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Politica

Problemi per i verdi tedeschi al governo

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Il vicecancelliere tedesco e ministro dell’Economia Robert Habeck, del partito dei Gruenen, (i Verdi) ha convocato in settimana una conferenza stampa per annunciare la rimozione del suo segretario di Stato per gli affari economici e la protezione del clima Patrick Graichen, il principale architetto del ministero della Energiewende, cioè l’uscita della Germania dalla produzione di energia nucleare e da combustibili fossili.

 

Graichen – e Habeck – erano stati sottoposti a molte pressioni, dopo che era diventato pubblico che Graichen aveva sostenuto un candidato, che era stato testimone al suo matrimonio, per presiedere DENA, l’agenzia energetica tedesca, una partnership pubblico-privato a scopo di lucro.

 

Graichen è stata per lungo tempo la persona chiave in una rete di organizzazioni governative e non governative, come il think tank Agora Energiewende, BUND/Friends of the Earth Germany e altri. Queste reti sono ora sotto controllo pubblico a causa di finanziamenti esterni nazionali ed esteri (ad esempio, da Climate Emergency Fund).

 

Habeck, che voleva mantenere Graichen, ha dovuto ammettere che le regole di «conformità» non erano state rispettate, e ha presentato preventivamente un altro caso, che apparentemente ha costituito la sua decisione finale. Si trattava di un caso precedentemente sconosciuto al pubblico di 600.000 euro di finanziamento governativo per un progetto nel contesto dell’iniziativa nazionale per la protezione del clima. Il progetto era stato affidato a un’istituzione in cui la sorella di Graichen, fino a poco tempo fa, era nel consiglio di amministrazione.

 

Habeck ha protestato per la «campagna» contro Graichen, che ha accusato essere guidata in parte da «reti di estrema destra e reti filo-russe».

 

Tuttavia, ha dovuto ammettere che qualcosa ovviamente stava andando storto in Habecklandia. Quando gli è stato chiesto delle prospettive della sua folle «legge sulla pompa di calore» programmata per essere approvata dal Bundestag prima della pausa estiva, ha fatto un appello non troppo sottile desiderando che il piano non andasse in pezzi. Il governo ha già acconsentito, ma non sembra essere davvero sicuro che reggerà.

 

Inoltre, quando gli è stato chiesto come avrebbe assicurato che la sostituzione di Graichen come Segretario di Stato non avesse connessioni così problematiche, chiaramente non era divertito, ribattendo: «non nominerò il mio testimone per quella posizione».

 

Graichen, prima di diventare il numero due del ministero dell’Economia, ha ricoperto diversi incarichi in AGOR Energiewende, che ha svolto un ruolo chiave nella politica energetica. Ora nota come «Soft Energy For Europe Platform GmbH» (SEFEP), questa organizzazione privata riceve massicci finanziamenti dal settore privato e da quello pubblico, ma ciò che è straordinario è che non meno di 15 milioni di euro del suo budget di 19 milioni di euro provengono da alcuni dei le principali fondazioni statunitensi che cercano di trasformare l’energia, i trasporti, l’industria e l’agricoltura tedeschi ed europei in attività «climaticamente neutre».

 

Come riportato da Renovatio 21, il vicecancelliere Robert Habeck, membro del partito Die Gruene (i Verdi) e personaggio noto per le sue istruzione su come fare la doccia, ha chiesto un cambio di priorità nel «triage energetico» che privilegerebbe l’erogazione di energia alle aziende a discapito dei cittadini, con aumenti drastici delle bollette per le famiglie.

 

Il ministro verde Habeck ha rivelato, ripetendolo in più occasioni, di aspettarsi disordini sociali in autunno ed in inverno a causa delle interruzioni energetiche.

 

Intervistato in TV sui lockdown, pareva chiaro che non era in grado di comprenderne l’economia.

 

La Germania, che ha spento gli ultimi reattori atomici un mese fa ma ha tuttora come principale fornitore di Carbone la Russia, sta ancora parlando di razionamento energetico.

