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Sanità

Non cercano il tasso di reinfezioni. Perché?

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Leggendo i vari report sanitari che da due anni vengono aggiornati quotidianamente da tutti i Paesi Occidentali, balza all’occhio una lacuna enorme. Questi report infatti non raccolgono il numero di ricontagi.

 

Le autorità sanitarie catalogano i casi COVID sotto molti parametri (età, genere, regioni geografiche, etc.) e la raccolta dati è stata ulteriormente aggiornata introducendo nuovi parametri monitoriati: ad esempio, avrete fatto caso che da dicembre 2021 – per argomentare l’utilità della terza dose – i report inglesi e italiani hanno introdotto lo screening di parametri nuovi come il conteggio dei casi positivi distinti tra persone vaccinate da più di 120 giorni e meno di 120 giorni.

 

Possiamo immaginare che questa raccolta dati sia stata aggiornata semplicemente facendo una domanda ai pazienti (o cercando banalmente nella rispettiva cartella clinica): quando il paziente aveva fatto l’ultima dose di vaccino? Più o meno di 120 giorni dal momento in cui è stato trovato positivo?

 

Però, facendo un po’ di storia delle gestione pandemica, balza all’occhio una lacuna incredibile: nessuno ha mai cercato se e quanto tempo prima un paziente fosse giù risultato positivo. Cioè, nessuno ha mai cercato qual è la possibilità di ricontagiarsi dal COVID.

 

Questo è ciò che permetterebbe di capire la copertura immunitaria acquisita naturalmente da infezione COVID e confrontarla con quella acquisita tramite le vaccinazioni disponibili.

 

Provate a fare questa domanda al ministero della Salute: un soggetto non vaccinato che ha avuto l’infezione può reinfettarsi e quando? Tale soggetto mai vaccinato e infettato può poi reinfettarsi più facilmente rispetto a un soggetto vaccinato che ha comunque avuto l’infezione?

 

Non è possibile rispondere, perché incredibilmente nessuna autorità sanitaria sta ricercando questo banale (e doveroso) parametro, per cui vi sono solo supposizioni basate su qualche screening a posteriori, i cui numeri non sono però divulgati né accertabili.

 

Troviamo da mesi opinioni discordanti a riguardo, espresse da qualche virostar sui giornali, senza che vi siano alle spalle dati strutturati, nemmeno si trattasse del campionato di fantacalcio.

 

Eppure i dati da studiare già esisterebbero: esistendo la banca dati su cui si fonda il green pass, sarebbe sufficiente estrarre i dati in modo anonimo e verificare quanti e quali pazienti hanno avuto più casi di reinfezione. Sarebbe un lavoro di Big Data che richiederebbe qualche ora coi moderni database in uso dalle autorità sanitarie. Quindi, virtualmente dato già esiste, ma nessuno lo estrae dai database del sistema sanitario.

Ora, non serve scomodare Conan Doyle, per dedurre che se questi dati portassero acqua al mulino della vaccinazioni del Ministero della Salute, li avremmo già visti raccolti e pubblicati. Ma così non è.

 

Esattamente come abbiamo visto introdotto il parametro «vaccinato da più di 120 giorni» a dicembre 2021 per convincere le persone a farsi il booster. È altresì probabile che proprio tale parametro verrà tolto dai report qualora si scoprisse che anche la dose booster decade dopo 120 giorni.

 

Cosa che sembra ormai di dominio pubblico se ne parla pure il Corriere del 27 marzo:

 

«Quanto dura la protezione della terza dose di vaccino? Si tende a pensare che la durata sia di almeno quattro mesi, ma il tempo varia da individuo a individuo in quanto la risposta allo stimolo vaccinale è molto soggettiva».

 

Il fatto, dunque, che il tasso di reinfezioni non sia mai stato pubblicato – nonostante sarebbe già raccolto e potenzialmente processabile come spiegato sopra – lascia dedurre che il regime sanitario troverebbe in esso un argomento sfavorevole alle direttive dell’autorità.

 

Di quale argomenti si potrebbe trattare?

