Spirito
Riflessione per questo Santo Natale
Il tempo di Avvento riporta al suo interno numerose feste e ricorrenze liturgiche orientate al grande mistero dell’Incarnazione del Verbo: il Signore che deve venire avvolge infatti tutto questo tempo che precede il Natale nel trasporto dei cuori all’unica e vera ragione per cui «Dio ha amato così tanto il mondo da dare il Suo Figlio Unigenito» (Gv. 3, 16), ovvero la Salvezza, il riscatto dal Peccato che aveva chiuso le porte del Paradiso all’essere umano.
Ecco l’unico vero, assoluto motivo per cui Gesù, «pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo una condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce» (Fil. 2, 6-8).
Fra tutte le feste, però, ve n’è una particolarmente protesa alla mirabile spiegazione di quello che è l’appena accennato fine dell’Incarnazione del Verbo: la festa di San Tommaso Apostolo.
La figura di questo straordinario Apostolo di Gesù, spesso banalmente citato attraverso alcuni detti o motti, ha molto da insegnarci sul fine della nostra esistenza e, appunto, sulla ragione per cui Dio ci ha amati prima che noi amassimo Lui, e senza bisogno, in se stesso, di essere Lui amato dalle creature.
L’Apostolo Tommaso — come dimenticarlo — fu l’unico ad avere lo splendido privilegio di toccare con le proprie mani e di infilare il proprio dito nel costato e nelle mani piagate del Signore risorto.
Nella sua omelia sul brano evangelico di San Giovanni, che meglio narra della figura di San Tommaso, san Gregorio Magno dice che «veramente l’incredulità di Tommaso ci ha recato maggiore profitto della fede degli apostoli credenti, poiché, mentre egli è ricondotto alla fede mediante il senso del tatto, la nostra anima, libera da ogni dubbio, è resa solida nella fede».
Possiamo dunque certamente credere che la Santa Chiesa, come una buona madre, non a caso ha deciso di collocare, a pochi giorni dal Natale, la festa di San Tommaso Apostolo: il Tempo di Avvento, come dicevamo intriso, specie negli ultimi giorni, di tutte quelle profezie che riportano alla nascita del Salvatore, il 21 dicembre, festa dell’Apostolo, si prende, per così dire, una sorta di «pausa», mantenendo quella delicata e necessaria armonia che esiste tra i vari dogmi della nostra fede, in questo caso, tra l’incarnazione del Figlio di Dio e la sua gloriosa Risurrezione.
Sempre San Gregorio, nell’omelia per il terzo ufficio notturno della Dominica in Albis, ci fa comprendere sublimemente che proprio il brano evangelico del Cristo risorto (Gv. 20, 24-29) che viene letto per la festa di san Tommaso Apostolo, è anch’esso una valida preparazione per la vicina celebrazione della nascita di Gesù, soprattutto a ragione di un dettaglio misterioso evidenziato dall’evangelista: il Cristo risorto entra «a porte chiuse» (januis clausis) nel cenacolo dov’erano radunati gli apostoli:
«Le opere del nostro Redentore che non possono essere comprese in sé, devono essere considerate alla luce di altre meraviglie operate dal suo intervento, in modo che alcuni dei suoi prodigi possano acquistare maggiore credibilità dalla contemplazione di prodigi ancora più grandi. Infatti, quel corpo del Signore che entrò dov’erano i discepoli a porte chiuse (januis clausis), è lo stesso che si manifestò palesemente agli occhi umani fuoriuscendo dal grembo chiuso della Vergine, al momento della sua nascita. Perché, dunque, deve stupirci il fatto che entrò a porte chiuse dove si trovavano i discepoli dopo la sua Risurrezione, quando già stava per godere di un trionfo eterno, se quando venne a morire per noi non uscì dal grembo aperto della Vergine?»
Mistero davvero sublime, quello della nascita di Gesù attraverso il virgineo grembo di Maria Santissima. Il Signore uscì infatti dalla porta chiusa del grembo della Vergine, compromettendo in nulla l’integrità verginale di Lei, ed uscendo con un corpo non soltanto capace di soffrire, ma già proteso alla salda intenzione di morire per noi.
L’immagine del Bambinello in mezzo al bue e all’asinello, può indurci persino a meditare il momento della Passione e Morte del Signore in Croce in cui Egli, così come per la Sua nascita, stava «in mezzo»: l’asino per quanto ricopra varie rappresentazioni simboliche all’interno della Sacra Scrittura, può certo ricordarci un elemento legato al male; il bue, di contro, legato al bene.