 

La minaccia di blackout è stata sperimentata e presa a tal punto sul serio dal governo tedesco che, è emerso, erano stati preparati piani apocalittici di distribuzione del contante casa per casa per evitare il crash bancario definitivo.

 

 

 

 

 

Immagine di Bündnis 90/Die Grünen Nordrhein-Westfalen via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-ShareAlike 2.0 Generic (CC BY-SA 2.0)

 

 

 

 

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Politica

Tucker Carlson: Putin è il «leader più popolare al mondo»

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Il presidente russo Vladimir Putin è il leader più popolare al mondo, ha dichiarato il giornalista statunitense Tucker Carlson in un’intervista a RTVI US.

 

Al di fuori dell’Europa occidentale, del Canada e dell’«anglosfera», è quasi impossibile trovare qualcuno che non apprezzi Putin, ha affermato Carlson alla rete.

 

«È di gran lunga il leader più popolare al mondo», ha detto Carlson, spiegando che la ragione principale della popolarità globale di Putin risiede nel fatto che ha «posto gli interessi del suo Paese al di sopra dei propri in molti modi, diversamente da quanto fanno i leader occidentali».

 


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Alla domanda se la sua visione del mondo di Putin fosse cambiata dopo l’intervista del febbraio 2024, Carlson ha rivelato di essere rimasto sorpreso nello scoprire che il presidente russo «in realtà apprezza l’Occidente» e probabilmente gli piace «molto più di chiunque altro potrebbe potenzialmente sostituire Putin».

 

Nell’intervista a RTVI US, Carlson ha anche sostenuto che Stati Uniti, Europa occidentale e la maggior parte del mondo industrializzato sono «in una fase di declino», mentre la Russia sta vivendo una «rinascita spirituale» e si presenta come un Paese prospero con «un senso di autostima e uno scopo». Ha ipotizzato che questo sia uno dei motivi per cui l’Occidente «la odia così tanto» e vuole distruggerla.

 

RTVI US è una filiale di RTVI (Russian Television International), una rete televisiva in lingua russa finanziata privatamente con sedi a Mosca e New York.

 

A luglio, Carlson aveva dichiarato al tabloide tedesco Bild che, sebbene Putin avesse fatto un «ottimo lavoro per la Russia», i leader occidentali stavano deludendo i loro popoli.

 

«Il vostro Paese sta andando in rovina, la Russia sta salendo. Dovreste essere arrabbiati con i vostri leader. Invece, siete arrabbiati con Putin», aveva detto al giornale.

 

Carlson aveva poi accusato i funzionari tedeschi di attaccare Putin e la Russia per distogliere l’attenzione dai problemi economici e migratori interni.

 

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 

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Costantinopoli, per il sindaco (incarcerato) Imamoglu anche l’accusa di spionaggio

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.   Dalla cella il leader dell’opposizione definisce il nuovo procedimento è un «complotto» per estrometterlo dalla scena politica. Per analisti e oppositori è un tentativo di governo e AKP – sconfitti alle urne – di assumere il controllo della metropoli. I due volti della Turchia di Erdogan: repressione e carcere per gli oppositori e critici sul fronte interno, mediatore per la pace a Gaza (e in Siria).   Dopo le imputazioni per corruzione e legami con organizzazioni terroristiche, per il sindaco di Istanbul e leader dell’opposizione Ekrem Imamoglu – in carcere dal marzo scorso ma pur sempre il principale rivale del presidente Recep Tayyip Erdogan – arriva anche quella di «spionaggio politico».   Un tribunale turco ha emanato un ordine di arresto – emettere un mandato per una persona già in cella è una pratica tutt’altro che inusuale per il Paese – per il primo cittadino della capitale economica e commerciale, segnando un’ulteriore escalation in un’ottica di repressione. Per critici e cittadini scesi in piazza anche oggi a manifestare sfidando i divieti, il nuovo procedimento è un segnale della «politicizzazione» dei tribunali e l’uso ad orologeria della giustizia, accuse respinte dal governo di Ankara che rivendica l’indipendenza dei giudici.   Il sindaco è apparso ieri in tarda mattinata davanti ai giudici del tribunale di Caglayan, per rispondere dei nuovi capi di imputazione a suo carico in un crescendo di attacchi e incriminazioni, mentre all’esterno un migliaio di sostenitori si sono riuniti per manifestare. Dopo diverse ore l’entourage di Imamoglu ha diffuso una nota, ripresa dalla stampa turca, in cui egli respinge le accuse: «non ho assolutamente alcuna conoscenza o connessione con le agenzie di intelligence o i loro dipendenti» bollandole come «assurde» e collegate a una «complotto» per estrometterlo dalla scena politica.   «Sarebbe più realistico dire» ha concluso «che ho incendiato Roma».

