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Economia

Pechino conferma crescita al 5%, ma aumentano indebitati ed esclusi da previdenza sociale

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Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.

 

È l’obiettivo sul PIL fissato per il 2024 a conclusione della conferenza economica del Partito comunista cinese. Al centro dei lavori i timori legati al settore immobiliare e gli ostacoli alla ripresa. La propaganda funzionale al tentativo di rilancio dopo le nubi post-COVID. Oltre 8,5 milioni di persone sulla «lista nera» per non aver rimborsato i prestiti bancari, altri 19 milioni senza assistenza medica.

 

Questa settimana la Cina ha concluso l’annuale conferenza sull’economia. I vertici del Partito Comunista al potere hanno fissato al 5% l’obiettivo di crescita del PIL (Prodotto Interno Lordo) per il 2024, fra rischi generali di indebitamento per tutto il Paese e una tendenza alla deflazione.

 

L’agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua ha ammesso che l’economia cinese si trova ad affrontare diversi rischi e incertezze, tra cui la mancanza di domanda, l’eccesso di capacità in alcuni settori e le deboli aspettative della società in generale. L’incontro a porte chiuse del plenum ha evidenziato una situazione di stabilità in termini di ripresa per il 2024, a dimostrazione che le autorità sono consapevoli dei rischi connessi al settore economico. Inoltre, l’incontro è servito anche a definire tre obiettivi principali per l’attività economica nel prossimo anno: rafforzare la vitalità, prevenire e risolvere i rischi e migliorare le aspettative sociali.

 

La prevenzione del rischio sistemico è il compito principale. L’incontro ha menzionato i rischi del settore immobiliare, le insolvenze dei governi locali e la crisi delle istituzioni finanziarie.

 

Un tempo il settore immobiliare era un motore trainante della crescita, da solo contribuiva per quasi il 30% del PIL nazionale ma in questi due anni si sono registrate gravi difficoltà. L’improvviso crollo di alcuni colossi immobiliari come Evergrande e Country Garden ha causato effetti di spillover [a cascata] che hanno trasferito i rischi alle istituzioni finanziarie e alle banche ombra.

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Gli enormi debiti hanno anche determinato il pagamento di prezzi elevati per l’acquisto di casa e la sottoscrizione di prestiti bancari onerosi per appartamenti. A questo si aggiunge il fallimento e l’insolvenza di agenzie immobiliari e di imprese di costruzione, che hanno lasciato incompiuti i progetti abitativi. La protesta delle famiglie che sono finite in bancarotta per aver acquistato edifici incompiuti si protrae dallo scorso anno ed è ancora oggi una questione irrisolta.

 

Milioni di persone sono sulla lista nera del sistema creditizio delle autorità per l’impossibilità di restituire i prestiti bancari. Secondo le statistiche dei tribunali cinesi, il numero di persone sulla lista nera è salito a 8,54 milioni nell’anno corrente, rispetto ai 5,7 milioni del 2020. Coloro che sono sulla lista nera sono esclusi dal sistema bancario e non possono acquistare biglietti aerei. La maggior parte degli inadempienti ha una età compresa tra i 18 e i 59 anni, quasi l’1% della popolazione attiva totale.

 

I motivi dell’inadempienza variano. Alcuni non sono stati in grado di restituire i prestiti per la casa, altri non hanno potuto rimborsare la carta di credito a causa della perdita del lavoro. Dopo che il tasso di disoccupazione giovanile in Cina ha superato il 20%, le autorità di Pechino hanno smesso di divulgare i dati.

 

La società sta perdendo fiducia nella crescita. La rapida ripresa e il rimbalzo previsti non si sono verificati, al contrario il rischio di deflazione è incombente. L’indice dei prezzi al consumo in Cina è sceso dello 0,5% a novembre, il più rapido in tre anni, secondo quanto emerge dai dati diffusi dall’Ufficio nazionale di statistica cinese. Gli economisti prevedono che la pressione al ribasso continuerà anche nel 2024.

 

La scorsa settimana Moody’s ha emesso un avviso di declassamento del rating del credito cinese, affermando che i costi per il salvataggio dei governi locali e delle imprese statali e per il controllo della crisi immobiliare avrebbero gravato enormemente sull’economia. Immediata la replica delle autorità cinesi che hanno accolto con disappunto le osservazioni di Moody’s, affermando che i rischi sarebbero del tutto controllabili.

 

L’incontro che si è da poco concluso si è anche prefissato il proposito di aumentare le aspettative e la fiducia del Paese, «rafforzando la propaganda in economia e guidando le opinioni». Dopo tre anni di blocco e di chiusure legate al COVID-19 in Cina, la domanda non è aumentata; anzi, la gente preferisce consumare meno e i risparmi in banca sono aumentati per far fronte alle situazioni in caso di incertezza o emergenza.

