Storia
Oltre 50 Paesi votano contro la risoluzione dell’ONU sull’antinazismo
Una risoluzione delle Nazioni Unite che si oppone alla celebrazione del nazismo e delle relative ideologie ha incontrato una significativa resistenza da parte degli Stati Uniti e dei suoi alleati, con 52 paesi che venerdì scorso hanno votato contro. Lo riporta la testata russa RT.
La bozza di risoluzione «Lotta alla glorificazione del nazismo, del neonazismo e di altre pratiche che contribuiscono ad alimentare forme contemporanee di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza», presentata dal rappresentante della Russia all’ONU, Vassilij Nebenzia, è stata adottata con 105 voti in sostegno. Oltre ai 52 voti contrari, 15 paesi si sono astenuti.
La risoluzione esprime preoccupazione per la glorificazione del nazismo, del neonazismo e degli ex membri delle Waffen SS e condanna la costruzione di monumenti e lo svolgimento di cerimonie pubbliche in onore del Terzo Reich.
Presentando la risoluzione, il delegato russo ha fatto riferimento a un aumento della xenofobia, del sentimento anti-migranti, dell’islamofobia e dell’antisemitismo, tra le altre forme di discriminazione.
Gli Stati Uniti e molti dei loro alleati hanno spiegato il loro voto contro la misura affermando che la Russia stava sfruttando le atrocità naziste per giustificare la sua operazione militare in Ucraina e hanno insistito sul fatto che unirsi a Mosca nel condannare l’esaltazione dei nazisti equivarrebbe ad aiutare il Cremlino a armare l’Olocausto.
Il Regno Unito ha accusato Mosca di «promuovere bugie e distorcere la storia», pur riconoscendo che stava usando “«egittime preoccupazioni sui diritti umani sollevate dalla mobilitazione neonazista» per giustificare le sue attività in Ucraina.
Gli Stati Uniti sono andati oltre, sostenendo che «l’uso pretestuoso della lotta al neonazismo da parte della Russia mina i veri tentativi di combattere il neonazismo».
L’Ucraina ha affermato che il messaggio anti-nazismo di Mosca «non aveva nulla in comune con la vera lotta contro il nazismo e il neonazismo», che Kiev ha sottolineato di aver condannato in tutte le forme.
Australia, Giappone, Liberia e Macedonia del Nord hanno proposto un emendamento che «rileva con allarme che la Federazione Russa ha cercato di giustificare la sua aggressione territoriale contro l’Ucraina sulla base della presunta eliminazione del neonazismo», ricordando a tutti che «l’uso pretestuoso del neonazismo per giustificare l’aggressione territoriale mina gravemente i veri tentativi di combattere il neonazismo».
La Russia si è opposta all’emendamento, accusando gli autori di «cercare di creare un cuneo tra gli stati» facendolo cadere in commissione all’ultimo minuto. È stato adottato con 63 voti favorevoli, 23 contrari e 65 astenuti.
Mosca ha presentato una risoluzione simile l’anno scorso, prima dell’inizio dell’operazione militare in Ucraina ma dopo che il colpo di stato appoggiato dagli Stati Uniti aveva insediato un governo che consentiva ai gruppi neonazisti come il Battaglione Azov, e ha idolatrato Stepan Bandera, il collaboratore nazista ucraino la cui Organizzazione dei nazionalisti ucraini fu responsabile del massacro di decine di migliaia di polacchi ed ebrei durante la seconda guerra mondiale.
Come riportato all’epoca da Renovatio 21, alla risoluzione del 2021 si sono opposti solo due stati: gli Stati Uniti e l’Ucraina.
Immagine via Wikimedia pubblicata in licenza CC0 Pubblico Dominio
Arte
La Russia di Alessandro I e la disfatta di Napoleone, una lezione attuale
Renovatio 21 ripubblica questo articolo comparso su Ricognizioni.
Ideatore della società filosofico-religiosa nella città di San Pietroburgo e della rivista «Novyj Put» (che tradotto significa «La via nuova»), padre riconosciuto del Simbolismo russo, Dmitrij Sergeevic Merežkovskij è stato uno dei più interessanti scrittori russi della prima metà del ‘900. Esule a Parigi dopo la Rivoluzione d’Ottobre, dove visse e morì nel 1941, spirito profondamente religioso passato anche per la massoneria durante il periodo zarista, viene finalmente tradotto e pubblicato in Italia dall’editore Iduna.
Lo Zar Alessandro I (pagine 450, euro 25) è un’avvincente biografia in forma di romanzo dello Zar che sfidò Napoleone, una figura leggendaria e romantica, uno dei più affascinanti personaggi della dinastia dei Romanov.