 

Le ipotesi si stringono a due:

 

1) potrebbe emergere che la percentuale di persone non vaccinate o vaccinate che contrae infezione sviluppa una protezione naturale molto duratura. E siccome le persone che hanno avuto il COVID sono stimate a circa il 30 % della popolazione totale, questo toglierebbe argomenti per obbligare ai richiami il 30% della popolazione. Dunque, se ci svelassero che un contagiato è altamente coperto da reinfezione per 12 mesi, avremmo un argomento scientifico facile per rifiutare la vaccinazione per i prossimi 12 mesi.

 

Più il governo ti rivela che un guarito è coperto, più si abbassa lo stato di emergenza sanitaria. Fino a diventare endemia, cioè un virus col quale si convive, come tanti.

 

Ecco che allora il governo sanitario non deve renderlo noto e deve far credere di essere sempre altamente esposti al pericolo di ricontagio.

 

2) oppure potrebbe emergere qualcosa di ancora più sfavorevole al regime sanitario vaccinista: si potrebbe scoprire che una persona mai vaccinata e contagiata sviluppa una difesa contro la reinfezione superiore a quella di un soggetto vaccinato e infettato.

 

Questo scenario scatenerebbe addirittura una richiesta di risarcimento danni da parte dei soggetti vaccinati, visto che la vaccinazione risulterebbe peggiorativa.

 

Un soggetto non a rischio – prendiamo un ragazzo – direbbe infatti «mi sarebbe allora convenuto fare il COVID piuttosto che sottopormi alle tue 3 dosi di vaccino».

 

L’idea può essere venuta a moltissimi, vista l’aneddotica circolata soprattutto durante l’ultima ondata, quella di inizio inverno: soggetti giovani guariti non contagiati, nonostante contatto pieno con i positivi; soggetti omologhi freschi di booster ammalati.

 

Questo dimostrerebbe che in certi soggetti l’immunità naturale acquisita è potente e duratura.

 

Esistono spiegazioni possibili a questa dinamica? Sì. E per certo alcune sono scientificamente basate.

 

A) I vaccini mRna «addestrano» il sistema immunitario a riconoscere la proteina spike del virus, che tuttavia rappresenta una parte specifica dello stesso. E siccome le vaccinazioni mRna ancora oggi in uso sono state progettate sulla spike della prima versione del COVID del 2020 (la variante Alfa), rimane plausibile che il sistema immunitario non riconosca allo stesso modo varianti che abbiano una proteina spike che si discosta di molto da quella Alfa.

 

La cosa invece non accade se il sistema immunitario ha imparato a riconoscere tutta la superficie del virus (e non solo la spike), cosa che tendenzilmente avviene a seguito di infezione naturale.

 

A questo punto – poiché non cercano questi dati come sopra spiegato – non è chiaro se un soggetto vaccinato che prenda il COVID riesca a sviluppare immunità su tutta la superficie del virus oppure se la vaccinaizone mRna gli precluda questa possibilità. Ciò  sarebbe un fenomeno gravissimo di immunodeficienza acquisita, di cui ci sono alcune recenti prove in laboratorio, e di cui parleremo in un altro articolo dedicato.

 

B) Un team italiano ha svolto uno studio pubblicato da Lancet a dicembre 2021 che avevamo già esposto su Renovatio 21. La vaccinazione mRNA elimina gli anticorpi neutralizzanti dalle mucose orali. Queste sono la prima barriera di contrasto all’infezione.

 

A questo riguardo si osserva che tale fenomeno accertato potrebbe essere peggiorativo anche della salute di soggetti non vaccinati che hanno sviluppato immunità naturale a seguito di infezione: noi siamo portati a credere che con le altre ondate influenzali (con altri coronavirus) il tasso di ricontagio fosse più basso di quello che vediamo oggi.

 

Ma in quei contesti non c’era il 90% della popolazione che aveva perso anticorpi neutralizzanti a seguito di vaccinazione mRNA.

 

Pertanto potremmo aver un numero maggiore di soggetti non vaccinati che sembrano sviluppare immunità naturale meno duratura rispetto alle altre forme influenzali per il semplice fatto che il 90% di popolazione vaccinata li espone a continui ricontagi. Cosa che normalmente non avviene perché il «gregge» aiuta a limitare la circolazione del virus.

 

In altre parole – avendo vaccinato il 90 % della popolazione che rimane poi priva di anticorpi neutralizzanti nelle mucose orali – si verificherebbe quella che potremmo chiamare una anti-immunità di gregge.