 

Di fronte alla diminuzione della popolazione e alla tendenza all’invecchiamento, la Cina ha aumentato le trattenute per l’assistenza sociale che rappresentano un peso per le famiglie.

 

Lo scorso anno, infatti, circa 19 milioni di persone hanno abbandonato il sistema di assicurazione sociale e l’assistenza medica. E le prospettive sono di una ulteriore diminuzione: secondo le stime anche per il 2023 il numero di persone che fanno parte del sistema assicurativo in campo medico e assistenziale è destinato a diminuire.

 

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Renovatio 21 offre questo articolo per dare una informazione a 360º. Ricordiamo che non tutto ciò che viene pubblicato sul sito di Renovatio 21 corrisponde alle nostre posizioni.

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Economia

La Volkswagen al collasso della liquidità

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Il principale costruttore automobilistico tedesco, Volkswagen Group, si trova di fronte a una possibile crisi finanziaria, con un previsto shortfall di liquidità di diversi miliardi di euro nel 2026, secondo quanto riferito da Bild basandosi su documenti interni dell’azienda.   Il quotidiano indica che il gigante tedesco registrerà un deficit di circa 11 miliardi di euro il prossimo anno, rendendolo incapace di coprire le spese e gli investimenti programmati. Il rapporto semestrale di Volkswagen per il 2025 ha evidenziato un calo del 33% dell’utile operativo rispetto all’anno precedente e un flusso di cassa negativo di 1,4 miliardi di euro.   Il tracollo dei profitti, la debolezza del business in Cina e la concorrenza da parte dei marchi cinesi, unitamente ai dazi imposti dal presidente statunitense Donald Trump, sono stati identificati come i fattori principali dei guai finanziari del gruppo.   «I tagli vengono applicati praticamente ovunque: nel marketing, nelle vendite e in alcuni investimenti», ha rivelato una fonte al quotidiano. Potrebbe rendersi necessaria la cessione di varie partecipazioni per generare «una porzione dei miliardi occorrenti» allo sviluppo di nuovi modelli e tecnologie innovative, ha proseguito Bild. I vertici hanno definito la congiuntura «particolarmente catastrofica» proprio durante la fase di passaggio dai motori a scoppio ai veicoli elettrici.

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Il settore automobilistico tedesco sta vivendo uno dei momenti più bui degli ultimi decenni, schiacciato dalla concorrenza cinese in ascesa. Volkswagen, BMW e Mercedes-Benz hanno tutte accusato cali nelle consegne nel 2025, dovuti al crollo della domanda nel mercato asiatico – il loro principale – e all’espansione di produttori locali di auto elettriche come BYD.   Anche le case tedesche subiscono le ripercussioni delle politiche commerciali americane. I dazi del 25% introdotti da Washington sulle vetture europee hanno penalizzato le vendite e, sebbene un’intesa UE-USA annunciata ad agosto abbia ridotto il tetto massimo al 15%, l’incertezza persistente continua a pesare sui progetti di esportazione e investimento.   Nel frattempo, Volkswagen ha svelato significative variazioni ai vertici per ristabilire l’equilibrio. L’amministratore delegato Oliver Blume abbandonerà il doppio ruolo di capo del Gruppo Volkswagen e di Porsche AG, mentre l’ex responsabile di McLaren, Michael Leiters, assumerà la direzione di Porsche a partire dal 1° gennaio. Blume resterà alla guida di Volkswagen, focalizzandosi su un vasto piano di ristrutturazione e rilancio aziendale fino al 2030.  

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Economia

L’Etiopia convertirà il debito in dollari in yuan

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L’Etiopia ha avviato negoziati con la Cina per convertire parte del suo debito di 5,38 miliardi di dollari verso Pechino in prestiti denominati in yuan, nell’ambito delle strategie del governo per alleviare la pressione sui cambi e rafforzare i legami commerciali. Lo riporta Bloomberg.

 

Secondo quanto riportato, il mese scorso la Banca nazionale d’Etiopia ha tenuto incontri a Pechino con la Export-Import Bank of China e la People’s Bank of China per discutere di pagamenti, agevolazioni commerciali e ristrutturazione del debito, come dichiarato dal governatore Eyob Tekalign.

 

«La Cina è un partner cruciale per noi ora… È logico organizzare uno scambio valutario… lo abbiamo richiesto ufficialmente e ci stiamo lavorando», ha affermato Eyob a Bloomberg venerdì, dopo la riunione annuale del Fondo Monetario Internazionale a Washington.

