mandato), che potrebbe tirare le fila della sua amministrazione da dietro le quinte.

 

Ad essere molto apprezzato dall’opinione pubblica è invece Shigeru Ishiba, 67 anni, già ministro della Difesa, che ha dimostrato di non avere niente a che fare con i recenti scandali. Non è però altrettanto apprezzato dai colleghi, e da molti è ancora considerato un traditore per aver abbandonato l’LDP a favore di un altro partito a metà degli anni ‘90.

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Toshimitsu Motegi, 68 anni, segretario generale del partito, era tra le personalità favorite prima dello scoppio dello scandalo, essendo stato il capo della terza più grande fazione dell’LDP. Il rischio è che appaia troppo legato alla «vecchia guardia».

 

In posizione opposta nello spettro politico c’è Taro Kono, ministro del Digitale, già candidato premier e considerato un anticonformista. Anche lui non è particolarmente apprezzato tra i colleghi dell’LDP (che hanno infatti cercato di assegnargli posizioni marginali), ma potrebbe togliere qualche voto importante ai primi contendenti.

 

In continuità con la linea politica del premier Fumio Kishida c’è Yoshimasa Hayashi, 63 anni, segretario capo del gabinetto, che come un altro candidato, Ken Saito, ministro dell’Economia, del Commercio e dell’Industria, ha probabilmente presentato la candidatura per poter avere una buona posizione di partenza di negoziazione all’interno del nuovo esecutivo. L’unica altra donna in gara, che non ha però ancora formalizzato la candidatura, è Yoko Kamikawa, 71 anni, attuale ministra degli Esteri. Si presenta come una personalità rispettabile, ma anche lei ancora troppo legata a Kishida.

 

Anche il principale partito dell’opposizione, il Partito costituzionale democratico (CDP) eleggerà un nuovo leader il 23 settembre scegliendo tra quattro candidati: l’ex primo ministro Yoshihiko Noda, i leader del partito Yukio Edano, 60 anni, e Kenta Izumi, 50 anni, e Harumi Yoshida, 52 anni, legislatrice della Camera dei Rappresentanti al primo mandato.

 

In un recente dibattito, tutti hanno concordato sulla difficoltà che il CDP prevalga alle elezioni generali (il partito è sostenuto dal 12% della popolazione giapponese), preferendo concentrarsi su diverse modalità di collaborazione con l’LDP sulle varie politiche.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

 

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Immagine di 首相官邸ホームページ via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International

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Politica

Trump chiede la grazia per Netanyahu

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In una lettera inviata mercoledì al presidente israeliano Isacco Herzog, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha chiesto la grazia totale per il primo ministro israeliano Beniamino Netanyahu nel suo caso di corruzione.   Sono stati aperti tre procedimenti penali contro Netanyahu, accusato di corruzione, frode e abuso di fiducia. Potrebbe ricevere una condanna fino a dieci anni per le accuse di corruzione, mentre sia la frode che l’abuso di fiducia prevedono una pena massima di tre anni ciascuna.   «Sebbene rispetti assolutamente l’indipendenza del sistema giudiziario israeliano e i suoi requisiti, credo che il “caso” contro Bibi, che ha combattuto al mio fianco per molto tempo, anche contro il durissimo avversario di Israele, l’Iran, sia un’azione penale politica e ingiustificata», ha scritto Trump in una lettera formale condivisa dall’ufficio dello Herzog mercoledì.   «Vi invito pertanto a perdonare pienamente Benjamin Netanyahu».

