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Spirito

Preoccupazioni sull’esito del sinodo

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Prima dello svolgimento dell’Assemblea sinodale regnava una diffusa preoccupazione riguardo ai risultati e alle riforme che essa avrebbe proposto e che il Papa avrebbe forse imposto. Senza contare la Fraternità San Pio X che denuncia gli errori del processo sinodale, sacerdoti e intellettuali di tutto il mondo hanno espresso una motivata disapprovazione.

 

Un sinodo che gira in tondo

The Catholic Thing del 13 luglio ha pubblicato il parere di padre Gerald E. Murray, canonista: «In un documento sulla missione della Chiesa, le parole peccato, inferno, redenzione e pentimento non compaiono. L’Instrumentm laboris (IL) – che è servito come base di lavoro per le sessioni sinodali – mira a trasferire il potere dalla gerarchia ai laici in nome dell’uguaglianza battesimale».

 

«Questa concezione del tutto errata del presunto ruolo dei battezzati nel governo della Chiesa rende la prossima assemblea sinodale un esercizio di riflessione non su come promuovere la missione della Chiesa di portare Cristo nel mondo, ma piuttosto su come strappare il potere sacro dai pastori della Chiesa».

 

«Si tratta di una rivoluzione mascherata da tentativo di raggiungere una maggiore fedeltà al Vangelo. Ma non è questo il caso».

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Lo stesso Catholic Thing del 13 luglio ha pubblicato il giudizio dell’accademico Stephen P. White: «Anche dopo tre anni, non abbiamo ancora una risposta semplice alla domanda: cos’è la sinodalità? E il minimo che possiamo dire è che è un grosso problema! Ci viene detto che la sinodalità è una “dimensione costitutiva della Chiesa”».

 

«Ci ​​viene detto che il senso della sinodalità si scopre nella pratica: bisogna praticare la sinodalità per sapere cos’è. Parte dell’obiettivo del sinodo sulla sinodalità è scoprire meglio cosa significa sinodalità. (Perdonatemi questa allusione politica superata, ma mi ricorda: “Dobbiamo approvare la legge per sapere cosa c’è dentro”)».

 

«Se tutto questo sembra circolare e autoreferenziale, anche a questo il Sinodo ha una risposta/non risposta: la circolarità è uno dei vantaggi della sinodalità. “La circolarità del processo sinodale”, ci dice l’IL, “riconosce e rafforza il radicamento della Chiesa nei diversi contesti, al servizio dei legami che li uniscono”. Non è davvero rassicurante. Né chiaro.[…]»

 

«Quindi ecco alcune delle domande a cui vorrei avere una risposta: cosa cambia, modifica, chiarisce, corregge o aggiunge la sinodalità alla formulazione nicena secondo cui la Chiesa è “una, santa, cattolica e apostolica”»?

«Dobbiamo comprendere che la sinodalità – questo “stile” essenziale che ci viene detto è espressione della natura della Chiesa – è stata finora assente nella Chiesa? Se sì, in che modo è essenziale per la Chiesa?»

 

«Se invece la sinodalità è sempre stata presente nella Chiesa – e se fa parte della natura stessa della Chiesa – allora deve essere così, ma perché è così difficile definirla o anche solo descriverla in termini coerenti?»

 

«E se la sinodalità è presente nella Chiesa oggi, se è sempre stata presente nella Chiesa, se è essenziale per la missione della Chiesa, come mai così pochi membri del Popolo di Dio hanno idea di cosa significhi quella parola?»

 

E Stephen P. White conclude che in realtà «la sinodalità esiste principalmente nel campo dell’astrazione e dell’astrazione autoreferenziale».

