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Sudafrica: quanto valgono le vite dei bianchi massacrati?

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Fino a quando saremo disposti a tollerare i nostri amici di ritorno dal Sud Africa i quali, con florida supponenza, liquidano i nostri articoli come fake news, non renderemo mai vera giustizia agli uomini e alle donne con la schiena dritta e la parlata gutturale afrikaans che lottano per sopravvivere come popolo nazione.

 

Nell’ignoranza dell’informazione occidentale, ogni giorno vengono massacrati i contadini boeri, i veri indigeni del Sud Africa: solo nelle ultime 100 ore sono morti in 22. Siamo certi che nessuna ragazzina isterica griderà per le strade di Minneapolis o di Napoli «Boer lives matters!» per questo.

 

Lo scorso 13 aprile nella fattoria di Klipfontein (hanno tutti questi nomi da favola) a Grootvlei, nella provincia di Mpumalanga – che poi in realtà è Transvaal e il solo sentirne il nome ci fa malinconia come se ci attendesse a casa la nostra Sarie Marais – i coniugi Faan e Susan Gouws sono stati aggrediti verso le cinque del pomeriggio. Sono stati massacrati di botte con un tubo di metallo da cinque uomini di colore, che non hanno risparmiato nemmeno la piccola figlia disabile. Non se ne sono andati prima di aver rubato i cellulari e aver sparato al cane. Così, per divertimento.

 

Sono stati massacrati di botte con un tubo di metallo da cinque uomini di colore, che non hanno risparmiato nemmeno la piccola figlia disabile. Non se ne sono andati prima di aver rubato i cellulari e aver sparato al cane. Così, per divertimento

Faan è tutt’ora ricoverato in ospedale con gravi ferite al torace e alla testa. Abbiamo notizie certe da parte di una vicina di casa, che abbiamo contattato, che la bambina per fortuna sta bene.

 

C’è grande agitazione in tutta la zona, perché gli agricoltori bianchi vengono macellati nella sostanziale indifferenza della polizia sudafricana, che, a causa delle demenziali politiche razziali postmandeliane, è diventata ricettacolo attrezzato di sedie per obesi fannulloni.

 

«We can’t keep up» mi dicono. Impossibile tenere il passo, la verità è che i bianchi non hanno vie d’uscita: essere cancellati dalla propria terra o difendersi e finire in carcere, perché in quel caso sì, la polizia interviene.

 

La situazione era esplosa già lo scorso 6 ottobre a seguito del brutale omicidio avvenuto a Paul Roux, Free State, di Brendin Horner, un agricoltore boero di 21 anni. Praticamente un ragazzo.  Il suo corpo è stato recuperato nella fattoria DeRots, vicino a casa.

 

Horner è stato trovato legato a una staccionata metallica con una cintura e con una corda nera intorno al collo. Aveva ferite da taglio alla testa, al viso, alla spalla, al braccio e alle mani, dove si sono trovate lesioni attribuibili al fatto che si deve essere difeso come un leone prima di venire torturato e strangolato. Pare che la povera salma fosse messa tanto male da dover essere cremata.

 

La situazione era esplosa già lo scorso 6 ottobre a seguito del brutale omicidio avvenuto a Paul Roux, Free State, di Brendin Horner, un agricoltore boero di 21 anni. Aveva ferite da taglio alla testa, al viso, alla spalla, al braccio e alle mani, dove si sono trovate lesioni attribuibili al fatto che si deve essere difeso come un leone prima di venire torturato e strangolato

Il padre della vittima ha dichiarato ripetutamente alla TV: «hanno preso il ragazzo sbagliato». I leader dell’agricoltura e i membri della comunità hanno in seguito scatenato una protesta davanti al tribunale di Senekal, dove gli assassini, presi con i vestiti ancora zuppi di sangue, i signori Mahlamba e Matlaletsa hanno dovuto comparire davanti al magistrato.

 

I disordini sono scoppiati quando André Pienaar, uno dei leader, e un piccolo gruppo di manifestanti hanno preso d’assalto gli edifici del tribunale nel presunto tentativo di raggiungere il Mahlamba e il Matlaletsa.