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Trump ha ripetutamente chiesto la grazia a Netanyahu, ma questa è la prima richiesta ufficiale rivolta a Herzog in merito e rappresenta un raro appello diretto da parte di un leader statunitense in una questione legale interna che riguarda uno stretto alleato.   In risposta alla lettera, l’ufficio dello Herzog avrebbe dichiarato che, pur tenendo in grande considerazione Trump, chiunque voglia ottenere la grazia deve presentare una richiesta formale secondo le procedure stabilite.   Sebbene il ruolo dello Herzog sia in gran parte cerimoniale, egli ha l’autorità di concedere la grazia. Tuttavia, le richieste devono provenire dall’imputato, dai suoi rappresentanti legali o da un familiare. Ad oggi, né Netanyahu né alcuno dei suoi stretti collaboratori ha presentato una richiesta.   Il Jerusalem Post ha osservato che la grazia presidenziale non può essere concessa in questa fase del processo, poiché è ammissibile solo prima dell’inizio del procedimento o dopo che è stato raggiunto un verdetto, nessuna delle due situazioni attualmente applicabili.   Incriminato nel 2019, Netanyahu si è dichiarato non colpevole e nega ogni illecito. Il processo, iniziato nel 2020, ha subito numerosi rinvii e si prevede che continuerà per diversi anni.   Come riportato da Renovatio 21, Trump tre mesi fa ha definito il Netanyahu come un «eroe di guerra». Sono emersi, tuttavia, dettagli di screzi significativi, come quando Trump avrebbe urlato al premier dello Stato Ebraico che minimizzava la carestia a Gaza. In un’altra occasione gli avrebbe detto «sei sempre così fottutamente negativo».   In una plastica immagine della situazione, la folla israeliana ad una cerimonia di riconsegna degli ostaggi ha fischiato Bibi e inneggiato sonoramente al Donaldo.

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Come riportato da Renovatio 21, in passato Trump aveva attaccato Netanyahu arrivando a chiederne la sostituzione e ad ipotizzare tagli agli aiuti ad Israele.   Nel contesto di questi commenti aveva rivelato anche dettagli sull’assassinio del generale dei servizi iraniani Qassem Soleimani, suggerendo che fu indotto ad ordinarne la morte dagli israeliani, che poi però si tirarono indietro.   Come riportato da Renovatio 21, un livello grottesco del rapporto tra Netanyahu e Trump è stato raggiunto a febbraio quando il primo ha fatto dono a quest’ultimo di un cercapersone come quelli fatti esplodere in Libano. Più che un dono diplomatico, a qualcuno può essere sembrata una minaccia vera e propria.   Come riportato da Renovatio 21, a gennaio Netanyahu ha annullato il viaggio per la cerimonia di insediamento di Trump. Prima dell’insediamento l’inviato di Trump Steve Witkoff, in Israele per chiedere la tregua, aveva avuto con Netanyahu un incontro riportato come «molto teso».

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In Belgio lanciano il partito «TRUMP»

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Un nuovo partito di destra, intitolato al presidente USA Donald Trump, è stato lanciato in Belgio, ha riferito lunedì l’outlet locale BRUZZ, citando il fondatore e presidente Salvatore Nicotra.

 

Il partito, ufficialmente denominato TRUMP – acronimo che in francese significa «Tous Réunis pour l’Union des Mouvements Populistes» (Tutti Riuniti per l’Unione dei Movimenti Populisti) – si presenta come erede del movimento Chez Nous, recentemente sciolto, e dell’ex Front National (FN) belga, partito francofono di destra che promuoveva politiche anti-immigrazione e nazionaliste prima di dissolversi nel 2012 per divisioni interne e scandali di corruzione.

 

L’ex presidente dell’FN Nicotra ha spiegato che intitolare il partito a Trump è stata una scelta deliberata. «Donald Trump è il simbolo del populismo. Mostra immediatamente per cosa ci battiamo», ha dichiarato.

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Il politico ha descritto TRUMP come un «partito populista di destra con una dimensione sociale», affermando che la piattaforma attinge circa il 40% dal Partito del Lavoro del Belgio (PTB), di sinistra, che sostiene uguaglianza sociale e salari più alti, e un altro 40% da Vlaams Belang, il maggiore partito di destra belga che chiede controlli più rigidi sull’immigrazione e l’indipendenza delle Fiandre di lingua olandese. A differenza di quest’ultimo, TRUMP rifiuta il separatismo fiammingo e promuove una visione unitaria del Belgio.

