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Posticipata la legge irlandese sulla censura della «disinformazione» elettorale

Una legge del 2022 progettata per combattere la «disinformazione» legata alle elezioni in Irlanda è stata sospesa a seguito delle obiezioni di Bruxelles e delle principali aziende tecnologiche. Lo riporta Reclaim the Net.
La legislazione, che mirava a concedere allo Stato irlandese nuovi poteri per regolamentare i contenuti online, ora richiede emendamenti per allinearsi alle norme dell’UE, lasciando il suo futuro incerto prima delle prossime elezioni.
La Commissione Europea, insieme a giganti del settore come Google, Meta e TikTok, ha respinto la legge irlandese, sostenendo che impone norme perfino più severe rispetto alla legge pro-censura recentemente promulgata dall’UE, il Digital Services Act (DSA). In risposta, il governo irlandese sta ora rivedendo la legge.
Lo scorso ottobre, Bruxelles aveva formalmente avvertito l’allora ministro degli Affari esteri Micheál Martin che non affrontare le sue preoccupazioni avrebbe potuto innescare un’azione legale contro l’Irlanda. La Commissione Europea ha insistito sul fatto che alcuni aspetti della legge erano in conflitto con le normative dell’UE e si è riservata il diritto di avviare procedimenti precontenziosi se necessario.
Se implementata, la legge irlandese introdurrebbe sanzioni penali per la pubblicazione o la promozione di «disinformazione» elettorale e attività di bot non divulgate. Conferirebbe inoltre alla Commissione Elettorale il potere di monitorare e indagare sulla disinformazione online relativa alle elezioni, obbligando le piattaforme a rimuovere contenuti fuorvianti quando si verificano violazioni.
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Tuttavia, persino l’opposizione di Bruxelles, che ha spesso sostenuto tali leggi di censura, e delle aziende tecnologiche ha bloccato il processo. Il gruppo di lobby Technology Ireland ha presentato un’obiezione dettagliata alla Commissione Europea, sostenendo che le leggi nazionali non dovrebbero imporre obblighi aggiuntivi oltre a quelli stabiliti dal DSA.
Il gruppo ha sostenuto che la proposta dell’Irlanda è eccessivamente gravosa rispetto ad altri Stati membri dell’UE, dove si applicano solo le norme UE.
Un punto chiave della contesa è una disposizione che richiede alle aziende tecnologiche di notificare alla Commissione elettorale se le loro piattaforme vengono utilizzate per diffondere «disinformazione». Mentre i legislatori irlandesi vedono questo come una salvaguardia contro l’interferenza elettorale, le aziende tecnologiche sostengono che supera le aspettative ragionevoli, suggerendo che dovrebbero essere ritenute responsabili solo se hanno «effettiva conoscenza» di comportamenti manipolativi sui loro servizi.
La censura elettronica elettorale è l’ultima frontiera del controllo politico in Europa, come dimostra il caso romeno, dove i giudici hanno annullato le elezioni vinte dall’euro-scettico (e NATO-scettico) Calin Georgescu, adducendo come motivazione una campagna di TikTok che sarebbe stata finanziata da Mosca.
L’ex commissario europeo Thierry Breton, noto per i suoi scontri con Elon Musk (che si era permesso, tra le altre cose, di intervistare il candidato presidente Donald Trump), ha dichiarato che lo stesso potrebbe avvenire in Germania nelle elezioni ora in corso, ammettendo che «lo abbiamo fatto in Romania e bisognerà evidentemente farlo se necessario in Germania», alludendo alla possibile vittoria del partito AfD.
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Immagine di House of the Oireachtas via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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La Francia apre un procedimento penale contro X di Musk. Durov: da Parigi una «crociata» contro la libertà di parola e il progresso tecnologico

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Google chiude il sito Messa in Latino. Contro il totalitarismo web, sarebbe ora di finirla con i blog

Il sito Messa in Latino è stato rimosso dalla piattaforma che lo ospitava, Blogger, che è di proprietà di Google.
