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Storia

Omar Torrijos e l’origine della «repubblica delle banane»

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Il 5 giugno del 1974 il San Francisco Chronicle pubblicava un articolo dal titolo «Latin Banana Plot Charge». La traduzione in italiano potrebbe suonare grosso modo come «Il prossimo complotto sulle banane dell’America Latina è in rampa di lancio».  Pronto per esplodere, in mille pezzetti gialli.

 

Il testo riportava come l’ambasciatore panamense a San Josè in Costarica, Peres, avesse rivelato una trama ordita dalla Standard Fruit Co. per assassinare Omar Torrijos, di fatto l’uomo che deteneva il potere sostanziale dell’esercito e quindi infine dello stato transistmico.

 

Torrijos, secondo la rivelazione dell’articolo si sarebbe trovato oggetto dell’attenzione del colosso statunitense per via di una tassa sull’esportazione delle banane entrata in azione dal primo di maggio di quell’anno oltre che a Panama anche in Honduras e Costarica.

 

La tassa consisteva nel pagamento di un dollaro per ogni cassa da quaranta libbre, grosso modo diciotto chili, che usciva dai porti caraibici verso i porti del Nord America. Immediata la risposta del presidente della società frutticola, da pochi anni passata sotto l’ombrello di Castle and Cook, società che diventerà negli anni successivi, fondendosi con Dole, la maggiore produttrice di frutta al mondo, che negò tassativamente e proclamò la dichiarazione come assolutamente falsa.

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La dichiarazione di Peres insisteva sul fatto che i servizi segreti panamensi avessero scoperto un operazione messa in atto dalla multinazionale americana. Mercenari americani e inglesi, veterani della guerra in Vietnam, che si stava concludendo proprio in quegli anni a seguito degli strascichi della conferenza di Parigi dell’anno prima, erano stati assunti con lo scopo di porre fine al potere di Torrijos e dei governi dei vicini Paesi centroamericani.

 

L’ambasciatore rincarava inoltre la dose, aggiungendo che avessero cercato di tirare dentro al complotto anche l’altro grande attore nel mercato della frutta americana e eterno rivale in affari, la United Brands, una volta unanimemente conosciuta come United Fruit, ma che infine avesse declinato l’offerta.

 

Solamente tre mesi dopo, lo stesso giornale avrebbe ripubblicato un articolo dell’Associated Press in cui veniva raccontata la vittoria di Torrijos sopra, questa volta, la United Brands che aveva bloccato a Panama  la produzione di banane della controllata Chiriqui Land Co., la futura Chiquita. Torrijos, racconta l’articolo, portò a casa una vittoria sul gigante a stelle e strisce che accettò di pagare i debiti precedenti con lo Stato panamense, gli stipendi ai lavoratori e si impegnò a versare il balzello sulle future banane portate a casa.

 

Come ricorda lo storico di vicende di crimine organizzato Frederic Sondern in Brotherhood of Evil, the Mafia, il legame tra le produttrici di banane e la malavita che gestiva la logistica intrinseca ai porti fu sempre strettissimo. La logistica della frutta si prestava facilmente ad essere comprata vista la necessità di spedire il carico prima possibile per evitare il rischio che marcisse.

 

Il vincolo creato dal peculiarità dei loro prodotti esponeva le compagnie statunitensi a rendere la burocrazia il meno spigolosa possibile. Come i porti di New Orleans fossero gestiti prima da Joe Macheca e in seguito dai siciliani Matranga, parallelamente e conseguentemente le rotte della frutta diventavano un trasporto facile e continuo per tutti gli stupefacenti che transitavano dall’America latina all’America settentrionale.

 

La forza delle due rivali frutticole in Centroamerica è sempre stata fuori discussione ed è fuori da ogni dubbio la loro centralità nella politica caraibica da fine diciassettesimo secolo in avanti. La storia del potere di queste esportatrici di peso politico ed importatrici di banane visse però questo particolare contraccolpo proprio nella metà degli anni settanta del Novecento.

 

La particolare disputa, enormemente sproporzionata, tra il Panama di Torrijos e le compagnie che causarono la nascita del nome «repubblica delle banane» si resse in equilibrio perché il tema ricorrente dei dialoghi politici tra il trascorso fantoccio caraibico e la corazzata a stelle e strisce toccò il controllo dello stretto di panama. Dall’inizio della guerra fredda le rivolte interne a Panama fomentate da un crescente nazionalismo e la nascita di una nuova coscienza riguardante i Paesi appartenenti al terzo mondo stavano fabbricando le basi per il famoso trattato Carter-Torrijos che sarebbe nato di lì a qualche anno.

