Storia
Omar Torrijos e l’origine della «repubblica delle banane»
Il 5 giugno del 1974 il San Francisco Chronicle pubblicava un articolo dal titolo «Latin Banana Plot Charge». La traduzione in italiano potrebbe suonare grosso modo come «Il prossimo complotto sulle banane dell’America Latina è in rampa di lancio». Pronto per esplodere, in mille pezzetti gialli.
Il testo riportava come l’ambasciatore panamense a San Josè in Costarica, Peres, avesse rivelato una trama ordita dalla Standard Fruit Co. per assassinare Omar Torrijos, di fatto l’uomo che deteneva il potere sostanziale dell’esercito e quindi infine dello stato transistmico.
Torrijos, secondo la rivelazione dell’articolo si sarebbe trovato oggetto dell’attenzione del colosso statunitense per via di una tassa sull’esportazione delle banane entrata in azione dal primo di maggio di quell’anno oltre che a Panama anche in Honduras e Costarica.
La tassa consisteva nel pagamento di un dollaro per ogni cassa da quaranta libbre, grosso modo diciotto chili, che usciva dai porti caraibici verso i porti del Nord America. Immediata la risposta del presidente della società frutticola, da pochi anni passata sotto l’ombrello di Castle and Cook, società che diventerà negli anni successivi, fondendosi con Dole, la maggiore produttrice di frutta al mondo, che negò tassativamente e proclamò la dichiarazione come assolutamente falsa.
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La dichiarazione di Peres insisteva sul fatto che i servizi segreti panamensi avessero scoperto un operazione messa in atto dalla multinazionale americana. Mercenari americani e inglesi, veterani della guerra in Vietnam, che si stava concludendo proprio in quegli anni a seguito degli strascichi della conferenza di Parigi dell’anno prima, erano stati assunti con lo scopo di porre fine al potere di Torrijos e dei governi dei vicini Paesi centroamericani.
L’ambasciatore rincarava inoltre la dose, aggiungendo che avessero cercato di tirare dentro al complotto anche l’altro grande attore nel mercato della frutta americana e eterno rivale in affari, la United Brands, una volta unanimemente conosciuta come United Fruit, ma che infine avesse declinato l’offerta.
Solamente tre mesi dopo, lo stesso giornale avrebbe ripubblicato un articolo dell’Associated Press in cui veniva raccontata la vittoria di Torrijos sopra, questa volta, la United Brands che aveva bloccato a Panama la produzione di banane della controllata Chiriqui Land Co., la futura Chiquita. Torrijos, racconta l’articolo, portò a casa una vittoria sul gigante a stelle e strisce che accettò di pagare i debiti precedenti con lo Stato panamense, gli stipendi ai lavoratori e si impegnò a versare il balzello sulle future banane portate a casa.
Come ricorda lo storico di vicende di crimine organizzato Frederic Sondern in Brotherhood of Evil, the Mafia, il legame tra le produttrici di banane e la malavita che gestiva la logistica intrinseca ai porti fu sempre strettissimo. La logistica della frutta si prestava facilmente ad essere comprata vista la necessità di spedire il carico prima possibile per evitare il rischio che marcisse.
Il vincolo creato dalla peculiarità dei loro prodotti esponeva le compagnie statunitensi a rendere la burocrazia il meno spigolosa possibile. Come i porti di New Orleans fossero gestiti prima da Joe Macheca e in seguito dai siciliani Matranga, parallelamente e conseguentemente le rotte della frutta diventavano un trasporto facile e continuo per tutti gli stupefacenti che transitavano dall’America latina all’America settentrionale.
La forza delle due rivali frutticole in Centroamerica è sempre stata fuori discussione ed è fuori da ogni dubbio la loro centralità nella politica caraibica da fine diciassettesimo secolo in avanti. La storia del potere di queste esportatrici di peso politico ed importatrici di banane visse però questo particolare contraccolpo proprio nella metà degli anni settanta del Novecento.
La particolare disputa, enormemente sproporzionata, tra il Panama di Torrijos e le compagnie che causarono la nascita del nome «repubblica delle banane» si resse in equilibrio perché il tema ricorrente dei dialoghi politici tra il trascorso fantoccio caraibico e la corazzata a stelle e strisce toccò il controllo dello stretto di panama. Dall’inizio della guerra fredda le rivolte interne a Panama fomentate da un crescente nazionalismo e la nascita di una nuova coscienza riguardante i Paesi appartenenti al terzo mondo stavano fabbricando le basi per il famoso trattato Carter-Torrijos che sarebbe nato di lì a qualche anno.
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Non a caso un altro articolo sempre sul San Francisco Cronicle del 18 settembre 1977, nove giorni dopo la firma del trattato, riportava come Scripps-Howard News Service aveva dato alle stampe la notizia che Torrijos era stato intercettato proprio nel 1974. I contenuti riguardavano dettagli molto intimi tra cui le sue attività sessuali. L’articolo di Scripps continuava approfondendo la vicenda e facendoci sapere che non appena il leader panamense fosse venuto a conoscenza della sorveglianza intimò la sospensione degli accordi.
Anche questa informazione ci aiuta a capire come le basi poste per la chiusura del trattato vennero discusse con modi e metodologie diversi. La volontà di creare le condizioni per la stipulazione del trattato era nata già con Nixon ma si sarebbe chiusa di li a poco con il governo Carter con non pochi dibattiti al Congresso. La volontà di trovare un accordo per chiudere finalmente il trattato portò a Torrijos un grande potere che impiegò con intelligenza per crearsi uno spazio di manovra nella sua panama e nei Paesi limitrofi.
Il pupillo e protetto di Torrijos, Manuel Noriega, proprio in quegli anni scalò varie posizioni fino a ricoprire il ruolo di capo dei servizi segreti panamensi parallelamente all’essere una risorsa a libro paga della CIA. Di li a qualche anno Panama si sarebbe assicurata un ruolo da prima donna come paradiso fiscale collocato perfettamente sulla rotta della cocaina tra i Paesi andini e gli anni ottanta americani.
Marco Dolcetta
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia