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San Pio X, l’uomo più intelligente del mondo moderno

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Venezia e il Veneto hanno potuto vantare, nei tempi prerivoluzionari, una Repubblica che ha dominato i mari e stupito il mondo per la sua organizzazione e stabilità politica, per molti secoli; uno Stato che, pur con vicende umane alterne, ha promosso la religione e ne ha fatto il suo fondamento; uno Stato che ha vissuto di arte e bellezza quanto pochi altri.

 

Cessata quella gloria di un tempo, e caduta Venezia sotto l’altrui dominio, ancora doveva vedersi al Veneto riservata una gloria immortale, forse più grande di molte altre passate.

 

Il Veneto, lo diciamo senza timore, ha dato i natali all’uomo più intelligente del Novecento. Quest’uomo è Giuseppe Sarto, il Papa San Pio X.

 

Avremmo potuto dire semplicemente: «il Veneto ha dato i natali all’ultimo Papa Santo»; o anche «al più grande Papa degli ultimi secoli». Ma abbiamo preferito dire «all’uomo più intelligente del Novecento». Questo potrebbe stupire chi ricorda Papa Sarto come il simpatico parroco della campagna veneta, di buon cuore, sul quale circolano tanti piacevoli aneddoti, finito suo malgrado ad occupare una Cattedra fin troppo alta per la sua umiltà.

 

Tutte cose vere, ma che limiterebbero la figura del Santo Pontefice a una specie di pia macchietta.

 

Giuseppe Sarto (questo il suo nome al secolo) fu effettivamente un uomo semplice, nato nel 1835 a Riese, da una famiglia notoriamente povera. Il padre Giovanni Battista era un modesto cursore (una sorta di messo comunale) dell’amministrazione austriaca, la madre Margherita Sanson arrotondava con piccoli lavori di sartoria.

 

Compì i suoi studi in seminario grazie a una borsa di studio, fondata dal suo compaesano il Cardinale Monico, Patriarca di Venezia. Fu forse l’unico Papa ad aver svolto veramente e lungamente un vero ministero parrocchiale: dopo la sua ordinazione nel 1858 nel duomo di Castelfranco, divenne cappellano a Tombolo per nove anni, arciprete di Salzano per altri nove anni, poi cancelliere vescovile e direttore spirituale del seminario di Treviso per altri nove anni; per nove anni fu poi Vescovo di Mantova, scelto da Leone XIII per l’ottima fama di pastore di cui godeva, e poi Cardinale e Patriarca di Venezia per altri nove anni, prima di essere eletto Papa nel 1903, contro ogni sua aspettativa.

 

Non vogliamo fare questo articolo una raccolta degli aneddoti e dei fioretti di cui è riempita la biografia del Santo. A noi interessa mostrare in tre punti come il Pontefice veneto fu il più libero, il più intelligente e il più pastorale della storia moderna.

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Il Papa più libero

San Pio X fu il Papa più libero, in quanto più coraggioso, della storia recente. Senza nulla togliere ad altri Papi che nell’evo moderno si sono opposti al mondo senza paura, san Pio X affrontò il laicismo di fronte, a qualsiasi costo.

 

Privo del potere temporale, Pio X continuò la volontaria prigionia in Vaticano iniziata da Pio IX, a protesta per l’occupazione dei territori della Chiesa da parte del neonato e sedicente «regno d’Italia». Prigioniero volontario per non sottostare a nessuno, si trovò a sfidare altre potenze terrene: appena dopo la sua elezione, ribadì al mondo che nessun potere umano poteva intervenire nell’elezione del Pontefice Romano.

 

In effetti Francesco Giuseppe, pretestando un abusivo ed inesistente diritto di esclusiva, aveva voluto impedire al Cardinal Rampolla dall’elezione al Soglio. Il conclave aveva reagito aumentando il numero di voti per il Rampolla, ma poi sotto la spinta di altre considerazioni aveva prevalso la candidatura del Cardinal Sarto. Sarebbe falso dire che il veto austriaco fosse stato decisivo, anzi lungi dal provocare consenso provocò lo sdegno del Sacro Collegio, anche verso quel Cardinale polacco che se ne era improvvidamente fatto latore.