Il libro è stato curato da Paolo Mathlouthi, studioso di cultura identitaria, che per le case editrici Oaks, Iduna, Bietti ha curato già diversi volumi in cui ha indagato il complesso rapporto tra letteratura e ideologia lungo gli accidentati percorsi del Novecento, attraverso una serie di caustici ritratti dedicati alle intelligenze scomode del Secolo Breve. Ricognizioni lo ha intervistato.
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Paolo Mathlouthi, lei ha definito questo romanzo un’opera germogliata dalla fantasia titanica ed immaginifica di Merežkovskij. Cosa significa?
In una celeberrima intervista rilasciata nel 1977 ad Alberto Arbasino che, per spirito di contraddizione, lo incalzava sul tema del realismo, ipnotico mantra di quella che allora si chiamava cultura militante, Jorge Luis Borges rispondeva lapidario che la letteratura o è fantastica oppure, semplicemente, non è. «Il realismo – precisava – è solo un episodio. Nessuno scrittore ha mai sognato di essere un proprio contemporaneo. La letteratura ha avuto origine con la cosmogonia, con la mitologia, con i racconti di Dèi e di mostri».
La scellerata idea, oggi tanto in voga, che la scrittura serva a monitorare la realtà, con le sue contraddizioni e i suoi rivolgimenti effimeri è una stortura, una demonia connaturata al mondo moderno. Merezkovskij si muove nello stesso orizzonte culturale e simbolico tracciato da Borges. Sa che è la Musa a dischiudere il terzo occhio del Poeta e ad alimentare il sacro fuoco dell’ispirazione. Scrivere è per lui una pratica umana che ha una strettissima correlazione con il divino, è il riverbero dell’infinito sul finito come avrebbe detto Kant, il solo modo concesso ai mortali per intravedere Dio.
Erigere cattedrali di luce per illuminare l’oscurità, spargere dei draghi il seme, «gettare le proprie arcate oltre il mondo dei sogni» secondo l’ammonimento di Ernst Junger: questo sembra essere il compito gravido di presagi che lo scrittore russo intende assegnare al periglioso esercizio della scrittura. Opporre alle umbratili illusioni del divenire la granitica perennità dell’archetipo, attingere alle radici del Mito per far sì che l’Eterno Ritorno possa compiersi di nuovo, a dispetto del tempo e delle sue forme cangianti.
Merezkovskij si è formato nell’ambito della religiosità ascetica e manichea propria della setta ortodossa dei cosiddetti Vecchi Credenti, la stessa alla quale appartiene Aleksandr Dugin. Una spiritualità, la sua, fortemente condizionata dal tema dell’atavico scontro tra la Luce e le Tenebre. Quello descritto da Merezkovskij nei suoi romanzi è un universo organico, un mosaico vivente alimentato da una legge deterministica che, come un respiro, tende alla circolarità. Un anelito alla perfezione, riletto in chiave millenaristica, destinato tuttavia a rimanere inappagato poiché la vita, nella sua componente biologica calata nel divenire, è schiava di un rigido dualismo manicheo non passibile di risoluzione.
L’esistenza, per Merezkovskij, è dominata dalla polarità, dal conflitto inestinguibile tra due verità sempre equivalenti e tuttavia contrarie: quella celeste e quella terrena, ovvero la verità dello spirito e quella della carne, Cristo e l’Anticristo. La prima si manifesta come eterno slancio a elevarsi verso Dio rinunciando a se stessi, la seconda, al contrario, è un impulso irrefrenabile in senso inverso teso all’affermazione parossistica del propria volontà individuale.
Queste due forze cosmiche, dalla cui costante interazione scaturisce il corretto ordine delle cose, sono in lotta tra loro senza che mai l’una possa prevalere sull’altra.
Cielo e terra, vita e morte, libertà e ordine, Dio e Lucifero, l’uomo e le antinomie della Storia, l’Apocalisse e la funzione salvifica della Russia: come in uno scrigno, ecco racchiusi tutti i motivi fondanti del Simbolismo russo, gli stessi che il lettore non avrà difficoltà a rintracciare nella vita dell’illustre protagonista di questa biografia.
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Chi era veramente Alessandro I?
La formazione liberale ricevuta in gioventù dal precettore ginevrino Frédéric Cesar Laharpe, messogli accanto dalla nonna Caterina II perché lo istruisca sull’uso di mondo, diffonde tra i membri della corte, sempre propensi alla cospiratoria maldicenza, la convinzione che Alessandro sia un debole, troppo innamorato di Voltaire e Rousseau per potersi occupare dell’Impero con il necessario pugno di ferro.