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Non a caso un’altro articolo sempre sul San Francisco Cronicle del 18 settembre 1977, nove giorni dopo la firma del trattato, riportava come Scripps-Howard News Service aveva dato alle stampe la notizia che Torrijos era stato intercettato proprio nel 1974. I contenuti riguardavano dettagli molto intimi tra cui le sue attività sessuali. L’articolo di Scripps continuava approfondendo la vicenza e facendoci sapere che non appena il leader panamense fosse venuto a conoscenza della sorveglianza intimò la sospensione degli accordi.

 

Anche questa informazione ci aiuta a capire come le basi poste per la chiusura del trattato vennero discusse con modi e metodologie diversi. La volontà di creare le condizioni per la stipulazione del trattato era nata già con Nixon ma si sarebbe chiusa di li a poco con il governo Carter con non pochi dibattiti al Congresso. La volontà di trovare un accordo per chiudere finalmente il trattato portò a Torrijos un grande potere che impiegò con intelligenza per crearsi uno spazio di manovra nella sua panama e nei Paesi limitrofi.

 

Il pupillo e protetto di Torrijos, Manuel Noriega, proprio in quegli anni scalò varie posizioni fino a ricoprire il ruolo di capo dei servizi segreti panamensi parallelamente all’essere una risorsa a libro paga della CIA. Di li a qualche anno Panama si sarebbe assicurata un ruolo da prima donna come paradiso fiscale collocato perfettamente sulla rotta della cocaina tra i Paesi andini e gli anni ottanta americani.

 

Marco Dolcetta

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Storia

Netanyahu conferma – ancora una volta – che Israele non ha ucciso Charlie Kirk. E neanche San Simonino

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Il primo ministro israeliano Beniamino Netanyahu è nuovamente intervenuto pubblicamente in video per sfatare la teoria del complotto, molto diffusa sui social in queste ore, secondo cui Israele avrebbe assassinato Charlie Kirk.   Mercoledì sera Netanyahu ha iniziato la sua proclamazione di innocenza invocando i nazisti. In seguito, il premier israeliano ha confermato che lo Stato ebraico non è colpevole dell’assassinio del 10 settembre.   «Il ministro della propaganda nazista ha detto che ‘più grande è la bugia, più velocemente si diffonderà», ha detto Netanyahu. «Beh, qualcuno ha inventato una mostruosa bugia: che Israele abbia qualcosa a che fare con l’orribile omicidio di Charlie Kirk».   La comunicazione videomatica è postata direttamente sul canale X del primo ministro dello Stato Giudaico. Essa inanella una quantità di questioni politiche e storiche piuttosto cospicua.  

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«È folle. È falso. È scandaloso», ha detto a proposito della teoria del complotto israeliano.   Il primo ministro ha affermato che, nonostante lui e Kirk avessero divergenze su alcune politiche, accoglieva con favore tale disaccordo. Netanyahu ha affermato che Kirk era turbato dal fatto che il sostegno degli Stati Uniti a Israele stesse diminuendo.   «Lui», cioè Charlie Kirk, «mi ha incoraggiato a spiegare direttamente al popolo americano quanto Israele sia vitale per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti», ha affermato Netanyahu. «Lui mi ha detto “la Terra Santa è così importante per la mia vita, mi addolora vedere svanire il sostegno a Israele”». Quindi Netanyahu ha ripetuto, per l’ennesima volta in questi giorni, la questione dei fantomatici valori «giudeo-cristiani», termine inventato nel dopoguerra per indicare improbabili radici comuni tra le due tradizioni religiose e promuovere un dialogo interreligioso, concreato poi con il documento del Concilio Vaticano II Lumen Gentium.   Di fatto, il «giudeo-cristianismo», nominato persino da alcuni, come il vescovo Vicenzo Paglia, come «radice» dell’Europa, è uno strumento con il quale Israele tiene incollato a sé l’Occidente separandolo dall’Islam, e quindi giustificando le azioni di Israele contro i palestinesi e pure, quasi un quarto di secolo fa, le guerre americane (e italiane…) in Iraq e in Afghanistan…   «Ora c’è chi diffonde queste voci disgustose. Forse per ossessione, forse per i finanziamenti del Qatar», ha continuato il Netanyahu. I finanziamenti del Qatar, recentemente bombardato da Israele nel tentativo di uccidere i negoziatori di Hamas (e dunque, impedire ora un accordo di pace) sono oramai un’accusa ricorrente nel circo mediatico americano, un’infamia lanciata contro quei commentatori e giornalisti disallineati con la politica dello Stato Ebraico.   Netanyahu, accusato di crimini contro l’umanità, era intervenuto anche sul canale ultra-trumpiano NewsMax il giorno dopo il brutale assassinio e ha confermato che la teoria del complotto secondo cui Israele sarebbe stato coinvolto nell’assassinio è falsa.  

