Politica
Non arrendiamoci: stiamo vincendo, ma non ce lo dicono

Che il green pass sia un metodo per obbligare di fatto la popolazione a vaccinarsi è da tempo riconosciuto anche sui media mainstream. Anche perché è stato pubblicamente affermato da esponenti di governo, tra cui il ministro Brunetta, con tanto di mimica dei «tamponi nel cervello».
Ora, le domande che tutti coloro che stanno resistendo si pongono sono: il piano del governo sta funzionando? Siamo oramai soltanto un’insignificante minoranza che sta lottando contro un potere inesorabile? I miei sacrifici stanno dando risultati nella partita?
Partiamo dall’ultima domanda: eccome se i sacrifici stanno dando risultati, anzi, per ora stiamo vincendo. Ma il governo non ce lo farà mai intuire. Ed anzi, tenta di farci credere l’opposto.
Vediamo come possiamo capire che stiamo vincendo questo braccio di ferro. Come già avevamo spiegato i lavoratori senza vaccino partivano a ottobre da circa 4 milioni.
Dai media si apprende che da giorni si registrano a livello nazionale tra le 10.000 e le 15.000 prime dosi giornaliere.
La gatta da pelare per il governo non potrà che crescere, visto che il numero di lavoratori che non vorranno fare la terza dose e risulteranno non vaccinati dopo 12 mesi andrà ad ingrossare le fila dei non-vaccinati a partire nel 2022
Complessivamente il green pass ha spinto a vaccinarsi nemmeno 500.000 persone dalla sua entrata in vigore (15 ottobre). Ed ora la forza coercitiva sulle nuove vaccinazioni va esaurendosi. Tende a zero.
Sono rimasti i duri e puri. E siamo più di 3 milioni di lavoratori.
In sostanza, non solo siamo 3 milioni di lavoratori a non aver ceduto al ricatto della vaccinazione per poter lavorare, ma va maluccio anche per i tamponi: se prendiamo i report, vediamo che i lavoratori che risultano giornalmente in regola col tampone oscillano tra i 600.000 e i 900.000.
E sono stime per eccesso, perché assumiamo che tutti i tamponi eseguiti in Italia siano ad uso esclusivo del pass per i lavoratori. Sappiamo invece che vengono effettuati in ospedali, scuole, trasporti internazionali, ambienti sportivi etc.
Facendo due calcoli, vediamo che non solo ci sono più di 3,5 milioni di italiani che non cedono al ricatto vaccinale, ma di questi ne abbiamo anche 2,7 milioni se ne infischiano del tampone per poter lavorare.
Facendo due calcoli, vediamo che non solo ci sono più di 3,5 milioni di italiani che non cedono al ricatto vaccinale, ma di questi ne abbiamo anche 2,7 milioni se ne infischiano del tampone per poter lavorare.
Per non parlare del boom di lavoratori che si sta mettendo in malattia ad intervalli per evitare il maggior numero possibile di tamponi settimanali. Una questione trapelata sui giornali da settimane.
Diviene palese che il potere coercitivo sulla popolazione renitente al vaccino vada esaurendosi.
Sono cifre importanti e lo sa anche il governo, che non a caso da qualche giorno sta tentando di giocare un’altra carta.
Ha tutta l’aria di essere un rilancio a puntate già fatte, qualcosa di penoso, che in genere si vede fare ai giocatori d’azzardo ubriachi.
Oggi, 28 ottobre, sul Messaggero leggiamo:
«Si studia la proroga con il modello francese: obbligo fino all’estate. Mancano poco più di due mesi al 31 dicembre, ma man mano che la data si avvicina, aumentano anche riflessioni e interlocuzioni sulla futura gestione della pandemia. A fine anno infatti, ultimi decreti alla mano, sono in scadenza sia lo stato di emergenza che l’uso esteso del Green pass. I due strumenti però sono considerati alla stregua di “due binari paralleli”, trapela da ambienti governativi, e quindi non legati dal medesimo destino. Se però della prima – già rinnovata più volte e salvo interventi legislativi estendibile solo fino al 31 gennaio – si proverà fino all’ultimo a farne a meno, per l’obbligo di esibire il QR code sul posto di lavoro la faccenda è più complessa. Sul tavolo le ipotesi principali sono già due: un’estensione fino a primavera dello strumento così com’è, oppure l’estensione fino all’inizio dell’estate (attorno a maggio) con l’obiettivo di modularne via via una minore applicazione».
Il motivo di questo annuncio è spiegato con candore su La Stampa del 27 ottobre:
Anche perché (attenzione) quanti dei lavoratori oggi vaccinati si faranno la terza dose a partire da gennaio 2022?
«Una mossa da annunciare quanto prima per spingere verso il vaccino No Vax e No Pass, che fino ad oggi si erano fatti due conti, sperando con una spesa più o meno di 200 euro al mese in tamponi di tirare avanti così fino al 31 dicembre, scadenza al momento fissata dal governo tanto per il certificato verde che per lo stato di emergenza».
Non serve uno stratega per capire che, sebbene ad un primo sguardo questa estensione temporale del pass possa essere demotivante per chi la subisce, questo dimostra un punto di debolezza del governo.
Ha tutta l’aria di essere un rilancio a puntate già fatte, qualcosa di penoso, che in genere si vede fare ai giocatori d’azzardo ubriachi.
Il governo – e sono i media mainstream a spiegarlo – ha compreso che ci sono milioni di lavoratori pronti a non cedere fino al 31 dicembre, chi coi tamponi, chi infischiandosene. Ed allora scommette sul tavolo altri mesi di disagi.
Ed allora non ci resta che ringraziare il governo Draghi-Speranza, poiché con questa mossa ci ha informato di trovarci attualmente in vantaggio
Anche perché (attenzione) quanti dei lavoratori oggi vaccinati si faranno la terza dose a partire da gennaio 2022?
La gatta da pelare per il governo non potrà che crescere, visto che il numero di lavoratori che non vorranno fare la terza dose e risulteranno non vaccinati dopo 12 mesi andrà ad ingrossare le fila dei non-vaccinati a partire nel 2022.
Ed allora non ci resta che ringraziare il Governo Draghi-Speranza, poiché con questa mossa ci ha informato di trovarci attualmente in vantaggio.
Gian Battista Airaghi
Politica
Orban dice che l’UE potrebbe andare al «collasso» e chiede accordi con Mosca

