Predazione degli organi
Primo caso pediatrico al mondo di trapianto di cuore «rianimato»: la Necrocultura affina le sue tecniche di predazione

Nei trapianti di organi vitali non c’è mai un paziente a cui viene «donata» la vita senza un altro a cui invece la vita viene tolta. Ma i giornali, chissà perché, raccontano con dovizia di particolari sempre e solamente la prima parte della storia.
Un bambino di tre mesi ha ricevuto il cuore di un bimbo di un mese tramite la cosiddetta donazione a cuore fermo (Donation after circulatory death, o DCD), tecnica che abbiamo già avuto modo di descrivere ai nostri lettori. Si tratta di una metodica d’intervento orripilante che consiste nell’espiantare il cuore del paziente al termine di alcuni minuti di arresto cardiaco previsti per legge, per poi riattivarlo fuori dal corpo utilizzando una macchina cuore-polmoni che consente ai chirurghi, tra le altre cose, di valutare la funzionalità dell’organo.
Questo tipo di procedura, denominata anche «rianimazione su tavolo operatorio», consente la rianimazione cardiaca dopo la «morte» cardiocircolatoria del donatore (la morte cardiocircolatoria presuppone quella cerebrale), superando gli ostacoli legati alle dimensioni dei dispositivi utilizzati nei trapianti di cuore negli adulti.
Il primo trapianto pediatrico di cuore rianimato su tavolo operatorio è stato condotto dal team della Duke University di Durham e descritto in uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine. La procedura di rianimazione tramite ECMO non era mai stata effettuata su un cuore così piccolo, «donato» dai genitori di un bambino di appena un mese di vita. L’espianto è stato effettuato dopo che il muscolo cardiaco del piccolo aveva smesso di battere per cinque minuti (il tempo di osservazione e attesa prima del prelievo dell’organo negli Stati Uniti, rispetto ai venti minuti previsti per gli espianti in caso di arresto cardiaco in Italia).
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Non è dato sapere se l’arresto cardiaco sia stato provocato intenzionalmente (la cosiddetta DCD controllata, con cui si configura un vero e proprio atto eutanasico) oppure no. Apprendiamo però che negli Stati Uniti, così come in altre parti del mondo, si è certamente morti dopo soli cinque minuti di cuore fermo, mentre in Italia si è certamente morti dopo un lasso di tempo quattro volte superiore. D’altronde, minore è il tempo di attesa, maggiore è la percentuale di successo del trapianto. Perché dunque rischiare di compromettere il buon esito dell’intervento se nessuno è in grado di conoscere con precisione il momento esatto in cui sopraggiunge la morte cerebrale, dato che essa non esiste?
Del resto, il vantaggio di portare avanti false teorie è proprio il fatto che esse non possono essere dimostrate. Ad esempio, nessuno ha mai visto una scimmia evolversi in un uomo o un pesce trasformarsi in un rettile, eppure la fuffa dell’evoluzionismo viene insegnato come fosse un dogma in tutte le scuole di ogni ordine e grado, traendo forza dalla sua indimostrabilità.
Lo stesso dicasi dunque per la morte cerebrale che rappresenta forse la truffa scientifica più clamorosa perpetrata ai danni dell’umanità. Non passa giorno in cui non si leggono notizie di bambini depredati dei loro organi una volta finiti nelle grinfie degli ospedali, come nel recentissimo caso del bambino di sette anni caduto in piscina, dato inizialmente per deceduto poi dichiarato cerebralmente morto.
Come ha spiegato ai giornali il professor Durek, l’autore del primo intervento pediatrico di rianimazione su tavolo operatorio, «questo è un importante passo avanti nella medicina dei trapianti pediatrici (…) La rianimazione cardiaca su tavolo operatorio potrebbe ampliare drasticamente la disponibilità di preziose donazioni».
In pratica, gli organi che in precedenza sarebbero stati considerati non vitali ora possono essere utilizzati. È possibile dunque intuire come l’obiettivo principale della macchina dei trapianti sia di ampliare sempre più la platea degli espiantabili.
È altresì facile immaginare come l’asticella temporale per dichiarare la morte cerebrale sarà sempre più spostata all’indietro, come già stanno facendo in molti Paesi europei ed extraeuropei. Fino al giorno in cui si arriverà a considerare soggetti donatori di organi tutti coloro che, semplicemente, verseranno in stato di incoscienza.
Alfredo De Matteo
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Morte cerebrale
Espansione del dominio della morte cerebrale

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Morte cerebrale
Eutanasia e truffa della morte cerebrale: anche l’America si sveglia?

