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Famiglia

Putin firma la legge che vieta la «propaganda dei senza figli»

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Sabato il presidente russo Vladimir Putin ha firmato una nuova legge che vieta la promozione della «propaganda dei senza figli».

 

La legge penalizza chiunque sostenga il rifiuto di avere figli. La misura mira a prevenire la diffusione dell’ideologia «childfree» attraverso i media, i film, la pubblicità e Internet e a impedire la diffusione di materiali che incoraggiano il rifiuto della genitorialità.

 

La legge firmata dal presidente impone multe a coloro che vengono giudicati colpevoli di promuovere il concetto. Gli individui potrebbero affrontare sanzioni che vanno da 50.000 (460 euro circa) a 100.000 rubli, mentre i funzionari potrebbero essere multati tra 100.000 e 200.000 rubli. Le persone giuridiche dovranno affrontare costi più elevati, con multe fino a cinque milioni di rubli.

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La legge prevede anche multe se tale propaganda viene diffusa tramite i media o Internet, con sanzioni per gli individui che vanno fino a 200.000 rubli, per i funzionari fino a 400.000 rubli e per le persone giuridiche fino a quattro milioni di rubli. Se si ritiene che abbia colpito minorenni, queste multe saranno ulteriormente aumentate.

 

Nei casi in cui l’ideologia childfree venga diffusa online, i proprietari di siti web saranno tenuti a monitorare e identificare tali contenuti; in caso contrario, il sito web verrà aggiunto al registro delle informazioni proibite gestito dall’organismo di controllo dei media russo, Roskomnadzor.

 

Il disegno di legge è stato approvato all’unanimità sia dalla Duma di Stato che dal Consiglio della Federazione.

 

Il Cremlino ha fatto della sfida demografica una priorità: il calo della popolazione e il basso tasso di natalità sono considerati urgenti problemi nazionali.

 

Un’eccezione è inclusa nella legge per la promozione del monachesimo e del celibato. In base alle nuove disposizioni, il rifiuto di avere figli per motivi religiosi o monastici non sarà considerato un reato.

 

Sebbene si concentri principalmente sui media nazionali e sulle piattaforme Internet, si estende anche ai cittadini stranieri. Gli stranieri che promuovono idee senza figli in Russia dovranno affrontare le stesse multe e potrebbero essere espulsi dal paese o posti in stato di arresto amministrativo fino a 15 giorni.

 

La legge, proposta cinque mesi fa, era stata approvata dal Parlamento ad ottobre. Voci critiche nel Paese affermano che non aiuterà con i problemi demografici della Russia.

 

Come riportato da Renovatio 21, il disegno di legge contro il movimento dei senza figli era stato presentato l’anno passato dal focoso parlamentare russo Vitalij Milonov.

 

A novembre dell’anno scorso, la Corte Suprema russa ha messo fuori legge il «movimento pubblico internazionale LGBTQ» nel Paese, definendolo un’organizzazione estremista. La manovra faceva a una legge che proibisce le operazioni di cambio di sesso, firmata dal presidente russo Vladimir Putin all’inizio del 2024.

 

La Russia si è mossa anche per impedire le adozioni transfrontaliere di bambini russi verso Paesi pro-transgender, cioè, in una parola, nelle nazioni NATO.

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La questione della tendenza americana delle «famiglie» child-free emergeva come uno dei punti salienti di uno sketch russo che circolava circa due anni fa all’inizio del conflitto.

 

Nel video una famiglia russa si trovava in aereo verso gli USA quando veniva assalita dalla realtà della condizione della società americana, tra matrimoni omosessuali, obbligo di deferenza verso gli afroamericani e la presenza di persone appartenenti all’ideologia dei «senza figli» (detti anche DINKS, «dual income no kids», doppio stipendio nessun figlio), che si offendevano per la presenza dei bambini della coppia e pretendevano dunque che cambiassero di posto.

 

Russians propaganda mocking those leaving Russia for America
byu/kankirchele ininterestingasfuck

 

«Perdonaci Madre Russia!» è l’ultima cosa che la famiglia di aspiranti expat russi dice nel video tentando di gettarsi dal portellone dell’aereo in volo.