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Lo scopo del sinodo è il sinodo stesso

Nel Catholic World Report del 24 agosto, Russell Shaw, che è stato segretario degli affari pubblici della Conferenza episcopale americana, va nella stessa direzione: «Mentre si avvicina la seconda e ultima sessione del sinodo sulla sinodalità, mi viene in mente che ciò che Papa Francesco sembra avere in mente per il Sinodo, anche se in una forma diversa, è più o meno questo»:

 

«”Il processo è il prodotto” [parafrasando il principio del sociologo canadese Marshall Mc Luhan (1911-1980): “il media è il messaggio”, ndr]». E precisa: «Sebbene esista già un corpus sempre crescente di relazioni, riepiloghi e sintesi sinodali, la sessione di chiusura, dal 2 al 27 ottobre, ne aggiungerà molte altre».

 

«Qualche mese dopo, il Papa presenterà la sua sintesi, raccontandoci cosa pensa che il sinodo sulla sinodalità abbia realizzato. Mi aspetto che questa sia una versione dell’idea McLuhan che ho appena suggerito: la sinodalità stessa è il risultato del sinodo».

 

Russell Shaw vede nella conclusione dell’Instrumentum laboris un’illustrazione della sua tesi. Cita i nn. 109 e 110, due esempi del sabir sinodale: «Tutto in questo mondo è legato e segnato da un desiderio incessante per l’altro. Tutto è appello ad una relazione… che si realizzerà infine nella convivialità sociale delle differenze, pienamente realizzata nel banchetto escatologico preparato da Dio sul suo santo monte».

 

«Quando i membri della Chiesa si lasciano condurre dallo Spirito del Signore verso orizzonti che non avevano ancora intravisto, sperimentano una gioia incommensurabile. Nella sua bellezza, nella sua umiltà e nella sua semplicità, è la conversione permanente del modo di essere Chiesa che il processo sinodale ci invita a intraprendere».

 

E commenta: «Mio Dio! Chi ha scritto questo è senza dubbio un’anima buona che augura il bene della Chiesa. Ma questo mi lascia con un timore simile a quello di McLuhan: e se il processo che ha prodotto queste frasi si rivelasse essere il prodotto stesso?»

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Prima dello svolgimento dell’Assemblea sinodale regnava una diffusa preoccupazione riguardo ai risultati e alle riforme che essa avrebbe proposto e che il Papa avrebbe forse imposto. Senza contare la Fraternità San Pio X che denuncia gli errori del processo sinodale, sacerdoti e intellettuali di tutto il mondo hanno espresso una motivata disapprovazione.

 

L’impostura sinodale

Su Crisis Magazine del 29 agosto, il giornalista Eric Sammons non usa mezzi termini, dicendo senza girarci intorno «perché la sinodalità è una farsa». Scrive: «la sinodalità non è un processo in cui vengono ascoltate le preoccupazioni dei laici; è un processo attraverso il quale vengono ignorati».

 

«Il mese scorso, uno stagista dei social media che lavora per la Segreteria Generale del Sinodo ha pubblicato un sondaggio su X (ex Twitter). Il sondaggio “sì” o “no” poneva la seguente domanda: “Credi che la sinodalità, come cammino di conversione e riforma, possa rafforzare la missione e la partecipazione di tutti i battezzati?”»

 

«Possiamo immaginare il processo di pensiero di questo giovane stagista. Lui (o lei) è circondato da persone ossessionate dal sinodo. Queste persone vivono e respirano da anni il sinodo sulla sinodalità, e probabilmente lo credono rivoluzionario nella vita della Chiesa».

 

Se questo sondaggio fosse stato effettuato negli uffici della Segreteria, sono sicuro che i voti «sì» sarebbero stati prossimi al 100% del totale. Sono sicuro che questo povero stagista si aspettava un entusiasmo simile dalla gente comune. Qual è stato il risultato quando lo abbiamo chiesto ai cattolici del mondo reale?

 

«Non così roseo! Su 7.001 voti, i “no” hanno rappresentato l’88% del totale. Molte risposte al sondaggio includevano osservazioni concise come ‘per favore predicate il Vangelo’ e ‘vogliamo solo la Messa latina tradizionale’. La risposta è stata così imbarazzante per il sinodo che ha cancellato il sondaggio».