 

Il partito TRUMP intende partecipare alle elezioni federali ed europee del 2029 e potrebbe presentare candidati anche a livello regionale e comunale, ha dichiarato Nicotra. Tra gli altri fondatori, tutti ex membri dell’NF, figura Emanuele Licari, ex politico di Vlaams Belang espulso per aver apertamente glorificato il fascismo.

 

Il partito è stato presentato alla stampa il 7 novembre, con l’inaugurazione ufficiale prevista per il 30 novembre.

 

Come noto, Trump, secondo una proposta, potrebbe anche dare il suo nome ad un lago del Kosovo, l’Ujman, che potrebbe chiamarsi Lago Trump. Sebbene il primo ministro kosovaro dell’epoca, Avdullah Hoti, accolse la proposta, non ci fu un’adozione formale del nome.

 

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Politica

Sarkozy è già fuori di galera

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Lunedì l’ex presidente francese Nicolas Sarkozy ha ottenuto gli arresti domiciliari, meno di tre settimane dopo l’inizio della condanna a cinque anni per un complotto finalizzato a ottenere fondi segreti per la campagna elettorale dal defunto leader libico Muammar Gheddafi.   Sarkozy, condannato a settembre per associazione a delinquere per il finanziamento della sua campagna del 2007, è stato trasferito agli arresti domiciliari.   I procuratori francesi hanno richiesto una stretta sorveglianza giudiziaria per Sarkozy in attesa del processo d’appello. All’ex presidente sarà proibito qualsiasi contatto con testimoni o altri imputati e non potrà lasciare la Francia nel frattempo.   Sarkozy ha sempre negato qualsiasi illecito. «Ho risposto scrupolosamente a tutte le convocazioni… Questa prova mi è stata imposta e l’ho sopportata», ha dichiarato Sarkozy in una conferenza stampa dopo l’udienza in tribunale di lunedì, secondo l’emittente francese BFM TV. «È dura, molto dura, certamente lo è per qualsiasi prigioniero; direi addirittura che è estenuante».   Durante la breve detenzione dell’ex presidente nell’ala di isolamento di La Santé, sono emerse riprese di altri detenuti che lo insultavano di notte da altre sezioni della prigione. Alcuni video contenevano minacce di «vendicare Gheddafi».   Sarkozy, che ha guidato la Francia dal 2007 al 2012, è stato in prima linea nell’operazione di cambio di regime sostenuta dalla NATO che ha distrutto la Libia e portato alla morte di Gheddafi nel 2011.

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L’ex presidente francese ha visitato Bengasi per sostenere i gruppi ribelli dopo che il blocco militare a guida USA ha imposto una no-fly zone e un blocco navale alla Libia. La guerra ha portato migliaia di combattenti jihadisti nel Paese, ha devastato l’economia libica e ha aperto una rotta migratoria verso l’Europa meridionale che rimane la principale via d’accesso alla crisi migratoria.   Come riportato da Renovatio 21, all’inizio del 2025 gli era stata revocata la Legion d’Onore. In Italia alcuni hanno scherzato dicendo che ora «Sarkozy non ride più», un diretto riferimento a quando una sua risata fatta con sguardo complice ad Angela Merkel precedette le dimissioni del premier Silvio Berlusconi nel 2011 e l’installazione in Italia (sotto la ridicola minaccia dello «spread») dell’eurotecnocrate bocconiano Mario Monti.     Nell’affaire Gheddafi finì accusata di «falsificazione di testimonianze» e «associazione a delinquere allo scopo di preparare una frode processuale e corruzione del personale giudiziario» anche la moglie del Sarkozy, l’algida ex modella torinese Carla Bruni, la quale, presentatole il presidente dall’amico comune Jacques Séguela (pubblicitario autore delle campagne di Mitterand e Eltsin) secondo la leggenda avrebbe confidato «voglio un uomo dotato della bomba atomica».

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Immagine di Jacques Paquier via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
 
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