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L’iniziativa dell’Etiopia segue un accordo simile siglato dal Kenya, che all’inizio di questo mese ha convertito tre prestiti ferroviari finanziati dalla Cina da dollari a yuan, riducendo, secondo il Ministero delle Finanze keniota, i costi degli interessi di circa 215 milioni di dollari all’anno. Anche la Nigeria, a dicembre dello scorso anno, ha rinnovato uno swap valutario da 15 miliardi di yuan (2 miliardi di dollari) con la Banca Popolare Cinese per supportare il commercio naira-yuan.

 

Addis Abeba è sotto pressione economica a causa della pandemia di coronavirus e di una guerra civile durata due anni nella regione del Tigray, terminata nel 2022. Il paese è andato in default sul suo unico bond internazionale da 1 miliardo di dollari nel dicembre 2023, ma ha successivamente formalizzato un accordo di sostegno con i creditori ufficiali nell’ambito del Quadro Comune del G20, copresieduto da Francia e Cina, che prevede oltre 3,5 miliardi di dollari in aiuti. I negoziati con gli obbligazionisti, tuttavia, rimangono tesi, secondo quanto riferito.

 

A inizio settembre, il ministro delle finanze Ahmed Shide ha annunciato che Etiopia e Cina hanno concordato un quadro di swap valutari per facilitare gli scambi birr-yuan, come parte di un piano per rilanciare l’economia e diversificare le partnership dopo anni di crisi economiche.

 

Nel gennaio 2024, l’Etiopia è entrata nei BRICS, che includono Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica, Egitto, Etiopia, Iran, Emirati Arabi Uniti e Indonesia. Il gruppo promuove transazioni in valuta locale per ridurre la dipendenza dal dollaro, una mossa criticata dal presidente statunitense Donald Trump, che ha minacciato dazi e sanzioni in risposta.

 

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Economia

USA e Australia raggiungono un accordo sulle terre rare

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Lunedì il presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il primo ministro australiano Anthony Albanese hanno siglato un accordo per ampliare l’accesso degli Stati Uniti ai minerali essenziali.   Secondo l’intesa, Washington e Canberra investiranno ciascuna oltre 1 miliardo di dollari in progetti di estrazione e lavorazione in Australia nei prossimi sei mesi, come parte della strategia di Washington per ridurre la dipendenza dalla Cina per le risorse chiave.   La Cina rappresenta circa il 70% della produzione mondiale di minerali essenziali, fondamentali per tecnologie avanzate come veicoli elettrici, semiconduttori e sistemi d’arma.   La Casa Bianca ha annunciato che gli investimenti si concentreranno su giacimenti minerari critici per un valore di 53 miliardi di dollari, senza però specificare dettagli su tipologie o ubicazioni.   «Tra circa un anno avremo così tanti minerali essenziali e terre rare che non sapremo cosa farne», ha dichiarato Trump ai giornalisti.   L’Australia dispone di un «oleodotto pronto a partire» da 8,5 miliardi di dollari, ha affermato Albanese durante l’incontro con Trump alla Casa Bianca.

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L’accordo arriva in un contesto di forti tensioni tra Stati Uniti e Cina sulle forniture di terre rare. All’inizio dell’anno, Pechino ha risposto alle politiche commerciali di Trump imponendo restrizioni all’esportazione di minerali essenziali.   A inizio ottobre, la Cina ha introdotto nuovi controlli sulle esportazioni di alcuni minerali strategici a duplice uso in ambito militare, citando motivi di sicurezza nazionale. Sebbene la misura non colpisca esplicitamente gli Stati Uniti, le aziende high-tech americane dipendono ancora fortemente dalle forniture cinesi di terre rare.   L’incertezza crescente sull’approvvigionamento ha spinto gli Stati Uniti a sviluppare capacità produttive alternative. In risposta ai controlli cinesi sulle esportazioni di terre rare, Trump ha minacciato di imporre un dazio aggiuntivo del 100% sui prodotti cinesi a partire da novembre, alimentando ulteriori tensioni.   Commentando lo stallo con gli Stati Uniti, il portavoce del Ministero degli Esteri cinese Lin Jian ha ribadito la scorsa settimana che «le guerre tariffarie e commerciali non hanno vincitori» e ha esortato a una risoluzione attraverso «consultazioni basate su uguaglianza, rispetto e reciproco vantaggio».   All’inizio dell’anno, Trump ha aumentato significativamente i «dazi reciproci» sulla Cina, in alcuni casi superando il 100%. Tuttavia, ha poi sospeso l’aumento per favorire i negoziati commerciali, prorogando la pausa fino al 10 novembre. Attualmente, la tariffa di base per la Cina è del 10%, anche se alcuni beni sono soggetti a tariffe più elevate.  

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