 

Eric Sammons conclude logicamente: «L’ironia di questa risposta estremamente negativa è ovvia. La sinodalità, del resto, pretende di basarsi sull’idea che la Chiesa deve ascoltare le persone, rispondere alle loro speranze e ai loro desideri. Ci viene detto che la Chiesa non ha più bisogno di essere gestita dall’alto verso il basso. Potere al popolo!»

 

«Tuttavia, quando le persone parlavano, i leader sinodali le mettevano a tacere, perché quello che dicevano non era quello che volevano sentire. […] I leader della Chiesa promuovono la sinodalità come la cura per tutti i mali della Chiesa perché la sinodalità è una copertura».

 

«Ciò che sta realmente accadendo è che le fazioni progressiste della Chiesa non sono riuscite a realizzare ciò che vogliono. Cosa vogliono? Basta guardare ciò che ha fatto la Chiesa anglicana nell’ultimo secolo per trovare la risposta: accettazione ufficiale della contraccezione, sacerdoti sposati, donne prete, guardare al divorzio sotto una luce diversa, accettazione dell’omosessualità e altre richieste, legate soprattutto alla sessualità».

 

«I progressisti sono abbastanza intelligenti da sapere che non è sufficiente dichiarare dall’alto che questi insegnamenti sono invertiti; c’è troppo contenuto storico dietro gli insegnamenti tradizionali. Potrebbero anche aver visto come è crollata la Chiesa anglicana in questo modo. Questi progressisti hanno quindi bisogno di un falso processo per ottenere il sostegno dei laici e far credere loro che questa è la loro idea: la sinodalità!»

 

E aggiunge: «Anche questo movimento a favore della sinodalità non è del tutto nuovo. I capi della Chiesa ci hanno provato fin dalla fine del Concilio Vaticano II. I progressisti videro che il Concilio stesso non aveva dato loro tutto ciò che volevano, così crearono un processo formale per attuare “lo spirito del Vaticano II”».

 

«Così è nato il processo moderno dei sinodi, la sinodalità. […] I cattolici tra i banchi diffidano istintivamente del processo sinodale, perché sentono che è una copertura per iniettare veleni progressisti nel sangue della Chiesa. La sinodalità non è un processo in cui vengono ascoltate le preoccupazioni dei laici; è un processo attraverso il quale vengono ignorati».

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Prima dello svolgimento dell’Assemblea sinodale regnava una diffusa preoccupazione riguardo ai risultati e alle riforme che essa avrebbe proposto e che il Papa avrebbe forse imposto. Senza contare la Fraternità San Pio X che denuncia gli errori del processo sinodale, sacerdoti e intellettuali di tutto il mondo hanno espresso una motivata disapprovazione.

 

L’astuzia sinodale: screditare gli oppositori sui media

Il 6 settembre è intervenuto al sinodo, sul sito di lingua spagnola InfoVaticana, il cardinale Gerhard Müller, già prefetto della Congregazione per la dottrina della fede. Vi era stato invitato ì dal Papa, forse per «indicare ai cattolici ortodossi, bistrattati come conservatori o addirittura tradizionalisti, che la composizione dei partecipanti è equilibrata», come lui stesso ha detto, poco sicuro sul non recitare il ruolo di falsa simmetria.

 

Tuttavia non ha esitato a dichiarare: «contrariamente alla negazione protestante del sacramento dell’ordinazione (vescovo, sacerdote, diacono), la costituzione gerarchico-sacramentale della Chiesa esiste per diritto divino. Vescovi e sacerdoti non agiscono come agenti (delegati, mandatari) del popolo sacerdotale e regale di Dio, ma in nome di Dio per il popolo di Dio».

 

«Essi, infatti, sono ordinati dallo Spirito Santo a pascere il gregge di Dio, che egli ha acquistato con il sangue del proprio Figlio come nuovo popolo di Dio (cfr At 20,28). Per questo l’ufficio di vescovo e sacerdote è conferito con un sacramento distinto, affinché i servitori di Dio, così dotati di autorità spirituale, possano agire nel nome e nella missione di Cristo, Signore e Capo della sua Chiesa, nel loro insegnamento, nella funzione pastorale e sacerdotale (Vaticano II, Lumen gentium 28; Presbyterorum ordinis 2)».