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Durante la sua prima conferma di innocenza, Netanyahu aveva spiegato che nel terribile Medioevo gli ebrei venivano accusati di avvelenare i pozzi e di bere il sangue dei bambini cristiani. Tuttavia, la questione dell’avvelenamento dei pozzi ha un precedente storico non medievale, ma molto recente: il piano Nakam. Nel 1945, circa cinquanta superstiti dell’Olocausto cercarono di assassinare civili tedeschi come atto di rivalsa per lo sterminio di sei milioni di ebrei durante l’Olocausto tramite l’avvelenamento del sistema idrico.   Sul folle progetto di genocidio dei tedeschi per avvelenamento è stato fatto negli anni scorsi un film, Plan A (2021), realizzato da cineasti israeliani e basato sul libro della studiosa argentina-israeliana Dina Porat, capo-storica dello Yad Vashem e autrice di studi sul papa del Concilio Angelo Roncalli e gli ebrei, Vengeance and Retribution Are Mine (2019).  

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Il piano Nakam, sotto la guida di Abba Kovner, puntava a eliminare indiscriminatamente per vendetta vera sei milioni di tedeschi, adottando lo slogan «una nazione per una nazione» – o meglio, pensiamo noi, un genocidio per un genocidio. Il Kovner si recò di persona nella Palestina sotto mandato britannico per procurarsi grandi quantità di veleno, con l’intento di contaminare le condutture idriche e causare la morte di numerosi tedeschi; il piano prevedeva poi di introdurre il veleno nel sistema idrico di Norimberga. Tuttavia, al suo ritorno in Europa, Kovner fu arrestato dai britannici e costretto a disfarsi del veleno.   Riguardo al sangue dei bambini cristiani, Renovatio 21 ricorda il caso del professore di storia israeliano Ariel Toaff, figlio del rabbino capo di Roma Elio Toaff, che aveva indagato le basi storiche dell’assassinio di San Simonino da Trento nel libro Pasque di sangue (2007), uscito nei negozi ma subito dopo ritirato. L’analisi storica, pubblicata dalla rinomata casa editrice Il Mulino (nota per una certa inclinazione prodiana), esplora il contesto storico e culturale dell’ebraismo ashkenazita medievale in diaspora, dove emerse l’accusa contro gli ebrei di compiere omicidi rituali di bambini cristiani durante la Pasqua, impiegando il loro sangue per presunti rituali anticristiani.   Il caso è quello di San Simonino (1472-1475), bambino di due anni e mezzo trovato morto durante la Pasqua del 1475, venerato come beato dalla Chiesa cattolica sino al Concilio Vaticano II. A seguito del ritrovamento in una roggia del corpo, quindici giudei di Trento furono interrogati con la tortura, e confessarono. Furono messi a morte. Il culto di Simonino divenne nei secoli, e non solo per il mondo cattolico, la prova dell’esistenza dell’omicidio rituale ebraico, la cosiddetta «Accusa del sangue»: l’idea, diffusa dall’Inghilterra Medievale all’Europa rinascimentale alla Germania nazista al mondo arabo odierno, secondo cui gli ebrei consumano sangue umano, specialmente di bambini, durante la Pasqua ebraica (Pesach) per scopi magici o rituali.   Toaff, nella prima ora introvabile edizione del libro, scriveva non si può escludere che singoli individui, forse legati a gruppi estremisti ashkenaziti, possano aver compiuto pratiche magiche legate al sangue, come possono suggerire alcuni collegamenti con culti cabalistici presenti al tempo nell’Est-Europa.   In pratica, Toaff, a differeva di Netanyahu, sembrava ammettere la possibilità che l’omicidio rituale ebraico possa essere realtà.   Ma torniamo al presente e alle dichiarazioni del premier dello Stato Giudaico. Nello spezzone, il Netanyahu continuava invocando i nazisti, forse per effetto di quella che un antico adagio di internet definisce come legge di Godwin («a mano a mano che una discussione online si allunga, la probabilità di un paragone riguardante i nazisti o Hitler tende ad 1», una legge discorsiva valida in ispecie per i giudei), affermando che le false affermazioni secondo cui gli ebrei erano «portatori di parassiti» e «diffondevano malattie» sarebbero continuate fino all’Olocausto – dopo il quale, in effetti, non possiamo dire che gli ebrei non abbiamo assunto un certo comando del discorso culturale…   La realtà è che quella del Netanyahu suona come una grande excusatio non petita, che arriva proprio mentre i maggiorni commentatori critici di Israele stanno dicendo che al momento non vi è alcuna prova che Israele sia coinvolta nell’assassinio Kirk.   