Gesù entrerà in Gerusalemme a cavallo di un asino, a rappresentare la vittoria sul Demonio che già precede la Sua passione e Morte, in cui sarà, appunto, in mezzo fra il buon ladrone e quello cattivo.
Ma, ad ogni modo, in questo mirabile gesto di Amore gratuito che avviene attraverso l’Incarnazione finalizzata al Sacrificio di Gesù, con la conseguente restituzione della Grazia, possiamo meglio comprendere le parole di Maria nel canto del Magnificat: «Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles».
In questi due lunghi anni abbiamo visto come Dio operi per vie a noi davvero sconosciute. Abbiamo visto situazioni, contesti, istituzioni ed infine soprattutto persone su cui non nutrivamo dubbi, inciampare sulle seduzioni del mondo, su un falso concetto di «salute del corpo».
Abbiamo visto tante delle nostre sicurezze crollare, tante convinzioni vacillare. Di contro, invece, abbiamo visto tante persone, per i più abiette, magari considerate «non all’altezza», risvegliare le proprie coscienze, nel silenzio e nel nascondimento. È così, d’altronde, che Dio si rivela.
Si rivela a chi, lontano dalle apparenze esteriori, aborre tutto ciò che riguarda «lo spirito umano» — e quanto esso oggi caratterizzi la festività del Natale tutti possiamo scorgerlo senza grosse difficoltà, laddove il male viene rappresentato dai problemi sociali e non dall’unico e vero Problema da cui tutto il resto discende: il Peccato.
Quello «spirito umano» fu quello che per nessuna ragione riuscì a toccare il cuore di Maria Santissima e di San Giuseppe durante le difficoltà del loro viaggio, in quella notte Santa. La povertà di quella grotta non li sgomenta: non vi era altro posto, per loro, in cui rifugiarsi. Eppure quello che deve nascere è il Figlio di Dio, il Re dei re: come può nascere in una mangiatoia? La risposta che Maria e Giuseppe trovano sta proprio nella consapevolezza che le opere di Dio sono distanti da quelle degli uomini, e che i Suoi pensieri non sono i nostri pensieri.
Sarebbe bastato un pizzico di quello «spirito umano» che s’impossessa di noi ogni giorno per abbatterli, scoraggiarli, vacillare nella Fede. E invece, no, la Madre di Dio e il padre putativo di Gesù, attraverso la loro umiltà, attraverso la loro docilità, dopo aver rispettato la volontà proveniente da un uomo pagano, sanno che così deve compiersi la più grande opera di Dio:
«Mentre un tranquillo silenzio avvolgeva ogni cosa e la notte nel suo celere corso era giunta a mezzo, l’onnipotente tua parola dal cielo, dal trono regale, si slanciò nel mezzo della terra» (Sap. 18,14).
Possa, la venuta del Salvatore, riempire i nostri cuori di quel sacro silenzio e di quella beata contemplazione all’interno della quale possiamo restituire, miseramente ed incomparabilmente, un briciolo di quell’amore che Dio ha immensamente elargito su di noi.
Buon Natale!
Cristiano Lugli
Arte
Svelate le vetrate contemporanee per la Cattedrale di Notre-Dame
Dopo due anni di polemiche, e nonostante la forte opposizione delle associazioni per la tutela del patrimonio, la sostituzione delle vetrate di Viollet-le-Duc, rimaste intatte dall’incendio che ha colpito la Cattedrale di Notre-Dame il 15 aprile 2019, con creazioni contemporanee sta prendendo forma: i modelli sono ora esposti.
La mostra D’un seul souffle è stata inaugurata il 10 dicembre 2025 nella Galleria 10.2 del Grand Palais (Parigi, VIII arrondissement). I visitatori possono scoprire i modelli a grandezza naturale, i bozzetti e altri lavori preparatori per le sei vetrate create da Claire Tabouret, vincitrice del concorso indetto dal ministero della Cultura.
Queste vetrate sono destinate a sostituire le creazioni ottocentesche di Viollet-le-Duc in sei cappelle della navata sud, vetrate progettate dall’architetto in linea con le origini gotiche della cattedrale. La petizione che ne richiede la conservazione spiega: «oltre alle vetrate narrative del deambulatorio, del coro e del transetto, le cappelle della navata presentano vetrate a grisaglia puramente decorative».
«Qui si manifesta una ricerca di unità architettonica e di gerarchia spaziale che è parte integrante della sua opera e che il restauro ha specificamente mirato a riscoprire. Inoltre, il progetto in corso ha incluso la pulizia e il consolidamento di tutte queste vetrate, vetrate che non sono state toccate né danneggiate dall’incendio e che sono classificate come monumenti storici, proprio come il resto dell’edificio».