 

Cosa che nelle normali epidemie influenzali non avveniva.

 

C) con una normale influenza l’immunità naturale dura pochi mesi perché il sistema immunitario viene stimolato contemporanemente in milioni di soggetti ed in tutti questi la copertura va scemando simultaneamente. Ma che cosa accade se la diffusione del contagio viene dilazionata attraverso misure di contenimento (lockdown, isolamenti, mascherine e tamponi)?

 

Accade che un soggetto si troverà mediamente esposto a continui contatti col virus che ne stimoleranno continuamente la risposta immunitaria.

 

Dunque, un ragazzo che fosse guarito dal COVID – frequentando in seguito la scuola che mantiene misure di contenimento – potrebbe avere una risposta immunitaria al massimo grado per molti mesi: appunto perché i suoi compagni di classe non si ammalano tutti contemporanemante a lui, ma pochi alla volta. Si tratta di fatto di continui booster naturali per un soggetto già guarito. Dopo un certo arco di tempo tutta la classe dovrebbe trovarsi ad essere iper protetta e la circolazione sarebbe soffocata, essendo composta da soggetti guariti e ampiamente «boosterati» tra di loro.

 

Questo però non sta avvenendo, nonostante il tasso dei contagi sia sempre molto alto. Dunque, non dipende dal fatto che le misure di contenimento funzionino troppo efficacemente, bensì dipende necessariamente dal fatto che qualcuno non riesce mai ad acquisire immunità naturale rispetto al virus: cioè continua a contagiarsi e a ricontagiare.

 

Quanti sono? Domandiamo, non è che sono in maggioranza i soggetti vaccinati a presentare questo inconveniente?

 

Non lo sappiamo, perché nessuno cerca questo parametro.

 

Ma dovremmo cercarlo, perché se fossero i soggetti vaccinati a presentare questo inconveniente, significherebbe che proprio la campagna vaccinale prolungherà la circolazione del COVID all’infinito.

 

In conclusione, senza che le autorità sanitarie si degnino di pubblicare i dati sui ricontagi, tutte le questioni sopra indicate rimarranno indeterminate. È  questo che vogliono?

 

Lo stesso dicasi della questione legata alla «velocità di diffusione» delle nuove varianti. Quando sentiamo dire che le nuove varianti si sono diffuse perché sono più veloci a diffondersi, potremmo essere in presenza di una confusione logica tra effetto e causa.

 

Ad esempio, per ipotesi, il fatto che la variante Omicron si diffonda più velocemente della variante Delta potrebbe essere semplicemente l’effetto di un indebolimento collettivo del sistema immunitario causato dalla vaccinazione, e non la causa della minore performance del sistema immunitario rispetto alla variante. Cioè, significherebbe che, se nessuno si fosse vaccinato, la velocità di diffusione della variante Omicron sarebbe rimasta e percepita analoga a quella della Delta.

 

Esiste una prova di questa ipotesi?

 

Certamente esiste e l’abbiamo dimostrata su Renovatio 21 coi numeri dei report inglesi: dopo alcune settimane i vaccinati hanno un tasso di contagio che è il doppio rispetto ai non vaccinati.

 

Il che spiega come – visto dall’esterno – sembra che complessivamente la variante Omicron abbia una velocità di diffusine più elevata. In realtà non è la variante ad avere intrinscamente una maggiore velocità di diffusione, bensì la maggiore velocità di diffusione dipende dal fatto che essa trovi la strada spianata in una popolazione vaccinata al 90%.

 

Il sospetto è che nessun governo mai pubblicherà i dati sui ricontagi divisi per cluster (mai vaccinati, vaccinati doppia dose e vaccinati tripla dosi) perché questi argomenti diventerebbero autoevidenti. E i cittadini chiederebbero i danni o rigetterebbero ulteriori obblighi vaccinali.

 

A maggior ragione invece – se i dati sui ricontagi supportassero le campagne vaccinali – perché i governi non li hanno ancora pubblicati? Sarebbe così facile.

 

 

Gian Battista Airaghi

 

 

 

 

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Sanità

La Francia multa i pazienti che mancano alle visite mediche

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Il governo francese propone di multare i pazienti che non si presentano alle visite mediche senza una buona scusa, ha annunciato il primo ministro Gabriel Attal.