Tuttavia diverse rivelazioni fatte da giornalisti indipendenti hanno indicato il retroscena per cui Charlie Kirk sarebbe stato in procinto di divorziare ufficialmente dal filosionismo, nonostante la pressione dei suoi donatori, che contribuivano ad un bilancio annuo del suo movimento Turning Point USA di 80 milioni di euro l’anno.   Come riportato da Renovatio 21, secondo uno scoop del giornalista del sito di inchista The Grayzone Max Bluementhal, vi sarebbero state pressioni fortissime su Kirk dopo che ad un evento di TP USA in Florida aveva fatto parlare Tucker Carlson e il comico ebreo Dave Smith, entrambi forti critici del governo Netanyahu e del massacro di Gaza. Tucker ha raccontato che si era offerto di non salire sul palco di Kirk per non creargli problemi con i donatori sionisti, ma Charlie, che a quanto pare era un vero alfiere della libertà di parola, avrebbe rifiutato dicendo che invece doveva farlo.   La podcasterra Candace Owens, che era stata amica e collaboratrice di Kirk, ha rincarato la dose, confermando di avere le testimonianze di una riunione in una prestigiosa magione degli Hamptons (il luogo al mare dei newyorkesi, probabilmente la località turistica più cara della Terra) convocata dal miliardario degli Hedge Fund Bill Ackman, noto per essere divenuto fiamcheggiatore MAGA nel 2024, un uomo che molti accusano essere in diretto contatto con Bibi Netanyahu.   Durante la riunione è stato detto chiaramente a Charlie che non poteva avere quei tipi di ospiti, con una lobbyista israelo-britannica che gli avrebbe pure urlato. Secondo quanto è dato di capire, è durante l’episodio degli Hamptons che gli ospiti avrebbero chiamato Netanyahu in persona per fargli   Secondo quanto detto in rete da attivisti come Nick Fuentes, un tempo acerrimo rivale di Kirk e ora forse autore del più bel necrologio assieme a quello di Candace, Netanyahu avrebbe offerto a Kirk un’infusione di capitali per TP USA di 150 milioni di dollari, in pratica il doppio dell’attuale bilancio. Charlie avrebbe rifiutato. A quel punto, il premier israeliano avrebbe offerto un tour in Israele – in pratica, una sessuone in situ di rieducazione – ma Kirk avrebbe rifiutato pure quella.

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Fuentes sostiene, come moltissimi altri personaggi della rete americana non allineata a Tel Aviv (Alex Jones, Tucker Carlson, Dave Smith), che non vi siano prove di coinvolgimento israeliano. Tuttavia egli nota la coincidenza per cui la taglia da un milione di dollari piazzata dallo stesso miliardario sionista Ackman su chi avesse dato informazioni utili per prendere l’assassino di Kirk potrebbe essere riscossa dallo stesso padre del sospettato Tyler Robinson.   Sul quale stanno uscendo ogni sorta di indiscrezioni: omosessuale, o forse solo amante di un ragazzino transessuale, con interessi nel «furry», la perversione di coloro che si travestono da pelouche giganti.   L’FBI ha dichiarato di star indagando su almeno altre 20 persone che potevano aver contezza del progetto di morte. Per alcuni, si tratterebbe di un atto terroristico compiuto dal milieu detto trantifa, cioè di antifa transessuali, che hanno un’ideologia aggressiva e già alle spalle, pur nella sciatteria di come conducono i loro crimini, una scia di morti.   L’idea che le motivazioni dell’attentatore vadano trovati nella cultura trantifa non è ancora apparsa pienamente nei media dell’establishment USA, che da giorni ripetono che non c’è idea di quale possa essere il movente.   L’amministrazione Trump, nel frattempo, si sta muovendo per dichiarare gli antifa come una organizzazione terrorista.   Anche se saltassero fuori ulteriori elementi su trans e goscisti dietro all’omicidio, non siamo certi, tuttavia, che Netanyahu non rivendicherà l’innocenza di Israele ancora una volta.