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Come riportato da Renovatio 21, nel discorso di fine anno Putin ha dichiarato che il 2024 è da considerarsi come l’«anno della famiglia».

 

Due mesi fa, nel discorso di inizio mandato dopo le elezioni, Putin ha detto che per la sua presidenza «la massima priorità è la preservazione del popolo», citando, oltre all’importanza della patria, del progresso e della potenza, anche quella della tradizione e della famiglia.

 

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Famiglia

Lettera del Superiore Generale FSSPX agli amici e benefattori

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Renovatio 21 pubblica la lettera n.94 del Superiore Generale della Fraternità San Pio X (FSSPX) don Davide Pagliarano agli amici e benefattori, apparsa su FSSPX.News.  

Il ruolo del padre nel favorire le vocazioni.

Cari fedeli e, in particolare, cari padri di famiglia,   Come sapete, abbiamo voluto dedicare questo Anno Santo alle preghiere e agli sforzi necessari per implorare dal cielo la grazia delle vocazioni. E non si può parlare della nascita di una vocazione senza evocare il ruolo della famiglia.   Nostro Signore stesso, sacerdote per eccellenza fin dal momento dell’incarnazione, ha voluto crescere in una famiglia per santificarla in un modo particolare ed esemplare. Va da sé che l’esempio delle virtù domestiche è, in un certo senso, il primo seminario e noviziato di ogni anima che Dio chiama al suo servizio.

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Vorremmo dedicare queste brevi riflessioni al ruolo più specifico del padre di famiglia. Nel mondo moderno, tutto contribuisce a distruggere la sua autorità; ma ancor più oggi, sono la sua responsabilità e la sua missione a essere sempre più distorte a causa di ciò che potremmo definire, in parole povere, il «wokismo» contemporaneo. Oggi, uomini e donne, mariti e mogli, sembrano avere ruoli identici e responsabilità equivalenti: questo crea una confusione totale e un’atmosfera corrotta.   Le prime vittime di questa terribile confusione sono coloro che dovrebbero essere educati a diventare adulti e ad assumere un giorno, a loro volta, responsabilità. Anche in questo caso, solo il Vangelo può ristabilire l’ordine che la modernità ha distrutto.  

Il punto di partenza

Quali consigli possiamo quindi dare a un padre che vuole educare bene i suoi figli e, se è volontà di Dio, far sbocciare una o più vocazioni nella sua famiglia? Innanzitutto, non si tratta semplicemente di fare questo o quello, o di evitare questo o quello. Si tratta innanzitutto di vivere abitualmente in uno spirito di fede e di carità, perché la vocazione è una risposta alla chiamata di Dio, che presuppone una prospettiva soprannaturale e, allo stesso tempo, una generosità senza limiti per dare tutto ciò che siamo a Dio. Da queste disposizioni abituali scaturiranno naturalmente atti e comportamenti corrispondenti.   San Paolo ci fornisce la chiave per capire da dove cominciare. È dovere del marito amare la sposa con lo stesso amore che nostro Signore ha mostrato verso la sua Chiesa: «Mariti, amate le vostre mogli, come anche Cristo ha amato la Chiesa e ha dato sé stesso per lei, per santificarla, dopo averla purificata con il battesimo d’acqua mediante la parola di vita, e presentarla a sé stesso come una Chiesa gloriosa, senza macchia né ruga o altro, ma santa e immacolata» (Ef 5,25-27).   Va da sé che l’amore per la propria sposa ha un impatto diretto anche sui figli. Innanzitutto osservando come il padre ama e tratta la madre, un adolescente scopre – molto più di quanto possiamo immaginare – quale sia l’immagine della generosità e dell’amore di Nostro Signore sulla terra. Se un giorno Dio lo chiamerà al suo servizio, egli stesso dovrà essere, in modo ancora più grande e a un titolo differente, l’immagine dello stesso amore e della stessa autorità. Cerchiamo allora di cogliere cosa significhi l’amore del padre in relazione alla sposa e a Dio.   Il vero amore, che è alla base del grande ideale che Nostro Signore comunica a ogni padre, può essere ricondotto a tre atti fondamentali, ai quali tutti gli altri possono essere assimilati. Innanzitutto, l’amore presuppone che si conosca a fondo la persona amata: la si vede, la si contempla, la si ammira. In secondo luogo, l’amore condiziona completamente il modo in cui trattiamo la persona amata: suscita un profondo rispetto, proporzionato al grado di amore. Infine, il vero amore ci porta ad agire con assoluta dedizione e spirito di servizio.  
 

