Arte
Philip Glass accusa un teatro russo di pirateria
Il compositore americano Philip Glass ha accusato il Sevastopol Opera and Ballet Theater in Crimea, in Russia, di «pirateria» per l’uso della sua musica in un nuovo balletto. Lo spettacolo in questione è Cime tempestose, basato sull’omonimo romanzo di Emily Bronte.
Secondo Glass, che ha pubblicato le sue accuse su X giovedì, la produzione, la cui prima è prevista per il 29 luglio, include la sua musica e il suo nome è utilizzato nella campagna pubblicitaria, entrambe senza la sua espressa autorizzazione.
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«Non mi è mai stato chiesto o concesso alcun permesso per l’uso della mia musica nel balletto o per l’uso del mio nome nella pubblicità e promozione del balletto. L’uso della mia musica e l’uso del mio nome senza il mio consenso… è un atto di pirateria», ha affermato il Glass, avvertendo che avrebbe reso nota la sua «veemente obiezione» qualora il teatro avesse proceduto con la première.
— Philip Glass (@philipglass) July 25, 2024
Venerdì il teatro di Sebastopoli ha negato le accuse di Glass, sottolineando che «opera nel quadro della legislazione russa» sul copyright e sulla proprietà intellettuale e «non consente l’uso illegale dei copyright».
Il coreografo principale del balletto, il ballerino britannico Jonah Cook, ha dichiarato in precedenza ai media locali che la sua produzione, come molti balletti moderni, si avvale di una varietà di composizioni musicali diverse. Tra queste, musica per archi di Philip Glass e del compositore islandese Hildur Guthnadottir, opere del musicista britannico Damon Albarn e della compositrice russa Tatyana Shatkovskaya, nonché alcuni temi tratti dalla musica tradizionale irlandese.
Molte compagnie di danza moderne mixano musica per le loro produzioni e hanno bisogno di ottenere una licenza per utilizzare una composizione per l’esecuzione.
Secondo la legge russa, un contratto per l’uso della musica può essere firmato direttamente con il compositore o con un’entità che gestisce collettivamente i diritti d’autore, come la Russian Authors’ Society (RAO). Questa organizzazione funge da intermediario tra i titolari della proprietà intellettuale e le compagnie di spettacolo e garantisce che gli artisti siano compensati per l’uso delle loro opere.
Secondo il sito web della RAO, essa rappresenta oltre 26.000 artisti e detentori di copyright russi e 2 milioni di artisti stranieri. Glass è da tempo registrato presso la RAO e un certo numero delle sue opere sono elencate sul suo sito web.
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Nato a Baltimora nel 1937, Philip Glass è considerato il compositore capofila della tendenza detta «minimalista» nella musica contemporanea, con frasi musicali ripetute e moltiplicate sino a creare atmosfere talvolta suggestive. È noto per la sua lunga collaborazione con il regista teatrale statunitense Bob Wilson.
La dedizione del Glass alla musica è tale che per anni, per mantenere la sua aspirazione ad essere compositore, ha lavorato come tassista, con episodi leggendari come quello in cui, si narra, un passeggero esperto di musica gli parlava della grandezza di questo nuovo compositore chiamato Philip Glass senza rendersi conto che parlava esattamente del conducente del tassì.
Il grande successo e la definitiva notorietà nel panorama musicale internazionale arrivarono con l’ipnotica colonna sonora del documentario fatto per lo più di time-lapse Koyaannisqatsi (1982) del regista cinematografico sperimentale Godfrey Reggio. Il compositore 87enne ha nel corso della sua carriera ricevuto nomine per tre Golden Globe per le musiche di The Truman Show (1998), The Hour (2002) e Kundun (1997) di Martin Scorsese, vincendo per il primo film. Nominato tre volte agli Oscar per la miglior musica originale, non ha mai vinto.
La famiglia di Glass è di origini lituane ed ebreo-russe.
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Immagine di MITO SettembreMusica via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution 2.0 Generic
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Il festival della poesia di Mosul ritorna dopo decadi di guerra
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Il tabarro in mostra a Mirano. Contro l’omologazione, per l’eleganza eterna
Fino a domenica è possibile visitare a Mirano, città metropolitana di Venezia, la mostra «Il tabarro. Artigianalità dal passato al presente: il cinquantesimo del Tabarro di Sandro Zara».
L’esposizione è contenuta Villa Giustinian Morosini, a pochi passi dal centro della cittadina veneta. Si tratta della celebrazione dei cinquant’anni del Tabarrificio veneto, la più grande realtà produttrice di tabarri in tutto il mondo.
Si tratta di uno dei più grandi eventi espostivi mai realizzati sul capo di abbigliamento – antichissimo, elegantissimo – che di fatto è tornato in auge grazie al lavoro di Sandro Albano Zara, vero artefice della resurrezione del tabarro, iniziata proprio dalla intuizione e determinazione mezzo secolo fa.
All’inaugurazione della mostra lo scorso sabato sono arrivati in tantissimi, giunti da varie parti d’Italia a celebrare Zara e i suoi tabarri.
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Renovatio 21 ha sentito il maestro Zara per farsi raccontare le impressioni riguardo all’evento e a questo tabarro lungo mezzo secolo.