 

Il cardinale Müller ha denunciato una manovra dei progressisti: «Il trucco consiste nell’opporsi alla posizione eterodossa, pastoralmente più accettabile, a quella ortodossa. La fede ortodossa non è messa in discussione».

 

«Ma i rappresentanti della fede cattolica vengono psicologizzati come farisei e ipocriti, letteralisti dal cuore freddo, tradizionalisti innamorati del passato o indianisti spiritualmente testardi [L’indianismo è un movimento nato in America Latina nel 1970-1980, che rifiuta le forme ereditate dalla colonizzazione, ndr]. A questo livello intellettuale è facile organizzare una stretta alleanza con i media critici nei confronti della Chiesa e degli ideologi del globalismo socialista e capitalista».

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Ha fatto poi riferimento alla situazione della Germania da cui proviene: «La Chiesa in Germania è in uno stato di rapido declino mentale e spirituale, soprattutto per quanto riguarda i suoi rappresentanti ufficiali e gli ambienti dei funzionari cattolici che vi si sono amalgamati».

 

«Tuttavia, ci sono ancora molti sacerdoti, religiosi e laici, nonché alcuni vescovi, che sono e vogliono rimanere cattolici senza riserve. Tuttavia, sono ostracizzati ed emarginati dai “sinodalisti”».

 

Per concludere, l’alto prelato – pur essendo ancora legato all’insegnamento del Vaticano II, inteso nel senso dell’«ermeneutica della continuità», invano promossa da Benedetto XVI – ha rivelato senza veli la sostanza del suo pensiero sulla sinodalità:

 

«La sinodalità è un termine astratto creato artificialmente e una parola di moda basata sul carattere concreto del sinodo, cioè dell’assemblea regionale o generale dei vescovi cattolici che esercitano la loro carica educativa e pastorale vicini al Papa, ma che paradossalmente mantiene la sua aura di negazione della la costituzione gerarchico-sacramentale».

 

«In un senso più ampio, il Sinodo può anche essere visto come un metodo di collaborazione ottimale tra tutti i membri e le classi della Chiesa, i quali devono essere un cuor solo e un’anima sola nel lodare Dio e nel servire il prossimo (At 2,43-47)».

 

«La sinodalità non è affatto un attributo nuovo della Chiesa, e nemmeno il nome in codice di un’altra Chiesa frutto della fantasia secolarizzata dei protagonisti di una religione universale unificata senza Dio, senza Cristo, senza dogmi e sacramenti della fede cattolica».

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Un precedente storico

Contro i fatti storici non esistono argomenti pretestuosi che reggano, questo è quanto pensa mons. Jan Hendriks, vescovo di Haarlem-Amsterdam (Paesi Bassi), che, sul Tagespost del 25 agosto, ricorda il disastro della Chiesa in Olanda dopo il Concilio Vaticano II, più di 50 anni fa. Dichiara: «Parlo della mia esperienza in Olanda. Ho frequentato personalmente il Consiglio Pastorale negli anni ’60».

 

«I credenti di questa regione avevano le stesse idee, quelle che ora avanzano sul Cammino sinodale in Germania. Posso solo sottolineare le conseguenze che queste idee hanno avuto su di noi: hanno causato molte divisioni e disordini – tra i credenti, con Roma e la Chiesa universale, e hanno portato ad una forte secolarizzazione. Le persone hanno voltato le spalle alla fede».

 

Alla domanda: «In Germania la gente pensa di dover stare al passo con i tempi per rimanere in contatto. Le realtà della vita delle persone oggi diventano una bussola per la Chiesa», risponde il presule: «Sì, proprio come allora gli olandesi pensavano che questa fosse la risposta alla secolarizzazione».

