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Philip Glass accusa un teatro russo di pirateria

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Il compositore americano Philip Glass ha accusato il Sevastopol Opera and Ballet Theater in Crimea, in Russia, di «pirateria» per l’uso della sua musica in un nuovo balletto. Lo spettacolo in questione è Cime tempestose, basato sull’omonimo romanzo di Emily Bronte.

 

Secondo Glass, che ha pubblicato le sue accuse su X giovedì, la produzione, la cui prima è prevista per il 29 luglio, include la sua musica e il suo nome è utilizzato nella campagna pubblicitaria, entrambe senza la sua espressa autorizzazione.

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«Non mi è mai stato chiesto o concesso alcun permesso per l’uso della mia musica nel balletto o per l’uso del mio nome nella pubblicità e promozione del balletto. L’uso della mia musica e l’uso del mio nome senza il mio consenso… è un atto di pirateria», ha affermato il Glass, avvertendo che avrebbe reso nota la sua «veemente obiezione» qualora il teatro avesse proceduto con la première.

 


Venerdì il teatro di Sebastopoli ha negato le accuse di Glass, sottolineando che «opera nel quadro della legislazione russa» sul copyright e sulla proprietà intellettuale e «non consente l’uso illegale dei copyright».

 

Il coreografo principale del balletto, il ballerino britannico Jonah Cook, ha dichiarato in precedenza ai media locali che la sua produzione, come molti balletti moderni, si avvale di una varietà di composizioni musicali diverse. Tra queste, musica per archi di Philip Glass e del compositore islandese Hildur Guthnadottir, opere del musicista britannico Damon Albarn e della compositrice russa Tatyana Shatkovskaya, nonché alcuni temi tratti dalla musica tradizionale irlandese.

 

Molte compagnie di danza moderne mixano musica per le loro produzioni e hanno bisogno di ottenere una licenza per utilizzare una composizione per l’esecuzione.

 

Secondo la legge russa, un contratto per l’uso della musica può essere firmato direttamente con il compositore o con un’entità che gestisce collettivamente i diritti d’autore, come la Russian Authors’ Society (RAO). Questa organizzazione funge da intermediario tra i titolari della proprietà intellettuale e le compagnie di spettacolo e garantisce che gli artisti siano compensati per l’uso delle loro opere.

 

Secondo il sito web della RAO, essa rappresenta oltre 26.000 artisti e detentori di copyright russi e 2 milioni di artisti stranieri. Glass è da tempo registrato presso la RAO e un certo numero delle sue opere sono elencate sul suo sito web.

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Nato a Baltimora nel 1937, Philip Glass è considerato il compositore capofila della tendenza detta «minimalista» nella musica contemporanea, con frasi musicali ripetute e moltiplicate sino a creare atmosfere talvolta suggestive. È noto per la sua lunga collaborazione con il regista teatrale statunitense Bob Wilson.

 

La dedizione del Glass alla musica è tale che per anni, per mantenere la sua aspirazione ad essere compositore, ha lavorato come tassista, con episodi leggendari come quello in cui, si narra, un passeggero esperto di musica gli parlava della grandezza di questo nuovo compositore chiamato Philip Glass senza rendersi conto che parlava esattamente del conducente del tassì.

 

Il grande successo e la definitiva notorietà nel panorama musicale internazionale arrivarono con l’ipnotica colonna sonora del documentario fatto per lo più di time-lapse Koyaannisqatsi (1982) del regista cinematografico sperimentale Godfrey Reggio. Il compositore 87enne ha nel corso della sua carriera ricevuto nomine per tre Golden Globe per le musiche di The Truman Show (1998), The Hour (2002) e Kundun (1997) di Martin Scorsese, vincendo per il primo film. Nominato tre volte agli Oscar per la miglior musica originale, non ha mai vinto.

 

La famiglia di Glass è di origini lituane ed ebreo-russe.