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Una sostituzione fortemente controversa
La decisione di installare vetrate contemporanee nella Cattedrale di Notre-Dame è un’iniziativa personale di Emmanuel Macron, annunciata durante la sua visita al cantiere l’8 dicembre 2023 e sostenuta dall’arcivescovo di Parigi Laurent Ulrich. «Che vengano cambiate e che portino l’impronta del XXI secolo», dichiarò il Presidente all’epoca.
La sostituzione delle vetrate di Viollet-le-Duc, sopravvissute all’incendio del 2019, aveva scatenato un’accesa controversia. Nel luglio 2024, la Commissione Nazionale per il Patrimonio e l’Architettura ha respinto il progetto, sostenendo che la creazione artistica non dovrebbe sacrificare elementi del patrimonio di interesse pubblico.
La Tribune de l’Art ha lanciato una petizione che, ad oggi, ha raccolto quasi 300.000 firme. L’associazione Sites & Monuments ha presentato ricorso al Tribunale Amministrativo di Parigi per annullare o risolvere l’appalto pubblico. Il ricorso è stato respinto dal tribunale a fine novembre.
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Nel frattempo, lo Stato vuole trarre profitto dal restauro di Notre-Dame
Didier Rykner, il dinamico direttore de La Tribune de l’Art, che si oppone a questa sostituzione, ha appena pubblicato un editoriale in cui denuncia l’avidità dello Stato, che pretende fondi privati per coprire spese che dovrebbero essere a suo carico.
Come sottolinea il giornalista, l’istituzione pubblica responsabile della conservazione e del restauro della Cattedrale di Notre-Dame non dovrebbe essere mantenuta. «Ora che le tracce dell’incendio sono scomparse, non vi è alcuna giustificazione per cui questa struttura, creata esclusivamente per questo restauro, continui a funzionare».
«Notre-Dame ha ora bisogno di restauro, ma questi lavori dovrebbero continuare, come di consueto, sotto la direzione del DRAC Île-de-France, ovvero il ministero della Cultura, senza bisogno di un’istituzione pubblica. Un’istituzione del genere, i cui costi di gestione sono considerevoli, non è più giustificata, a meno che non si decida di creare istituzioni pubbliche per il restauro di tutti i principali monumenti statali…»
Inoltre, permane un «surplus» di fondi privati donati per il restauro della cattedrale più famosa del mondo, che sarà utilizzato per il restauro dell’abside e degli archi rampanti che la sostengono, e anche, a quanto pare, per la sacrestia, i tre grandi rosoni e le facciate nord e sud del transetto. Ma Philippe Jost, direttore dell’istituzione pubblica, chiede altri 140 milioni.
E Didier Rykner ha concluso: «non dobbiamo più dare un solo centesimo a Notre-Dame per sostituire uno Stato in rovina che si rifiuta di adempiere ai propri obblighi. Le cattedrali, come Notre-Dame, devono essere restaurate e mantenute dal loro proprietario, lo Stato. E l’istituzione pubblica, che ha fatto la sua parte e ora vuole deturpare la cattedrale rimuovendo le vetrate di Viollet-le-Duc, non ha più ragione di esistere. Deve essere chiusa».
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
Spirito
Il cardinale Zen risponde alle critiche del sacerdote cinese e avverte che la Chiesa potrebbe imitare il crollo anglicano
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Spirito
L’arcivescovo Gänswein esorta papa Leone a porre fine alle restrizioni sulle messe in latino
L’arcivescovo Georg Gänswein, nunzio apostolico in Lituania, Estonia e Lettonia, in un’intervista rilasciata lo scorso fine settimana ha auspicato che papa Leone XIV rimuova le restrizioni sulla Messa tradizionale e ripristini le disposizioni del motu proprio Summorum Pontificum di papa Benedetto XVI, in quanto avevano favorito l’unità nella Chiesa. Lo riporta LifeSite.
Nel corso dell’intervista trasmessa il 7 dicembre dalla rete televisiva cattolica tedesca Katholisches Fernsehen (K-TV), monsignor Gänswein ha osservato che la Messa tridentina, che per secoli ha alimentato la fede della Chiesa, non può d’un tratto essere considerata invalida o priva di valore. Si è quindi interrogato sulle ragioni che hanno portato papa Francesco a emanare Traditionis Custodes, quando la maggior parte dei vescovi si dichiarava soddisfatta del motu proprio Summorum Pontificum del suo predecessore.
