Persecuzioni
Pakistan, due giovani assolti da false accuse di blasfemia. Alta Corte: indagini su uso improprio

Renovatio 21 pubblica questo articolo su gentile concessione di AsiaNews. Le opinioni degli articoli pubblicati non coincidono necessariamente con quelle di Renovatio 21.
Adil Babar e Simon Nadeem, arrestati ingiustamente per blasfemia in Pakistan nel 2023, sono stati assolti dal tribunale di Lahore. Nonostante il verdetto, le loro famiglie restano esposte a minacce e discriminazioni. Janssen denuncia la controversa condotta del «blasphemy business group». Giudice Kanh: entro 30 giorni commissione che indaghi l’uso delle norme.
Sembra una storia a lieto fine quella Adil Babar e Simon Nadeem, arrestati ingiustamente per blasfemia il 18 maggio 2023 all’età di 18 e 14 anni: il tribunale locale di Lahore ha assolto i due giovani cristiani.
Tuttavia, il trauma, la paura e lo sfratto subiti dalle loro famiglie rimangono profondamente presenti, poiché le minacce dei gruppi estremisti islamici continuano a incombere. Questi gruppi spesso promuovono l’idea che uccidere una persona presunta blasfema garantisca l’ingresso in paradiso. E la violenza viene usata non solo come strumento in mano all’estremismo con l’obiettivo di perseguitare i cristiani, ma anche per ottenere vantaggi politici.
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I giovani – che ora hanno 20 e 16 anni – due anni fa vennero accusati ingiustamente di aver fatto commenti sprezzanti contro Maometto; il processo che li vedeva imputati avrebbe potuto condurli alla pena di morte. L’avvocato della Corte Suprema Naseeb Anjum ha accolto con favore la decisione della Corte, ma ha espresso seria preoccupazione per il continuo abuso delle leggi sulla blasfemia in Pakistan. «Queste leggi sono state ripetutamente usate come arma per colpire le minoranze religiose e risolvere le controversie personali», ha affermato il legale, nominato dall’organizzazione Lads.
«Le conseguenze sono gravi: le famiglie sono costrette a fuggire dalle loro case, le comunità vivono nella paura costante solo a causa della loro fede in Cristo e le semplici accuse possono portare a esecuzioni extragiudiziali e a danni irreparabili».
Ha inoltre condannato l’aumento della violenza sommaria, per cui soggetti estremisti si fanno giustizia da soli, spesso agendo nell’impunità. «Questo caso sottolinea chiaramente l’urgente necessità di garanzie legali, indagini imparziali e maggiore responsabilità» ha detto. «L’assoluzione di Adil e Simon è un sollievo, ma non può cancellare il trauma e la paura che loro e le loro famiglie hanno subito». E ancora: «Il Pakistan non deve chiudere gli occhi di fronte a chi abusa continuamente delle leggi sulla blasfemia per perseguitare le minoranze religiose».
Anche Joseph Janssen, attivista per i diritti delle minoranze, ha accolto con favore la decisione della Corte, ma ha ribadito che l’abuso strutturale delle leggi sulla blasfemia continua a mettere in pericolo la vita delle minoranze religiose. «Queste leggi sono state ripetutamente sfruttate per regolare conti personali e perseguitare i cristiani e altre minoranze», ha dichiarato. «Le accuse sono sufficienti per scatenare la violenza della folla, costringere le famiglie a nascondersi e infliggere traumi psicologici a lungo termine, anche quando non è stato commesso alcun crimine».
Janssen ha sottolineato il modello più ampio di abuso, evidenziando il coinvolgimento di attori potenti come Rao Abdul Raheem, capo del cosiddetto «blasphemy business group». «Rao e i suoi compagni hanno usato le leggi sulla blasfemia non per proteggere i valori religiosi, ma per sviare le responsabilità e sopprimere la giustizia». Nel 2022, nel caso dell’omicidio di Abdullah Shah, Rao avrebbe manipolato le accuse di blasfemia per fare pressione sul padre della vittima e costringerlo al silenzio, tramite prove inventate e collusioni con le forze dell’ordine.
Il giudice Sardar Ijaz Ishaq Khan, che presiede il relativo procedimento presso l’Alta Corte di Islamabad, ha recentemente sottolineato l’importanza pubblica del caso. «Do istruzioni al dipartimento informatico di organizzare la trasmissione in diretta del procedimento», ha dichiarato, notando che l’aula era sovraffollata e che il pubblico ha diritto alla trasparenza in casi che coinvolgono un così grave abuso della legge. Inoltre, l’Alta Corte di Islamabad (IHC) ha concesso martedì al governo federale 30 giorni per costituire una commissione che indaghi sull’uso improprio della legge sulla blasfemia. L’ordine è stato dato dallo stesso Sardar Ejaz Ishaq Khan. La comunità cristiana e le minoranze lo lodano per il suo coraggio e la sua audacia, mentre i gruppi fondamentalisti lo definiscono un verdetto controverso.