Il sito, noto come MiL, era nato nel 2007 all’altezza del Summorum Pontificum di Benedetto XVI, il motu proprio secondo cui, in teoria, veniva «liberata» la messa tradizionale nel mondo. Il blog era molto trafficato (si parla di un milione di visite solo lo scorso mese!) da chi si interessava della Messa in rito antico e non di rado conteneva succose rivelazioni riguardo le meccaniche interne della gerarchia a Roma e nelle diocesi.
La notizia della chiusura del sito è rimbalzata sui giornali e anche al di là dell’Atlantico: a parlarne è anche LifeSiteNews. Secondo quanto riportato in una email inviata da blogger.com si informavano i redattori di Messa in Latino che il sito era stato chiuso con effetto immediato. MiL aveva qualcosa come 22.000 post, un vero tesoro di testimonianza degli ultimi 20 anni di post-concilio.
«Spiacenti, il blog all’indirizzo lamessainlatino.blogspot.com è stato rimosso» è la scritta che appare se si digita l’URL del sito.
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Il Giornale riporta che ora «proprietari del blog hanno reagito rivolgendosi ad uno studio legale ed inviando una diffida per lamentare quella che hanno definito “l’inopinata e soprattutto immotivata soppressione dello stesso” ed hanno richiamato il rispetto dell’articolo 21 della Costituzione in merito al diritto alla libera manifestazione del pensiero».
I motivi della chiusura ad oggi restano, come quasi sempre accade, oscuri.
«Il team di Blogger non ha fornito dettagli su possibili violazioni della politica. Tuttavia, MIL ha suggerito che l’azienda di proprietà di Google avesse sollevato obiezioni ad alcuni post che promuovevano la dottrina cattolica e mettevano in guardia dai pericoli della Massoneria» scrive l’inviato di LifeSitea Roma Michale Haynes. In rete circolano varie altre speculazioni su quale contenuto possa aver fatto scattare la censura: questa o quell’intervista, questo o quell’articolo, quel commento, etc.
Tuttavia, nessuna di queste ipotesi è credibile: è quello che Renovatio 21, che di piattaforme e censure se ne intende, ha imparato in tanti anni di colpi ricevuti, anche in tribunale. L’amara realtà, valida per chiunque sui social, è che non sai mai davvero per cosa ti abbiano censurato.
Si tratta, invero, di una situazione del tutto simile a quella de Il Processo di Franz Kafka: si viene processati e condannati ma non si sa nemmeno per quale accusa. Appellarsi è impossibile, e non vi è – a meno di non passare per gli avvocati, anche lì con tanta fatica, nessun volto umano con cui parlare, talvolta nemmeno una email generica a cui rivolgersi.
Come abbiamo tante volte ripetuto su queste pagine, i social in questo modo altro non fanno che fungere da grande prefigurazione della società totalitaria del futuro prossimo, dove il cittadino diviene «utente» che non ha più diritti, ma gode di «accessi» revocabili a comando dall’alto, con lo Stato a divenire piattaforma in una società controllata e regolata in modo macchinale.
Il fenomeno di rimuginare riguardo alla censura inflitta può arrivare a livelli di paranoia – tante volte lo abbiamo visto anche con grandi figure americane, sparite improvvisamente da YouTube (un’altra mega-piattaforma di Google) o perfino da Amazon, dove abbiamo visto sparire negli anni – cioè essere cancellati, come non fossero mai esistiti – i libri dello psicanalista della terapia riparativa per omosessuali Joseph Nicolosi, i testi di E. Michael Jones o, più di recente, i libri del pensatore russo Alessandro Dugin.
L’unica realtà possibile, è il consiglio spassionato di Renovatio 21 a MiL e a tutti, è quella di andare avanti comunque, tenendo a mente una serie di cose.