Ammirazione

Innanzitutto, il marito deve ammirare la sposa come colei che Dio ha voluto e scelto per lui, per essere la madre dei suoi figli e l’aiuto unico e insostituibile per sostenerlo, sia nella sua missione di capo famiglia che nella santificazione della sua anima. La moglie è vista e ammirata innanzitutto come un dono di Dio, dotata delle qualità che le permettono di svolgere la sua missione di sposa e madre al suo fianco.   Così, attraverso di lei, l’ammirazione del marito si estende naturalmente al piano di Dio per la famiglia, alle leggi divine e infine a Dio stesso e alla sua saggezza. Questa prospettiva trascendente deve essere approfondita sempre di più con il passare degli anni.   Nulla lascia un’impronta più profonda nell’anima di un bambino o di un adolescente che crescere con questo esempio davanti agli occhi: lo aiuta a diventare sempre più consapevole del posto che occupa nel piano di Dio, umile e dipendente, e a capire che è comunque chiamato da Dio a grandi cose, proprio in ragione di questa dipendenza.   Certamente questa dimensione di ammirazione deve essere comunicata al bambino non solo in ambito naturale, in relazione alla grandezza e alla perfezione delle leggi della creazione, ma soprattutto in tutto ciò che riguarda i misteri di Dio e della religione. Tocchiamo qui direttamente il frutto della grazia sacramentale del matrimonio, che conferisce al matrimonio cristiano una dimensione del tutto superiore al matrimonio puramente naturale.   Molto spesso i misteri di Dio e i doveri della religione diventano stantii, perché sono vissuti in modo ripetitivo e passivo, senza alcuno sforzo di penetrazione da parte del padre. Non deve sorprendere che la stessa passività e mancanza di entusiasmo si riscontrino poi nei figli. La mancanza di ammirazione ci impedisce di avere un vero ideale e di essere in grado di comunicarlo. Ciò che dovrebbe essere un ideale diventa allora qualcosa di astratto, un’altra nozione da imparare e memorizzare, ma senza la capacità di metterci il cuore, occupato altrove.   Un padre che conosce e vive le verità della fede, che parla ai suoi figli del catechismo, dell’esempio dei santi, dell’amore di Nostro Signore, alimenta costantemente in sé e intorno a sé l’ideale a cui tutto deve essere ricondotto. In questo modo, troverà facilmente argomenti di conversazione sempre interessanti e aiuterà i suoi figli a sfuggire alle onnipresenti insidie della banalità e della volgarità.   Ma ancora una volta, è estremamente suggestivo vedere come, a una sposa cristianamente ammirata, corrisponda un Dio ricercato e contemplato: non c’è nulla di più efficace per la formazione morale di un adolescente che vedere questi due atti d’amore completarsi armoniosamente nella persona del padre.