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Come ha fatto Khan, anche l’ex presidente della Corte Suprema Qazi Faez Isa, durante un’udienza del febbraio 2024, ha condannato la gestione da parte del governo del Punjab dell’incidente di Jaranwala, in cui sono state attaccate oltre 20 chiese cristiane e decine di case. Ha definito il rapporto del governo sui progressi compiuti «degno di essere gettato nella spazzatura» e ha espresso vergogna per il fatto che in sei mesi siano state presentate solo 18 denunce, nonostante i numerosi arresti. Il giudice Isa ha messo in discussione anche il ruolo della polizia, suggerendo che essa «è rimasta a guardare» mentre si svolgevano le violenze.
Janssen ha esortato i legislatori, i leader religiosi e la società civile a impegnarsi in un dialogo nazionale per riformare le leggi sulla blasfemia in linea con gli impegni costituzionali del Pakistan e con gli obblighi internazionali in materia di diritti umani previsti dalle convenzioni delle Nazioni Unite e del sistema di preferenze generalizzate Plus (SPG+) dell’UE, che offre ai Paesi in via di sviluppo incentivi a patto che si sottoscrivano convenzioni anche sui diritti umani.
«La sicurezza, la dignità e la parità di diritti di tutti i cittadini pakistani, indipendentemente dalla loro fede, devono essere protetti» ha dichiarato il noto attivista per le minoranze. «Nessuno dovrebbe subire persecuzioni in base a leggi che mancano di un giusto processo e invitano alla giustizia mafiosa».
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Immagine di MariyamAftab via Wikimedia pubblicata su licenza Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International
Persecuzioni
Cristiani siriani in pericolo: l’ECLJ allerta l’ONU

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Le forze governative massacrano alawiti e drusi
Il caos non colpisce solo i cristiani. Nel marzo 2025, oltre 1.400 persone, la maggior parte delle quali civili alawiti, sono state uccise negli scontri nelle province di Latakia e Tartus. A luglio, la comunità drusa è stata presa di mira a Sweida, dove milizie beduine sunnite, supportate dalle forze governative, hanno attaccato e saccheggiato la città. Il bilancio delle vittime di questi scontri a Sweida supera le 1.000 vittime e sarebbe stato probabilmente molto più alto se Israele non fosse intervenuto con la forza per rassicurare i drusi che vivevano sul suo territorio. La chiesa greco-melchita di San Michele nel villaggio di Al-Sura è stata data alle fiamme e decine di case cristiane sono state saccheggiate e bruciate.La graduale islamizzazione della Siria
Ahmed al-Sharaa, presidente ad interim, cerca di imporre al Paese il modello di Idlib, governato dal 2017 dal gruppo islamista Hayat Tahrir al-Sham (HTS): governo centralizzato, rigorosa applicazione della Sharia, un’economia deregolamentata nelle mani di reti vicine al governo e tolleranza minima per le minoranze, mantenute in uno stato quasi di dhimmi. Così, le scuole cristiane sono costrette a insegnare la Sharia, ad assumere presidi con lauree in diritto islamico e a separare i ragazzi dalle ragazze. «Questo contraddice l’intera tradizione educativa cristiana siriana. È inaccettabile», protesta un vescovo siriano. La polizia religiosa confisca gli alcolici, chiude i negozi che li vendono e monitora le relazioni tra uomini e donne. Tutto ciò che non è arabo sunnita viene emarginato: cristiani, alawiti, drusi, curdi.Aiuta Renovatio 21
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Persecuzioni
Siria, uomini armati assaltano e derubano presule siro-cattolico

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Prelevati la croce d’oro, chiavi, telefono e altri effetti personali al vicario generale Naaman. Due uomini hanno detto di appartenere alla «sicurezza» e lo hanno colpito, ferendolo. Attivisti contro i nuovi leader del Paese, incapaci di tutelare le minoranze. A Idlib dopo 14 anni riapre la chiesa di Sant’Anna.
Un nuovo episodio di violenza anti-cristiana alimenta le preoccupazioni della comunità ancora scossa dalla strage alla chiesa di Damasco e che fatica a «guarire le ferite» provocate dagli anni di guerra, dalla bomba della povertà e dall’ascesa al potere di una fazione islamica radicale HTS.