 

Pronto a continuare la prigionia volontaria a ribadire i diritti della Santa Sede di fronte al mondo, san Pio X fu anche fermissimo nella lotta con lo Stato francese, che aveva unilateralmente denunciato il concordato napoleonico e proclamato la separazione dello Stato e della Chiesa, confiscando tutte le proprietà ecclesiastiche, comprese le chiese parrocchiali e i beni del culto.

 

San Pio X non solo condannò in linea di principio la separazione, ricordando che per la rivelazione divina la società civile deve essere soggetta a quella ecclesiastica (enciclica Vehementer nos, 1906), ma impedì ogni sottomissione alle imposizioni del governo, che per concedere alla Chiesa l’uso dei beni confiscati imponeva condizioni che avrebbero snaturato la struttura e la libertà della Chiesa stessa, fu quindi pronto a rinunciare a tutti i beni ecclesiastici in Francia pur di restare libero.

 

Povero, ma libero, così come era nato. E a tale modello volle si conformasse l’episcopato francese, dando esempio di coraggio veramente evangelico. Personalmente, all’altare della Cattedra di san Pietro, consacrò quattordici nuovi vescovi, senza ingerenze del governo, mandandoli a reggere le diocesi galliche. Un’analoga situazione si verificò con la separazione dello Stato e della Chiesa in Portogallo nel 1911, e il Pontefice levò la sua voce libera con l’enciclica Iamdudum.

 

Quale differenza abissale con i moderni Papi, che sono diventati in modo sempre più marcato l’eco di poteri esterni alla Chiesa, i cui slogan ormai ripetono nei modi più beceri e triviali, e che non solo non hanno saputo rinunciare ai beni terreni, pur di piacere agli uomini, ma hanno svenduto la dottrina di Gesù Cristo pur di rimanere a galla.

 

Si sente a volte raccontare la fiaba del «povero» Ratzinger che ha abdicato perché sottoposto a minacce di ordine finanziario per il suo «conservatorismo»: ammesso e non concesso che fosse vero, e fermo restando il fatto che Benedetto XVI fu liberale e modernista, in che cosa crede un uomo che non è disposto a restar fermo al suo posto sotto minaccia di perdere dei beni? Un comportamento, se fosse andata così, che dimostra solo la grande differenza tra la fede di Papa Sarto e la filosofia mondana e moderna del Ratzinger.

 

Così pure, al clero e ai fedeli che capiscono la situazione della Chiesa, san Pio X insegna a non aver paura di rinunciare ad alcunché pur di restare fedeli.

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Il Papa più intelligente

Durante la sua vita, Papa Sarto fu criticato o preso in giro (in modo più o meno benevolo) come sempliciotto, uomo che aveva studiato poco, incapace di comprendere le novità del mondo accademico e della moderna filosofia.

 

Purtroppo per i suoi detrattori, san Pio X la «moderna filosofia» l’aveva capita davvero, ed è per questo che ebbe l’intelligenza di condannarla con tutto il vigore possibile. Perché aveva capito che dietro quella «cultura» pomposamente vantata si nascondevano l’orgoglio e l’eresia più tremenda, e in realtà anche una profonda sfiducia nelle capacità metafisiche della ragione umana.

 

Ci riferiamo ovviamente all’opera capitale del Pontificato di Papa Sarto, la condanna del modernismo. Il modernismo non è un errore comune, non è la classica eresia.

 

Al contrario, potrebbe anche esistere pur mantenendo tutte le formule dogmatiche del cattolicesimo, come di qualsiasi altra religione. Perché per il modernista Dio e la sua Rivelazione in realtà non sono conoscibili, ed ogni discorso su Dio è solo l’espressione di un sentimento interiore, non di una realtà esteriore. Ecco perché discorsi contraddittori o evolutivi sul dogma diventano possibili: perché tanto il dogma non esprime realtà eterne, ma risponde ad esigenze momentanee.

 

Se si capisce la portata di tali princìpi, che sono poi effettivamente entrati nelle teste della gerarchia cattolica, si capisce la vigorosa reazione di san Pio X: egli, nel concepire esattamente la gravità di questo male, si dimostrò di una penetrazione intellettuale non più raggiunta dai successori. Non che il coltissimo Leone XIII non avesse a suo modo cominciato a intervenire sull’argomento; ma è stato il santo Pio X che, contemplando la Realtà suprema, cioè l’Essere divino, che ha potuto capire la malizia profonda di coloro che avevano pervertito completamente la Verità.