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Rispetto

In secondo luogo, il vero amore genera rispetto. Un figlio rispetterà sua madre se vedrà suo padre fare lo stesso. Questo rispetto da parte del padre permea tutti i suoi rapporti con la moglie, il modo in cui le parla, parla di lei, la considera e la tratta. Non si tratta di una questione puramente e semplicemente di buone maniere o di una sorta di educazione coniugale puramente formale.   È piuttosto l’espressione esterna di un amore profondo che condiziona spontaneamente ogni relazione. È evidente che questo profondo rispetto trova il suo fondamento e la sua massima espressione nella purezza. È impossibile amare la propria sposa come Nostro Signore ha amato la sua Chiesa se innanzitutto non lo si fa nella purezza. Non c’è nulla come questa virtù che renda sana la vita matrimoniale e manifesti infallibilmente il rispetto dovuto al coniuge. Essa condiziona il linguaggio e gli atteggiamenti quotidiani; spinge il padre a vigilare per tenere fuori dalla casa tutto ciò che potrebbe in qualche modo offuscare quest’atmosfera di rispetto e purezza.   Tutto questo, ovviamente, deve essere a maggior ragione alla base del rapporto della famiglia con tutto ciò che è sacro: la legge di Dio, le sue esigenze, i doveri che ne derivano e soprattutto il rapporto con le persone consacrate. Non c’è nulla di più efficace per distruggere le vocazioni future della mancanza di rispetto per le cose e le persone sacre. La Rivoluzione ha sempre cercato di screditare la Chiesa e di ridicolizzare i suoi misteri sfruttando al massimo le mancanze dei suoi membri. È una tattica che purtroppo funziona ancora.   Deve la sua efficacia a questa diabolica e accattivante associazione tra il sacro e ciò che è riprovevole negli esseri umani. Non dobbiamo cedere a questa tentazione, scivolando in uno spirito di critica che causerà ferite nascoste ma irreparabili nei figli. Queste ferite alimenteranno l’indifferenza o la diffidenza.   Mantenere il rispetto per tutto ciò che è sacro – persone e cose – non significa giustificare le debolezze e le disfunzioni. Significa semplicemente amare la Chiesa come la ama Nostro Signore: per ciò che è e per ciò che in lei continua a santificare e salvare le anime, nonostante i difetti inevitabili dei suoi membri e nonostante gli sforzi dei suoi nemici per ostacolare la sua opera. Questo punto è estremamente importante e delicato: su di esso un padre deve sempre vigilare ed esaminare se stesso.   Naturalmente, rispettare tutto ciò che è sacro non significa semplicemente astenersi dal criticarlo o disprezzarlo; per un padre, significa mostrare positivamente un’obbedienza incondizionata, gioiosa e sincera alle leggi di Dio e della Chiesa, eco fedele di Nostro Signore che obbedisce al Padre sempre e in tutto. Inoltre, non si tratta solo di dare l’esempio, ma di guidare paternamente gli altri membri della famiglia all’obbedienza.   La sua autorità gli è affidata a questo scopo: far rispettare l’ordine sacro stabilito da Dio, con dolce intransigenza, sapendo che così facendo sarà all’altezza della missione che gli è stata affidata.

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Dedizione

Infine, il vero amore porta alla dedizione. Nel pieno senso cristiano del termine, dedizione significa qualcosa di molto specifico: il dono di se stessi. Ecco a cosa conduce. Ancora una volta, è prima di tutto nei confronti della sposa che ci si aspetta che un padre mostri questa generosità.   Non fa calcoli, si dedica volentieri a colei che gli è stata affidata, accetta generosamente i suoi limiti, i suoi difetti, le sue debolezze, senza cadere nell’amarezza e nella recriminazione. Nulla nella vita familiare porta alla delusione, perché tutto è accettato e vissuto come un dono di Dio. Amore ed egoismo sono due termini che si escludono a vicenda. Anche in questo caso, Nostro Signore è l’esempio perfetto dello Sposo che per primo ha amato la Chiesa, senza alcun calcolo e senza altro scopo che quello di purificarla, arricchirla moralmente e salvarla.   Nella vita di tutti i giorni, questa dedizione assumerà mille forme diverse in una grande varietà di circostanze, ma sempre in nome della stessa carità.   È chiaro che questa generosità del padre di famiglia deve riflettersi negli atti propri alla virtù di religione, sia all’interno che all’esterno della famiglia. Le applicazioni sono molteplici, e vorremmo sottolinearne una in particolare: pregare insieme in famiglia. Troppo spesso questo dovere viene trascurato. Troppo spesso si ritiene che sia principalmente un compito della madre, a cui si associano gli altri membri della famiglia. Questo è sbagliato e rappresenta una grave mancanza per un padre.   Non c’è nulla di più necessario e più coinvolgente per un bimbo che vedere il padre tornare a casa dal lavoro e inginocchiarsi in mezzo ai suoi figli con il rosario in mano. Naturalmente, sarà spinto a seguire il suo esempio per tutta la vita, soprattutto in mezzo alle prove e nei momenti di fatica. Se Dio lo chiama, sarà pronto a rispondere.  
 