Un’indagine federale condotta negli Stati Uniti ha portato alla luce un fatto inquietante: in almeno 28 casi analizzati su 350 il prelievo di organi sarebbe avvenuto in pazienti che mostravano ancora segni di attività neurologica, quindi non in morte cerebrale.
L’inchiesta ha messo sotto accusa le organizzazioni che si occupano di reperire gli organi per i trapianti (OPO), in particolare la Network for Hope attiva in Kentucky, Ohio e West Virginia. Un fatto particolarmente sconvolgente è accaduto in un ospedale del Kentucky dove un uomo dichiarato cerebralmente morto ha mostrato evidenti segni di vita durante i preparativi per l’espianto dei suoi organi.
Secondo quanto riportato dalle cronache, il malcapitato ha iniziato a lamentarsi e a muoversi mentre veniva trasportato in sala operatoria, al punto che ben due medici si sono rifiutati di procedere all’operazione. Malgrado ciò, la Kentuchy Organ Donor Affilates ha ordinato al proprio personale di cercare un altro medico ma fortunatamente il paziente si è ripreso completamente e l’intervento è stato annullato.
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Il sottosegretario alla Salute Robert F. Kennedy jr. ha minacciato la revoca delle certificazioni per le OPO coinvolte nell’inchiesta se non verrà rivisto il sistema di approvvigionamento e trapianto di organi negli Stati Uniti, con riforme sostanziali nei protocolli di accertamento della morte e nelle modalità di prelievo.
In un articolo pubblicato sul New York Time il 20 luglio scorso sono stati riportati diversi casi di pazienti la cui morte è stata programmata in anticipo affinché potessero diventare donatori di organi.
Si tratta di una tecnica ben nota ai lettori di Renovatio 21, regolarmente praticata negli ospedali italiani, che va sotto il nome di DCD (Donation after Circulatory Death). Nella DCD controllata ai malati considerati senza speranza o che vogliono porre fine alla loro esistenza, vengono tolti i supporti vitali (in particolare il ventilatore) in modo tale da provocarne l’arresto cardiocircolatorio. Al termine del periodo di osservazione (variabile da Paese a Paese e, a quanto sembra, da struttura a struttura), in cui gli interventi medici sono esclusivamente finalizzati a preservare gli organi, è possibile procedere all’espianto.
Tuttavia, l’intera procedura è viziata da evidenti controsensi: il periodo di mancanza di battito cardiaco considerato necessario affinché l’ipossia danneggi irreversibilmente il tessuto cerebrale varia, almeno in America, dai due ai cinque minuti, ma l’esperienza clinica dimostra che il cuore può riprendere spontaneamente a battere anche dopo dieci minuti di arresto cardiaco e che alcuni di questi pazienti possono rimettersi completamente.
In un caso descritto dal New York Times una donna sottoposta alla DCD controllata ha cominciato ad ansimare in cerca d’aria mentre i chirurghi le segavano lo sterno e il suo cuore ha ripreso a battere. A quel punto l’operazione è stata annullata e dodici minuti dopo la sfortunata signora è stata dichiarata morta per la seconda volta. Proprio per non rischiare di incorrere in tali situazioni, in alcuni paesi la DCD è vietata, tra cui Finlandia, Germania e Ungheria.
Ora, è certamente un bene che emergano notizie del genere che contribuiscono a fare luce su un fenomeno poco conosciuto e che i media si guardano bene dall’affrontare, ma è necessario comprendere che il problema non è solamente legato, come abbiamo visto, alla rigorosità delle procedure di accertamento o al fatto che ci sono casi come quelli descritti negli USA in cui le diagnosi di morte risultano, per così dire, «affrettate».
In altri termini, i pazienti dichiarati cerebralmente morti sono in realtà sempre e comunque ancora vivi, fino a prova contraria, a prescindere dal fatto che la diagnosi di morte encefalica sia stata fatta nel rispetto delle procedure oppure no, con superficialità oppure no, con dolo oppure no.
Il problema vero quindi è la definizione stessa di morte cerebrale e la concezione filosofica dell’essere umano che c’è dietro: trattasi di una finzione medico scientifica, che più volte abbiamo denunciato da questa testata, con cui si è preteso di legittimare la soppressione degli ammalati e l’orrendo crimine della predazione degli organi.
La variabilità e aleatorietà dei criteri di accertamento stanno a dimostrare che la morte encefalica è un concetto astratto, non dimostrato e indimostrabile, privo di qualsiasi oggettività. E visto che non c’è, né ci potrà mai essere, un protocollo universalmente valido con cui si possa accertare ciò che semplicemente non esiste in natura, le scorciatoie procedurali per rendere più facile l’approvvigionamento degli organi sono inevitabili e tenderanno sempre più ad essere utilizzate in ambito ospedaliero.
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Del resto, se le sole funzioni cerebrali costituiscono il principio vitale dell’essere umano un malato che giace in stato di incoscienza e presenta, ad esempio, un livello di attività elettrica cerebrale appena sopra il livello che separerebbe la vita dalla morte (2 microvolts per la legge italiana), è più facile che possa essere visto e considerato dal personale medico come un semplice agglomerato di organi espiantabili o come una persona umana titolare di diritti inalienabili?
In gioco quindi c’è la dignità dell’essere umano, creato a immagine e somiglianza del Creatore. Se tale intrinseca dignità viene negata e l’uomo considerato come tale solo se ha un cervello funzionante, anche il falso criterio della morte cerebrale è destinato ad essere superato perché d’intralcio allo sfruttamento completo dell’essere umano, ridotto ad un ammasso di organi prelevabili a piacimento.
Mentre in Italia si assiste al solito teatrino destinato a concretizzarsi nell’ennesimo compromesso politico sui temi etici (magari «alto») e nello specifico sul suicidio assistito, negli ospedali italiani e di tutto il mondo l’eutanasia viene già praticata da diverso tempo con la DCD controllata e la predazione degli organi: migliaia di malati vengono lasciati morire di stenti oppure squartati vivi, senza che nessuno si levi contro tale barbarie.
Noi di Renovatio 21 continueremo a denunciare la Necrocultura in tutte le sue forme, compresa quella subdola, sottovalutata se non addirittura negata dagli stessi ambienti cattolici e sedicenti pro-life, della morte cerebrale e della predazione degli organi.
Alfredo De Matteo
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