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Immagine di MITO SettembreMusica via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic

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Il festival della poesia di Mosul ritorna dopo decadi di guerra

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Dopo decenni di guerra e alcune delle più brutali guerre urbane della storia moderna, l’Anqaa (Centro Culturale Felice) sta crescendo nella città di Mosul, nell’Iraq settentrionale. Lo riporta il giornale britannico Guardian.   Si tratta di un club di lettura che si riunisce nel seminterrato della Mosul Heritage Foundation, dove i partecipanti recitano poesie, dibattono di filosofia e discutono di letteratura.   Storicamente Mosul ha avuto forti legami con la cosiddetta «Età dell’oro dell’Islam» (dal 790 al 1258 d.C.), che ha dato grandi contributi in letteratura, filosofia, scienza, medicina, matematica e arte.

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«Stiamo facendo del nostro meglio per preservare l’eredità letteraria della città in modo da poterla trasmettere alle generazioni future» ha dichiarato al Guardian il trentenne Mohamed al-Arab, membro del club.   A giugno la città di Mosul ha tenuto il suo primo festival di poesia di quattro giorni per rafforzare il legame della città con la sua storica tradizione classica.   Durante l’occupazione da parte dello Stato islamico nel 2015, i militanti hanno bruciato 100.000 libri dalla biblioteca centrale di Mosul, distrutto siti culturali e vietato eventi letterari, arti e persino sport. Durante questo periodo, la poesia e la letteratura sono diventate una tattica di sopravvivenza e non solo un passatempo per i residenti di Mosul.   Nel 2022 Wifaq Ahmed, un ingegnere civile consulente dell’UNESCO per la conservazione del patrimonio della città, ha fondato il club Anqaa. «Le persone vogliono che la città risorga», afferma Ahmed nell’articolo del giornale britannico. «La scrittura è l’arma più semplice che le persone hanno per salvare la nostra identità e la nostra storia e ripristinare la coesione sociale. Abbiamo molte persone che lottano per riprendersi la propria vita e costruire nuovi passi per il futuro».   Il dottor Waleed al-Saraaf, un chirurgo in pensione, ha affermato: «la poesia è importante a Mosul, perché altrimenti le persone non capirebbero cosa è successo. La poesia va oltre gli edifici distrutti: raggiunge le profondità dell’anima umana. Solo il cuore può vederlo, e questo è il lavoro del poeta»   Ai primi incontri del club Anqaa hanno partecipato solo quattro persone; più di recente hanno partecipato 50 persone, ma si prevede di arrivare a 500 nel prossimo futuro.

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Si espresse con la poesia anche Saddam Hussein prima di venir giustiziato. Il cugino del dittatore dettò al New York Times dei versi di una composizione attribuita a Saddam in procinto di trovare la morte per impiccagione nel 2007.   La poesia si intitola Slegala.   Slega la tua anima. È la mia anima gemella e tu sei l’amata della mia anima. Nessuna casa avrebbe potuto proteggere il mio cuore come hai fatto tu Se fossi quella casa, tu saresti la sua rugiada Tu sei la brezza rilassante La mia anima è rinfrescata da te E il nostro partito Baath sboccia come un ramo che diventa verde. La medicina non cura il male, ma la rosa bianca sì. I nemici preparano i loro piani e le loro trappole E hanno continuato nonostante fossero tutti difettosi. È un piano di arroganza e vacuità Si rivelerà una sconfitta Lo spezziamo come la ruggine divora l’acciaio Come un peccatore consumato dai suoi peccati Non ci siamo mai sentiti deboli Siamo stati resi forti dalla nostra morale. La nostra posizione onorevole, la compagna della nostra anima, I nemici hanno costretto gli stranieri nel nostro mare E chi li serve sarà costretto a piangere. Qui scopriamo il nostro petto ai lupi E non tremerò davanti alla bestia. Combattiamo le sfide più difficili E respingeteli, se Dio vuole. Come si comporterebbero in tali situazioni? A tutti voi, non vi deluderemo mai E nelle catastrofi, il nostro partito è la guida. Sacrifico la mia anima per te e per la nostra nazione Il sangue è economico nei momenti difficili Non ci inginocchiamo né ci pieghiamo mai quando attacchiamo Ma trattiamo con onore anche i nostri nemici.  

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Immagine di Husseinal-mauktar via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
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Il tabarro in mostra a Mirano. Contro l’omologazione, per l’eleganza eterna

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Fino a domenica è possibile visitare a Mirano, città metropolitana di Venezia, la mostra «Il tabarro. Artigianalità dal passato al presente: il cinquantesimo del Tabarro di Sandro Zara».