Lo spirito di sacrificio

Non si può perseverare nella preghiera quotidiana in famiglia senza un vero spirito di sacrificio. La sera, tutti hanno ancora qualcosa da fare e sono stanchi, tranne forse i più piccoli che non sanno ancora pregare, ma corrono fino all’ora di andare a letto. In un buon padre prevale lo spirito di sacrificio. Ama troppo la sua sposa, i suoi figli e il suo Dio per lasciarsi andare. Non accetta di arrendersi.   La sua generosità lo porta a fare il possibile per sostenere la parrocchia e, più in generale, tutti coloro che può aiutare, anche al di fuori della sua famiglia. Non si tratta di intraprendere grandi opere. Si tratta semplicemente di essere pronti a offrire un po’ del proprio tempo e dei propri talenti, spesso in modo discreto. Inevitabilmente, i primi a beneficiare di questa generosità al di fuori della famiglia sono i figli stessi. Hanno davanti agli occhi l’esempio di un buon padre che, senza far mancare loro nulla, trova le risorse per fare del bene e spendersi anche al di fuori della famiglia. Questo esempio li prepara a praticare la stessa generosità, qualunque sia la strada che Dio ha scelto per loro.

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Cosa dice il Magistero della Chiesa

Papa Pio XI, più di ogni altro, ha saputo sottolineare il ruolo insostituibile della famiglia nel favorire le vocazioni. Ecco, a mo’ di conclusione, quanto ci ha insegnato nella sua enciclica Ad catholici sacerdotii del 20 dicembre 1935:   «Il primo e più naturale giardino, dove devono quasi spontaneamente germinare e sbocciare i fiori del santuario, è sempre la famiglia veramente e profondamente cristiana. La maggior parte dei Santi Vescovi e Sacerdoti, “le cui lodi celebra la Chiesa” (Eccli 44,15), devono l’inizio della loro vocazione e della loro santità agli esempi ed insegnamenti di un padre pieno di fede e di maschia virtù, di una madre casta e pia, di una famiglia in cui regnava sovrana con la purezza dei costumi la carità di Dio e del prossimo».   «Quando in una famiglia i genitori, ad esempio di Tobia e di Sara, domandano a Dio una prole numerosa “nella quale venga benedetto in eterno il nome del Signore” (Tb 8,9), e la ricevono con gratitudine come dono celeste e come prezioso deposito, e si sforzano di instillare ai figli fin dai primi anni il santo timor di Dio, la pietà cristiana, una tenera devozione a Gesù Sacramentato e alla Vergine Immacolata, il rispetto e la venerazione per i luoghi e le persone sacre; quando il figli vedono nei genitori il modello di una vita onesta, laboriosa e pia; quando li vedono amarsi santamente nel Signore, li scorgono spesso accostarsi ai Santi Sacramenti, obbedire non solo alle leggi della Chiesa circa l’astinenza e il digiuno, ma anche allo spirito della mortificazione cristiana volontaria; quando li vedono pregare anche in casa, riunendo intorno a sé tutta la famiglia perché la preghiera comune s’innalzi più gradita al cielo; quando li sanno compassionevoli alle miserie altrui e li vedono dividere coi poveri il molto o il poco che posseggono, è ben difficile che, mentre tutti cercheranno di emulare gli esempi paterni, qualcuno almeno di tali figli non senta nell’animo suo l’invito del divino Maestro: “Vieni dietro a me” (Mt 19,21) e “Io ti farò diventare pescatore di uomini” (Mt 4,19)».   Dio vi benedica!   Don Davide Pagliarani Superiore Generale FSSPX   Menzingen, 8 giugno 2025, festa di Pentecoste