 

Un furgone della polizia è stato ribaltato e dato alle fiamme dalla folla, mentre i manifestanti si sono fatti strada verso le celle di detenzione, che avrebbero danneggiato o cercato di dare alle fiamme. Quando i manifestanti, schiaffeggiata e spintonata una poliziotta bianca, sono entrati negli edifici del tribunale, sono stati esplosi due colpi di arma da fuoco e sparate delle granate assordanti. La televisione ha cercato di attribuire ai contadini gli spari, ma non è vero. La folla per quanto aggressiva era disarmata (ho potuto visionare dei filmati) perciò a sparare è stata quasi sicuramente la polizia a seguito dell’irruzione. Non siamo purtroppo in grado di dire come sia andata a finire per gli imputati.

 

Proteste riaccese negli scorsi giorni – e si promettono nuovi tafferugli nelle prossime settimane – a Piet Retief, più a est, a causa dell’omicidio di due uomini di colore da parte di quattro agricoltori. Un gruppo di venti venticinque uomini neri, fra cui i deceduti Amos e Zenzele Coka (due fratelli), aveva fatto irruzione nella fattoria venerdì 9 aprile chiedendo (a detta loro) lavoro, armati di panga (machete) e armi da fuoco, ne è seguita una colluttazione in cui un aggressore si è impadronito della pistola di un contadino, ragion per cui gli altri gli hanno sparato.

Mentre ci preoccupiamo per il coronavirus, in Italia ogni giorno entrano clandestini dall’Africa, i quali, come un argine rotto, faranno in Italia quello che fanno ovunque siano andati, che si chiami Natal o Rhodesia

 

Ora i quattro accusati, una donna Danie Malan, 38 anni, ferita alla testa, e tre uomini Cornelius Greyling 25 anni, Othard Klingenberg 53 anni e Ignatius Steynberg 31, sono in arresto (due in ospedale a Newcastle per le lesioni subite, fra cui la rottura del cranio e lesione cerebrale) e è stata negata loro la cauzione.

 

Mentre ci preoccupiamo per il coronavirus, in Italia ogni giorno entrano clandestini dall’Africa, i quali, come un argine rotto, faranno in Italia quello che fanno ovunque siano andati, che si chiami Natal o Rhodesia.

 

Mentre educhiamo i nostri figli ad essere passivi burattini dotati di museruola terapeutica, il loro futuro sarà tutt’altro che facile, tutt’altro che semplice.

 

Mentre ci preoccupiamo di saltare la fila dei vaccini o pseudovaccini per prenotare le nostre stupide vacanze o potere finalmente tornare a strozzarci di aperitivi, per queste persone nella parte rinnegata del mondo occidentale è una questione veramente di vita o di morte. E non possono tenere il passo.

 

Dove sono tutti i misericordiosi umanitari alleviatori di sofferenze altrui?

Mentre educhiamo i nostri figli ad essere passivi burattini dotati di museruola terapeutica, il loro futuro sarà tutt’altro che facile, tutt’altro che semplice

 

Ci sarebbe una domanda da porre a Bergoglio, ma non solo, ai nostri vescovi e a tutti i nostri parroci: credete forse che gli africani vengano da noi per restaurare pazientemente e silenziosamente gli affreschi e i mosaici delle nostre cattedrali?

 

Ai politici e agli industriali invece chiederei: credete veramente che gli africani verranno per arare amorevolmente i nostri campi, quando non si sono interessati di sviluppare un sistema agricolo decente in diecimila anni a questa parte a casa loro?

 

Ai politici e agli industriali invece chiederei: credete veramente che gli africani verranno per arare amorevolmente i nostri campi, quando non si sono interessati di sviluppare un sistema agricolo decente in diecimila anni a questa parte a casa loro?

C’è una risposta che sta alla base di questa questione. È una risposta tanto facile da essere considerata superflua da tutti gli sciocchi bianchi in giacca e cravatta che pasteggiano nei loro orrendi loculi cittadini: no farmers, no food.

 

Non è una minaccia. È un augurio.

 

 

Matteo Donadoni

 

 

 

 

 

Articolo precedemente apparso su Ricognizioni.

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Geopolitica

L’UE e la Casa Bianca condannano gli «estremisti israeliani» che attaccano i convogli umanitari

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Il capo della politica estera dell’UE, Josep Borrell, ha chiesto a Israele di fare qualcosa contro gli «estremisti» che attaccano i convogli di aiuti umanitari in viaggio verso Gaza.