 

«La gente pensava che dovessero diventare più secolarizzati e rinunciare a certe cose nella loro fede, se volevano vivere nell’atmosfera del loro tempo e stare al passo con i tempi. Ma non era la risposta giusta. Al contrario. Ciò ha portato ad un’accelerazione del processo di secolarizzazione anche all’interno della Chiesa».

 

Queste sono le realtà concrete a cui gli ideologi del sinodo sulla sinodalità – preceduti dai modernisti chimicamente puri del Cammino sinodale tedesco – espongono la Chiesa. A buon intenditore, poche parole!

 

Articolo costituito da articoli previamenti apparso su FSSPX.news.

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Immagine di michael_swan via Flickr pubblicata su licenza CC BY-ND 2.0

 

 

 

 

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Bioetica

Mons. Viganò loda Alberto di Monaco, sovrano cattolico che non ha ratificato la legge sull’aborto

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L’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha lodato il principe Alberto di Monaco che nel principato dove è regnante ha rifiutato di firmare la legge per legalizzare l’aborto.   «Il Principe Alberto di Monaco, coerentemente con la Fede che egli professa e con l’autorità sacra che legittima la sua funzione di sovrano del Principato di Monaco, non ratifica la proposta di legge per la depenalizzazione dell’aborto, crimine esecrando» scrive Sua Eccellenza in un post sul social media X. «Nel 1990 fa il Re Baldovino del Belgio abdicò, piuttosto di dare la propria approvazione all’odiosa legge sull’aborto: anch’egli fu un Monarca veramente cattolico».   «Suscita sconcerto il silenzio del Vaticano dinanzi a questa testimonianza di Fede, che dovrebbe essere additata ad esempio: un silenzio che diventa assordante quando tace davanti all’uccisione di milioni di innocenti massacrati nel ventre materno. Un silenzio che è riecheggiato quando Joe Biden finanziava l’industria dell’aborto e lo autorizzava fino al momento del parto» continua monsignore. «La “chiesa sinodale” presta ascolto al “grido della Terra”, mentre finge di non udire il gemito dei bambini sterminati. Essa è troppo impegnata a propagandare gli “obiettivi sostenibili” dell’Agenda 2030 (tra cui figura anche l’aborto, definito ipocritamente “salute riproduttiva”) per denunciare i sacrifici umani di questa società antiumana e anticristica. Troppo occupata a lucrare sul traffico di clandestini che dovrebbe invece denunciare come strumento di islamizzazione dell’Europa un tempo cristiana» tuona l’arcivescovo già nunzio apostolico negli Stati Uniti d’America.  

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Come riportato da Renovatio 21, in passato il prelato lombardo ha definito l’aborto come «il sacramento di Satana».   «Morte. Solo morte. Morte prima di nascere. Morte durante la vita. Morte prima di morire naturalmente. Significativamente, chi è favorevole alla morte degli innocenti – bambini, malati, anziani – è contrario alla pena di morte. Si può essere trovati indegni di vivere perché poveri, perché vecchi, perché non voluti da chi ci ha concepito; ma se si massacrano persone o si compiono delitti orrendi, la pena capitale è considerata una barbarie» aveva scritto monsignore in un testo di due anni fa.   «Dovremmo iniziare a comprendere che i teorizzatori di questa immane strage che si perpetua da decenni e ci ripiomba nella barbarie del peggior paganesimo non si considerano parte dello sterminio: nessuno di loro è stato abortito; nessuno di loro è stato lasciato morire senza cure; a nessuno di loro è stata imposta la morte per ordine di un tribunale. Siamo noi, siete voi e i vostri figli, i vostri genitori, i vostri nonni che dovete morire, e che vi dovete sentire in colpa perché siete vivi, perché esistete e producete CO2».   «L’aborto è un atto di culto a Satana. È un sacrificio umano offerto ai demoni, e questo lo affermano orgogliosamente gli stessi adepti della «chiesa di Satana», che negli Stati Americani in cui l’aborto è vietato rivendicano di poter usare i feti abortiti nei loro riti infernali. D’altra parte, in nome della laicità si abbattono le Croci e le statue della Madonna e dei Santi, ma al loro posto iniziano a comparire immagini raccapriccianti di Bafometto» ha detto monsignore.