 

L’enciclica Pascendi (1907) e i durissimi provvedimenti contro quei sacerdoti e intellettuali che si dicevano cattolici, ma che avevano vuotato di senso ogni dogma, furono sotto ogni aspetto il capolavoro del pontificato di Papa Sarto, il compimento perfetto dell’ufficio papale di confermare nella fede e di escludere gli eretici. Un capolavoro, lo abbiamo detto, innanzitutto di penetrazione intellettuale.

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Il Papa più pastorale

Il clero moderno e modernista, da Giovanni XXIII a Papa Francesco, ha fatto delle esigenze «pastorali» una chiave di cambiamento della dottrina, appunto per rispondere ad esigenze umane, invece che trasmettere la pura dottrina rivelata. A sentir loro sembra che, prima del loro avvento, nessun Pontefice si fosse preoccupato del proprio gregge, visto che non aveva adattato la dottrina alle presunte esigenze dell’uomo di oggi.

 

San Pio X non aveva solo versato sul popolo inquinato l’acqua della dottrina celeste con il suo celeberrimo catechismo; non solo aveva fornito in san Tommaso d’Aquino un altissimo modello di formazione intellettuale ai saggi incantati dal demone modernista; ma aveva soprattutto compiuto ciò che ogni Pastore ha come primo incarico: nutrire il gregge. Lo lasciamo spiegare a Tolkien, il famoso scrittore inglese, che così dice in una lettera del 1963 al figlio Michael, poco prima dell’apertura del Concilio Vaticano II:

 

«Ma per me quella Chiesa di cui il Papa è capo riconosciuto ha un merito maggiore, e cioè quello di aver sempre difeso il Santo Sacramento e di avergli reso sempre onore e di averlo messo (come Cristo voleva) al primo posto. “Nutri le mie pecorelle” fu il Suo ultimo incarico a San Pietro; e dato che le Sue parole vanno sempre intese alla lettera, suppongo che fossero riferite principalmente al Pane della Vita. È stato contro questo che venne lanciata la prima rivolta dell’Europa occidentale (la Riforma) – contro “la favola blasfema della messa” – e le opere della fede sono state una falsa pista. Credo che la più grande riforma del nostro tempo sia quella portata avanti da san Pio X: superando tutto quello, di cui pur c’era bisogno, che il Concilio deciderà. Mi chiedo in che stato sarebbe la Chiesa se non fosse per quella riforma».

 

La riforma a cui si riferisce è il decreto di san Pio X Quam singulari (1910), con il quale il Papa ripristinava l’età di sette anni per la comunione dei bambini, e la possibilità della comunione quotidiana e della distribuzione della Comunione a tutte le Messe, superando le incertezze delle diverse scuole di spiritualità sull’argomento e soprattutto gli orrori dello spirito giansenista

 

Come si vede leggendo Tolkien, una riforma che non è il simpatico favore fatto a una cerimonia per bambini da un caro nonnino, ma l’esercizio del tremendo ufficio di pascere il gregge con il Corpo e il Sangue della Vittima divina, unico nutrimento delle anime di cui il Successore di san Pietro è Padre e Pastore per volontà del Risorto.

 

L’esatto opposto dei moderni Papi elogiatori di Lutero, che hanno devastato la Messa e la fede nella presenza reale del Cristo nell’Ostia consacrata, e che si ingegnano di dare il Corpo adorabile del Cristo a chi non ne è degno, dagli eretici agli adulteri, per i quali non è nutrimento ma condanna.

 

Molte altre cose sarebbero da dire su un pontificato così grande, e molte delle dette sarebbero da approfondire. Ma basti quest’abbozzo per enunciare al mondo che il Papa veneto canonizzato nel 1954 da Pio XII è stato veramente il più grande uomo del Novecento, colui che capì e colpì la radice dei mali che oggi devastano la Chiesa e il mondo, colui senza il quale saremmo senza luce in questa crisi, colui senza il quale saremmo senza cibo in questa carestia spirituale.