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  Articolo previamente apparso su FSSPX.News  
  Immagine da FSSPX.News

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Civiltà

La Civiltà è amare i nostri nonni

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Francesco Rondolini è collaboratore e «complice» di Renovatio 21 da tantissimi anni. Francesco in questi giorni ha perso la nonna – a lui vanno le nostre più sentite condoglianze. Ci ha mandato questo testo sull’importanza dei nostri vecchi. Lo ripubblichiamo pensando a quanto sia vero, e giusto: il valore dei nonni – loro che hanno curato noi, noi che ora curiamo loro – non va dimenticato. Mai. Perché la Civiltà stessa dipende dall’amore che abbiamo per loro, e loro per noi.

 

Da sempre ho vissuto con i nonni e i genitori accompagnandoli fino all’ultimo giorno nelle loro rispettive sofferenze. Oggi siamo rimasti io e mia mamma.

 

Mia nonna, ultima rimasta, all’alba dei quasi cento anni se n’è andata serenamente. D’ora in poi mancherà quella routine giornaliera fatta di faccende domestiche in compagnia dei miei cari fino all’ultimo dei loro giorni, di concerto con il mio lavoro. Accudire e coccolare una persona anziana e bisognosa, è stato un privilegio raro che mi obbliga a ringraziare Dio ogni giorno per il miracolo che mi ha concesso di poterci convivere per oltre quarant’anni.

 

Un tempo speso per accumulare tradizione, sapienza, affetto, amore, coccole, gioie, ma anche dolori e difficoltà. La missione che mi sono trovato è stata senza apparente scelta: rimanere al fianco delle persone a me più care.

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Dopo la perdita di mia nonna, molte cose sono cambiate in un attimo, primo fra tutte, la fine di un’era della vita. Gli scherzi, i dialoghi mattutini dicendosi sempre le stesse cose, il prendersi cura, l’affetto reciproco, davano quello che è l’essenza stessa della vita, ossia la vicinanza sentimentale, la presenza, la condivisione di un qualcosa che con altri è impossibile condividere.

 

Una ricorrenza edificata dagli stessi gesti che dettano le giornate e danno un senso profondo alla quotidianità. Il valore prezioso dei nonni, tanto più se vivono nella stessa casa, è incommensurabile. La crescita, l’educazione impartita, in taluni casi persino il lavoro in condivisione, sono tasselli che si aggiungono ad una crescita formativa e spirituale.

 

In una società utilitaristica come quella in cui viviamo, troppe volte gli anziani appaiono come un peso, un ostacolo ai nostri desideri, un impiccio alla soddisfazione dei nostri effimeri egoismi. L’egoismo come ragion d’essere; «io voglio vivere la mia vita», «pretendo di vivere la mia vita», oscurati da qualsiasi afflato di bontà e carità verso il prossimo.

 

La disumanità che ci vede lasciare «i fragili» abbandonati a loro stessi, senza una telefonata, senza una visita, senza una carezza, senza una parola di conforto. Tutto questo in una società «moderna e inclusiva» è del tutto inaccettabile, ma evidentemente l’inclusività non deve ledere la mia libertà personale, le mie abitudini, la mia palestra, i miei aperitivi, le mie notti in discoteca, perché «ho bisogno dei miei spazi e devo godermi la vita».

 

L’effimero che sovrasta il sacrificio della sostanza, un vizio perverso di questo secolo.

 

Nella «demenza pandemica» dei distanziamenti sociali ci hanno detto che per preservare i nostri nonni dovevamo stargli lontano, isolarli, come dichiarò il capo della sanità dello Stato australiano del Queensland ha detto ai nonni di «non avvicinarsi ai propri nipoti».