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All’esterno del tribunale, il leader del Partito popolare repubblicano (CHP) Ozgul Ozel ha parlato a una folla di sostenitori e simpatizzanti riunita per protestare contro il nuovo procedimento a carico del sindaco, sorvegliati a vista da poliziotti in tenuta antisommossa. «Lo hanno chiamato ladro, non ha funzionato; lo hanno chiamato corrotto, non ha funzionato; lo hanno accusato di sostenere il terrorismo, non ha funzionato» ha detto di Imamoglu il presidente del CHP. «Ora, come ultima risorsa, hanno cercato di chiamarlo spia. Vergogna su di loro!» ha gridato Ozel, anch’egli finito nel mirino della magistratura.   Il 24 ottobre scorso, infatti, il tribunale ha respinto il processo intentato dal governo a carico del principale partito di opposizione (il Partito Popolare Repubblicano, CHP), che mirava all’annullamento del congresso 2023 e all’elezione del suo leader. Una decisione che sembrava aver allentato la morsa voluta dal presidente Recep Tayyip Erdogan contro il principale schieramento rivale, con decine di sindaci e alte personalità del partito finite sotto processo o già condannate.   Per la Corte le (presunte) irregolarità non hanno alcuna rilevanza giuridica. In realtà, a distanza di pochi giorni è giunta la notizia delle nuove accuse contro Imamoglu in un quadro di continua repressione.   Analisti ed esperti sottolineano che il nuovo attacco al primo cittadino sia un tentativo del governo e del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) – sconfitto alle urne – di assumere il controllo di Istanbul, una metropoli dall’importanza strategica. Imamoglu parla di «calunnie, bugie e cospirazioni», ma resta il fatto che le accuse potrebbero consentire al governatore nominato dallo Stato di assumere per via giudiziale la guida della città. Secondo l’analista di GlobalSource Partners Atilla Yesilada il ministero turco degli Interni ha infatti l’autorità di licenziare Imamoglu e sostituirlo con un fiduciario, assestando un colpo durissimo al partito di opposizione.   Del resto già nel settembre scorso, e nel silenzio internazionale, la magistratura – col benestare del governo – ha di fatto azzerato – e commissariato – i capi del Partito Popolare Repubblicano (CHP), principale movimento di opposizione del Paese, a Istanbul.   Inoltre si sono registrati diversi arresti fra quanti sono scesi in piazza a dimostrare, oltre al blocco di internet e il divieto di manifestazioni nel tentativo di «oscurare» dissenso e malcontento fra la popolazione contraria alla deriva autoritaria impressa dal presidente Recep Tayyip Erdogan. Il giro di vite è parte di una più ampia campagna che si è intensificata dopo le schiaccianti vittorie dell’opposizione nelle elezioni locali del marzo 2024.