Mai giudizio è stato più malriposto. Se la Russia non è crollata sotto l’urto della Grande Armée lo si deve innanzitutto alle insospettabili attitudini al comando rivelate dallo Zar di fronte al pericolo incombente. I suoi dignitari hanno in tutta evidenza sottovaluto la lezione di cui Alessandro I ha fatto tesoro durante gli anni trascorsi nella tenuta di Gatcina dove il padre Paolo I, inviso alla Zarina che lo tiene lontano dagli affari di governo, impone al figlio una rigida educazione di tipo prussiano: la vita di caserma con i suoi rigori e le sue privazioni, le marce forzate e la pratica delle armi fortificano il principe nel corpo e gli offrono l’opportunità di riflettere sulla reale natura del ruolo che la Provvidenza lo ha chiamato a ricoprire.
Matura in lui, lentamente ma inesorabilmente, la consapevolezza che le funamboliche astrazioni dei filosofi illuministi sono argomenti da salotto, utilissimi per intrattenere con arguzia le dame ma assai poco attinenti all’esercizio del potere e alle prerogative della maestà. La Svizzera e l’Inghilterra sono lontanissime da Carskoe Selo e per fronteggiare la minaccia rappresentata da Napoleone e impedire che l’Impero si frantumi in mille pezzi, allora come oggi alla Russia non serve un Marco Aurelio, ma un Diocleziano.
Dopo la vittoria a Bordino contro le truppe di Napoleone, non ebbe indugi nel dare alle fiamme Mosca, la città sacra dell’Ortodossia sede del Patriarcato, la Terza Roma erede diretta di Bisanzio dove gli Zar ricevono da tempo immemorabile la loro solenne investitura, pur di tagliare i rifornimenti all’ odiato avversario e consegnarlo così all’ inesorabile stretta del generale inverno. Un gesto impressionante…
Senza dubbio. Merezkovsij fa propria una visione della vita degli uomini e dei loro modi (Spengler avrebbe parlato più propriamente di «morfologia della Civiltà») segnata in maniera indelebile dall’idea della predestinazione. Un amor fati che si traduce giocoforza in un titanismo eroico tale per cui spetta solo alle grandi individualità il compito di «portare la croce» testimoniando, con il proprio operato, il compimento nel tempo del disegno escatologico in cui si estrinseca la Teodicea.
Per lo scrittore russo lo Zar è il Demiurgo, appartiene, come l’Imperatore Giuliano protagonista di un’altra sua biografia, alla stirpe degli Dèi terreni, che operano nel mondo avendo l’Eternità come orizzonte. Nella weltanschauung elaborata da Merezkovskij solo ai santi e agli eroi è concesso il gravoso privilegio di essere l’essenza di memorie future: aut Caesar, aut nihil, come avrebbe detto il Borgia. Ai giganti si confanno gesti impressionanti.
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Lei ha visto una similitudine tra l’aggressione napoleonica alla Russia di Alessandro a quanto sta avvenendo oggi…
Lo scrittore francese Sylvain Tesson, in quel bellissimo diario sulle orme del còrso in ritirata che è Beresina. In sidecar con Napoleone (edito in Italia da Sellerio) ha scritto che «davanti ai palazzi in fiamme e al cielo color sangue Napoleone comprese di aver sottovalutato la furia sacrificale dei Russi, l’irriducibile oltranzismo degli slavi». Questa frase lapidaria suona oggi alle nostre orecchie quasi come una profezia.
Quando l’urgenza del momento lo richiede, il loro fatalismo arcaico, l’innato senso del tragico, la capacità di immolare tutte le proprie forze nel rogo dell’istante, senza alcuna preoccupazione per ciò che accadrà, rendono i Russi impermeabili a qualunque privazione, una muraglia umana anonima e invalicabile, la stessa contro la quale, un secolo e mezzo più tardi, anche Adolf Hitler, giunto alle porte di Stalingrado, avrebbe visto infrangersi le proprie mire espansionistiche. Identico tipo umano, stesso nemico, medesimo risultato. Una duplice lezione della quale, come testimoniano le cronache belliche di questi mesi, i moderni epigoni di Napoleone, ormai ridotti sulla difensiva e prossimi alla disfatta nonostante l’impressionante mole di uomini e mezzi impiegata, non sembrano aver fatto tesoro.
«Ogni passo che il nemico compie verso la Russia lo avvicina maggiormente all’Abisso. Mosca rinascerà dalle sue ceneri e il sentimento della vendetta sarà la fonte della nostra gloria e della nostra grandezza». Sono parole impressionanti quelle di Merežkovskij.
A voler essere pignoli questa frase non è stata pronunciata da Merezkovskij, ma da Alessandro I in persona, a colloquio con il Generale Kutuzov poco prima del rogo fatale. Dostoevskij ci ricorda che «il cuore dell’anima russa è intessuto di tenebra». Quanto più intensa è la luce, tanto più lugubri sono le ombre che essa proietta sul muro. Ai nemici della Russia consiglio caldamente di rileggere queste parole ogni sera prima di coricarsi…
A quali scrittori si sentirebbe di accostare Merežkovskij?