 

Come aveva riportato questo sito, in Giappone uno studio accademico aveva registrato un omicidio ogni otto giorni, spesso accompagnato dal suicidio dal coniuge o del figlio che forniva assistenza domiciliare all’anziano. L’isolamento da COVID portò all’esplosione del problema. Il nodo della carenza di personale qualificato in grado di offrire sostegno, ha sottolineato la difficoltà nel reperire badanti o personale disposto ad aiutarci nella gestione dei nostri cari. 

 

 

 

Mi aveva impressionato, sempre su Renovatio 21, la storia di Yusuke Narita, assistente professore di economia a Yale , che ha lanciato una sua proposta per risolvere il problema dell’invecchiamento della popolazione giapponese: bassissimo tasso di nascite (come l’Italia) e il più alto debito pubblico nel mondo sviluppato portano il Paese alla prospettiva di non poter reggere il peso delle pensioni. «Sento che l’unica soluzione è abbastanza chiara. Alla fine, non può essere il suicidio di massa e il seppuku di massa degli anziani?»

 

Il Seppuku è un atto di sventramento rituale che era un codice tra i samurai disonorati nel XIX secolo. Per qualche ragione, in occidente lo chiamiamo harakiri, parola che è scritta con gli stessi ideogrammi ma è di letta in altro modo: il significato è lo stesso, il taglio della pancia, l’autosbudellamento rituale, quello che un po’ in tutto il mondo si conosce come peculiarità del Giappone con i suoi infiniti sensi del dovere.

 

Sempre qui abbiamo parlato degli abusi e delle violenze tanto che secondo una ricerca dell’Australian Institute of Family Studies (AIFS), quasi un anziano australiano su sei (14,8%) riferisce di aver subito abusi negli ultimi 12 mesi e solo circa un terzo di loro ha cercato aiuto.

 

L’utilitarismo nel tempo pandemico è arrivato al punto da sostenere che a fronte di un lieve aumento dei casi COVID, in Svizzera – in cui il suicidio assistito è cosa possibile – si tornò a parlare del protocollo medico per affrontare un eventuale sovraffollamento delle terapie intensive. Tale procedura avrebbe provveduto, in caso di scarsità di posti letto, che il medico competente poteva decidere di non accogliere «persone che avevano un’età superiore agli 85 anni» e persone con un’età superiore ai 75 anni che presentavano una di queste patologie: cirrosi epatica, insufficienza renale cronica al 3º stadio, insufficienza cardiaca di classe NYHA superiore a 1 e un tempo di sopravvivenza stimato meno di 24 mesi.

 

La solitudine e l’abbandono degli anziani è un altro annoso problema. I dati ufficiali del governo canadese mostrano che circa la metà delle persone che non sono malati terminali, desideravano porre fine alla propria vita tramite il suicidio assistito di Stato

 

L’Europa, l’ex culla della civiltà e della cristianità, per bocca del presidente del più grande fondo sanitario belga, Christian Mutualities (CM), ha chiesto una soluzione radicale al problema dell’invecchiamento della popolazione. Il politico Luc Van Gorp dichiarò ai media belgi che alle persone stanche della vita dovrebbe essere permesso di porvi fine.

 

La chiesa, la quale dovrebbe difendere e diffondere certi valori che inneggiano alla vita, spesso è assente e conforme allo spirito del tempo, anzi, a volte pare complice di certe «pratiche necroculturali» tanto che il Vaticano sembra aver spalancato definitivamente le porte all’eutanasia.

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Fortunatamente non tutti i porporati sono silenti su tali argomenti. L’arcivescovo Nikola Eterovic, nunzio apostolico in Germania, ha messo in guardia dal «suicidio» dell’Europa dovuto alla promozione dell’aborto, dell’eutanasia e dell’ideologia di genere. Monsignor Eterovic ha lanciato l’allarme durante un sermone nel suo paese d’origine, la Croazia, in merito alla grave crisi demografica che sta attraversando la civiltà occidentale, aggiungendo che l’Europa è afflitta da una «Cultura della morte» dovuta all’aborto e all’eutanasia. Vede il crollo demografico nella maggior parte dei paesi europei come un «segno di suicidio».