 

Secondo quanto riferito, la politica mira a sostenere il servizio sanitario mentre fatica a far fronte alle crescenti richieste di una popolazione che invecchia, in mezzo alla carenza di personale e all’aumento dei costi.

 

L’Attal ha dichiarato lunedì che circa 27 milioni di pazienti ogni anno non si presentano alle visite mediche. «Non possiamo permettere che ciò continui», ha affermato il primo ministro, sottolineando che la nuova misura potrebbe liberare tra i 15 e i 20 milioni di appuntamenti all’anno per altri pazienti.

 

Il passo proposto farebbe parte di una legge che, se approvata dal parlamento, potrebbe entrare in vigore a partire da gennaio 2025. L’annuncio di Attal della proposta di sanzione di 5 euro per la mancata presentazione agli appuntamenti programmati è stato accolto con l’immediata protesta da parte dei sindacati dei medici e dei gruppi di pazienti.

 

«Non funzionerà. È solo una tassa… e il risultato finale sarà che il sistema sanitario perderà», ha detto al giornale britannico Guardian Patrick Pelloux, presidente dell’Associazione dei medici d’urgenza.

 

Il medico di famiglia Luc Duquesnel avrebbe dichiarato alla radio France Bleu che sarebbe meglio «educare le persone piuttosto che dire ai professionisti che devono tassarli, cosa che metterebbe a dura prova i rapporti con i nostri pazienti».

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Secondo Gerard Raymond, presidente dell’Associazione francese dei pazienti, contrario al provvedimento, la sanzione mira a far sentire i pazienti colpevoli piuttosto che responsabili.

 

Secondo il piano, i pazienti sarebbero obbligati a fornire i dettagli della carta di debito o di credito al momento di fissare un appuntamento. Se non si presentano senza dare almeno 24 ore di preavviso, i medici potrebbero multarli. I pazienti con un valido motivo per non presentarsi all’appuntamento sarebbero esentati.

 

Spetterebbe al medico decidere se il motivo della mancata visita fosse sufficientemente ragionevole da evitare la multa.

 

La carenza di medici è da tempo il problema più grande del sistema sanitario nazionale francese, insieme all’accesso alle cure e ai lunghi tempi di attesa, scrive RT.

 

Il premier Attal ha detto che cercherà anche di aumentare il numero di studenti che terminano la formazione medica ad alta pressione nel tentativo di affrontare una grave carenza di personale medico.

 

Secondo il primo ministro, il numero di studenti che accedono al secondo anno di laurea in medicina aumenterebbe da 10.000 all’anno nel 2023 a 12.000 nel 2025 e 16.000 nel 2027.

 

Come riportato da Renovatio 21, la Francia ha appena costituzionalizzato la pratica dell’aborto procurato (in una nazione che nel 2021 ha contato, ufficialmente, un aborto ogni tre nascite), e si sta muovendo verso l’istituzione di un regime eutanatico che elimini anziani a pieno ritmo, un po’ come preconizzato dal grand commis parigino e ideologo globalista, Jacques Attali, il quale è mentore, più che di Attal, di Macron.

 

Il quale Macron pare impegnato a dichiarare ripetutamente l’invio di truppe francesie NATO – in Ucraina, provocando una crisi con la superpotenza atomica russa che potrebbe escalare nella Terza Guerra Mondiale.

 

È per questo che stanno liberando gli appuntamenti dai medici?

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Sanità

Medico tedesco si rifiuta di curare politico dell’AfD in sedia a rotelle

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Un medico del Land tedesco del Baden-Württemberg si rifiuta di curare uno dei suoi pazienti perché è un politico locale del partito Alternativa per la Germania (AfD). Lo riporta Remix News.   La decisione del medico sarebbe stata presa dalla visione sul giornale locale della foto del politico Heiko Nüßner durante una manifestazione per l’associazione cittadina del suo partito a Lahr.   Sulla base di questa foto, il medico gli ha detto di trovare un nuovo dottore a causa delle loro «opinioni politiche chiaramente diverse».