 

In seguito all’offensiva israeliana sulla città di Rafah, che si trova al confine dell’enclave palestinese con l’Egitto, le forniture di cibo e altri beni destinati a Gaza sono state dirottate attraverso Israele. Lunedì uno di questi convogli è stato saccheggiato vicino a Hebron.

 

«Sono indignato per gli attacchi ripetuti e ancora incontrollati perpetrati dagli estremisti israeliani contro i convogli umanitari in viaggio verso Gaza, anche dalla Giordania. Centinaia di migliaia di civili stanno morendo di fame», ha detto il Borrell su X martedì sera. Ha esortato le autorità israeliane a «fermare queste operazioni e ritenere i responsabili responsabili».

 

La sua condanna arriva dopo che il consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Jake Sullivan ha denunciato l’attacco durante la conferenza stampa di lunedì alla Casa Bianca.

 

«È un oltraggio totale che ci siano persone che attaccano e saccheggiano questi convogli provenienti dalla Giordania diretti a Gaza per fornire assistenza umanitaria», ha detto il Sullivano. «È qualcosa su cui non facciamo mistero: lo troviamo completamente e assolutamente inaccettabile».

 


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Nell’incidente di lunedì, un convoglio è stato fermato al checkpoint di Tarqumiya vicino a Hebron e un gruppo di persone ha distrutto parte del cibo dai camion. L’attivista pacifista israeliana Sapir Sluzker Amran, che ha assistito all’attacco, ha identificato gli autori come un gruppo chiamato Tsav 9.

 

«La maggior parte di loro erano coloni. Vivono anche lì, sono coloni negli insediamenti della zona», ha detto martedì a CBS News. «Il tema comune a tutti loro è che appartengono ai gruppi sionisti di destra».

 

Le foto e i video ripresi da Amran mostrano gli aggressori salire sui camion, lanciare pacchi di cibo sul ciglio della strada e scaricare la farina dai sacchi.

 

 

«Hanno iniziato qualche mese fa, raccolgono molti soldi e hanno molti sostenitori nel governo», ha detto Amran alla CBS, sostenendo che l’esercito e la polizia israeliani hanno fatto trapelare l’ubicazione dei convogli di aiuti destinati al gruppo. Ha anche affermato che uno dei coloni l’ha colpita durante l’incidente di lunedì e che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno invece protetto l’aggressore.

 

Tsav 9 è un gruppo che si è impegnato a bloccare tutti gli aiuti a Gaza mentre tutti gli ostaggi israeliani rimarranno nelle mani di Hamas, l’organizzazione militante palestinese che ha catturato oltre 200 prigionieri durante l’incursione del 7 ottobre dello scorso anno.

 

La polizia israeliana ha affermato che stava indagando sull’attacco al convoglio e aveva arrestato «diversi sospetti».

 

Come riportato da Renovatio 21, dopo che erano state annunziate sanzioni nelle settimane precedenti, lo scorso mese gli Stati Uniti hanno accusato cinque unità dell’esercito israeliano di violazioni dei diritti umani.

 

Come riportato da Renovatio 21abusi da parte dei militari israeliani sono diffusi sui social, come ad esempio il canale Telegram «72 vergini – senza censura», dove vengono caricati dagli stessi militari video ed immagini di quella che si può definire «pornografia bellica». Vantando «contenuti esclusivi dalla Striscia di Gaza», il canale 72 Virgins – Uncensored ha più di 5.000 follower e pubblica video e foto che mostrano le uccisioni e le catture di militanti di Hamas, nonché immagini dei morti.

 

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Immagine screenshot da YouTube

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La polifonia vaticana sulla guerra in Ucraina