 

«La morte, preceduta dai dolori della malattia e dagli spasimi dell’agonia, è la separazione dell’anima dal corpo. Con la morte cessa il tempo della prova e comincia l’eternità», ci ricorda il bellissimo catechismo di San Pio X.

 

La vita è anche sofferenza e dolore. Non lasciamo i nostri anziani nel dolore dell’animo e della solitudine, non macchiamoci del peccato dell’indifferenza e dell’abbandono.

 

Io, con la mia nonna, ho fatto quanto dovevo – e non è stato nemmeno un sacrificio. Perché, in ultima, è facile capirlo: la civiltà si fonda davvero sull’amore. Anche quello per i nostri nonni.

 

Francesco Rondolini

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Famiglia

Pyongyang demolisce centro di incontro per le famiglie divise dalla guerra

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Le autorità di Seoul denunciano l’«inumana» distruzione di un luogo dal forte valore simbolico. Un gesto che prosegue la politica di archiviazione di ogni prospettiva di riunificazione fra Nord e Sud. Negli anni aveva la struttura sul monte Kumgang aveva accolto riunioni fra parenti separati per decenni dal conflitto: l’ultimo incontro risaliva al 2018.   Sembrerebbe un evento minore rispetto alla situazione mondiale e regionale, che vede il regime nord-coreano impegnato a legittimarsi su più scenari puntando, ancora una volta, sulla disponibilità di forze militari convenzionali di tutto rispetto e sulla minaccia missilistica e nucleare. Tuttavia la demolizione denunciata dal Seoul del centro di riunione e incontro per le famiglie divise dalla guerra, sul monte Kumgang, ha un forte aspetto simbolico.   Non a caso le autorità sud-coreane lo hanno definito «inumano» perché tocca nel profondo due Paesi divisi dall’armistizio che, il 27 luglio 1953, ha messo fine a tre anni di guerra feroce costata milioni di morti militari e civili con l’intervento dei rispettivi alleati cinese e statunitense. Il provvedimento unilaterale di Pyongyang chiude simbolicamente anche ogni prospettiva di riunificazione.   La mancanza di un trattato di pace non ha permesso una normalizzazione dei rapporti; di questa situazione ne hanno risentito direttamente molte migliaia di famiglie separate (130mila registrate solo da parte sudcoreana) che si sono ritrovate divise sui due lati della fascia smilitarizzata sul 38° parallelo.

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Unica possibilità loro offerta di incontrare cari sempre più in età avanzata (sarebbero 36mila quelli ancora in vita presenti nelle liste ufficiali) quella di prenotarsi per le poche occasioni di riunione: una ventina, con poche decine di individui alla volta, organizzate dal 1985 sul lato nordcoreano della linea d’armistizio, perlopiù nel Centro di riunione in un resort del monte Kumgang. Uno spazio peraltro finanziato, come tutte le operazioni necessarie, dalla Corea del Sud.   Una iniziativa che ha visto sempre momenti di alta commozione ma che ha risentito fortemente dell’altalena dei rapporti fra le due Coree, con periodi di chiusura e brevi riaperture e che si è concretizzata per l’ultima volta nel 2018. Sicuramente, se il significato simbolico, forse l’unico che porta ancora a sottolineare l’appartenenza di due entità oggi separate a un’unica nazione coreana e evidenziarne la traumaticità, il tempo ha reso meno rilevante l’iniziativa. Al punto che attualmente in Corea del Sud i tre quarti delle famiglie separate non sono in grado di sapere se i loro congiunti oltre-confine siano ancora in vita.   Su un altro piano, se al Nord la propaganda di regime continua a dipingere i sudcoreani come corrotti, venduti al capitalismo e agli interessi americani, al Sud la popolazione mostra sempre meno interesse a una interazione con un «Paese eremita» minaccioso e distante anni luce dalla loro democrazia e dallo stile di vita. Del resto, dalla vittoria del presidente conservatore Yook Suk-yeol (ora sotto un procedimento di impeachment) il Nord ha di fatto chiuso ogni rapporto ufficiale e dichiarato la Corea del Sud suo «principale nemico».   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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