 

L’esposizione è contenuta Villa Giustinian Morosini, a pochi passi dal centro della cittadina veneta. Si tratta della celebrazione dei cinquant’anni del Tabarrificio veneto, la più grande realtà produttrice di tabarri in tutto il mondo.

 

Si tratta di uno dei più grandi eventi espostivi mai realizzati sul capo di abbigliamento – antichissimo, elegantissimo – che di fatto è tornato in auge grazie al lavoro di Sandro Albano Zara, vero artefice della resurrezione del tabarro, iniziata proprio dalla intuizione e determinazione mezzo secolo fa.

All’inaugurazione della mostra lo scorso sabato sono arrivati in tantissimi, giunti da varie parti d’Italia a celebrare Zara e i suoi tabarri.

 

 

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Renovatio 21 ha sentito il maestro Zara per farsi raccontare le impressioni riguardo all’evento e a questo tabarro lungo mezzo secolo.

 

«La mostra ci ha stupiti tutti quanti, sindaco in testa. Con la Pro loco ci hanno dato la villa più prestigiosa. L’afflusso della gente sia al taglio del nastro che nei giorni successivi è stato straordinario. Questa cosa ha incuriosito. Ci hanno dedicato pagine intere sulla stampa».

 

Zara ci ha raccontato delle origini della sua avventura con lo stupendo capo di abbigliamento sospeso tra l’antico e l’eterno.

 

«Tutti mi chiedono: ma come sei partito? Risposta: come un matto. Io ci credevo in maniera cieca, e fu un insuccesso clamoroso, nessuno lo comprava… Abbiamo cominciato a vendere dopo aver fatto un incontro al Pitti [l’evento di moda maschile che si svolge annualmente a Firenze, ndr] che ci ha catapultato al Mercante in Fiera di Parma».

 

Il maestro racconta di fenomeni di block-booking che interessano il mondo della distribuzione della moda.

 

«Al Pitti andavamo la sera in osteria e facevamo il riassunto della giornata. Passava la gente: complimenti, che idea, siete fantastici. Io rispondevo: ma se siamo così bravi, perché non ci comprate? Un concessionario ci rivelò che alcuni grandi marchi imponevano quote di acquisto, in crescita di anno in anno. Quindi, non avevano un soldo da spendere per altro».

 

«Erano come ricattati. Per cui, forzatamente, omologati. Dovevo trovare un mercato, un mondo, non omologato». Fu un funzionario del Mercante in Fiera a intuire il contesto giusto. «Lei non ha un prodotto di antichità, ma ci potrebbe star bene al Mercante in Fiera», l’evento espositivo di Parma. «Mi misero a fianco della Barilla, che mostrava tute le pubblicità fatte nei decenni precedenti – opere d’arte, illustratori incredibili, stupendi. Sarà stata la vicinanza, ma da lì abbiamo venduto tutto».

 

«A quel punto ho realizzato: i negozi non ci possono comperare perché sono omologati. Me lo aveva detto, una volta che venne in visita, Tonino Guerra: per comprare il tabarro bisogna che uno superi questo handicap dell’omologazione personale. Bisogna fare un salto di personalità per portarlo».

 

A quel punto, Zara sapeva come rispondere al grande sceneggiatore collaboratore di Fellini, Antonioni, Tarkovskij: «allora questo è il mestiere mio. Io non sono omologato: non bevo Coca-cola, non mangio la nutella, alla pizza vado solo se sono in compagnia, perché preferisco un piatto di trippa. Io non sono omologato in nessuna maniera. Porto il fiocco anarchico come mio nonno». Il fiocco anarchico, assieme alla cravatta «mazziniana», è tuttora venduto dal tabarrificio Zara.

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«C’è una minoranza. Meno male che esiste! Pensa che esistono dei politici che si mostrano in pubblico ribaltando i vestiti in modo che si veda il marchio della loro giacca: ma come si fa? Uno statista che si veste in modo omologato: ma come può esistere?»

 

Sandro rivela che la concorrenza sorta negli anni non lo innervosisce, né lo danneggia – anzi.

 

«Mi chiedono: adesso sono in tanti che fanno tabarri. Ma mejo! Perché quando ero solo, vendevo nemmeno 50 tabarri in un anno, ora che siamo in cinquanta a far tabarri e ne vendo migliaia».