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Storia

Mons. Viganò ricorda la Battaglia di Vienna. Renovatio aggiunge la memoria dell’origine di cappuccino e brioche

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Lo scorso 12 settembre l’arcivescovo Carlo Maria Viganò ha ricordato l’anniversario della Battaglia di Vienna (1683), un’importante vittoria cristiana contro i Turchi Ottomani.

 

«Il 12 settembre di quell’anno, le forze della Lega Santa, guidate principalmente dal re polacco Jan III Sobieski e sotto la guida spirituale del beato Marco d’Aviano, sconfissero l’esercito ottomano che assediava Vienna, segnando un punto di svolta nella lotta contro l’espansione ottomana in Europa. Marco d’Aviano è invocato come “difensore della Cristianità”» scrive l’arcivescovo.

 

«Questa vittoria fu celebrata dalle Nazioni cattoliche perché ha rappresentato un momento cruciale nella storia della Cristianità» dice monsignore. «Ci sia di monito per il tempo presente, in cui l’islamizzazione si diffonde con la complicità di chi – nei governi civili e nella Chiesa Cattolica – dovrebbe invece fermarla e impedirla».

 

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La Battaglia di Vienna è universalmente considerata come il momento cruciale in cui fu impedito all’Islam di travolgere l’Europa moderna. Tuttavia, non tutti sanno che essa è anche il momento in cui fu creata la colazione tipica europea, cioè la diade cappuccine e brioche.

 

L’origine del cappuccino e della brioche è infatti legata alla Battaglia di Vienna del 1683, dove le truppe cristiane furono ispirate dalla predicazione di Marco d’Aviano, frate cappuccino e consigliere spirituale. La leggenda narra che i viennesi, celebrando la liberazione, crearono la brioche a forma di mezzaluna, il «kipferl», per schernire l’emblema ottomano. Secondo un’altra variante, i dolci a forma di mezzaluna furono trovati nell’accampamento dei turchi, che fuggirono per l’impeto delle schiere cristiane, che erano in grande inferiorità numerica. La leccornia, evolutosi nella moderna brioche, si diffuse in Europa.

 

Il cappuccino, invece, prende il nome dal colore marrone chiaro del saio dei frati cappuccini, simile alla bevanda di caffè, latte e schiuma. Si dice che i monaci, dopo la battaglia, abbiano sperimentato con il caffè abbandonato dagli ottomani nel loro quartier generale, addolcendolo con latte e miele.

 

Quindi, ogni vola che al bar, al mattino, consumate cappuccio e brioche, state in realtà brindando alla sconfitta dell’Islam da parte dell’Europa cristiana. Ora, dopo la Reconquista spagnuola e la vittoria a Vienna, l’Europa si trova di fronte ad una minaccia ulteriore di invasione maomettana, progettata dagli stessi governanti europei traditori e massoni.

 

Per cui, da un punto di vista simbolico e non solo, nell’attesa che la società maturi integralmente la consapevolezza della nuova invasione, Renovatio 21 si sente di dare a tutti gli europei il consiglio falsamente attribuito a Maria Antonietta: «mangiate brioches».

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Immagine: Frans Geffels (1625–1694), Il sollievo di Vienna (1683-1684), Vienna Museum, Vienna.

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Politica

Negli Stati Uniti cinque tentativi di assassinio in un anno. E tanta violenza politica nella loro storia

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Quello di Charlie Kirk non è l’unico episodio di estrema violenza politica capitata negli USA negli ultimi tempi.   Il 13 luglio 2024, l’allora candidato presidenziale Donald Trump è scampato per poco a un attentato durante un comizio a Butler, Pennsylvania. Thomas Matthew Crooks, 20 anni, ha aperto il fuoco, sfiorando l’orecchio di Trump, uccidendo un partecipante e ferendo altri. Il tiratore è stato neutralizzato da cecchini, ma un’inchiesta del Senato ha definito l’incidente «prevedibile e prevenibile».   Due mesi dopo, il 15 settembre, un secondo tentativo di assassinio ha preso di mira Trump fuori dal suo golf club a West Palm Beach, Florida. Un sospetto filo-ucraino, Ryan Routh, armato pesantemente, è stato arrestato dai Servizi Segreti. Il Routh si rappresenta da solo in tribunale e ha sfidato Trump a una partita di golf.