 

Don Mauro Tranquillo

 

Articolo previamente apparso sul sito Cultura Animi.

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Papa Leone saluta subito gli ebrei. In nome del Concilio

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Non c’è voluto molto prima che il nuovo pontefice mandasse un segnale all’importante destinatario. Non parliamo dei cattolici conservatori, né degli LGBT, né i tradizionalisti, né i teologi della liberazione: parliamo degli ebrei.   Il 13 maggio, giorno della Madonna di Fatima, il rabbino capo di Roma Riccardo Di Segni ha ricevuto il messaggio personale da papa Prevost, con cui è stato informato della sua elezione a nuovo pontefice della Chiesa cattolica, scrivono le agenzie stampa, che riportano che nella sua nota, Leone XIV si impegna «a continuare e a rafforzare il dialogo e la cooperazione della Chiesa con il popolo ebraico nello spirito della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano secondo».   Il rabbino Capo di Roma – il quale ricordiamo siede anche nel Comitato Nazionale di Bioetica, «sarà presente alla celebrazione della inaugurazione del pontificato, ha accolto con soddisfazione e gratitudine le parole a lui dirette dal nuovo papa», scrive una nota emessa dalla Comunità ebraica di Roma. Il rabbino – che aveva fatto sapere di aver partecipato ai funerali di Bergoglio sabato 26 aprile «nel rispetto dello Shabbat», ovvero arrivando a San Pietro a piedi – sarà presente alla celebrazione della inaugurazione del pontificato. Si dice che saranno presenti altri rappresentanti della religione giudaica.

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Sullo sfondo, vi sono le mancate condoglianze per la morte di papa Francesco da parte dello Stato di Israele, con il governo Netanyahu che avrebbe detto alle ambasciate di cancellare i tweet di cordoglio per la scomparsa del vertice della Chiesa cattolica. Come noto, Bergoglio aveva parlato di «genocidio» a Gaza, provocando l’ira funesta dello Stato degli ebrei e di tanti ebrei in generale – proprio loro, che erano così entusiasti delle sue visite da farlo divenire un cartoon pubblicitario per il ministero del turismo israeliano.   Tuttavia papa Leone non ha scritto solo al rabbino Di Segni, ma alle comunità ebraiche di tutto il mondo. Il messaggio è lo stesso: il pontefice rafforzare il dialogo della Chiesa cattolica romana con loro.   Il rabbino Noam Marans, direttore degli affari interreligiosi dell’American Jewish Committee, ha pubblicato la lettera sulla piattaforma social X nella tarda serata di lunedì.   «Confidando nell’assistenza dell’Onnipotente, mi impegno a continuare e rafforzare il dialogo e la cooperazione della Chiesa con il popolo ebraico nello spirito della dichiarazione Nostra Aetate del Concilio Vaticano II», ha affermato Leone nella lettera.   Colpisce come, in pochi giorni dall’elezione al Soglio, il nuovo papa torni a parlare del Concilio Vaticano II. Lo aveva fatto una prima volta nelle prime battute del suo primo discorso al Collegio cardinalizio. Come riportato da Renovatio 21 il vescovo kazako Athanasius Schneider ha notato come sia strano che un papa citi un Concilio ad inizio pontificato, cosa ben rara.   Nostra Aetate è stato un documento fondamentale del Concilio del 1962-1965, che ripudiò il concetto di colpa collettiva ebraica per la morte di Gesù e incoraggiò il dialogo con le religioni non cristiane. La preparazione del documento è stata in gran parte sotto la direzione del cardinale Augustin Bea, presidente del Segretariato per la promozione dell’unità dei cristiani, insieme ai suoi periti, tra cui l’eccentrico gesuita Malachi Martin, il quale avrebbe fatto conoscere al porporato leader ebrei, come il rabbino Abraham Joshua Heschel, incontrato dal Martin 1961 e nel 1962.  
  Il cardinale Bea incontrò anche Morris B. Abram, presidente dell’American Jewish Committee, e tentò di rassicurarlo sullo stato del documento e sulle controversie contemporanee.   In un articolo del 1966 sulla rivista Look Magazine sul dibattito sugli ebrei durante il Concilio Vaticano II Il giornalista Joseph Roddy affermò che una stessa persona, sotto tre diversi pseudonimi, aveva scritto o agito per conto di gruppi di interesse ebraici, come l’American Jewish Committee, per influenzare l’esito dei dibattiti.   Roddy scrisse che due articoli tempestivi e remunerati del 1965 furono scritti sotto lo pseudonimo di F.E. Cartus, uno per Harper’s Magazine e uno per la rivista dell’American Jewish Committee, Commentary. Nel suo libro del 2007 Spiritual Radical: Abraham Joshua Heschel in America, Edward K. Kaplan ha confermato che Martin collaborò con l’American Jewish Committee durante il Concilio «per una serie di motivi, sia nobili che ignobili (…) principalmente consigliava il comitato su questioni teologiche, ma forniva anche informazioni logistiche e copie di documenti riservati».