 

«Il tabarro non lo comprano per competenza, lo comprano per emozioni. Poi ci si affezionano da matti. Diventa un indumento che si ama».

 

Il maestro tabarrista, indossando sotto la giacca una stupenda camicia di tessuto flanellato che ricorda quelle dei russi viste nella pellicola Il Dottor Zhivago (1965),  ha quindi ci ha quindi illustrato un dogma assoluto dell’eleganza

 

«Se una cosa è bella, non ha tempo. Perché puoi cambiare, dettagli, i colori, ma l’eleganza rimane eterna».

 

Domenica 10 novembre, ultimo giorno della mostra, vi sarà una tabarrata – ossia una passeggiata di tabarristi – dalla villa sino al centro di Mirano, dove è in corso la festa dell’Oca, con un potente gioco (zogo, in veneto) dell’oca, con pennuti veri e uomini intabarrati, nella piazza principale, che ha forma elissoidale. Anche il zogo dell’oca, fatto tornare in piazza cinquant’anni fa, è uno degli sforzi del miranese Zara.

 

La festa avviene nei giorni di San Martino (di cui abbiamo appena goduto i tepori, la famosa «estate di San Martino»), considerabile come .patrono dei tabarristi, per la storia del mantello tagliato in offerta al pover’uomo.

 

La «tabarrata storica» partirà alle ore 11 villa Giustinian Morosini. Vi parteciperanno collaboratori, lettori e simpatizzanti di Renovatio 21, nonché il suo fondatore, che è presidente della Civiltà del Tabarro.

 

A seguito della tabarrata vi sarà il pranzo della Civiltà del Tabarro presso il ristorante Ai Molini.

 

Chi vuole partecipare, anche senza tabarro, è più che benvenuto. Per alcuni sarà l’occasione per finalmente provarne uno.

 

Fermo restando che c’è un assioma che prima o poi tutti impareranno: «se ha le maniche, non scalda il cuore».

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Mel Gibson sta preparando un film sull’assedio ottomano di Malta e l’eroica resistenza dei cavalieri

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Il cineasta cattolico Mel Gibson sta progettando una serie TV sull’assedio di Malta del 1565. Lo riporta LifeSite, che cita dichiarazioni fatte al sito.   Noto momento di rilievo della storia della Cristianità, l’assedio portò alla decisiva battaglia di Lepanto (1571) con cui il cristianesimo respinse la conquista musulmana delle terre cristiane.   Mel Gibson ha spiegato che lui e il suo team hanno «scritto 3 ore di una serie chiamata Siege» (cioè «assedio») e che questa serie «affronta in modo divertente e istruttivo l’assedio di Malta». Gibson ha inoltre aggiunto che il progetto è «ancora ai suoi inizi, ma abbiamo esplorato le location».