L’UE è sull’orlo del collasso e non sopravvivrà oltre il prossimo decennio senza una «revisione strutturale fondamentale» e un distacco dal conflitto ucraino, ha avvertito il primo ministro ungherese Viktor Orban.
Intervenendo domenica al picnic civico annuale a Kotcse, Orban ha affermato che l’UE non è riuscita a realizzare la sua ambizione fondante di diventare una potenza globale e non è in grado di gestire le sfide attuali a causa dell’assenza di una politica fiscale comune. Ha descritto l’Unione come entrata in una fase di «disintegrazione caotica e costosa» e ha avvertito che il bilancio UE 2028-2035 «potrebbe essere l’ultimo se non cambia nulla».
«L’UE è attualmente sull’orlo del collasso ed è entrata in uno stato di frammentazione. E se continua così… passerà alla storia come il deprimente risultato finale di un esperimento un tempo nobile», ha dichiarato Orban, proponendo di trasformare l’UE in «cerchi concentrici».
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L’anello esterno includerebbe i paesi che cooperano in materia di sicurezza militare ed energetica, il secondo cerchio comprenderebbe i membri del mercato comune, il terzo quelli che condividono una moneta, mentre il più interno includerebbe i membri che cercano un allineamento politico più profondo. Secondo Orbán, questo amplierebbe la cooperazione senza limitare lo sviluppo.
«Ciò significa che siamo sulla stessa macchina, abbiamo un cambio, ma vogliamo muoverci a ritmi diversi… Se riusciamo a passare a questo sistema, la grande idea della cooperazione europea… potrebbe sopravvivere», ha affermato.
Orban ha accusato Brusselle di fare eccessivo affidamento sul debito comune e di usare il conflitto in Ucraina come pretesto per proseguire con questa politica. Finché durerà il conflitto, l’UE rimarrà una «anatra zoppa», dipendente dagli Stati Uniti per la sicurezza e incapace di agire in modo indipendente in ambito economico, ha affermato.
Il premier magiaro ha anche suggerito che, invece di «fare lobbying a Washington», l’UE dovrebbe «andare a Mosca» per perseguire un accordo di sicurezza con la Russia, seguito da un accordo economico.
Il primo ministro di Budapest non è il solo a nutrire queste preoccupazioni. Gli analisti del Fondo Monetario Internazionale e di altre istituzioni hanno lanciato l’allarme: l’UE rischia la stagnazione e persino il collasso a causa di sfide strutturali, crescita debole, scarsi investimenti, elevati costi energetici e tensioni geopolitiche.
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Immagine di pubblico dominio CC0 via Flickr
Politica
Il passo indietro di Ishiba: nuovo capitolo nella lunga crisi del centro-destra giapponese

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Politica
Il governo francese collassa

Il governo francese è collassato dopo che il Primo Ministro François Bayrou ha perso un cruciale voto di fiducia in Parlamento lunedì. Bayrou è il secondo primo ministro consecutivo sotto Emmanuel Macron a essere destituito, precipitando la Francia in una crisi politica ed economica.
Per approvare una mozione di sfiducia all’Assemblea Nazionale servono almeno 288 voti. Quella di lunedì ne ha ottenuti 364, con il Nuovo Fronte Popolare di sinistra e il Raggruppamento Nazionale di destra coalizzati per superare lo stallo sul bilancio di austerità di Bayrou.
Dopo aver resistito a otto mozioni di sfiducia, Bayrou ha convocato questo voto per ottenere supporto alle sue proposte, che prevedevano tagli per circa 44 miliardi di euro per ridurre il debito francese in vista del bilancio di ottobre.
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Bayrou, che aveva definito il debito pubblico un «pericolo mortale», sembra aver accettato la sconfitta. Domenica, ha criticato aspramente i partiti rivali, che, pur «odiandosi a vicenda», si sono uniti per far cadere il governo.
Bayrou è il secondo primo ministro deposto dopo Michel Barnier, rimosso a dicembre dopo soli tre mesi, e il sesto sotto Macron dal 2017.
La caduta di Bayrou lascia Macron di fronte a un dilemma: nominare un Primo Ministro socialista, cedendo il controllo della politica interna, o indire elezioni anticipate, che i sondaggi indicano favorirebbero il Rassemblement National di Marine Le Pen.
Con la popolarità di Macron al minimo storico, entrambe le opzioni potrebbero indebolire ulteriormente la sua presidenza. Gli analisti temono che una perdita di fiducia dei mercati nella gestione del deficit e del debito francese possa portare a una crisi simile a quella vissuta dal Regno Unito sotto Liz Truss, il cui governo durò meno della via di un cavolo prima della marcescenza.
Il malcontento verso Macron è in crescita: un recente sondaggio di Le Figaro rivela che quasi l’80% dei francesi non ha più fiducia in lui.
Come riportato da Renovatio 21, migliaia di persone hanno protestato a Parigi nel fine settimana, chiedendo le dimissioni di Macron con slogan come «Fermiamo Macron» e «Frexit».
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Immagine di © European Union, 1998 – 2025 via Wikimedia pubblicata secondo indicazioni
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