L’editoria di casa nostra, non perdonando allo scrittore russo il fatto di aver salutato con favore, negli anni del suo esilio parigino, il passaggio delle divisioni della Wehrmacht lungo gli Champs Elysées, ha riservato alle sue opere una posizione marginale, ma in Russia Merezkovskij è considerato un nume tutelare, che campeggia nel pantheon del genio nazionale accanto a Tolstoj e al mai sufficientemente citato Dostoevskij che a lui sono legati, come i lettori avranno modo di scoprire, da profonda, intima consanguineità.
Paolo Gulisano
Articolo previamente apparso su Ricognizioni.
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Immagine: Adolph Northen, La ritirata di Napoleone da Mosca (1851)
Immagine di pubblico dominio CCo via Wikimedia
Pensiero
Mosca bataclanizzata: qual è il messaggio?
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Spirito
La beatificazione Isabella la Cattolica, che espulse gli ebrei che non si convertivano, bloccata per la guerra in Palestina?
Mentre l’arcidiocesi di Valladolid ha rilanciato lo scorso anno la causa di beatificazione di Isabella la Cattolica, il Dicastero per le Cause dei Santi ha appena annunciato che, dato il contesto attuale, è “quasi impossibile” portare a termine il processo.
La monarca spagnola potrebbe essere l’ultima vittima collaterale del sanguinoso conflitto scoppiato tra Israele e l’organizzazione terroristica islamica Hamas il 7 ottobre 2023.
Mentre il cardinale Marcello Semeraro – prefetto del Dicastero per le Cause dei Santi – non aveva escluso «futuri passi avanti» riguardo alla beatificazione di Isabella la Cattolica, diverse fonti interne al Dicastero suggeriscono che questa sarebbe in corso e resa «quasi impossibile nel breve periodo».
A Roma «siederebbe» la strategia comunicativa messa in atto dai sostenitori della beatificazione della monarca spagnola: in occasione del 520° anniversario della sua chiamata a Dio, una folta delegazione – circa ottanta persone – ha visitato il Vaticano durante l’ultima settimana di febbraio 2024, al fine di portare avanti il dossier.
Il gruppo era guidato dal direttore della Commissione per la Beatificazione di Isabella la Cattolica, José Luis Rubio Willen, e dal gran maestro e presidente del capitolo dei nobili cavalieri e dame della regina Isabella la Cattolica, José María Gomez. Insieme all’arcivescovo di Valladolid – una delle diocesi spagnole più prestigiose – mons. Luis Argüello Garcia.
Momento clou del pellegrinaggio: l’udienza del 28 febbraio con il sovrano pontefice che ha ricevuto dalle mani dell’alto prelato spagnolo gli atti del convegno sul tema Isabella la Cattolica e l’evangelizzazione dell’America.
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La diocesi di Valladolid tenta di mettere in luce la dimensione spirituale e sociale della defunta regina, nonché il suo ruolo di primo piano nella difesa e nella protezione dei popoli nativi americani dopo la scoperta del Nuovo Mondo.
Non basta, secondo la Santa Sede, dimenticare il decreto adottato da Isabella nel 1492, con il quale ordinava agli ebrei che non volevano convertirsi al cattolicesimo di Stato di lasciare il regno. E se a ciò aggiungiamo il contesto di deterioramento delle relazioni diplomatiche tra Israele e Vaticano dopo l’offensiva dell’IDF su Gaza, immaginiamo che la Segreteria di Stato abbia fatto di tutto per congelare un dossier di beatificazione esplosivo.
Lo conferma a malincuore una fonte del Dicastero delle Cause dei Santi: «Se prima del viaggio a Roma alcuni sospettavano che sarebbero cambiate poche cose, ora è una certezza per tutti».
Una certezza confermata dal laconico comunicato stampa della diocesi di Valladolid, diffuso dopo l’udienza del 28 febbraio: «Il sovrano pontefice ha incoraggiato il nostro vescovo a continuare a vivere il suo ministero e a seguire i diversi progetti nella sua arcidiocesi». Un modo per seppellire nuovamente il dossier della beatificazione di Isabella la Cattolica: un dossier che risale al 1972.
Quando morì nel 1504, il monarca spagnolo lasciò in eredità ai suoi successori uno stato centralizzato e unificato. La Spagna conquistatrice, di cui stimolò l’espansione, cessò di essere un Paese ai margini del cristianesimo e sembrò pronta ad occupare una posizione di primo piano in Europa.
Ma la sua politica dovrà aspettare ancora qualche anno per dare veramente i suoi frutti nella persona dell’imperatore Carlo V e di suo figlio Filippo II, che seppero raccogliere e sfruttare tutte le possibilità dell’eredità di Isabella, all’alba del «secolo d’oro» della Spagna alla quale ha largamente partecipato.
Articolo previamente apparso su FSSPX.news.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Wikimedia
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