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Il documento Nostra Aetate è finito per avere molto più significato di quello contenuto nelle sue parole, e interpretato come un stand-down de facto del cattolicesimo nei confronti di qualsiasi argomento coinvolga gli ebrei, mentre il mondo preparava la strumentalizzazione di una parola di conio recente, «antisemitismo», per etichettare come indesiderabile il discorso di certuni – se non di farli direttamente arrestare, vista l’entrata in vigore in alcuni Paesi di psicoreati a base «antisemitismo».   Una riflessione precisa sull’argomento è stata compiuta dallo studioso cattolico americano E. Michael Jones. «Il dialogo tra cattolici ed ebrei fallì perché, mentre i cattolici consideravano Nostra Aetate un’offerta di pace, gli ebrei la consideravano un’arma nel loro arsenale di guerra culturale» ha scritto il professore filadelfiano nel suo libro Pope Francis in Context. Jones parla quindi dei cattolici presi tra «l’incudine del Vaticano II e le critiche martellanti dei gruppi ebraici, furono apportati».   Analizzando un caso riguardante i cattolici bavaresi, e un libro a riguardo, Jones dice che questi «venivano duramente colpiti, e venivano duramente colpiti solo a causa di Nostra Aetate. Senza quel documento, avrebbero potuto facilmente deviare i colpi ebraici. Con esso, gli ebrei potevano ora usare il vescovo contro il suo gregge come il modo migliore per sventrare il ruolo di qualsiasi cosa nei Vangeli che gli ebrei trovassero ripugnante». Di fatto, la Nostra aetate citata da Leone XIV è divenuta l’arma con cui gli ebrei attaccano i cattolici non appena questi dicono qualcosa che ritengono anche solo vagamente inaccettabile: come, ad esempio, la colpa ebraica per la morte di Cristo, per il quale fu duramente attaccato il film del 2004 La Passione di Cristo come pure il suo regista Mel Gibson, accusato automaticamente di antisemitismo e emarginato via via sempre più da Hollywood.  
  Come noto, la situazione è arrivata al punto che le leggi anti-antisemitismo proposte lo scorso anno in America rendevano tecnicamente proibiti vari passaggi dei Vangeli.   Ciò detto, ci sono voluti anni prima che la situazione tra i due Stati religiosi si normalizzasse. Il Vaticano e Israele firmarono un «accordo fondamentale» nel 1993 e l’anno successivo si scambiarono ambasciatori a pieno titolo. Negli ultimi tempi il rapporto si era deteriorato totalmente. A dicembre 2024 l’ambasciatore del Vaticano in Israele era stato convocato al ministero degli Esteri dello Stato Ebraico dopo che papa Francesco aveva criticato la «crudeltà» degli attacchi aerei a Gaza.   Va anche ricordata l’inquietante presente, prima dell’ultimo conclave, del rabbino Shmuley, personaggio molto controverso. Il rabbino, che tra le altre cose promuove l’azienda di giocattoli sessuali della figlia, è accusato da vari negli USA di essere coinvolto in tanti casi opachi, come con Michael Jackson, di cui era divenuto confidente; poi ne divulgò le conversazioni intime.   Alcuni ora accusano il «rabbino dei VIP» di essere l’«handler» (maneggiatore) del segretario per la Salute USA Robert Kennedy jr., difendendolo a spada tratta dalle accuse di antisemitismo che gli sono pavlovianamente cadute addosso appena è arrivato sulla scena politica.   Lo Shmuley è poi entrato in dibattiti osceni con la giornalista Candace Owens, indicandola come, indovina indovina, «antisemita». Il rabbì sionista, ad ogni modo, ha offerto al mondo video di sé non sempre edificanti.  