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«L’aborto è un crimine orrendo perché oltre alla vita terrena priva il bambino della visione beatifica, destinandolo al limbo perché sprovvisto della Grazia battesimale. L’aborto è un crimine orrendo perché cerca di strappare a Dio delle anime che Egli ha voluto, ha creato, ha amato e per le quali ha offerto la propria vita sulla Croce. L’aborto è un crimine orrendo perché fa credere alla madre che sia lecito uccidere la creatura che più di tutte, e a costo della sua stessa vita, ella dovrebbe difendere. E con tale crimine quella madre si rende assassina e se non si pente si condanna alla dannazione eterna, vivendo molto spesso anche nella vita quotidiana il rimorso più lancinante. L’aborto è un crimine orrendo perché si accanisce sull’innocente proprio a causa della sua innocenza, rievocando gli omicidi rituali dei bambini commessi nelle sette di ieri e di oggi. Sappiamo bene che la cabala globalista è legata dal pactum sceleris della pedofilia e di altri crimini orrendi, e che a quel patto sono vincolati esponenti del potere, dell’alta finanza, dello spettacolo e dell’informazione».   «Rifiutiamo l’aborto e avremo milioni di anime che potranno amare ed essere amate, compiere grandi cose, diventare sante, combattere al nostro fianco, meritare il Cielo».  

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Immagine di President of Russia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0) 
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Il Patriarca Sako critica la Curia per la sua ignoranza dei cristiani orientali

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Il Cardinale Louis Raphael I Sako, Patriarca della Chiesa Cattolica Caldea, ha espresso aspre critiche alla Santa Sede, affermando che alcuni funzionari della Curia non comprendono la situazione dei cristiani orientali e devono imparare a «lavorare con le Chiese locali, non al di sopra di esse».

 

«Dovrebbero sapere che sono lì per servire le Chiese», ha detto Sako. «Devono rispettare la nostra identità». Il cardinale Louis Raphaël Sako ha risposto senza mezzi termini alle domande del quotidiano cattolico The Tablet in un’intervista pubblicata online il 5 novembre 2025.

 

L’alto prelato, membro di diritto del Collegio cardinalizio, ha criticato il Dicastero per le Chiese Orientali – responsabile di tutte le confessioni orientali che hanno coraggiosamente scelto l’unità cattolica romana – per non aver trattato i patriarchi orientali con il rispetto che meritano.

 

Queste dure parole riflettono la profonda frustrazione del cardinale Sako nei confronti della burocrazia vaticana, dove, a suo dire, la corrispondenza rimane senza risposta per mesi. Il patriarca caldeo ha colto l’occasione per ricordare a tutti che, secondo il Codice di Diritto Canonico delle Chiese Orientali, i patriarchi «precedono tutti i vescovi di ogni grado in tutto il mondo».

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Gli scambi con loro «dovrebbero essere molto educati e molto rispettosi», ha insistito l’alto prelato, lasciando intendere che i membri del dicastero in questione non avrebbero compreso il loro status o le difficoltà affrontate dai vescovi orientali, per i quali è preoccupato. «Siamo come padri», ha aggiunto il patriarca. «Non siamo uomini d’affari. Siamo pastori».

 

I cattolici caldei costituiscono l’80% dei circa 200.000 cristiani rimasti in Iraq e sono presenti in tutto il Medio Oriente. Nel 1990, il numero di cristiani in Iraq era stimato essere un milione, ma l’instabilità che si è impossessata dell’invasione guidata dagli Stati Uniti del 2003 e la persecuzione da parte degli islamisti dell’organizzazione dello Stato Islamico hanno spinto molti di loro a fuggire dal Paese.