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Mentre il conflitto tra Ucraina e Russia entra nel suo terzo anno, nelle dichiarazioni ufficiali della Santa Sede sono emersi diversi punti di vista, sia da parte del Santo Padre che dei servizi diplomatici della Segreteria di Stato.   Sinfonia? Cacofonia? Dissonanza intenzionale? Che si sia entusiasti o meno dell’attuale pontificato, varia notevolmente l’apprezzamento delle differenze di tono che si osservano al di là del Tevere nella trattazione del conflitto russo-ucraino.   Da parte del Papa, Papa Francesco ripete da mesi costantemente i suoi appelli alla pace per la ragione che «la guerra è sempre una sconfitta» e che coloro che vincono sono i “fabbricanti di armi”. È una posizione che ha il merito di restare immutata.   In un’intervista alla televisione svizzera RTS del 2 febbraio 2024, andata in onda a marzo, il Papa ha invitato l’Ucraina ad avere «il coraggio di negoziare»: «credo che il più forte sia chi vede la situazione, chi pensa del popolo, che ha il coraggio della bandiera bianca, di negoziare», ha dichiarato, chiedendo che la mediazione venga effettuata da un paese che lo ha offerto, come la Turchia.   Sarà un negoziato necessario per evitare il «suicidio» del Paese. Il Papa ha poi risposto a una domanda sul tema del «bianco», parlando delle virtù del bianco ma anche della «bandiera bianca». Le sue dichiarazioni hanno innescato una crisi diplomatica tra Santa Sede e Ucraina, ma che avrebbero lo scopo di sottolineare la posizione pacifista di un Papa che mette la sacralità della vita al di sopra di ogni altra cosa.   Per il capo della diplomazia ucraina, a cui si uniscono le voci più critiche all’interno della Chiesa nei confronti dell’attuale Romano Pontefice, si tratterebbe di un atteggiamento che evoca la «neutralità osservata da Pio XII durante la Seconda Guerra Mondiale».

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Il Vaticano ha tentato di chiudere la polemica: «il Papa usa il termine bandiera bianca, e risponde riprendendo l’immagine proposta dall’intervistatore, per indicare una cessazione delle ostilità, una tregua raggiunta con il coraggio del negoziato», ha spiegato il direttore della Lo ha affermato la Sala Stampa della Santa Sede.   Il 24 aprile Francesco insisteva e affermava in una nuova intervista concessa al canale americano CBS: «cercate di negoziare. Cerca la pace. Una pace negoziata è meglio di una guerra senza fine», sottolinea il Sommo Pontefice, alludendo sia alla guerra in Ucraina che alla situazione a Gaza.   Da parte della Segreteria di Stato i toni non sono esattamente gli stessi. Dall’inizio del conflitto, la diplomazia vaticana non ha mai difeso una capitolazione dell’Ucraina. In più occasioni, i suoi due più alti funzionari, il cardinale Pietro Parolin e l’arcivescovo Paul Gallagher, hanno ammesso pubblicamente la legittimità di una guerra difensiva, inviando anche armi per realizzarla.   In una recente intervista con la rivista America del 25 marzo 2024, l’arcivescovo Gallagher ha affermato di ritenere che «la Russia non stabilisce le condizioni necessarie [per negoziare]. Le condizioni necessarie, che sono nelle mani della Russia, sono fermare gli attacchi, fermare i missili». Afferma anche della Santa Sede che «non sosteniamo che i confini dei paesi debbano essere modificati con la forza».   I gesuiti della Civiltà Cattolica – rivista influente in Italia, e teoricamente vidimata dalla Santa Sede prima della pubblicazione – hanno difeso una posizione diversa da quella di Papa Francesco e della Segreteria di Stato, sostenendo una futura controffensiva ucraina e un sostegno più forte dall’Europa e dalla NATO per l’Ucraina. Cosa si può dire di questo concerto a più voci?   Un funzionario vaticano, citato in condizione di anonimato da La Croix, riassume la situazione dipingendo un quadro sfumato della più antica diplomazia del mondo: «Siamo neutrali ma senza indifferenza etica. La storia è più complessa di un mondo in bianco e nero. Per noi Ucraina e Russia non sono due realtà sociopolitiche completamente separate…»   Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic    
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Israele uccide più civili che combattenti di Hamas: parla il segretario di Stato USA Blinken

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Gli attacchi aerei e l’offensiva di terra di Israele a Gaza hanno causato la morte di più civili palestinesi che combattenti di Hamas, ha riconosciuto il Segretario di Stato americano Antony Blinken.

 

Durante la sua apparizione domenica al programma televisivo della CBS Face the Nation, a Blinken è stato chiesto se Washington fosse d’accordo con la recente affermazione del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu secondo cui gli attacchi a Gaza hanno finora provocato la morte di 14.000 «terroristi» e 16.000 civili.

 

«Sì, lo facciamo», ha risposto il Segretario di Stato. «Israele dispone di processi, procedure, norme e regolamenti per cercare di ridurre al minimo i danni civili», ma essi «non sono stati applicati in modo coerente ed efficace. C’è un divario tra l’intento dichiarato e alcuni dei risultati che abbiamo visto», ha spiegato.