«La mostra ci ha stupiti tutti quanti, sindaco in testa. Con la Pro loco ci hanno dato la villa più prestigiosa. L’afflusso della gente sia al taglio del nastro che nei giorni successivi è stato straordinario. Questa cosa ha incuriosito. Ci hanno dedicato pagine intere sulla stampa».
Zara ci ha raccontato delle origini della sua avventura con lo stupendo capo di abbigliamento sospeso tra l’antico e l’eterno.
«Tutti mi chiedono: ma come sei partito? Risposta: come un matto. Io ci credevo in maniera cieca, e fu un insuccesso clamoroso, nessuno lo comprava… Abbiamo cominciato a vendere dopo aver fatto un incontro al Pitti [l’evento di moda maschile che si svolge annualmente a Firenze, ndr] che ci ha catapultato al Mercante in Fiera di Parma».
Il maestro racconta di fenomeni di block-booking che interessano il mondo della distribuzione della moda.
«Al Pitti andavamo la sera in osteria e facevamo il riassunto della giornata. Passava la gente: complimenti, che idea, siete fantastici. Io rispondevo: ma se siamo così bravi, perché non ci comprate? Un concessionario ci rivelò che alcuni grandi marchi imponevano quote di acquisto, in crescita di anno in anno. Quindi, non avevano un soldo da spendere per altro».
«Erano come ricattati. Per cui, forzatamente, omologati. Dovevo trovare un mercato, un mondo, non omologato». Fu un funzionario del Mercante in Fiera a intuire il contesto giusto. «Lei non ha un prodotto di antichità, ma ci potrebbe star bene al Mercante in Fiera», l’evento espositivo di Parma. «Mi misero a fianco della Barilla, che mostrava tute le pubblicità fatte nei decenni precedenti – opere d’arte, illustratori incredibili, stupendi. Sarà stata la vicinanza, ma da lì abbiamo venduto tutto».
«A quel punto ho realizzato: i negozi non ci possono comperare perché sono omologati. Me lo aveva detto, una volta che venne in visita, Tonino Guerra: per comprare il tabarro bisogna che uno superi questo handicap dell’omologazione personale. Bisogna fare un salto di personalità per portarlo».
A quel punto, Zara sapeva come rispondere al grande sceneggiatore collaboratore di Fellini, Antonioni, Tarkovskij: «allora questo è il mestiere mio. Io non sono omologato: non bevo Coca-cola, non mangio la nutella, alla pizza vado solo se sono in compagnia, perché preferisco un piatto di trippa. Io non sono omologato in nessuna maniera. Porto il fiocco anarchico come mio nonno». Il fiocco anarchico, assieme alla cravatta «mazziniana», è tuttora venduto dal tabarrificio Zara.
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«C’è una minoranza. Meno male che esiste! Pensa che esistono dei politici che si mostrano in pubblico ribaltando i vestiti in modo che si veda il marchio della loro giacca: ma come si fa? Uno statista che si veste in modo omologato: ma come può esistere?»
Sandro rivela che la concorrenza sorta negli anni non lo innervosisce, né lo danneggia – anzi.
«Mi chiedono: adesso sono in tanti che fanno tabarri. Ma mejo! Perché quando ero solo, vendevo nemmeno 50 tabarri in un anno, ora che siamo in cinquanta a far tabarri e ne vendo migliaia».
«Il tabarro non lo comprano per competenza, lo comprano per emozioni. Poi ci si affezionano da matti. Diventa un indumento che si ama».
Il maestro tabarrista, indossando sotto la giacca una stupenda camicia di tessuto flanellato che ricorda quelle dei russi viste nella pellicola Il Dottor Zhivago (1965), ha quindi ci ha quindi illustrato un dogma assoluto dell’eleganza
«Se una cosa è bella, non ha tempo. Perché puoi cambiare, dettagli, i colori, ma l’eleganza rimane eterna».
Domenica 10 novembre, ultimo giorno della mostra, vi sarà una tabarrata – ossia una passeggiata di tabarristi – dalla villa sino al centro di Mirano, dove è in corso la festa dell’Oca, con un potente gioco (zogo, in veneto) dell’oca, con pennuti veri e uomini intabarrati, nella piazza principale, che ha forma elissoidale. Anche il zogo dell’oca, fatto tornare in piazza cinquant’anni fa, è uno degli sforzi del miranese Zara.
La festa avviene nei giorni di San Martino (di cui abbiamo appena goduto i tepori, la famosa «estate di San Martino»), considerabile come .patrono dei tabarristi, per la storia del mantello tagliato in offerta al pover’uomo.
La «tabarrata storica» partirà alle ore 11 villa Giustinian Morosini. Vi parteciperanno collaboratori, lettori e simpatizzanti di Renovatio 21, nonché il suo fondatore, che è presidente della Civiltà del Tabarro.
A seguito della tabarrata vi sarà il pranzo della Civiltà del Tabarro presso il ristorante Ai Molini.
Chi vuole partecipare, anche senza tabarro, è più che benvenuto. Per alcuni sarà l’occasione per finalmente provarne uno.
Fermo restando che c’è un assioma che prima o poi tutti impareranno: «se ha le maniche, non scalda il cuore».
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