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Così, è con sgomento che si è arrivati a poche ore dal Conclave con lo Shmuley a Roma che si faceva fotografare con Parolin. Quale manovra potesse esserci dietro, non possiamo saperlo, ma tanti hanno fatto certi pensieri.     Rimane esemplificativa la storia, ricordata a più riprese da Renovatio 21, di Teodoro Herzl, il fondatore del sionismo sulla cui tomba Bergoglio si lasciò portare da Netanyahu nel 2014, che nel 1903 riuscì a farsi ricevere da papa San Pio X – il papa che comprese e bloccò il modernismo religioso –chiedendogli aiuto per far tornare gli ebrei in Palestina. Il Santo rispose con un sereno, cordiale, netto «no».   «Sostenere gli ebrei nell’acquisizione dei Luoghi Santi, quello non possiamo farlo» disse San Pio X al fondatore del sionismo, rifiutando l’idea di un ritorno degli ebrei nelle terre di Gesù.   «Noi, e io come il capo della Chiesa, non possiamo fare questo. Ci sono due possibilità. O gli ebrei si aggrappano alla loro fede e continuano ad attendere il Messia che, per noi, è già apparso. In questo caso essi non faranno che negare la divinità di Gesù e noi non li possiamo aiutare. Oppure vanno lì senza alcuna religione, e allora potremo essere ancora meno favorevoli a loro».   «La religione ebraica è il fondamento della nostra; ma è stata sostituita dagli insegnamenti di Cristo, e non possiamo concederle alcuna ulteriore validità. Gli ebrei, che avrebbero dovuto essere i primi a riconoscere Gesù Cristo, non l’hanno fatto fino ad ora» proseguì il santo romano pontefice.   «Il nostro Signore è venuto senza potere. Era povero. È venuto in pace. Non ha perseguitato nessuno. È stato perseguitato».   «È stato abbandonato anche dai suoi apostoli. Solo più tardi è cresciuto in statura. Ci sono voluti tre secoli alla Chiesa per evolvere. Gli ebrei hanno avuto quindi il tempo di riconoscere la sua divinità, senza alcuna pressione. Ma non l’hanno fatto fino ad oggi».   Così parlò il papa Santo.  

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Mons. Schneider: il primo impegno del papa è il Vangelo, non il Vaticano II

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Dopo il discorso di apertura di papa Leone XIV, il vescovo Athanasius Schneider ha messo in guardia dal basare un pontificato esclusivamente sul Vaticano II, affermando che il «primo impegno» di un papa è verso il Vangelo.

 

Nel suo discorso inaugurale al Collegio Cardinalizio, sabato mattina, papa Leone XIV ha sottolineato la priorità del Concilio Vaticano II per il suo pontificato. «Vorrei che insieme, oggi, rinnovassimo la nostra piena adesione, in tale cammino, alla via che ormai da decenni la Chiesa universale sta percorrendo sulla scia del Concilio Vaticano II», aveva affermato lo scorso 10 maggio il nuovo Pontefice.

 

Un simile commento ha suscitato l’interesse di molti, soprattutto di coloro che si sono preoccupati degli aspetti predominanti del pontificato di Francesco, tra cui il vescovo Athanasius Schneider, ausiliare dell’arcidiocesi di Astana, in Kazakistan.

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«Penso che un papa non dovrebbe parlare in questo modo perché il nostro primo impegno completo è verso il Vangelo di Gesù Cristo: questo è il primo impegno di ogni papa e vescovo», ha detto il vescovo durante un’intervista lunedì scorso.

 

«Un concilio è un atto del Magistero… che è l’ufficio di insegnamento della Chiesa», ha aggiunto Schneider. «L’ufficio di insegnamento della Chiesa è definito come non superiore alla tradizione, ma subordinato ad essa».