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Nüßner, che per 26 anni è stato politico cristiano-democratico (CDU), ha dichiarato al quotidiano Bild di essere «molto sorpreso» da questa reazione, perché non aveva mai parlato con il medico della sua politica, definendo l’interazione con il medico di base come «molto antidemocratica».   Il politico dell’AfD ha dichiarato di essere «rimasto deluso dalla CDU a causa della sua politica sull’euro e sull’immigrazione, nonché per la sua uscita dall’energia nucleare. Per me l’AfD è la “nuova CDU” e non è affatto estrema destra».   Il politico dell’AfD tre anni fa ha subito un incidente che lo ha costretto su una sedia a rotelle. Quando all’inizio di marzo ha chiesto una prescrizione al medico, gli è stato negato il trattamento. Nüßner ha condiviso una copia dello scambio di e-mail condiviso tra lui e il medico, il cui nome non è stato divulgato né da Nüßner né dalla Bild.   Il medico ha risposto alla Bild dicendo che la foto del politico era solo la «ciliegina sulla torta»: «già in precedenza avevo trovato il paziente molto sgradevole, con il suo carattere esigente e invadente», ha dichiarato.   La negazione delle cure mediche in base a discriminazione politica va contro il giuramento di Ippocrate (se ancora ha un senso ricordarlo) e contro i presupposti di quella che era, fino a prima della pandemia, l’etica medica accettata. Tuttavia, in contrasto con quanto vedevamo fino a qualche anno fa dove gli stessi dottori curavano i terroristi perpetratori di attentati e le loro vittime, vediamo come in Israele gruppi medici abbiano approvato il bombardamento degli ospedali palestinesi di Gaza.   Il medico del caso tuttavia si giustifica dicendo che il medicinale richiesto da Nüßner «non era vitale».   Secondo l’intervista della Bild, il medico avrebbe voluto sostenere eventuali «tendenze antidemocratiche», poiché l‘AfD è monitorato per estremismo dall’Ufficio per la protezione della Costituzione (BfV), cioè i servizi di sicurezza interni tedeschi.   Il medico ha quindi detto che se il politico dell’AfD avesse avuto bisogno di cure importanti, avrebbe trattato lui e chiunque altro «indipendentemente dalla loro ideologia».   Quello del Nüßner con il suo medico non è il primo caso all’interno dello stesso land.   Nel 2021 anche la candidata dell’AfD Andrea Zürcher si è fatta annullare le cure dal medico di base, sempre nello stato del Baden-Württemberg. Nel caso di Zürcher il medico venne a conoscenza della sua attività politica anche da una foto apparsa su un giornale locale.   «Ha detto che di conseguenza il rapporto di fiducia era stato distrutto e che non poteva più dare il 100% nella mia cura», ha detto la donna, che soffre di una malattia cronica.

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Come ricordiamo, la discriminazione medica è stata slatentizzata durante il COVID, quando medici e infermieri – più schiere di supporter civili – vennero trovati spesse volte confessare sui social la loro volontà di non curare i non vaccinati. La discriminazione biotica – chiaramente una nuova forma di razzismo biologico – fu completamente sdoganata creando casi disperati di cui ora in tanti vorrebbero dimenticarsi.   Si trattava di una sorta di germe di guerra civile nella popolazione – quella che abbiamo chiamato «guerra biotica» – dove i medici andavano a ricoprire il ruolo di casta sacerdotale che alimentava lo scontro.   I medici, contro ogni giuramento, contro ogni senso della dignità umana, possono ora negare le cure a chi vogliono – cioè a coloro che la pensano in modo differente dall’establishment che paga loro lo stipendio. È l’ennesima dimostrazione di come la realtà istituzionale – dai governi alle aziende – abbiano svolto il calcolo del sacrificio della minoranza, che può essere privata di ogni diritto fondamentale (lo abbiamo visto col COVID) e quindi essere considerata eliminabile. Non interessano al potere i suoi soldi, il suo lavoro, i suoi voti, la sua umanità.   Renovatio 21 ripete al lettore: rassegniamoci all’idea, lo Stato moderno è basato sulla distruzione della minoranza – lo Stato moderno è, cioè, programmato per il genocidio. Ecco perché non stupirsi di Gaza, né di quello che potrebbe succedere domani in casa nostra. SOSTIENI RENOVATIO 21
Immagine screenshot da YouTube        
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Controllo delle nascite

OMS e riduzione della popolazione, cadono le maschere

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Da oltre mezzo secolo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) pianifica la riduzione della popolazione attraverso l’aborto e la contraccezione. È quanto emerge dal recente studio pubblicato dal Centro Europeo di Giustizia e Diritto (ECLJ) che ha il merito di mettere in luce la grande menzogna delle politiche sulla salute riproduttiva portate avanti su scala planetaria.