 

Sebbene la Curia non goda di grande favore agli occhi del cardinale Sako, egli ritiene che Papa Leone XIV comprenderebbe meglio la situazione dei cattolici orientali. L’alto prelato ha parlato frequentemente con l’ex cardinale Robert Prévost durante il conclave dello scorso maggio: «Ho avuto l’opportunità di spiegargli chi siamo», ha affermato il patriarca, ricordando al successore di Pietro come «la nostra presenza in Oriente sia attualmente minacciata».

 

Durante la loro conversazione, il cardinale Sako ha suggerito che i funzionari della Curia non fossero nella posizione migliore per consigliare il Papa sulla situazione delle Chiese orientali. «Il Papa dovrebbe essere ben informato dai dicasteri», ha affermato, lamentando la mancanza di comprensione locale e di «esperienza pratica» all’interno del Vaticano.

 

«Quando parlano, usano un discorso di stampo occidentale». Ha aggiunto, citando un esempio, che l’attuale Prefetto del Dicastero per le Chiese Orientali, il cardinale Claudio Gugerotti, possiede solo una conoscenza libresca e accademica del cristianesimo orientale, acquisita attraverso la sua formazione e la sua esperienza come nunzio. «Ha le sue idee, idee fisse sulle Chiese», afferma.

 

L’approccio del Vaticano, continua Sako, «dovrebbe essere accademico, ma anche realistico», e «dovrebbe impegnarsi di più per coinvolgere i leader politici locali, non limitarsi a fare discorsi», perché la Santa Sede può «avere un impatto sulla vita politica in Medio Oriente».

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Le critiche del Cardinale Sako all’apparato amministrativo della Santa Sede risalgono a una lunga storia. Nel 2023, il patriarca caldeo si appellò al Vaticano affinché ottenesse il riconoscimento formale delle sue funzioni da parte dello Stato iracheno. Il presidente iracheno Abdul Latif Rashid revocò il suo titolo di patriarca il 3 luglio 2023, un’azione percepita come un’usurpazione della sua posizione di amministratore dei beni della Chiesa.

 

Una destituzione probabilmente istigata da Rayan al-Kildani, leader delle Brigate Babilonia, una milizia nominalmente caldea legata all’Iran, contro la quale l’alto prelato aveva messo in guardia i suoi fedeli. Tuttavia, secondo l’arcivescovo Sako, il sostegno della Curia non è arrivato e la crisi è durata fino alla fine del 2024, con il ripristino dei diritti civili del patriarca da parte delle autorità irachene.

 

Ma il cardinale Sako è anche controverso al suo interno, accusato di essere stato troppo zelante nel modernizzare la Messa, dando risalto alla lingua volgare rispetto al siriaco tradizionale e ordinando che la celebrazione si svolgesse di fronte ai fedeli anziché ad orientem…

 

Resta da vedere il primo viaggio apostolico del Papa, previsto in Turchia e Libano dal 27 novembre al 2 dicembre, che si spera possa offrire un po’ di tregua e speranza ai cristiani in Medio Oriente, la cui presenza è più precaria che mai.

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.News

 

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Immagine di Catholic Church England and Wales via Flickr pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 2.0 Generic (CC BY-NC-ND 2.0)

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Papa Leone XIV minimizza il Filioque nella nuova lettera apostolica

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In una nuova lettera apostolica Papa Leone XIV ricorda il Credo niceno nella sua forma originaria – senza il Filioque – come fondamento della fede cristiana, sottolineando il primato del cammino ecumenico.   Domenica 23 novembre il Papa ha pubblicato la lettera apostolica dedicata al 1700° anniversario del Concilio di Nicea, In Unitate Fidei (“Nell’unità della fede”), nella quale propone un rinnovato slancio per una professione di fede ecumenica.   «Condividiamo infatti la fede nell’unico e solo Dio, Padre di tutti gli uomini, confessiamo insieme l’unico Signore e vero Figlio di Dio Gesù Cristo e l’unico Spirito Santo, che ci ispira e ci spinge alla piena unità e alla testimonianza comune del Vangelo. Davvero quello che ci unisce è molto più di quello che ci divide!», ha scritto il romano pontefice.