 

Proseguendo, ha respinto l’idea secondo cui i papi dovrebbero fare di un particolare concilio il fulcro del pontificato, attingendo a precedenti storici per sostenere la sua argomentazione: «non era comune per i papi nella storia presentare l’inizio del loro pontificato con un impegno pubblico a un concilio specifico. Nemmeno nel famoso concilio di Nicea… che fu più importante del Vaticano II, che fu solo pastorale».

 

Un concilio specifico «non può essere il nostro primo impegno», ha ribadito Schneider. «Il nostro primo impegno sono le parole e l’insegnamento chiari di Nostro Signore, il costante e chiaro insegnamento della tradizione e degli Apostoli, e tutto l’insegnamento solenne e definitivo del Magistero. Questo dovrebbe essere il nostro primo impegno».

 

Il monsignore ha aggiunto che, sebbene i cattolici dovrebbero «trarre una certa ispirazione positiva da ogni concilio», un concilio in particolare non dovrebbe essere «assolutizzato» in modo da costituire il centro dell’insegnamento magisteriale sotto un pontefice.

 

 

Sottolineando inoltre di non poter fare previsioni certe sul nuovo pontefice, Schneider ha accolto con favore il fatto che «almeno la sua apparizione» e il suo discorso di apertura dal balcone siano stati «positivi» e abbiano dato «speranza e incoraggiamento».

 

Il comportamento di Leone era «molto spirituale», ha aggiunto Schneider, che si è detto anche incoraggiato dall’evidente devozione del papa per Maria. «Aveva una sorta di radiosa calma», ha commentato Schneider.

 

I cattolici dovrebbero «ringraziare il Signore per la sua elezione» invece di altri candidati «che avrebbero davvero danneggiato la Chiesa», ha affermato Schneider a proposito di Leone, la cui elezione ha definito «un segno positivo».

 

Interrogato dall’intervistatore Matt Gaspers su quali «questioni urgenti» avrebbe raccomandato al Papa di affrontare, Schneider ha evidenziato questioni dottrinali e liturgiche, insieme alle nomine del personale.

 

«Primo: confermare, rafforzare tutti i fedeli nella fede come Gesù l’ha donata a Pietro e a lui anche in questo caso, di fronte all’evidente confusione in cui è sprofondata la Chiesa a livello dottrinale, morale, è davvero urgente rafforzare e confermare nella fede».

 

Approfondendo l’aspetto dottrinale della crisi della Chiesa, Schneider la suddivide in tre ulteriori punti che, a suo dire, necessitavano di essere affrontati:

 

«Per affrontare concretamente tre temi che nella vita della Chiesa sono più confusi: La verità sull’unicità di Gesù Cristo come unica via di salvezza e sul fatto che le altre religioni non sono mezzi di grazia o vie di salvezza. Deve essere affermata con chiarezza cristallina»

 

«L’ordine divino della sessualità umana deve essere affrontato con una formula estremamente chiara. I temi principali che riguardano questo tema, che ai nostri giorni sta evidentemente causando tanta confusione nella Chiesa, riguardano l’immoralità intrinseca e la malvagità degli atti e dello stile di vita omosessuali, e poi il divorzio. Questo va sottolineato. E l’indissolubilità del matrimonio».

 

«Fare una solenne e definitiva precisazione circa il sacramento dell’ordinazione, stabilendo che il sacramento dell’ordine – essendo un sacramento unico nei tre gradi dell’episcopato, presbiterato e diaconato – è per diritto divinamente stabilito riservato ai fedeli di sesso maschile».

 

Per quanto riguarda la liturgia, Schneider ha ampliato la sua precedente condanna della restrizione della Messa tradizionale imposta da Papa Francesco, come contenuto nella Traditionis Custodes, chiedendo che il documento venga revocato: «per quanto riguarda il culto, il papa dovrebbe abrogare completamente la Traditionis Custodes»

 

«Si tratta davvero di un’umiliazione, di una persecuzione di una parte dei fedeli e anche di un rifiuto dell’intera tradizione liturgica della Chiesa. Quindi questo deve essere sanato. Deve ripristinare la completa libertà d’uso della liturgia in tutte le epoche».