 

«Indossiamo costantemente la maschera e, abbandonando la natura, abbiamo paura di mostrarci col nostro volto». Louis-Marie Bonneau e Gregor Puppinck sembrano aver imparato la lezione di Boileau, perché queste sono infatti le maschere che i due ricercatori gettano nel loro studio pubblicato dalla ECJL nel febbraio 2024.

 

Gli autori si sono proposti di analizzare il Programma di salute Riproduttiva Umana (HRP) sviluppato dall’OMS negli anni ’70 e perfezionato nel corso degli anni. Un programma che fa riferimento al lavoro di Paul Ehrlich pubblicato nel 1968 con il titolo The Population Bomb (La bomba demografica). L’ecologia catastrofista propugnante la decrescita era appena nata e le streghe che si chinavano sulla sua culla promettevano che avrebbe avuto davanti a sé un futuro radioso.

 

Fino ad ora, la documentazione riguardante l’HRP proveniva da ex dirigenti che hanno partecipato al programma e hanno adottato un approccio olistico. Mancava uno studio indipendente in grado di descrivere più in dettaglio come l’OMS ha strutturato la ricerca sulla salute riproduttiva.

 

Il grande merito dei ricercatori dell’ECLJ è quello di comprendere come l’HRP si inserisca nella strategia delle Nazioni Unite per il controllo demografico globale: «Con l’obiettivo di migliorare la salute e la prosperità riducendo la popolazione, l’HRP ha svolto un ruolo di primo piano sia nello sviluppo di metodi della contraccezione e dell’aborto e nell’ambito della loro accettabilità».

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Un altro interesse dell’indagine appena pubblicata è quello di evidenziare il ruolo svolto da attori privati ​​che hanno sempre più o meno preferito restare nell’ombra: uno studio sui finanziamenti dell’HRP rivela gli investimenti colossali di fondazioni tra le più influenti nel mondo.

 

Nel 2019, ad esempio, Warren Buffett ha promesso quasi 100 milioni di dollari all’HRP. Anche la Fondazione Bill & Melinda Gates fornisce finanziamenti al programma su base continuativa, per un importo compreso tra 3 e 4 milioni di dollari all’anno nel periodo 2019-2022.

 

E gli autori citano, tra le altre, la generosità dimostrata anche dalle fondazioni Ford, Rockefeller, Hewlett e MacArthur, sempre presenti quando si tratta di portare avanti la cultura della morte. Perché l’errore sarebbe credere che l’HRP miri soprattutto al bene dell’umanità.

 

L’obiettivo dichiarato dell’HRP negli anni ’70 era quello di evitare l’esplosione della «bomba demografica» che, secondo l’OMS, avrebbe portato ad una carestia globale duratura.

 

Nel 2021, questo scenario mai avvenuto è superato, dal momento che la FAO – l’organismo delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura – ha stimato che il 17% della produzione alimentare globale è stata sprecata e ha constatato l’invecchiamento complessivo della popolazione. Tuttavia, l’agenda dell’HRP su aborto e contraccezione rimane invariata.

 

E i due ricercatori dell’ECLJ si chiedono: «l’obiettivo dell’ONU è davvero la prosperità dell’umanità o piuttosto l’emergere di una nuova natura umana? In ogni caso, è essenziale sensibilizzare l’opinione pubblica sull’HRP e sul suo lavoro, per togliere la maschera delle sue buone intenzioni e ridurre la sua influenza e quella dei suoi donatori».

 

Un inganno che si riscontra nei metodi dell’OMS, che presta poca attenzione alla libertà individuale quando si tratta di imporre la pianificazione familiare a intere popolazioni del continente africano, ma innalza il livello dei diritti umani dell’uomo – come La Libertà guida il popolo di Delacroix – quando si tratta di difendere le cause dell’aborto e della comunità LGBT.

 

Dopotutto, non siamo più a una sola bugia…

 

Articolo previamente apparso su FSSPX.news.

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