In primis, il modello hub and spoke: immaginate che la vostra operazione sia una ruota, ebbene non dovete concentrarvi sui raggi, ma sul mozzo, sul centro della ruota, e da lì procedere verso i raggi (i social, etc.). Il sito, quindi, non può appoggiarsi su una piattaforma straniera, soprattutto se del giro della Silicon Valley compromessa non solo con la cultura wokista, ma soprattutto con lo Stato Profondo USA. È necessario farsi un sito proprio, con un hosting provider fuori dal giro – nemmeno quello, sappiamo, è abbastanza, ma con i backup (in teoria, anche qui: sempre in teoria) in caso di chiusura si può riaprire rapidamente da un’altra parte. Basarsi sul sito, e non sui social o su piattaforme che rendono tutto più facile, non solo è arduo, ma garantisce meno traffico: eppure, la via più corta ti espone alla devastazione che conosciamo.
In secundis, cercare di solidificare la propria posizione, mettendo di mezzo corpi intermedi: come sapete, qui abbiamo penato non poco, e da poco ottenuto, lo status di testata registrata in tribunale – e guai a chi gli scappa di chiamare ancora «blog» Renovatio 21 (Sua Eccellenza, la perdoniamo). Chiaramente, nemmeno questo mette a riparo dalla censura – lo abbiamo visto in pandemia, dove venivano oscurate testate tradizionali antiche e pure dell’establishment, e lo vedremo ancora grazie all’Unione Europea – tuttavia mettere di mezzo corpi intermedi dello Stato e delle sue corporazioni potrebbe, in qualche modo, aiutare.
Farla finita con i blog, i profili Instagram, le pagine Facebook, i canali Telegram e Youtube. E aprire testate giornalistiche sic et simpliciter: sfruttiamo a possibile schermatura la pletora di Stato (leggi, sindacati, ordini, ministeri, tribunali) che esse comportano. No alla bloggheria; sì alla burocrazia.
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Sono solo le nostre indicazioni, basate sulla realtà vissuta nel travaglio di questi lustri. Non è escluso che la cosa si risolva al volo: è successo così anche a Chiesaepostconcilio, altra realtà molto conosciuta sparita dai radar qualche settimana fa, per poi ricomparire d’improvviso. Anche quello è un sito, anzi proprio un sedicente blog, che è rimasto appoggiato per decenni, senza evoluzione di sorta, ad una piattaforma aliena. Comodo, perfino gratuito: ma esiziale.
È facile che in questi casi, la censura sia scattata, più che per contenuti, per segnalazioni a ripetizione: tenete a mente che vi sono orde, specie di certuni orientamenti, fortemente organizzate, e pagate per esserlo, e per agire nella delazione online e pure IRL, cioè nella vita reale. A volte la segnalazione genera la censura, ma infine non attacca del tutto, perché l’argomento è considerato di importanza secondaria (la religione, per essi, lo è: «oppio dei popoli» diceva uno dei loro maestri di ingegneria sociale materialista) e non c’è volontà di rischiarsela in Paesi con leggi dove sopravvivono, malomodo, barlumi di libertà di parola con copertura costituzionale. Non è stato il nostro caso…
Non abbiamo una ricetta magica per evitare il bavaglio, ma possiamo dire che ci siamo, purtroppo, passati. Ai ragazzi di MiL possiamo dire che capiamo il senso di sgomento abissale nel vedere tutto il proprio lavoro – che coincide, in alcuni pensieri, con la propria vita, e forse pure, visto il significato storico, sociale e morale di quel che si fa, qualcosa di più – disintegrato con un click da un’autorità invisibile ed oscura.
Lo ribadiamo: si tratta solo di un’antemprima della società futura, dove saremo valutati, premiati e puniti per i nostri pensieri, e nemmeno quelli scritti o detti, ma quelli del nostro foro interiore, come nei progetti di interfaccia cervello-macchina di Klaus Schwab e compagni.
Forza, avanti. Mica ci si può fermare quando ti distruggono tutto. No?
«Si Deus pro nobis, quis contra nos?» (Rm 8, 31)
Roberto Dal Bosco
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Immagine di Andrewgardner1 via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 4.0 International (CC BY 4.0). Immagine modificata
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L’UE potrebbe multare Meta-Facebook di 22 milioni di dollari al giorno

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