Nella serata del 2 settembre scorso (ma le informazioni stanno emergendo solo in queste ore), il corepiscopo Michel Naaman, vicario generale dell’arcidiocesi siro-cattolica di Homs, Hama e Al-Nabek, è stato derubato con pistole puntate alla tempia all’esterno della propria abitazione. Il religioso vive nel villaggio a maggioranza cristiana di Zaidal, a circa 7 km dalla città di Homs, dove è avvenuto l’attacco che secondo alcune testimonianze «gli è quasi costato la vita».
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Fonti locali raccontano che due uomini «armati e mascherati» lo hanno sorpreso, bloccandolo, sostenendo di essere membri di una milizia che auto-proclama della «Sicurezza generale». Lo hanno minacciato «con armi», prosegue il racconto, derubato «della sua croce d’oro assieme ad altri effetti personali», per poi abbandonarlo e fuggendo indisturbati.
Lo stesso corepiscopo Naaman ha confermato la violenza, raccontando di essere stato «sorpreso da uomini armati al rientro a casa» che «mi hanno minacciato con una pistola» premendolo contro il muro dell’abitazione per poi «sfilargli la croce d’oro» che conservava da oltre 50 anni. Assieme al simbolo religioso lo hanno derubato «di altri effetti personali», per poi abbandonarlo «in preda al panico e al tremore, da solo e senza chiavi di casa e portando via anche il telefono». «Sono un uomo di Dio» ha detto loro «non porto armi e non farò resistenza. Ma uomini preposti alla sicurezza non agiscono in questo modo».
Riguardo l’assalto il sacerdote siro-cattolico, che ha riportato ferite alla spalla strattonata dagli assalitori, ha poi aggiunto «di non aver temuto per me stesso, perché il mio pensiero andava alle vittime di simili aggressioni» e la sopravvivenza «era nelle mani di Dio». Egli ha infine ringraziato gli abitanti del villaggio e i sacerdoti che lo hanno soccorso dopo l’assalto.
Fra i primi a rilanciare, condannandolo, l’ennesimo episodio di violenze anti-cristiane nella Siria di Ahmed al-Sharaa e di Hay’at Tahrir al-Sham (HTS), nuovi leader del Paese dopo il crollo repentino nei mesi scorsi del regime di Bashar al-Assad, vi è l’Assyrian Human Rights Monitor. «Questo doloroso incidente, che avrebbe potuto costargli la vita, non è semplicemente un crimine isolato, ma piuttosto» afferma il gruppo in una nota «un nuovo anello in una crescente catena di aggressioni contro cittadini innocenti, scuotendo la sicurezza e la stabilità della società». Padre Michel Naaman è stato «terrorizzato con il pretesto della “sicurezza”» che non risulta garantita a larghe fasce della popolazione siriana, a partire delle minoranze cristiana, alawita, fino ai drusi.
Il movimento attivista assiro punta il dito contro i nuovi leader legati ad HTS ritenendoli «direttamente responsabili» per due motivi: l’incapacità di garantire sicurezza e protezione ai cittadini, un compito che spetta allo Stato; la continua facilità con cui il personale preposto in linea teorica alla sicurezza ricorre a maschere e travestimenti per attaccare, colpire, incutere timore o coprire singoli o gruppi di malintenzionati. Invocando una «indagine immediata e trasparente» sull’incidente che ha coinvolto il corepiscopo, il gruppo invoca «misure rigorose ed efficaci per porre fine a tali pratiche criminali ricorrenti e ricostruire la fiducia tra cittadini e forze di sicurezza».
Infine, dalla Siria giungono anche notizie fonte di speranza per il futuro, in particolare nell’area dove a lungo hanno dominato gruppi jihadisti ed estremisti islamici anche quando nel resto del Paese era ancora presente il regime di Assad.
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Dal villaggio di al-Yaqoubiya, a ovest di Idlib, nella provincia settentrionale confinante con la Turchia e zona di origine degli attuali leader di HTS, arrivano immagini di festa per la riapertura della chiesa di sant’Anna. Nel fine settimana scorso l’arcivescovo armeno-ortodosso di Aleppo Makar Ashkarian ha celebrato la funzione che ha segnato l’inaugurazione del luogo di culto distrutto e abbandonato nel tempo.
La celebrazione di Sant’Anna si tiene tradizionalmente ogni anno nell’ultima settimana di agosto ed è una delle festività religiose più importanti per i membri della comunità ortodossa armena in Siria; dopo 14 anni si è potuta celebrare di nuovo una messa a Idlib, cui ha partecipato un consistente numero di pellegrini provenienti da Aleppo, Latakia, Hasakah, Damasco e altre ancora.
L’attuale chiesa è stata ricostruita nel 2020 dopo il terremoto che ha colpito la regione su iniziativa del monachesimo francescano, spiega una fonte cristiana locale, per essere un simbolo di fermezza, radicamento e fede.
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Immagine da AsiaNews
Persecuzioni
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