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Il 14 giugno 2025, la leader democratica del Minnesota Melissa Hortman e suo marito sono stati uccisi a colpi d’arma da fuoco nella loro abitazione. La stessa notte, il senatore John Hoffman e sua moglie sono stati feriti in un attacco collegato, sopravvivendo a stento. Il sospettato, Vance Luther Boelter, 57 anni, ex militare e contractor privato, è stato catturato dopo una caccia all’uomo di due giorni. Secondo l’accusa, aveva pianificato un omicidio politico mirato, con una lista di circa 70 altri obiettivi.   Il 18 dicembre 2024, l’influencer di destra Nick Fuentes ha riferito che un uomo armato di pistola, balestra e ordigni incendiari si è presentato a casa sua a Berwyn, Illinois, durante una diretta streaming. Il sospettato, un ricercato per triplice omicidio, è stato ucciso dalla polizia dopo un inseguimento, poco dopo l’incontro con Fuentes.   Andando indietro nel tempo, abbiamo il caso Nel novembre 2017, quando il senatore repubblicano del Kentucky Rand Paul fu aggredito fisicamente dal vicino Rene Boucher a Bowling Green, in una lite sul giardinaggio, riportando sei costole rotte e complicazioni polmonari che richiesero cure mediche prolungate. Boucher, motivato da rabbia politica anti-Trump, fu condannato a otto anni di prigione, con un’aggiunta di pena per aggressione in carcere.   Ancora prima, nel 2011, la deputata statunitense Gabrielle «Gabby» Giffords fu ferita a colpi d’arma da fuoco durante un’assemblea costituente a Tucson, in Arizona. Suo marito è l’ex astronauta della NASA Mark Kelly. Un uomo aveva corso verso la folla e iniziando a sparare con una pistola calibro 9 mm con un caricatore da 33 colpi, ferendo 19 individui con colpi d’arma da fuoco e uccidendone sei. Tra i morti c’erano il giudice federale John Roll e la bambina di 9 anni Christina-Taylor Green. Il tiratore, Jared Lee Loughner è stato arrestato dagli astanti fino a quando non è stato preso in custodia dalla polizia. Dopo aver dovuto affrontare più di 50 accuse penali federali, Loughner si è dichiarato colpevole di 19 di esse in un patteggiamento per evitare una condanna a morte.  

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La storia dei presidenti USA è segnata da attentati che ne hanno testato la resilienza.   Andrea Jackson, nel 1835, sfuggì a due colpi di pistola difettosi da Richard Lawrence al Campidoglio.   Teodoro Roosevelt, candidato nel 1912, fu ferito al petto da John Schrank a Milwaukee, ma completò il discorso prima di curarsi. Franklin D. Roosevelt, nel 1933, evitò proiettili a Miami, mentre il sindaco Cermak morì. Harry Truman, nel 1950, resistette a un attacco armato alla Blair House da parte di nazionalisti portoricani.   Geraldo Ford superò due tentativi nel 1975: Lynette «Squeaky» Fromme, un membro della setta di Charles Manson, puntò una pistola scarica, e i17 giorni dopo una donna di nomeSara Jane Moore fallì il tiro.   Ronaldo Reagan, nel 1981, fu gravemente ferito da John Hinckley fuori da un hotel, ma si riprese con umorismo, dicendo ai chirurghi in sala operatoria prima dell’intervento di urgenza «spero che siate tutti repubblicani».   Quattro presidenti USA sono stati assassinati in carica, segnando pagine tragiche della storia americana. Abramo Lincoln, nel 1865, fu colpito alla testa da John Wilkes Booth al Ford’s Theatre durante una commedia, morendo il giorno dopo per vendicare la sconfitta confederata nella Guerra Civile.   Giacomo A. Garfield, nel 1881, fu ferito da Charles Guiteau in una stazione ferroviaria per delusione politica; infezioni post-intervento lo uccisero dopo 80 giorni.   Giuglielmo McKinley, nel 1901, ricevette due proiettili da Leon Czolgosz, un anarchico, durante una fiera a Buffalo, spirando per gangrena.   Infine, Giovanni F. Kennedy, nel 1963, fu abbattuto da Lee Harvey Oswald a Dallas con tre colpi dal Texas School Book Depository, in un evento che sconvolse il mondo.  

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