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A parte eventuali piani particolari che Leone potrebbe già avere, la loro attuazione dipenderà fortemente dalla collaborazione della Curia Romana con i suoi desideri. In tali circostanze, il personale si rivelerà effettivamente una politica.

 

A tal fine, Schneider ha aggiunto che la selezione episcopale è fondamentale:

 

«Deve nominare i vescovi con molta attenzione, perché i vescovi devono essere veramente uomini di Dio, di fede cattolica. A questo dovrebbe prestare molta attenzione».

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I giornalisti esaminano il passato mediatico di Leone XIV

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Ogni buon giornalista, di fronte all’elezione di un cardinale poco conosciuto al soglio di San Pietro, cerca di scoprire cosa potrebbe esserci di curioso, bizzarro o addirittura censurabile nel suo passato. Con le possibilità offerte dagli «archivi» del web, dagli interventi pubblici, dai discorsi, dagli interventi sui social network, tutto viene scrutinato e analizzato.   Uno degli interventi passati di Leone XIV attirò rapidamente l’attenzione: il discorso da lui pronunciato mentre era Priore Generale dell’Ordine di Sant’Agostino – carica che ricoprì dal settembre 2001 al settembre 2013 – al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione nell’ottobre 2012. Il suo discorso si concentrò sull’impatto culturale dei media occidentali sulla trasmissione della fede.   «I media incoraggiano la compassione per pratiche contrarie al Vangelo, come l’aborto, l’eutanasia o lo stile di vita omosessuale», affermò all’epoca, in un discorso ripreso in un video prodotto dall’agenzia Catholic News Service. Il Priore Generale aveva sottolineato che queste rappresentazioni potrebbero significare che «quando si ascolta il messaggio cristiano, esso appare ideologico ed emotivamente crudele».

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Ha poi denunciato il fatto che «le famiglie alternative composte da coppie dello stesso sesso e dai loro figli adottivi» venivano presentate in modo «gentile e compassionevole» in televisione e al cinema, il che rendeva difficile la comprensione del messaggio cristiano. Ha anche criticato il modo in cui i media trattano l’aborto e l’eutanasia. Il futuro papa venne poi nominato vescovo della diocesi di Chiclayo in Perù.   Nel 2023 è stato promosso da papa Francesco alla guida del Dicastero per i vescovi, una nomina che ha colto in qualche modo di sorpresa, dato il tono del suo discorso del 2012, in contrasto con l’approccio di Francesco alla cultura contemporanea.   Nel corso di una cerimonia presso l’Ambasciata degli Stati Uniti presso la Santa Sede, l’esperto vaticanista Francesco X Rocca, che all’epoca lo aveva intervistato, gli ricordò questo intervento. Il vescovo Prevost rispose in modo enigmatico: «Da allora, molta acqua è passata sotto i ponti». Sebbene fosse già stato creato cardinale, gli fu chiesto della sua posizione attuale sui temi affrontati nel suo intervento sinodale.  
  Ha risposto: «papa Francesco ha chiarito che non vuole che le persone siano escluse semplicemente a causa delle loro scelte, che si tratti del loro stile di vita, del loro lavoro, del loro modo di vestire o di qualsiasi altra cosa. La dottrina non è cambiata e nessuno ha ancora detto che un tale cambiamento sia auspicabile. Ma stiamo cercando di essere più accoglienti e aperti, e di dire che tutti sono benvenuti nella Chiesa».   Infine, il sito web di CBCP News. Datato 24 ottobre 2024, riporta la risposta ottenuta dal cardinale Prevost in merito alla controversia riguardante la Fiducia supplicans. «I vescovi delle conferenze episcopali africane hanno detto in sostanza che in Africa la loro realtà culturale è molto diversa… Non si trattava di rifiutare l’autorità dottrinale di Roma, ma di dire che la loro situazione culturale è tale che l’applicazione di questo documento semplicemente non funzionerà».   Una risposta che, senza schierarsi sulla sostanza, si accontenta di considerare gli atteggiamenti pratici e di sottoscrivere da una parte il movimento avviato da papa Francesco e dall’altra la forte resistenza opposta dai vescovi africani in questa vicenda. Un’ambiguità che potrà essere risolta solo in futuro.   Articolo previamente apparso su FSSPX.News

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