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Lo scorso settembre, il quotidiano locale Times of Malta aveva riferito che Mel Gibson e 10 membri del team hanno visitato l’isola per 5 giorni e hanno incontrato il Primo Ministro Robert Abela, con il quale hanno discusso del loro progetto e delle possibili sedi di produzione.   Verso la fine di settembre, il regista di Braveheart aveva parlato con Movieweb.com e ha rivelato altri dettagli su questo progetto.   «Sto… lavorando a una serie TV limitata sull’assedio di Malta, che è una storia incredibile, e c’è solo un posto dove girarla. Voglio dire, a Malta», ha affermato Gibson. Descrivendo quella battaglia, ha spiegato che “è lì che è successo, in queste fortezze dove 700 cavalieri hanno difeso Malta da un assalto dei turchi; e Suleiman ha inviato 40.000 uomini e navi e, wow, i cavalieri hanno vinto. Quindi, piuttosto folle».   Gibson è il produttore della serie, ma non sa ancora se avrà il tempo di interpretare uno dei ruoli. Ha aggiunto di aver «lavorato con uno sceneggiatore piuttosto talentuoso» sulla sceneggiatura. «È una bella storia», ha concluso il Gibsone, che sta attualmente lavorando anche al sequel del suo film sulla crocefissione Passion, intitolato Resurrection.   Durante l’assedio di Malta, circa 700 cavalieri cristiani respinsero l’ondata di invasori ottomani, che erano in schiacciante maggioranza numerica.   I cavalieri erano uomini di profonda devozione, disposti a versare il loro sangue per la fede. Perfino gli ornamenti sulle loro corazze e spade esprimevano la loro fede. come esempio della fedeltà di alcuni di questi cavalieri, padre Portelli, un sacerdote interpellato da LifeSite, racconta come uno di loro, Fra’ Roberto, «andava in giro visitando molti posti durante l’assedio, con il crocifisso in una mano e la spada nell’altra, predicando e scongiurando tutti di combattere per la Fede di Gesù Cristo e di morire bene».   Come noto, l’ordine del Sovrano Militare Ordine Ospedaliero di San Giovanni di Gerusalemme, di Rodi e di Malta è ancora esistente, e gode di uno status giuridico speciale, con ambasciate o rappresentanze diplomatiche in 112 Stati e un seggio come Osservatore presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite dal 1994. L’Ordine ha governato dal 1309 al 1522 l’isola greca di Rodi e poi, dal 1530 al 1798 le Isole maltesi. In virtù delle relazioni diplomatiche da esso intrattenute e del suo ruolo assistenziale svolto con carattere internazionale, detiene un seggio come Osservatore presso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite dal 1994.   Nel 1565 i Cavalieri di San Giovanni resistettero a un assedio di quattro mesi a Malta da parte del sultano Solimano, che ritenne necessario attaccare i Cavalieri. Nel 1522 lo stesso sultano li aveva cacciati dalla loro isola di Rodi, consentendo loro di ritirarsi con gli onori di guerra. Eppure nei successivi 43 anni i Cavalieri, stabiliti nella loro nuova fortezza di Malta, si dimostrarono una tale spina nel fianco dell’impero di Solimano che egli ritenne necessario inviare un grande esercito per finirli una volta per tutte.   Nel frattempo Solimano aveva continuato le sue conquiste, distruggendo l’Ungheria, minacciando Vienna e inviando la sua flotta nel profondo del Mediterraneo occidentale. L’Impero ottomano era molto più potente di quanto non fosse stato quando aveva conquistato Rodi e rappresentava la minaccia più seria per l’Europa cristiana.   «La chiave di questa vittoria è stata la dedizione dei Cavalieri di San Giovanni, un ordine religioso di soldati fondato al tempo delle Crociate per combattere per la causa cristiana contro il nemico musulmano» ha detto al sito pro-life canadese Henry Sire, ex membro dell’Ordine di Malta e autore sia di The Dictator Pope che di The Knights of Malta: a Resurrection. «Questa è una lezione per i nostri tempi, quando la minaccia alla cristianità è più grande di quanto non sia stata dall’apice del potere di Solimano. Quando ci saremo svegliati dal nostro attuale sonno di compiacenza, potremmo ben vedere ordini religiosi fondati di nuovo per combattere un nemico ora più minaccioso che mai».

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È noto che Gibson sia un cattolico tradizionalista, o meglio un «sedevacantista». La sua devozione gli è stata trasmessa dal padre, Hutton Gibson (19178-2020), scrittore e teologo, nonché veterano della Seconda Guerra Mondiale uomo di intelligenza straordinaria (al punto da vincere il celeberrimo Quiz televisivo Jeopardy per portare gli 11 figli a vivere in Australia, lontano quindi dalla minaccia di essere mandati in Vietnam), per decenni faro mondiale del sedevacantismo.   Secondo alcuni, l’attacco subito da Mel Gibson dopo la sua Passione di Cristo – in particolare a causa di suoi commenti sugli ebrei fatti in un momento di ubriachezza – era in realtà indirizzato al padre, che affermava che il Concilio Vaticano II non era altro che «un complotto massonico sostenuto dai giudei».   Di recente Gibson si è avvicinato a monsignor Carlo Maria Viganò, scrivendogli una lettera dopo la scomunica ricevuta da Bergoglio.   «Spero che Bergoglio scomunichi anche me dalla sua falsa chiesa» aveva scritto il divo di Hollywood nella sua missiva a monsignor Viganò.  

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 Immagine di Kim Davies via Flickr pubblicata su licenza CC BY-NC-ND 2.0
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