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Dall’ottobre dello scorso anno i pubblici ministeri e la polizia hanno condotto indagini su corruzione e terrorismo che hanno portato a centinaia di arresti, tra cui quello, avvenuto a marzo, del sindaco di Istanbul, la personalità più importante finita in cella. Decine di sindaci e amministratori CHP sono stati incarcerati in attesa di processo, con ripercussioni anche economiche per turbolenze sui mercati e preoccupazione di investitori stranieri, mentre il partito ha trasferito la sede provinciale a Istanbul per sfuggire alla morsa della magistratura.   Se, sul fronte interno, il governo di Ankara e il presidente Erdogan alimentano la repressione contro oppositori e critici, a livello internazionale cercano di capitalizzare il ruolo di attore regionale sul fronte mediorientale e un ruolo nella tregua a Gaza e sulla nascitura forza di stabilizzazione. Un tentativo di rafforzare la propria immagine, ben rappresentato dalla foto a Sharm el-Sheikh in cui Erdogan si ergeva in prima fila accanto al padrone di casa Abdel Fattah al-Sisi e al presidente USA Donald Trump, artefice del piano di pace per la Striscia.   Anche in queste ore Erdogan ha insistito per garantire ad Ankara un ruolo nella risoluzione dei vari scenari di crisi dalla Siria all’Ucraina fino alla Striscia. «Ora vi è una Turchia nella regione e nel mondo» ha affermato il presidente «che è rinomata per la sua promessa di esportare pace e stabilità» in quanto «potenza globale» in una prospettiva di «pace, armonia e stabilità».   Un tentativo di leadership, quello turco, che parla di pace ma non disdegna di mostrare i muscoli: è attesa la visita in Turchia del premier Keir Starmer per discutere della vendita, attualmente in sospeso, di 40 jet Eurofighter Typhoon, che secondo le intenzioni di Erdogan dovrebbero rafforzare la pattuglia dei caccia assieme agli F-16 ed F-35 USA.   Invitiamo i lettori di Renovatio 21 a sostenere con una donazione AsiaNews e le sue campagne. Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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Politica

La nuova presidente irlandese è NATO-scettica e contraria alla militarizzazione dell’UE

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Catherine Connolly, candidata indipendente e storica sostenitrice della neutralità militare irlandese, nota per le sue critiche all’espansione della NATO e alla militarizzazione dell’UE, ha trionfato nelle elezioni presidenziali irlandesi con una vittoria schiacciante.

 

Mentre lo spoglio dei voti era ancora in corso, la principale avversaria, Heather Humphreys, ha riconosciuto la sconfitta, vedendosi superata con un ampio margine. I risultati preliminari indicavano Connolly al 63% dei voti contro il 29% di Humphreys. «Catherine sarà una presidente per tutti e sarà anche la mia presidente», ha dichiarato Humphreys ai media.

 

Il primo ministro irlandese Micheal Martin ha formalmente congratulato Connolly, definendo la sua vittoria «molto netta».

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Pur essendo indipendente, Connolly, 68 anni ed ex sindaco di Galway, ha ricevuto il sostegno dei principali partiti di sinistra, tra cui Sinn Féin e Labour. Il suo successo è stato attribuito in gran parte alla capacità di attrarre il voto dei giovani, grazie a un’efficace campagna sui social media e a una forte risonanza in un contesto di crescente malcontento per la crisi abitativa e il costo della vita in Irlanda.

 

Durante la campagna, Connolly ha ribadito l’importanza della neutralità irlandese, criticando l’UE per il suo orientamento verso la militarizzazione a discapito del welfare. Pur esprimendo critiche alla Russia per il conflitto ucraino, ha sostenuto che il ruolo «bellicoso» della NATO abbia contribuito alla crisi.

 

Il mese scorso, durante un dibattito all’University College di Dublino, Connolly ha paragonato l’attuale impegno della Germania nel rilanciare la propria economia attraverso il «complesso militare-industriale» al riarmo degli anni Trenta sotto il nazismo, affermando: «Vedo alcuni parallelismi con gli anni Trenta».

 

Sebbene il ruolo del presidente in Irlanda, una democrazia parlamentare, sia principalmente simbolico, esso comporta poteri significativi, come la possibilità di deferire leggi alla Corte Suprema per verificarne la costituzionalità e di sciogliere la Camera Bassa del Parlamento, convocando nuove elezioni in caso di perdita della fiducia da parte di un primo ministro.

 

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Immagine diHouses of the Oireachtas via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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