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Nel testo, volto a promuovere l’unità dei cristiani con riferimento alle prime professioni di fede, Papa Leone XIV cita il Credo niceno-costantinopolitano del 381 nella sua forma originale, senza il Filioque (riferimento alla processione dello Spirito Santo da Dio Padre «e dal Figlio» nella teologia trinitaria). Questa scelta pienamente consapevole si inserisce in un discorso più ampio sull’ecumenismo come cammino di riconciliazione, volto a stabilire un futuro terreno comune con le Chiese orientali.   «Dobbiamo dunque lasciarci alle spalle controversie teologiche che hanno perso la loro ragion d’essere per acquisire un pensiero comune e ancor più una preghiera comune allo Spirito Santo, perché ci raduni tutti insieme in un’unica fede e un unico amore» scrive il papa nella sua lettera.   «Questo non significa un ecumenismo di ritorno allo stato precedente le divisioni, né un riconoscimento reciproco dell’attuale status quo della diversità delle Chiese e delle Comunità ecclesiali, ma piuttosto un ecumenismo rivolto al futuro, di riconciliazione sulla via del dialogo, di scambio dei nostri doni e patrimoni spirituali».   Papa Leone sottolinea in particolare che il Credo niceno-costantinopolitano costituisce tuttora il vincolo teologico fondamentale e imprescindibile tra tutte le confessioni cristiane.   Riferendosi al testo del 381, lo presenta nella forma universalmente riconosciuta dalla Chiesa antica, notando che l’aggiunta latina «Filioque» – non presente nella versione originale – è «oggetto del dialogo ortodosso-cattolico». Il papa ricorda che questa aggiunta entrò nella liturgia romana solo più tardi, nel 1014, per opera di papa Benedetto VIII.   Nella lettera apostolica, il Leone ribadisce anche che la verità della fede, «patrimonio comune dei cristiani, merita di essere professata e compresa in modi sempre nuovi e attuali» da tutti, senza adottare un punto di vista privilegiato.   Questo approccio è rafforzato dal riferimento al documento della Commissione Teologica Internazionale «Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore. 1700° anniversario del Concilio Ecumenico di Nicea», pubblicato il 3 aprile 2025.   Il documento afferma, citando un articolo pubblicato su L’Osservatore Romano il 13 settembre 1995, che «la Chiesa cattolica riconosce il valore conciliare, ecumenico, normativo e irrevocabile del Simbolo professato in greco a Costantinopoli nel 381 dal Secondo Concilio Ecumenico», senza il Filioque.   Aggiunge inoltre che «nessuna professione di fede propria di una particolare tradizione liturgica può contraddire questa espressione della fede insegnata e professata dalla Chiesa indivisa».

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Il primo Concilio di Nicea (325) definì la consustanzialità del Figlio con il Padre per contrastare l’arianesimo, mentre il Concilio di Costantinopoli (381) completò la dottrina sullo Spirito Santo, affermandone la divinità e il culto insieme alle altre due Persone. Solo secoli dopo, tra l’VIII e l’XI secolo, l’Occidente latino inserì nei simboli liturgici – non nei canoni conciliari – l’espressione «Filioque», per sottolineare l’unica origine divina dello Spirito Santo all’interno della Trinità. L’Oriente, non avendo partecipato a questo sviluppo, ne contestò la legittimità, considerandolo un intervento unilaterale sui testi ecumenici.   Alla fine del XVII secolo, soprattutto in Scozia e Inghilterra, alcuni cristiani introdussero il cosiddetto «latitudinarismo», un approccio che riduceva la fede a «pochi ampi» articoli generali, ritenendo sufficiente aderire alle prime professioni di fede per la salvezza. Questa visione, che avrebbe costituito la base dei successivi tentativi di dialogo ecumenico, fu condannata da Papa Pio IX nel Sillabo degli errori (1864) come una pericolosa deviazione, perché svuotava la ricchezza e la precisione della dottrina cattolica, lasciando spazio a interpretazioni vaghe e opinioni contrarie alla verità rivelata.

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