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Blinken, che ha origini ebraiche, ha sottolineato che le Forze di Difesa Israeliane (IDF) stanno combattendo «un nemico che si nasconde nelle infrastrutture civili, si nasconde dietro i civili», il che rende problematico determinare cosa sia realmente accaduto in ciascuno dei singoli incidenti.

 

«Data la totalità di ciò che abbiamo visto in termini di sofferenza civile, in termini di bambini, donne, uomini… che sono stati uccisi o feriti, è ragionevole valutare che in un certo numero di casi Israele non ha agito in modo in modo coerente con il diritto umanitario internazionale», ha affermato.

 

Tuttavia, il Segretario di Stato ha aggiunto che si trattava solo di una valutazione e che sarebbero necessarie ulteriori indagini affinché l’amministrazione del presidente americano Joe Biden possa giungere a conclusioni definitive.

 

In ulteriori interviste TV uscite domenica, il Blinken ha criticato la condotta di Israele nella guerra a Gaza, sostenendo che un’offensiva totale su Rafah nel sud dell’enclave palestinese provocherebbe solo «anarchia», invece di eliminare Hamas. Secondo il segretario di Stato, Washington crede che le forze israeliane dovrebbero «uscire da Gaza» poiché le loro tattiche non sono riuscite a neutralizzare Hamas e potrebbero portare a un’insurrezione duratura.

 

Il massimo diplomatico americano ha quindi detto alla CBS che un’invasione su vasta scala di Rafah potrebbe comportare «potenzialmente un costo incredibilmente alto» per i civili, e che anche un massiccio assalto alla città meridionale di Gaza difficilmente potrebbe porre fine alla minaccia di Hamas.

 

«Israele è sulla traiettoria, potenzialmente, di ereditare un’insurrezione con molti Hamas armati rimasti, o se lascia un vuoto riempito dal caos, riempito dall’anarchia e probabilmente riempito da Hamas», ha affermato Blinken, che ha sottolineato che il gruppo militante era già tornato in alcune aree del nord di Gaza che Israele aveva «liberato».

 

Washington è in attesa di vedere piani credibili da parte dello Stato Ebraico per Gaza una volta che la guerra sarà finalmente finita, ha detto Blinken in un’altra intervista alla NBC, aggiungendo «abbiamo parlato con loro di un modo molto migliore per ottenere un risultato duraturo».

 

I commenti di Blinken arrivano mentre le forze israeliane si stanno spingendo più in profondità nella densamente popolata Rafah, dove più di un milione di palestinesi si sono accalcati nella speranza di rifugiarsi. Secondo le autorità locali, il bombardamento nella parte orientale di Rafah ha già costretto alla fuga 300.000 abitanti di Gaza. Israele ha affermato che la città ospita quattro battaglioni di combattenti di Hamas.

 

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha ammesso la scorsa settimana che almeno alcuni civili palestinesi a Gaza sono stati uccisi da bombe di fabbricazione americana e ha promesso di sospendere la fornitura di qualsiasi arma che Israele potrebbe utilizzare in un’importante operazione militare a Rafah.

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La Casa Bianca ha recentemente sospeso la fornitura di alcune bombe di maggior carico che Israele potrebbe utilizzare nella sua nuova offensiva, oltraggiando i fedeli sostenitori dello Stato degli ebrei.

 

La settimana scorsa, il Dipartimento di Stato USA ha pubblicato un rapporto che criticava la condotta di Israele nella guerra a Gaza, ma non ha individuato alcuna violazione specifica che renderebbe necessario il divieto degli aiuti militari statunitensi al suo alleato.

 

Almeno 35.034 persone sono state uccise e altre 78.755 ferite negli attacchi dell’IDF a Gaza, secondo gli ultimi dati del ministero della Sanità dell’enclave palestinese, che nei suoi rapporti non fa distinzione tra civili e militanti.

 

L’Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA) ha dichiarato la scorsa settimana che ci sono stati 14.500 bambini e 9.500 donne tra coloro che sono stati uccisi a Gaza. Sabato il Jerusalem Post ha riferito che da allora le Nazioni Unite hanno dimezzato il numero stimato di vittime tra minori e donne.

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Immagine di pubblico dominio CCo via Flickr

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