L’ex segretario personale di papa Benedetto XVI ha poi ribadito che Summorum Pontificum rappresentava la via corretta per promuovere la pace liturgica nel rito romano e ha espresso la speranza che papa Leone ne ripristini l’applicazione.
Gänswein è l’ultimo tra i prelati a manifestare l’auspicio che il motu proprio di papa Francesco del 2021 venga revocato, in favore di un ritorno al Summorum Pontificum.
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È proprio la Messa tradizionale che «ha permesso alla Chiesa non solo di vivere, ma di vivere bene per secoli, e il sacro da essa e da essa nutrito», ha affermato il prelato tedesco. «Non può essere che fosse valido e prezioso ieri e poi non lo sia più domani. Quindi questa è una situazione innaturale».
Monsignor Gänswein, che sembra citare il rapporto della giornalista vaticana Diane Montagna, pubblicato durante l’estate, sui risultati complessivi del sondaggio del 2020 sui vescovi condotto dall’allora Congregazione per la Dottrina della Fede (CDF), che si ritiene abbia spinto Papa Francesco a promulgare la Traditionis Custodes, ha sottolineato che la stragrande maggioranza dei vescovi era in definitiva soddisfatta dell’attuazione della Summorum Pontificum.
«I risultati non sono mai stati pubblicati ufficialmente, ma, naturalmente, la gente ne è a conoscenza, e il risultato finale è stato che è stata raggiunta la soddisfazione», ha detto il nunzio. Il Summorum Pontificum è stato visto come «una via verso la pace, soprattutto nella liturgia, il luogo importante della vita religiosa, e non dovrebbero esserci cambiamenti».
«Il motivo per cui papa Francesco (abbia imposto queste restrizioni) è e rimane per me un mistero», ha aggiunto.
Alla domanda su cosa vorrebbe vedere nel futuro della Messa tridentina, monsignor Gänswein ha risposto che papa Leone dovrebbe ripristinare il Summorum Pontificum, che consentirà l’unità nel rito romano.
«Considero la saggia disposizione di papa Benedetto» del Summorum Pontificum «la strada giusta, e lo è ormai da oltre 10 anni, e dovremmo continuare su questa strada senza lamentele, senza restrizioni», ha affermato. «Posso solo sperare che anche papa Leone si muova in questa direzione e continui semplicemente la pacificazione, così che possiamo poi semplicemente guardare avanti alla collaborazione».
Infatti, dall’elezione di Papa Leone a maggio, diversi prelati hanno esortato il nuovo pontefice a porre fine alle ampie restrizioni alla celebrazione della Messa vetus ordo e a tornare alle norme stabilite dal Summorum Pontificum.
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A giugno, il cardinale Raimondo Leone Burke, che pochi mesi dopo celebrò una messa in latino nella Basilica di San Pietro per il pellegrinaggio annuale Summorum Pontificum, affermò di aver già parlato con papa Leone della persecuzione dei fedeli che partecipano alla messa in latino:
«Spero che Leone XIV ponga fine all’attuale persecuzione contro i fedeli nella Chiesa che desiderano adorare Dio secondo l’uso più antico del Rito Romano, questa persecuzione dall’interno della Chiesa».
«Ho già avuto occasione di esprimerlo al Santo Padre. Spero che egli – appena possibile – riprenda lo studio di questa questione e cerchi di ripristinare la situazione esistente dopo il Summorum Pontificum e persino di sviluppare ciò che Papa Benedetto XVI aveva così saggiamente e amorevolmente legiferato per la Chiesa».
Il cardinale Robert Sarah, durante un’intervista di ottobre, ha rivelato di aver avuto anche lui l’opportunità di parlare con papa Leone riguardo alla fine delle restrizioni imposte alla Messa in latino durante un’udienza privata di settembre. Il cardinale Kurt Koch, recentemente nominato presidente di Aiuto alla Chiesa che Soffre da Papa Leone, ha dichiarato ad agosto che è «auspicabile» che il 267° pontefice ponga fine alle restrizioni alla Messa in latino e torni al Summorum Pontificum.
«Personalmente, apprezzerei molto se potessimo trovare una buona soluzione», ha detto il prelato svizzero. «Papa Benedetto XVI ha mostrato un modo utile di procedere, credendo che qualcosa che è stato praticato per secoli non possa essere semplicemente proibito. Questo mi ha convinto».
«Papa Francesco ha scelto una strada molto restrittiva in questo senso. Sarebbe certamente auspicabile che la porta ora chiusa tornasse ad aprirsi di più», ha aggiunto il cardinale Koch.
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